GP2 Discorsi 2003 190


ALLA COMUNITÀ DELLA PONTIFICIA


ACCADEMIA ECCLESIASTICA


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Giovedì, 15 maggio 2003

Monsignor Presidente,

cari Sacerdoti alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica!

1. Vi sono grato per questa visita e vi saluto tutti con affetto. Saluto in primo luogo il Presidente, l'Arcivescovo Justo Mullor Garcia, e lo ringrazio, oltre che per le parole rivoltemi a nome dei presenti, per la diligenza e la generosità con cui quotidianamente si dedica al suo impegnativo compito. Estendo questi miei sentimenti di riconoscenza a quanti, in varie forme e mansioni, lo coadiuvano nell'opera di formazione.

Saluto in modo speciale voi, cari alunni. Alcuni completeranno tra breve il curriculum accademico e si apprestano a intraprendere un servizio diretto alla Sede Apostolica. Formulo loro fervidi auguri di fecondo ministero e chiedo al Signore di accompagnarli in ogni momento della loro esistenza.

2. Carissimi alunni, già in altre occasioni ho avuto modo di sottolineare l'importanza di questa vostra peculiare ‘missione’, che vi condurrà lontano dalle vostre famiglie offrendovi, al tempo stesso, l'opportunità di entrare in contatto con molteplici e diverse realtà ecclesiali e sociali.

Per assolvere in modo fedele i compiti che vi saranno affidati, è indispensabile che a partire dagli anni di formazione il vostro obiettivo prioritario sia tendere alla santità. Questo ebbi a ricordare anche durante la visita alla vostra Accademia due anni or sono, in occasione del suo terzo Centenario. Aspirare alla perfezione evangelica sia vostro quotidiano sforzo, alimentando un ininterrotto rapporto di amore con Dio nella preghiera, nell'ascolto della sua parola e specialmente nella devota partecipazione al Sacrificio eucaristico. Si trova qui, carissimi, il segreto dell'efficacia di ogni ministero e servizio nella Chiesa.

3. Voi provenite da nazioni, culture ed esperienze diverse. La vita in comune in Accademia qui a Roma, centro del Cattolicesimo, vi educa alla condivisione e alla reciproca comprensione, vi apre alla dimensione universale della Chiesa e vi offre l'opportunità di meglio capire le complesse realtà umane del nostro tempo. Tutto ciò sarà di grande aiuto quando svolgerete la vostra attività fra popolazioni varie per costumi, civiltà, lingua e tradizioni religiose. Il vostro servizio sarà tanto più proficuo quanto più vi adopererete, con animo autenticamente sacerdotale, a promuovere la crescita delle Chiese locali, collegandole con la Cattedra di Pietro, e per il bene dei popoli.

La Vergine Maria, che veneriamo in modo particolare in quest'anno dedicato al Rosario, posi il suo sguardo su ciascuno di voi e vi accompagni in ogni vostro passo con la sua materna protezione. Io vi assicuro la mia preghiera, e di cuore tutti vi benedico.




AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE


DEL CONSIGLIO SUPERIORE


DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE


Venerdì, 16 maggio 2003




Signor Cardinale,
192 Venerati Fratelli nell'Episcopato,
Cari Direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie!

1. Sono lieto di darvi il benvenuto per questo evento annuale, al quale partecipate provenendo dalle varie Chiese del mondo.

Ringrazio il Card. Crescenzio Sepe, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, che s'è fatto interprete dei comuni sentimenti. Un particolare pensiero rivolgo anche al Presidente delle Pontificie Opere Missionarie, Mons. Malcolm Ranjith, ed ai numerosi Vescovi presenti. Saluto infine i Segretari Generali ed i membri del "Consiglio Superiore", i quali con la loro dedizione assicurano il buon funzionamento di queste importanti strutture dell'attività missionaria nella vita della Chiesa.

I miei Predecessori hanno voluto qualificare le Opere Missionarie col titolo di "Pontificie" e fissarne la sede centrale a Roma proprio per segnalare che in esse s'esprime il dovere e l'ansia di tutta la Chiesa di compiere la sua "opera maxima", cioè l'evangelizzazione del mondo.

2. Nelle Opere Missionarie si manifesta la sollecitudine del Papa per tutte le Chiese (cfr
2Co 11,28). Loro compito è di promuovere e sostenere l'animazione missionaria in tutto il Popolo di Dio, mantenendo vivo anzitutto lo spirito apostolico nelle singole Chiese e sforzandosi di sovvenire ai bisogni di quelle che sono in difficoltà. Possono perciò ben qualificarsi come "Opere del Papa". Al tempo stesso però esse sono pure le "Opere dei Vescovi", giacché mediante queste strutture s'esprime e si attua il dovere dell'annuncio della Buona Novella, lasciato da Cristo al Collegio apostolico.

"Essendo del Papa e del Collegio episcopale, anche nell'ambito delle Chiese particolari queste Opere occupano «giustamente il primo posto, perché sono mezzi sia per infondere nei cattolici, fin dall'infanzia, uno spirito veramente universale e missionario, sia per favorire un'adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le missioni, secondo le necessità di ciascuna» (Ad gentes AGD 38). Uno degli scopi principali delle Opere Missionarie è anche quello di suscitare vocazioni ad gentes ed a vita, sia nelle Chiese antiche come in quelle più giovani" (Redemptoris missio RMi 84).

3. Carissimi, in tutta questa vostra importante azione missionaria, che vi colloca nel cuore stesso della vita della Chiesa, voi collaborate strettamente con la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, alla quale le Pontificie Opere Missionarie sono state affidate, divenendo così l'organismo ufficiale della cooperazione missionaria universale (cfr Pastor Bonus, 85 e 91; Cooperatio missionalis, 3 e 6).

Tutto questo esprime lo spirito genuinamente universale e missionario delle Pontificie Opere Missionarie, il cui carisma profondamente "cattolico" voi conservate e testimoniate mediante la vostra preghiera, la vostra attività e il vostro sacrificio.

E' questo anche lo spirito che emana dai vostri Statuti. Questo spirito va gelosamente conservato e sempre nuovamente adattato alle cangianti esigenze dell'apostolato. Al riguardo, ho appreso con soddisfazione che state compiendo un opportuno lavoro di revisione, nell'intento di adeguare gli Statuti medesimi alle mutate condizioni dei tempi. Per questo non posso che elogiare voi e tutti coloro che stanno impegnandosi in questo rinnovamento, che mira a favorire sempre più la collaborazione e l'opportuna utilizzazione dei mezzi di assistenza alle Chiese.

4. In questa felice occasione non posso non ricordare la celebrazione del 160mo anniversario della Pontificia Opera della Santa Infanzia o Infanzia Missionaria, che ricorre quest'anno. Desidero rievocare e sottolineare il grande impegno di animazione e sensibilizzazione che quest'Opera compie "fin dall'infanzia" per promuovere la causa missionaria. Il Messaggio che ho indirizzato nella Solennità dell'Epifania ai membri dell'Opera, esprime tutto il mio apprezzamento per questi "ragazzi missionari". Sarà quindi una gioia per me ricevere prossimamente una numerosa e vivace delegazione di bambini di tutto il mondo, che verranno a Roma per celebrare il significativo anniversario della loro benemerita Opera.

193 Ho avuto anche il piacere di accogliere, lo scorso febbraio, una folta rappresentanza delle Pontificie Opere Missionarie degli Stati Uniti d'America, guidata dal loro Direttore Nazionale. Attraverso le generose offerte per i fratelli in necessità, tali Opere costituiscono in quella Nazione un segno di amore autenticamente universale.

5. Desidero esortarvi a tenere sempre presenti, nel vostro lavoro di "cooperazione missionaria", le crescenti necessità della Chiesa in varie parti del mondo. Per motivi contingenti, lo "scambio di doni" tra le Chiese, per quanto riguarda gli aiuti materiali, ha recentemente registrato una preoccupante diminuzione.

Vi esorto a non lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà. In sintonia con san Paolo, che raccomandava le "collette" per aiutare la Chiesa di Gerusalemme (cfr
Rm 15,25-27), ricordate a tutti che "la cooperazione, indispensabile per l'evangelizzazione del mondo, è un diritto-dovere di tutti i battezzati" (Cooperatio missionalis, 2; Redemptoris missio RMi 77 cfr anche CJC cann. 211, 781).

Continuate quindi ad offrire a tutte le Chiese antiche e nuove, il privilegio di "aiutare il Vangelo", perché esso venga proclamato a tutti i popoli della terra: "La Chiesa missionaria dà quello che riceve, distribuisce ai poveri quello che i suoi figli più dotati di beni materiali le mettono generosamente a disposizione. «C'è più gioia nel dare che nel ricevere» (Ac 20,35)" (Redemptoris missio RMi 81).

6. Carissimi, nel mese di maggio che stiamo vivendo è spontaneo rivolgersi a Maria, che invochiamo come "Regina delle Missioni". Teniamo stretta nelle mani la corona del Rosario, la cui recita, nella storia della Chiesa, ha portato sempre, con la crescita nella fede, anche una particolare protezione per i devoti della Vergine. Voglio ripetere anche qui l'invito da me rivolto ai piccoli dell'Infanzia Missionaria: "E molto suggestivo il Rosario missionario: una decina, quella bianca è per la vecchia Europa, perché sia capace di riappropriarsi della forza evangelizzatrice che ha generato tante Chiese; la decina gialla è per l'Asia, che esplode di vita e di giovinezza; la decina verde è per l'Africa, provata dalla sofferenza, ma disponibile all'annuncio; la decina rossa è per l'America, vivaio di nuove forze missionarie; la decina azzurra è per il Continente dell'Oceania, che attende una più capillare diffusione del Vangelo".

Con questi sentimenti, vi affido tutti alla Madre comune, alla quale - sono certo - offrite continue preghiere e sacrifici nell'adempimento del vostro prezioso lavoro missionario. La Benedizione Apostolica, che di cuore vi imparto, ottenga a voi ed ai vostri collaboratori abbondanti effusioni di favori celesti.



CONFERIMENTO AL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


DELLA LAUREA "HONORIS CAUSA" IN GIURISPRUDENZA


DA PARTE DELL’UNIVERSITÀ "LA SAPIENZA" DI ROMA



"LECTIO MAGISTRALIS" DEL SANTO PADRE

Sabato, 17 maggio 2003

Signor Presidente del Consiglio dei Ministri,

Signori Cardinali e Venerati Fratelli nell'Episcopato,
Magnifico Rettore,
Chiarissimi Professori,
194 Fratelli e Sorelle!

1. E' per me motivo di intima gioia la visita che oggi, con particolare solennità, avete voluto rendere al Successore di Pietro, nel VII centenario della fondazione della vostra prestigiosa Università. Siate i benvenuti in questa casa!

Porgo il mio deferente saluto all’Onorevole Presidente Silvio Berlusconi, ai Ministri del Governo Italiano, alle Autorità presenti e a tutti i convenuti. Ringrazio i Professori Giuseppe D'Ascenzo, Magnifico Rettore dell'Università La Sapienza, Carlo Angelici, Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Pietro Rescigno, Ordinario di Diritto Civile, per le cortesi parole che, a nome anche del Corpo Accademico, degli Studenti e del Personale dell'Università, hanno voluto rivolgermi.

Esprimo anche viva riconoscenza per il conferimento della laurea honoris causa in Giurisprudenza deliberato dal Consiglio di Facoltà. Accolgo volentieri questo riconoscimento, che considero consegnato alla Chiesa nella sua funzione di maestra anche nel delicato ambito del diritto per quanto concerne i principi di fondo sui quali poggia l'ordinata convivenza umana.

Come è stato ricordato, il vostro illustre Ateneo fu istituito dal Papa Bonifacio VIII con la Bolla “In supremae” del 20 aprile 1303, al fine di sostenere e promuovere gli studi nelle diverse branche del sapere. L'iniziativa di quel Pontefice fu confermata e sviluppata dai Successori lungo l'arco dei trascorsi sette secoli. Con ulteriori provvedimenti essi hanno via via perfezionato l'ordinamento dell'Università, adeguandone le strutture all'avanzare del sapere. In tal senso sono da leggersi le disposizioni del Papa Eugenio IV, come pure quelle di Leone X, di Alessandro II e di Benedetto XIV, fino alla Bolla “Quod divina sapientia” di Leone XII.

Nella vostra Università si sono formati innumerevoli uomini e donne che, nelle diverse discipline del sapere, le hanno dato lustro, facendo progredire le conoscenze, favorendo la crescita della qualità della vita e approfondendo un sereno quanto fruttuoso dialogo tra i cultori della scienza e quelli della fede.

I cordiali rapporti che vi sono stati nel passato fra il vostro Ateneo e la Chiesa continuano grazie a Dio anche oggi, nel pieno rispetto delle reciproche competenze, ma anche nella consapevolezza di svolgere, su piani diversi, un servizio ugualmente utile al progresso dell'uomo.

2. Negli anni di servizio pastorale alla Chiesa, ho ritenuto che facesse parte del mio ministero dare largo spazio all'affermazione dei diritti umani, per la stretta connessione che essi hanno con due punti fondamentali della morale cristiana: la dignità della persona e la pace. E' Dio infatti che, creando l'uomo a sua immagine e chiamandolo ad essere suo figlio adottivo, gli ha conferito una dignità incomparabile, ed è Dio che ha creato gli uomini perché vivessero nella concordia e nella pace provvedendo ad un'equa distribuzione dei mezzi necessari per vivere e svilupparsi. Mosso da questa consapevolezza, mi sono adoperato con tutte le forze a servizio di tali valori. Ma non potevo svolgere questa missione, richiestami dall'ufficio apostolico, senza far ricorso alle categorie del diritto.

Pur essendomi dedicato nei miei anni giovanili allo studio della filosofia e della teologia, ho sempre nutrito grande ammirazione per la scienza giuridica nelle sue più alte manifestazioni: il diritto romano di Ulpiano, di Gaio e di Paolo, il Corpus iuris civilis di Giustiniano, il Decretum Gratiani, la Magna Glossa di Accursio, il De iure belli et pacis di Grozio, per non ricordare che alcuni vertici della scienza giuridica, che hanno illustrato l'Europa e particolarmente l’Italia. Per quanto riguarda la Chiesa, io stesso ho avuto la sorte di promulgare nel 1983 il nuovo Codice di diritto canonico per la Chiesa latina e nel 1990 il Codice dei Canoni delle Chiese orientali.

3. Il principio che mi ha guidato nel mio impegno è che la persona umana - così come essa è stata creata da Dio - è il fondamento e il fine della vita sociale a cui il diritto deve servire. Infatti, "la centralità della persona umana nel diritto è espressa efficacemente dall'aforisma classico: Hominum causa omne ius constitutum est. Ciò equivale a dire che il diritto è tale se e nella misura in cui pone a suo fondamento l'uomo nella sua verità" (Al Simposio su Evangelium vitae e diritto, n. 4: Insegnamenti XIX/1, 1996, p. 1347). E la verità dell'uomo consiste nel suo essere creato a immagine e somiglianza di Dio.

In quanto ‘persona’, l'uomo è, secondo una profonda espressione di san Tommaso d'Aquino, “id quod est perfectissimum in tota natura” (S. Th., q. 29, a. 3). Partendo da questa convinzione, la Chiesa ha enucleato la sua dottrina sui “diritti dell'uomo”, che derivano non dallo Stato né da altra autorità umana, ma dalla persona stessa. I pubblici poteri li devono pertanto “riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere” (Pacem in terris PT 22): si tratta, infatti, di diritti “universali, inviolabili e inalienabili” (ibid., 3).

195 Ecco perché i cristiani “devono lavorare senza tregua per meglio valorizzare la dignità che l'uomo ha ricevuto dal Creatore e unire le loro forze con quelle degli altri per difenderla e promuoverla” (Al Colloquio «La Chiesa e i diritti dell'uomo», n. 4: Insegnamenti XI/4, 1988, p. 1556). In realtà, “la Chiesa non può mai abbandonare l'uomo, la cui sorte è strettamente e indissolubilmente legata a Cristo” (Al Congresso Mondiale sulla pastorale dei diritti umani, n. 3: Insegnamenti XXI/2, 1998, p. 20).

4. Per questo motivo, la Chiesa ha accolto con favore la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite, approvata in Assemblea Generale il 10 dicembre 1948. Tale documento segna “un passo importante nel cammino verso l'organizzazione giuridico-politica della Comunità mondiale. In esso, infatti, viene riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani; e viene di conseguenza proclamato come loro fondamentale diritto quello di muoversi liberamente nella ricerca del vero, nell'attuazione del bene morale e della giustizia; e il diritto a una vita dignitosa; e vengono pure proclamati altri diritti connessi con quelli accennati” (Pacem in terris PT 75). Con eguale favore, la Chiesa ha accolto la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Convenzione sui diritti del fanciullo e la Dichiarazione dei diritti del bambino e del nascituro.

Indubbiamente, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 non presenta i fondamenti antropologici ed etici dei diritti dell'uomo che essa proclama. In questo campo “la Chiesa cattolica ha un contributo insostituibile da offrire, poiché essa proclama che è nella dimensione trascendente della persona che si trova la fonte della sua dignità e dei suoi diritti inviolabili”. Perciò “la Chiesa è convinta di servire la causa dei diritti dell'uomo quando, fedele alla sua fede e alla sua missione, proclama che la dignità della persona umana ha il suo fondamento nella sua qualità di creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio” (Al Corpo Diplomatico, n. 7: Insegnamenti XII/1, 1989, PP 69-70). La Chiesa è convinta che nel riconoscimento di tale fondamento antropologico ed etico dei diritti umani stia la più valida protezione contro ogni loro violazione e sopraffazione.

5. Nel corso del mio servizio come Successore di Pietro ho sentito il dovere di insistere con forza su alcuni di questi diritti che, affermati teoricamente, risultano spesso disattesi sia nelle leggi che nei comportamenti concreti. Così, sono ritornato più volte sul primo e più fondamentale diritto umano, che è quello alla vita. Infatti “la vita umana è sacra e inviolabile dal suo concepimento al suo naturale tramonto [...]. Una vera cultura della vita, come garantisce il diritto di venire al mondo a chi non è ancora nato, così protegge i neonati, particolarmente le bambine, dal crimine dell'infanticidio. Ugualmente essa assicura ai portatori di handicap lo sviluppo delle loro potenzialità, e ai malati e agli anziani cure adeguate” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, n. 4: Insegnamenti XXI/2, 1998, p. 1217). In particolare, ho insistito sul fatto che l'embrione è un individuo umano e, come tale, è titolare dei diritti inviolabili dell'essere umano. La norma giuridica, pertanto, è chiamata a definire lo statuto giuridico dell'embrione quale soggetto di diritti che non possono essere disattesi né dall'ordine morale né da quello giuridico.

Un altro diritto fondamentale, sul quale a motivo delle sue frequenti violazioni nel mondo di oggi ho dovuto ritornare, è quello alla libertà religiosa, riconosciuto sia dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (art. 18), sia dall'Atto finale di Helsinki (1 a, VII), sia dalla Convenzione sui diritti del fanciullo (art. 14). Ritengo infatti che il diritto alla libertà religiosa non sia semplicemente uno fra gli altri diritti umani, ma sia il più fondamentale, perché la dignità della persona umana ha la sua prima fonte nel suo rapporto essenziale con Dio. In realtà il diritto alla libertà religiosa “è così strettamente legato agli altri diritti fondamentali, che si può sostenere a giusto titolo che il rispetto della libertà religiosa sia come un test per l'osservanza degli altri diritti fondamentali” (Al Corpo Diplomatico, n. 6: Insegnamenti XII/1, 1989, p. 68).

6. Mi sono infine sforzato di mettere in luce, chiedendo che venissero espressi in norme giuridiche obbligatorie, molti altri diritti, come il diritto a non essere discriminati per motivi di razza, di lingua, di religione e di sesso; il diritto alla proprietà privata, che è valido e necessario, ma non va mai disgiunto dal più fondamentale principio della destinazione universale dei beni (cfr Sollicitudo rei socialis
SRS 42 Centesimus annus, 6); il diritto alla libertà di associazione, di espressione e d'informazione, sempre nel rispetto della verità e della dignità delle persone; il diritto - che oggi è anche un grave dovere - di partecipare alla vita politica, “destinata a promuovere, organicamente e istituzionalmente, il bene comune” (Christifideles laici CL 42); il diritto all'iniziativa economica (cfr Centesimus annus CA 48 Sollicitudo rei socialis, 15); il diritto all'abitazione, cioè “il diritto alla casa per ogni persona con la propria famiglia”, strettamente connesso “col diritto a costituirsi una famiglia e ad avere un lavoro adeguatamente retribuito” (Discorso per l'Angelus: Insegnamenti XIX/1, 1996, PP 1524 s.); il diritto all'educazione e alla cultura, perché “l'analfabetismo costituisce una grande povertà ed è spesso sinonimo di emarginazione” (Per l'Anno Internazionale dell'Alfabetizzazione, 3 marzo 1990: Insegnamenti XIII/1, 1990, p. 577); il diritto delle minoranze “ad esistere” ed “a preservare e sviluppare la propria cultura” (Giornata Mondiale della Pace 1989, n. 5 e 7: Insegnamenti XI/4, p. 1792); il diritto al lavoro e i diritti dei lavoratori: un tema, questo, a cui ho consacrato l'Enciclica Laborem exercens.

Infine, una cura particolare ho posto nel proclamare e difendere “apertamente e fortemente i diritti della famiglia dalle intollerabili usurpazioni della società e dello Stato” (Familiaris consortio FC 46), ben sapendo che la famiglia è il luogo privilegiato dell'“umanizzazione della persona e della società” (Christifideles laici CL 40) e che per essa “passa il futuro del mondo e della Chiesa” (Alla Confederazione dei Consultori Cristiani, n. 4: Insegnamenti III/2, 1980, p. 1454).

7. Illustri Signori, vorrei concludere questo nostro incontro con l'auspicio sincero che l'umanità progredisca ulteriormente nella presa di coscienza dei fondamentali diritti nei quali si rispecchia la sua nativa dignità. Il nuovo secolo, con il quale s'è aperto un nuovo millennio, possa registrate un sempre più consapevole rispetto dei diritti dell'uomo, di ogni uomo, di tutto l'uomo.

Sensibili al monito dantesco: “Fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza” (Inf. XXVI, 119-120), gli uomini e le donne del terzo millennio sappiano iscrivere nelle leggi e tradurre nei comportamenti i valori perenni su cui poggia ogni autentica civiltà.

Nel mio cuore l'augurio si trasforma in preghiera a Dio onnipotente, al quale affido le vostre persone, da Lui invocando copiose benedizioni su voi qui presenti, sui vostri cari e su tutta la comunità de La Sapienza.




AI PELLEGRINI CONVENUTI PER LA CANONIZZAZIONE DI:


MARIA DE MATTIAS


e


VIRGINIA CENTURIONE BRACELLI


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Lunedì, 19 maggio 2003


Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Ieri mattina abbiamo condiviso la gioia della canonizzazione di quattro luminosi testimoni di Cristo: san Józef Sebastian Pelczar, santa Urszula Ledóchowska, santa Maria De Mattias e santa Virginia Centurione Bracelli. Un Vescovo e tre Religiose; tutti e quattro fondatori di Istituti di vita consacrata. Oggi, abbiamo l'opportunità di ritrovarci per continuare ad ammirare in ciascuno di essi un riflesso del volto di Cristo, e renderne insieme grazie a Dio.

Con grande gioia accolgo e saluto voi, che siete venuti per onorare santa Maria De Mattias e santa Virginia Centurione Bracelli. Saluto i Pastori delle Diocesi che hanno dato i natali a queste due nuove Sante: Mons. Tarcisio Bertone, Arcivescovo di Genova, e Mons. Salvatore Boccaccio, Vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino. Saluto inoltre gli altri Vescovi, le Autorità, i Sacerdoti e i fedeli venuti da diverse regioni dell'Italia, in particolare le Religiose che hanno ereditato i carismi e la spiritualità di queste nuove Sante.

2. La canonizzazione di Maria De Mattias è occasione propizia per approfondire la sua lezione di vita e per trarre dal suo esempio utili orientamenti per la propria esistenza. Penso anzitutto a voi, care Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, che gioite nel veder glorificata la vostra Fondatrice, e a tutti voi, fedeli a lei devoti, che formate la sua famiglia spirituale.

Il messaggio di Madre De Mattias è per tutti i cristiani, perché indica un impegno primario ed essenziale: quello di "tenere fisso lo sguardo su Gesù" (
He 12,2) in ogni vicenda della vita, mai dimenticando che Egli ci ha redenti a prezzo del suo sangue: "Tutto lo ha dato - ella ripeteva - lo ha dato per tutti".

Il mio augurio è che siano in molti a seguire l'esempio della nuova Santa. Durante tutta la sua vita ella si adoperò per diffondere il comandamento cristiano dell'amore, ricomponendo le lacerazioni e sanando le situazioni difficili e le contraddizioni della società del suo tempo. E’ facile constatare quanto attuale sia un simile messaggio.

3. Con viva cordialità saluto ora voi, carissime Suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario e Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario, e quanti vi rallegrate per la canonizzazione di santa Virginia Centurione Bracelli.

La preziosa eredità che questa Santa ha consegnato alla Chiesa, e in modo particolare alle sue figlie spirituali, consiste in una carità intesa non come semplice soccorso materiale, ma come impegno di autentica solidarietà, mirante alla piena liberazione e promozione umana e spirituale di chi si trova nel bisogno. Santa Virginia ha saputo trasformare l'azione caritativa in contemplazione del volto di Dio nell'uomo, unendo la docilità alle interiori mozioni dello Spirito con l'audacia prudente ed illuminata nell'intraprendere iniziative sempre nuove di bene.

La carità autentica sgorga da una costante comunione con Dio e si alimenta nella preghiera. L'esempio di questa nuova Santa sia per tutti di incoraggiamento e di stimolo a vivere anche oggi il precetto evangelico dell'amore come piena adesione alla volontà divina e come servizio concreto verso il prossimo, specialmente quello maggiormente in difficoltà.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle, vi guidi nel seguire il cammino percorso da queste due Sante la celeste Regina dei Santi, la Vergine Maria. Io vi rinnovo l'espressione della mia gratitudine per la vostra presenza, e di cuore tutti vi benedico.


AI PELLEGRINI CONVENUTI PER LA CANONIZZAZIONE DI:


JÓSEF SEBASTIAN PELCZAR


e


URSZULA LEDÓCHOWSKA


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Lunedì, 19 maggio 2003




Il mio cordiale benvenuto a tutti i miei connazionali presenti in Piazza San Pietro. Saluto i Signori Cardinali, i Vescovi, i Presbiteri e le Religiose. In modo speciale, saluto l'assente Cardinale Primate e lo ringrazio per le benevoli parole a me trasmesse. Gli auguro un pronto e pieno riacquisto della salute. Saluto cordialmente il Signor Presidente della Repubblica di Polonia e i rappresentanti delle Autorità dello Stato e di quelle territoriali. Ringrazio il Signor Presidente per gli auguri, che mi ha rivolto a nome della Repubblica e per il discorso importante. Dio lo benedica!

Infine voglio salutare cordialmente tutti voi, qui presenti, che avete voluto intraprendere la fatica di venire in pellegrinaggio in questi giorni, così importanti per la Chiesa polacca - nei giorni in cui presentiamo alla Chiesa universale i due nuovi santi polacchi: il Vescovo Giuseppe Sebastiano Pelczar e Madre Orsola Ledóchowska. Ricordandoli nel giorno dopo la canonizzazione, in modo particolare voglio salutare le suore della congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù e delle Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante.

Per volere della Divina Provvidenza mi è stato dato di compiere queste canonizzazioni nel venticinquesimo anno del mio pontificato e nel giorno del mio compleanno. Siano rese grazie a Dio! Di tutto cuore ringrazio anche voi! Sono lieto di poter celebrare tutte queste circostanze con un così numeroso gruppo di amici. Vi ringrazio per la vostra benevolenza e per le rinunce e le preghiere che innalzate per me e per tutta la Chiesa.

Sarebbe difficile contare quanti sono stati i nostri incontri nell'arco degli anni passati. Alcuni ebbero luogo a Roma, a Castel Gandolfo e altri in vari Paesi del mondo; nel mio cuore però restano più impressi gli incontri che si sono svolti nella patria terra. Forse perché sono stati particolarmente intensi, segnati da profonda preghiera e da una riflessione religiosa sulla realtà temporale di ciascuno di noi e dell'intera Nazione: in questa realtà si attua il piano salvifico di Dio. Tali incontri sono stati sempre una straordinaria condivisione della testimonianza della fede, scaturita da quella dei nostri avi e che forma un particolare clima di vita e di cultura ampiamente intesa, il quale decide dell'identità della Nazione. Così lo abbiamo vissuto nel 1979, quando, a nome di tutti coloro che non avevano il diritto di parlare, ho invocato da Dio il dono dello Spirito, affinché rinnovasse la faccia della nostra patria terra. L'anno 1979. Ci accompagnava allora ancora il grande pastore e grande guida della Chiesa polacca, il Cardinale Stefan Wyszynski, Primate del Millennio.

Con la testimonianza comune ci sostenemmo anche nell'anno 1983, quando in circostanze difficili per la Nazione, rendemmo insieme grazie per i seicento anni della presenza di Maria nella sua Effige di Jasna Góra, e pregammo per ottenere la fede nella forza del dialogo, affinché "la Polonia potesse essere prospera e serena, nell'interesse della tranquillità e della buona collaborazione fra i popoli d'Europa" - secondo le parole del Papa Paolo VI -. Nel 1987, quando la Nazione polacca continuava a combattere contro le potenze dell'ideologia nemica, tutti insieme ravvivammo dentro di noi la speranza, che scaturisce dall'Eucaristia istituita all'inizio "dell'ora redentrice di Cristo, che fu "l'ora redentrice della storia dell'uomo e del mondo"". Il Congresso Eucaristico Nazionale di allora ci ricordò nuovamente che Dio "ci ha amati sino alla fine".

Nel 1991 vi furono due incontri di particolare eloquenza. Durante il primo rendemmo grazie a Dio per il dono della libertà interiore ricuperata e tentammo di abbozzare una forma per vivere nobilmente questa libertà, poggiando sulla legge eterna di Dio racchiusa nel Decalogo. Già allora cercammo di scorgere i pericoli, che sarebbero potuti apparire nella vita dei singoli e in quella di tutta la società insieme alla libertà sganciata da norme morali. Tali pericoli sono sempre presenti. Perciò non cesso di pregare affinché la coscienza della Nazione polacca venga formata in base ai comandamenti divini e credo che la Chiesa in Polonia saprà sempre salvaguardare sempre l'ordine morale.

Il secondo incontro di quell'anno era legato alla Giornata Mondiale della Gioventù a Czestochowa. Mai dimenticherò quell'"Appello di Jasna Góra", condiviso dai giovani di tutto il mondo - per la prima volta anche da oltre i nostri confini orientali. Rendo grazie a Dio perché ai piedi della Signora di Jasna Góra mi fu dato di affidarli alla sua materna protezione.

Poi ci fu una breve visita di un giorno a Skoczów, nel 1995, in occasione della canonizzazione di Jan Sarkander. Anche quella giornata portò tante indimenticabili esperienze spirituali.

Nell'anno 1997 vivemmo un pellegrinaggio pieno di eventi significativi. Il primo di essi fu la conclusione del Congresso Internazionale Eucaristico a Wroclaw. Tutte le celebrazioni congressuali, e in modo particolare la statio orbis, ci ricordarono che l'Eucaristia è il più efficace segno della presenza di Cristo "ieri, oggi e sempre". Il secondo evento di particolare portata, fu la visita alle reliquie di Sant'Adalberto nel 1000 della sua morte da martire. Dal punto di vista religioso fu l'occasione per tornare alle radici della nostra fede. Dal punto di vista internazionale, quell'incontro fu il ricordo dell'idea del Congresso di Gniezno, che ebbe luogo nell'anno 1000.

Alla presenza dei Presidenti dei Paesi confinanti, dissi in quell'occasione: "Non ci sarà l'unità dell'Europa fino a quando essa non si fonderà nell'unità dello spirito. Questo fondamento profondissimo dell'unità fu portato all'Europa e fu consolidato lungo i secoli dal cristianesimo con il suo Vangelo, con la sua comprensione dell'uomo e con il suo contributo allo sviluppo della storia dei popoli e delle nazioni. Questo non significa volersi appropriare della storia. La storia d'Europa, infatti, è un grande fiume, nel quale sboccano numerosi affluenti, e la varietà delle tradizioni e delle culture che la formano è la sua grande ricchezza. Le fondamenta dell'identità dell'Europa sono costruite sul cristianesimo" (Omelia, 3 giugno 1997).

198 Oggi, mentre la Polonia e gli altri Paesi dell'ex "Blocco dell'Est" stanno entrando nelle strutture dell'Unione Europea, ripeto queste parole, che non pronuncio al fine di scoraggiare, ma, al contrario, per indicare che questi Paesi hanno una grande missione da compiere nel Vecchio Continente. So che sono numerosi gli oppositori di questa integrazione. Apprezzo la loro sollecitudine per il mantenimento dell'identità culturale e religiosa della nostra Nazione. Condivido le loro inquietudini unite all'impostazione economica delle forze, nella quale la Polonia - dopo anni di illimitato sfruttamento economico da parte del sistema passato - si presenta come un Paese di grandi possibilità, ma anche di scarsi mezzi. Debbo tuttavia sottolineare, ancora una volta, che la Polonia ha costituito sempre un'importante parte dell'Europa e oggi non può abbandonare questa comunità che, è vero, sta vivendo delle crisi a vari livelli, ma che costituisce una famiglia di nazioni basata sulla comune tradizione cristiana. L'entrata nelle strutture dell'Unione Europea, con diritti uguali agli altri Paesi, è per la nostra Nazione e per le Nazioni slave affini, espressione di una giustizia storica, e d'altra parte, può costituire un arricchimento dell'Europa.

L'Europa ha bisogno della Polonia. La Chiesa in Europa ha bisogno della testimonianza di fede dei Polacchi. La Polonia ha bisogno dell'Europa.

Dall'Unione di Lublino all'Unione Europea. È una grande sintesi ma questa sintesi è ricca di vari contenuti. La Polonia ha bisogno dell'Europa.

È una sfida che l'oggi pone dinanzi a noi e dinanzi a tutte le Nazioni, che sull'onda delle trasformazioni politiche nella regione della cosiddetta Europa Centro-Orientale, uscirono dal cerchio delle influenze del comunismo ateo. Tale sfida, tuttavia, pone un compito ai credenti - il compito di un'attiva costruzione della comunità dello spirito in base ai valori che hanno permesso di sopravvivere a decenni di sforzi miranti ad introdurre in modo programmatico l'ateismo.

La patrona di quest'opera sia santa Edvige la Signora di Wawel, la grande precorritrice dell'unione delle Nazioni in base alla comune fede. Rendo grazie a Dio perché mi fu dato di canonizzarla proprio durante quel pellegrinaggio.

Il lungo incontro con la Polonia e con i suoi abitanti, che ebbe luogo nel 1999, fu una comune esperienza nella fede della verità che "Dio è amore". Fu, in un certo senso, una grande preparazione nazionale a quanto abbiamo vissuto nell'anno passato: la profonda esperienza della verità che "Dio è ricco di misericordia". C'è un altro messaggio, che porterebbe tanta speranza al mondo dei nostri giorni e a tutti gli uomini dell'inizio del terzo millennio? Non esitai, nel luogo di una particolare manifestazione di Cristo misericordioso, a Lagiewniki di Cracovia, ad affidare il mondo alla Divina Misericordia. Credo ardentemente che quell'atto di affidamento incontrerà una fiduciosa risposta da parte di coloro che credono, in tutti i continenti, e li porterà ad un rinnovamento interiore e al consolidamento nell'opera dell'edificazione della civiltà dell'amore.

Ricordo questi incontri particolari con i Polacchi, poiché nel loro contenuto spirituale è racchiusa la storia dell'ultimo quarto di secolo della Polonia, dell'Europa, della Chiesa e dell'attuale pontificato. Siano rese grazie a Dio per questo tempo, in cui abbiamo sperimentato l'abbondanza della Sua grazia.

Nel contesto del mistero della Divina Misericordia, torniamo ancora una volta alle figure dei nuovi santi polacchi. Entrambi, non soltanto si affidarono al Cristo misericordioso, ma diventarono sempre più pienamente testimoni di misericordia. Nel ministero pastorale di San Giuseppe Sebastiano Pelczar l'attività caritativa occupò un posto particolare. Egli fu sempre convinto che la misericordia attiva è la più efficace difesa della fede, la più eloquente predica e il più fruttuoso apostolato. Egli stesso sosteneva i bisognosi, e allo stesso tempo si dava da fare affinché la loro cura fosse organizzata e ordinata, e non saltuaria. Perciò apprezzava anche le istituzioni caritative e le sosteneva con i propri fondi. Madre Orsola Ledóchowska fece della sua vita una missione di misericordia nei riguardi dei più bisognosi. Ovunque la Provvidenza la pose, trovò giovani che avevano bisogno d'istruzione e di formazione spirituale, poveri, ammalati, persone sole, feriti in vari modi dalla vita, che attendevano da lei comprensione e aiuto concreto. Aiuto che, secondo le sue possibilità, non rifiutava a nessuno. La sua opera di misericordia rimarrà scolpita per sempre nel messaggio di santità, che ieri è diventato parte di tutta la Chiesa.

E così Giuseppe Sebastiano Pelczar e Orsola Ledóchowska, che ci hanno accompagnato oggi in questa peregrinazione spirituale attraverso la terra polacca, ci hanno condotto nuovamente a Roma.

Vi ringrazio tutti ancora una volta per aver voluto essere presenti qui. Ieri nelle ore pomeridiane ho compiuto l'ottantatreesimo anno di vita e sono entrato nell'ottantaquattresimo. Mi rendo conto sempre più pienamente che si avvicina sempre di più il giorno in cui dovrò presentarmi davanti a Dio con tutta questa vita, con il periodo passato a Wadowice, con il periodo vissuto a Cracovia e quello vissuto a Roma: rendi conto del tuo ministero! Confido nella Divina Misericordia e nella protezione della Madre Santissima per ogni giorno, e soprattutto per il giorno in cui tutto si dovrà compiere: nel mondo, davanti al mondo e davanti a Dio. Vi ringrazio ancora una volta per questa visita, l'apprezzo moltissimo. Portate il mio saluto alle vostre famiglie, ai vostri cari e a tutti i nostri connazionali. Vi abbraccio tutti con un grato pensiero. Vi benedica Dio Onnipotente, Padre e Figlio, e lo Spirito Santo. Amen. Sia lodato Gesù Cristo. Dio vi benedica!


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