GP2 Discorsi 2004


1                                                                                 2004

                                                                       Gennaio 2004


AGLI ACCADEMICI DI WROCLAW E DI OPOLE (POLONIA)


GUIDATI DALL’EM.MO CARD. HENRYK ROMAN GULBINOWICZ,


ARCIVESCOVO DI WROCLAW (POLONIA)


Giovedì, 8 gennaio 2004


Caro Signor Cardinale,
Gentili Signori e Signore!

Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti. Sono lieto di poter accogliere così illustri rappresentanti degli ambienti accademici di Wroclaw e di Opole. Vi ringrazio per la presenza e per la benevolenza.

Accetto con gratitudine il dono, con il quale i vostri Atenei hanno voluto onorarmi. Lo accolgo come espressione di riconoscenza, ma soprattutto come eloquente segno del legame che sempre di più si stringe tra la Chiesa e il mondo della scienza in Polonia. Sembra che, grazie a Dio, sia già dietro le spalle quel periodo in cui, per ragioni ideologiche, si tentò di dividere, anzi in un certo modo di contrapporre queste due fonti della crescita spirituale dell’uomo e della società. Ne ho fatto esperienza personale in modo del tutto speciale. Se oggi ricordiamo il 50° della mia discussione per l’abilitazione alla cattedra di libera docenza, non si deve dimenticare che tale abilitazione fu l’ultima conseguita nella Facoltà di Teologia presso l’Università Jaghellonica. Poco dopo essa fu soppressa dalle autorità comuniste. Fu un atto volto a dividere le istituzioni, ma suo intento era anche di contrapporre ragione e fede. Non parlo qui di quella distinzione che nacque nel tardo medioevo sulla base dell’autonomia delle scienze, ma della separazione che fu imposta facendo violenza al patrimonio spirituale della nazione.

Tuttavia non mi ha mai abbandonato la convinzione che quei tentativi non avrebbero raggiunto, in definitiva, lo scopo. Questa convinzione si rafforzava in me grazie ai personali incontri con gli uomini di scienza, i professori di diverse discipline, i quali testimoniavano il profondo desiderio di dialogo e di comune ricerca della verità. Ho espresso questa convinzione anche come Papa, quando ho scritto: “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità” (Fides et ratio, 1).

La vostra presenza qui ispira in me la speranza che questo dialogo vivificante durerà e che nessuna delle odierne ideologie riuscirà a interromperlo. Con questa speranza guardo verso tutte le università, le accademie e le scuole superiori. Auguro che le grandi possibilità intellettuali e spirituali del mondo scientifico polacco incontrino adeguato supporto materiale, così da poter essere valorizzate e fatte conoscere al mondo a vantaggio del bene comune.

Vi ringrazio ancora una volta. Vi prego di portare il mio saluto alle vostre comunità accademiche. Dio vi benedica!



MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO INTERNAZIONALE SU


"DIGNITÀ E DIRITTI DELLA PERSONA


CON HANDICAP MENTALE"






1. Voi siete convenuti a Roma, illustri signore e signori, esperti nelle scienze umane e in quelle teologiche, sacerdoti, religiosi, laici e laiche impegnati nella vita pastorale, per studiare i delicati problemi posti dalla educazione umana e cristiana dei soggetti portatori di handicap mentale. Questo Simposio, organizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, si pone come ideale chiusura dell’Anno europeo delle persone disabili e si colloca nel solco di un insegnamento ecclesiale ormai molto ricco e abbondante, cui corrisponde un fattivo e vasto impegno del Popolo di Dio a vari livelli e nelle sue diverse articolazioni.

2 2. Il punto di partenza per ogni riflessione sull’handicap è radicato nelle persuasioni fondamentali dell’antropologia cristiana: la persona handicappata, anche quando risulta ferita nella mente o nelle sue capacità sensoriali e intellettive, è un soggetto pienamente umano, con i diritti sacri e inalienabili propri di ogni creatura umana. L’essere umano, infatti, indipendentemente dalle condizioni in cui si svolge la sua vita e dalle capacità che può esprimere, possiede una dignità unica ed un valore singolare a partire dell’inizio della sua esistenza sino al momento della morte naturale. La persona dell’handicappato, con tutte le limitazioni e le sofferenze da cui è segnata, ci obbliga ad interrogarci, con rispetto e saggezza, sul mistero dell’uomo. Quanto più ci si muove, infatti, nelle zone oscure e ignote della realtà umana, tanto più si comprende che proprio nelle situazioni più difficili e inquietanti emerge la dignità e la grandezza dell’essere umano. L’umanità ferita del disabile ci sfida a riconoscere, accogliere e promuovere in ciascuno di questi nostri fratelli e sorelle il valore incomparabile dell’essere umano creato da Dio per essere figlio nel Figlio.

3. La qualità di vita all’interno di una comunità si misura in buona parte dall’impegno nell’assistenza ai più deboli e ai più bisognosi e nel rispetto della loro dignità di uomini e di donne. Il mondo dei diritti non può essere appannaggio solo dei sani. Anche la persona portatrice di handicap dovrà essere facilitata a partecipare, per quanto le è possibile, alla vita della società ed essere aiutata ad attuare tutte le sue potenzialità di ordine fisico, psichico e spirituale. Soltanto se vengono riconosciuti i diritti dei più deboli una società può dire di essere fondata sul diritto e sulla giustizia: l’handicappato non è persona in modo diverso dagli altri, per cui riconoscendo e promovendo la sua dignità e i suoi diritti, noi riconosciamo e promoviamo la dignità e i diritti nostri e di ciascuno di noi.

Una società che desse spazio solo per i membri pienamente funzionali, del tutto autonomi e indipendenti non sarebbe una società degna dell’uomo. La discriminazione in base all’efficienza non è meno deprecabile di quella compiuta in base alla razza o al sesso o alla religione. Una forma sottile di discriminazione è presente anche nelle politiche e nei progetti educativi che cercano di occultare e negare le deficienze della persona handicappata, proponendo stili di vita e obiettivi non corrispondenti alla sua realtà e, alla fine, frustranti e ingiusti. La giustizia richiede, infatti, di mettersi in ascolto attento e amoroso della vita dell’altro e di rispondere ai bisogni singolari e diversi di ciascuno tenendo conto delle loro capacità e dei loro limiti.

4. La diversità dovuta all’handicap può essere integrata nella rispettiva, irripetibile individualità e a ciò devono contribuire i familiari, gli insegnanti, gli amici, la società intera. Per la persona handicappata, come per ogni altra persona umana, non è dunque importante fare quello che fanno gli altri, ma fare ciò che è veramente bene per lei, attuare sempre più le proprie ricchezze, rispondere con fedeltà alla propria vocazione umana e soprannaturale.

Al riconoscimento dei diritti deve pertanto seguire un impegno sincero di tutti per creare condizioni concrete di vita, strutture di sostegno, tutele giuridiche capaci di rispondere ai bisogni e alle dinamiche di crescita della persona handicappata e di coloro che condividono la sua situazione, a partire dai suoi familiari. Al di sopra di qualsiasi altra considerazione o interesse particolare o di gruppo, bisogna cercare di promuovere il bene integrale di queste persone, né si può negare loro il necessario sostegno e la necessaria protezione, anche se ciò comporta un maggior carico economico e sociale. Forse più che altri malati, i soggetti mentalmente ritardati hanno bisogno di attenzione, di affetto, di comprensione, di amore: non li si può lasciare soli, quasi disarmati e inermi, nel difficile compito di affrontare la vita.

5. A questo proposito, particolare attenzione merita la cura delle dimensioni affettive e sessuali della persona handicappata. Si tratta di un aspetto spesso rimosso o affrontato in modo superficiale e riduttivo o addirittura ideologico. La dimensione sessuale è, invece, una delle dimensioni costitutive della persona la quale, in quanto creata ad immagine di Dio Amore, è originariamente chiamata ad attuarsi nell’incontro e nella comunione. Il presupposto per l’educazione affettivo-sessuale della persona handicappata sta nella persuasione che essa abbia un bisogno di affetto per lo meno pari a quello di chiunque altro. Anch’essa ha bisogno di amare e di essere amata, ha bisogno di tenerezza, di vicinanza, di intimità. La realtà, purtroppo, è che la persona con handicap si trova a vivere queste legittime e naturali esigenze in una situazione di svantaggio, che diventa sempre più evidente col passaggio dall’età infantile a quella adulta. Il soggetto handicappato, pur leso nella sua mente e nelle sue dimensioni interpersonali, ricerca relazioni autentiche nelle quali poter essere apprezzato e riconosciuto come persona.

Le esperienze compiute in alcune comunità cristiane hanno dimostrato che una vita comunitaria intensa e stimolante, un sostegno educativo continuo e discreto, la promozione di contatti amichevoli con persone adeguatamente preparate, l’abitudine a incanalare le pulsioni e a sviluppare un sano senso del pudore come rispetto della propria intimità personale, riescono spesso a riequilibrare affettivamente il soggetto con handicap mentale e a condurlo a vivere relazioni interpersonali ricche, feconde e appaganti. Dimostrare alla persona handicappata che la si ama significa rivelarle che ai nostri occhi ha valore. L’ascolto attento, la comprensione dei bisogni, la condivisione delle sofferenze, la pazienza nell’accompagnamento sono altrettante vie per introdurre la persona handicappata in una relazione umana di comunione, per farle percepire il suo valore, per farle prendere coscienza della sua capacità di ricevere e donare amore.

6. Senza dubbio le persone disabili, svelando la radicale fragilità della condizione umana, sono una espressione del dramma del dolore e, in questo nostro mondo, assetato di edonismo e ammaliato dalla bellezza effimera e fallace, le loro difficoltà sono spesso percepite come uno scandalo e una provocazione e i loro problemi come un fardello da rimuovere o da risolvere sbrigativamente. Esse, invece, sono icone viventi del Figlio crocifisso. Rivelano la bellezza misteriosa di Colui che per noi si è svuotato e si è fatto obbediente sino alla morte. Ci mostrano che la consistenza ultima dell’essere umano, al di là di ogni apparenza, è posta in Gesù Cristo. Perciò, a buon diritto, è stato detto che le persone handicappate sono testimoni privilegiate di umanità. Possono insegnare a tutti che cosa è l’amore che salva e possono diventare annunciatrici di un mondo nuovo, non più dominato dalla forza, dalla violenza e dall’aggressività, ma dall’amore, dalla solidarietà, dall’accoglienza, un mondo nuovo trasfigurato dalla luce di Cristo, il Figlio di Dio per noi uomini incarnato, crocifisso e risorto.

7. Cari partecipanti a questo Simposio, la Vostra presenza e il Vostro impegno sono una testimonianza al mondo che Dio sta sempre dalla parte dei piccoli, dei poveri, dei sofferenti e degli emarginati. Facendosi uomo e nascendo nella povertà di una stalla, il Figlio di Dio ha proclamato in se stesso la beatitudine degli afflitti ed ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la sorte dell’uomo creato a Sua immagine. Dopo il Calvario, la Croce, abbracciata con amore, diventa la via della vita e insegna a ciascuno che, se sappiamo percorrere con fiducioso abbandono la via faticosa e ardua del dolore umano, fiorirà per noi e per i nostri fratelli la gioia del Cristo Vivente che sorpassa ogni desiderio ed ogni attesa.

A tutti una speciale Benedizione!

Dal Vaticano, 5 gennaio 2004

GIOVANNI PAOLO II



A S.E. IL SIGNOR GIUSEPPE BALBONI ACQUA


NUOVO AMBASCIATORE D'ITALIA PRESSO LA SANTA SEDE


3
Venerdì, 9 gennaio 2004




Signor Ambasciatore!

1. Accolgo volentieri le lettere con le quali il Presidente della Repubblica Italiana La accredita quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario presso la Santa Sede. In questa felice circostanza Le porgo il mio cordiale benvenuto insieme a un fervido augurio per il nuovo anno, da poco iniziato.

Desidero ringraziarLa per avermi recato il saluto del Signor Presidente della Repubblica e del Signor Presidente del Consiglio dei Ministri. Le chiedo di voler cortesemente ricambiare tali sentimenti e di comunicare Loro il mio fervido auspicio che il popolo italiano possa progredire costantemente sulla via della prosperità e della pace, mantenendo intatto il patrimonio di valori religiosi, spirituali e culturali, che ne hanno reso grande la civiltà. In momenti difficili, la diletta Nazione che Ella qui rappresenta ha saputo mantenere alto il suo spirito di altruismo, prodigandosi con vivo senso di responsabilità e generosa dedizione verso quanti, colpiti da avverse congiunture, si sono trovati nel bisogno di solidarietà concreta e fattiva. Né va dimenticata la fattiva attenzione a creare in campo internazionale un giusto ordine al cui centro ci sia il rispetto per l’uomo, per la sua dignità e per i suoi inalienabili diritti.

Tale impegno comporta anche dei rischi, com’è accaduto di recente con il tributo di sangue sia dei militari caduti in Iraq sia di volontari italiani in altre parti del mondo. Formulo cordiali voti che l’Italia possa continuare, con le sue peculiari doti di umanità e generosità, a promuovere vero dialogo e crescita, soprattutto nel bacino del Mediterraneo e nella zona dei Balcani, a cui è geograficamente vicina, ma anche in Medio Oriente, in Afghanistan e nel Continente Africano.

2. Come Ella, Signor Ambasciatore, ha rilevato, molto stretti sono i millenari vincoli che uniscono la Sede di Pietro agli abitanti della Penisola, il cui ricco patrimonio di valori cristiani costituisce una vivace sorgente di ispirazione e di identità. Lo stesso Accordo del 18 febbraio 1984 asserisce che la Repubblica Italiana riconosce “il valore della cultura religiosa”, tenendo conto del fatto che “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del Popolo italiano” (cfr art. 9, 2).

L’Italia, pertanto, ha particolare titolo per operare affinché anche l’Europa, nelle istanze competenti, riconosca le proprie radici cristiane, le quali sono in grado di assicurare ai cittadini del Continente un’identità non effimera o meramente basata su interessi politico-economici, bensì su valori profondi e imperituri. I fondamenti etici e le idealità che furono alla base degli sforzi per l’unità europea sono oggi ancor più necessari, se si vuol offrire una stabilità al profilo istituzionale dell’Unione Europea.

Desidero incoraggiare il Governo e tutti i rappresentanti politici italiani a proseguire negli sforzi finora compiuti in questo campo. Continui l’Italia a richiamare alle Nazioni sorelle la straordinaria eredità religiosa, culturale e civile che ha permesso all’Europa di essere grande lungo i secoli.

3. Nel corso dell’anno da poco iniziato si ricorderanno due importanti tappe nei rapporti fra la Santa Sede e l’Italia: il 75° anniversario dei Patti Lateranensi ed il 20° dell’Accordo di modificazione firmato a Villa Madama. Due ricorrenze che testimoniano quanto proficua sia la collaborazione esistente fra le Parti contraenti, collaborazione che si è sviluppata mediante il rispetto dei reciproci ambiti e un costante e sereno dialogo, nella volontà di trovare soluzioni eque alle esigenze reciproche.

I criteri di distinzione e di legittima autonomia nelle rispettive funzioni, di mutua stima e di leale collaborazione per la promozione dell’uomo e del bene comune costituiscono i principi ispiratori del Concordato Lateranense ed hanno­ trovato conferma nell’Accordo del 18 febbraio 1984. A tali criteri occorrerà costantemente ispirarsi nella soluzione degli eventuali problemi che via via emergeranno.

Nei trascorsi venti anni dall’Accordo di Villa Madama le competenti Autorità italiane hanno proceduto a stipulare diverse intese integrative previste dal predetto Accordo. Si può, pertanto, guardare con soddisfazione a quanto è stato finora realizzato.

4 Per quanto ancora manca, o per eventuali sviluppi e completamenti, è sperabile che, nello stesso spirito, si possa presto giungere ad una regolamentazione pattizia. La Chiesa non chiede privilegi, né intende sconfinare dall’ambito spirituale proprio della sua missione. Le intese, che scaturiscono da questo dialogo rispettoso, non hanno altro fine che di permetterle di svolgere in piena libertà il suo compito universale e di favorire il bene spirituale del popolo italiano. La presenza della Chiesa in Italia ridonda in effetti a vantaggio dell’intera società.

4. Signor Ambasciatore, Ella ha sottolineato il ruolo cardine della famiglia, insidiata oggi, a parere di molti, da un mal inteso senso dei diritti. La Costituzione italiana richiama e tutela la centralità di questa “società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29). È, perciò, compito dei governanti promuovere leggi che ne favoriscano la vitalità. L’unità di questa cellula primordiale ed essenziale della società ha bisogno di essere tutelata; la famiglia attende anche quegli aiuti di carattere sociale ed economico che sono necessari allo svolgimento della sua missione. Essa è chiamata a svolgere un’importante funzione educatrice, formando persone mature e ricche di valori morali e spirituali che sappiano vivere da buoni cittadini. E’ importante che lo Stato presti aiuto alla famiglia, senza mai soffocare la libertà di scelta educativa dei genitori e sostenendoli nei loro inalienabili diritti e nei loro sforzi, a consolidamento del nucleo familiare.

Signor Ambasciatore, sono queste le riflessioni che suscita nel mio animo la Sua gradita visita. Iddio renda l’Italia sempre più intimamente unita e solidale. È questo il mio augurio, che accompagno con una speciale preghiera. Le assicuro la mia stima e il mio sostegno nell’espletare l’alta missione affidataLe, come pure la piena attenzione da parte dei miei Collaboratori. Avvaloro tali sentimenti con la Benedizione Apostolica, che volentieri imparto a Lei, alla Sua famiglia e all’amato Popolo italiano.


IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DI UN VOLUME


A CURA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA


Venerdì, 9 gennaio 2004




Signor Cardinale,
carissimi componenti del Pontificio Consiglio della Cultura!

Grazie per questa vostra visita: a ciascuno rivolgo il mio cordiale benvenuto. Saluto, in particolare, il Card. Paul Poupard, vostro Presidente, e gli sono riconoscente per le cortesi parole indirizzatemi a nome di tutti i presenti.

Il libro che oggi mi presentate raccoglie i testi più significativi dei Papi, da Leone XIII ad oggi, circa il rapporto tra la fede e la cultura. Il volume è una ulteriore testimonianza che nel corso dei secoli il magistero pontificio ha sempre coltivato una visione positiva dei rapporti tra Chiesa e protagonisti del mondo della cultura. L’ambito culturale costituisce, infatti, un significativo areopago dell’azione missionaria della Chiesa.

Durante questi anni, anch’io, seguendo le orme dei miei venerati Predecessori, ho cercato di intrattenere un costante dialogo con gli esponenti della cultura, presentando all’uomo del terzo millennio il messaggio salvifico di Cristo.

Carissimi, Iddio vi accompagni nel vostro quotidiano lavoro. Su di voi invoco la costante protezione di Maria, Sede della Sapienza, perché renda fruttuosi i vostri sforzi per la diffusione del Vangelo. Con tali sentimenti, di cuore vi benedico insieme a tutte le persone a voi care.




AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA


DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO


Sabato, 10 gennaio 2004




5 Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. E’ con vivo piacere che vi accolgo, a conclusione dell’Assemblea Plenaria della Congregazione per il Clero. Saluto il Prefetto del Dicastero, il Cardinale Darío Castrillón Hoyos, e lo ringrazio per essersi fatto interprete dei comuni sentimenti di devozione e di affetto. Saluto i Signori Cardinali, i venerati Fratelli nell’Episcopato e quanti hanno partecipato a quest’incontro, che ha affrontato due temi di grande interesse: "Gli organismi consultivi secundum legem e praeter legem" e "La pastorale dei Santuari".

Desidero ringraziare ciascuno per l’impegnativo lavoro svolto. Formulo, al tempo stesso, i migliori auguri perché da queste giornate di riflessione scaturiscano indicazioni e orientamenti utili per la vita della Chiesa.

2. La Costituzione dogmatica Lumen gentium presenta la Chiesa come un popolo che ha per Capo Cristo, per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, per legge il precetto antico e sempre nuovo dell'amore e per fine il regno di Dio (cfr
LG 9). Di tale popolo fanno parte coloro che, in forza del Battesimo, sono "impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo" (1P 2,5). Da questo sacerdozio, che accomuna tutti i fedeli, differisce essenzialmente quello ministeriale o gerarchico. Entrambi, però, sono uniti da uno stretto rapporto ed ordinati l'uno all'altro, poiché "l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo" (Lumen gentium LG 10). I Pastori hanno il compito di formare, reggere e santificare il Popolo di Dio, mentre i fedeli laici, insieme a loro, prendono parte attiva alla missione della Chiesa, in una costante sinergia di sforzi, e nel rispetto delle vocazioni e dei carismi specifici.

3. Quest’utile collaborazione da parte dei laici si articola anche nei diversi Consigli previsti dall'ordinamento canonico a livello diocesano e parrocchiale. Si tratta di organismi di partecipazione che danno modo di cooperare al bene della Chiesa, tenendo conto della scienza e competenza di ciascuno (cfr can. CIC 212, § 3 CIC).

Oggi tali strutture, scaturite dalle indicazioni del Concilio, hanno bisogno di essere aggiornate nelle loro modalità di azione e negli statuti secondo le norme del Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1983. Occorre salvaguardare un equilibrato rapporto tra il ruolo dei laici e quello che propriamente compete all’Ordinario diocesano o al parroco.

I legittimi Pastori, nell'esercizio del loro ufficio, non vanno mai considerati come semplici esecutori di decisioni derivanti da opinioni maggioritarie emerse nell’assemblea ecclesiale. La struttura della Chiesa non può essere concepita su modelli politici semplicemente umani. La sua costituzione gerarchica poggia sul volere di Cristo e, come tale, fa parte del "depositum fidei", che deve essere conservato e trasmesso integralmente nel corso dei secoli.

Il vostro Dicastero, che ha un ruolo di rilievo nell'applicazione delle direttive conciliari in questa materia, non mancherà di seguire con attenzione l’evoluzione di tali organi di consultazione. Sono certo che pure gli apporti e i contributi emersi da questo vostro incontro aiuteranno a rendere la collaborazione tra laici e Pastori sempre più proficua e pienamente fedele alle direttive del Magistero.

4. Il secondo tema, che in questa Plenaria avete affrontato, concerne la pastorale dei Santuari. Questi luoghi sacri attirano numerosi fedeli in cerca di Dio, disponibili quindi a un più incisivo annunzio della Buona Novella ed aperti ad accogliere l'invito alla conversione. E’ importante allora che vi operino sacerdoti con spiccata sensibilità pastorale, animati da zelo apostolico, dotati di paterno spirito di accoglienza e sperimentati nell’arte della predicazione e della catechesi.

6 Che dire poi del sacramento della Penitenza? Il confessore, particolarmente nei Santuari, è chiamato a riflettere in ogni suo gesto e parola l'amore misericordioso di Cristo. Si esige, pertanto, un’adeguata formazione dottrinale e pastorale.

Al centro di ogni pellegrinaggio ci sono le celebrazioni liturgiche, in primo luogo la Santa Messa. Esse vanno sempre preparate con cura e animate da grande devozione, suscitando l’attiva partecipazione dei fedeli.

Il vostro Dicastero non mancherà di elaborare opportuni suggerimenti per aiutare la pastorale dei Santuari ad essere sempre più rinnovata e rispondente alle esigenze dei tempi.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle! Con questi giorni di studio e di confronto, voi avete reso un meritorio servizio alla Chiesa. Vi ringrazio e assicuro per ciascuno un fraterno ricordo nella preghiera.

La Vergine Maria, Madre della Chiesa, che nel tempo natalizio contempliamo accanto al Bambino del Presepe, vi sostenga e renda fruttuoso ogni vostro proposito di bene. Per voi e per le persone a voi care formulo volentieri ogni migliore augurio per il nuovo anno appena iniziato ed imparto di cuore a tutti una speciale Benedizione Apostolica.



DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


AL CORPO DIPLOMATICO


ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE


Lunedì, 12 gennaio 2004

Eccellenze,

Signore e Signori,

È per me sempre un piacere, all'inizio di un nuovo anno, ritrovarmi in mezzo a voi per il tradizionale scambio di auguri. Sono particolarmente sensibile ai voti augurali che Sua Eccellenza l'Ambasciatore Giovanni Galassi mi ha gentilmente espresso a nome vostro. Vi ringrazio di cuore per i vostri nobili sentimenti, nonché per il benevolo interesse con cui quotidianamente seguite l'attività della Sede Apostolica. Attraverso le vostre persone, mi sento vicino ai popoli che rappresentate; che tutti ricevano le assicurazioni della preghiera e dell'affetto del Papa, che li invita ad unire le loro capacità e le loro risorse per costruire insieme un futuro di pace e di prosperità condivisa!

Questo incontro è anche per me un momento privilegiato, che mi offre l'opportunità di gettare insieme a voi uno sguardo sul mondo, così come gli uomini e le donne di questo tempo lo modellano.

La celebrazione del Natale ci ha appena ricordato la tenerezza di Dio per l'umanità, manifestata in Gesù, e ha fatto risuonare ancora una volta il messaggio sempre nuovo di Betlemme: "Pace in terra agli uomini che Dio ama"!

7 Questo messaggio ci giunge anche quest'anno, mentre molti popoli conoscono tuttora le conseguenze delle lotte armate, soffrono della povertà, sono vittima di stridenti ingiustizie o di pandemie difficili da controllare. Sua Eccellenza il Signor Galassi se n'è fatto eco con l'acutezza che gli riconosciamo. Desidero, a mia volta, rendervi partecipi di quattro convinzioni che, in questo inizio dell'anno 2004, occupano le mie riflessioni e la mia preghiera.

1. La pace sempre minacciata

In questi ultimi mesi essa è stata sopraffatta dagli eventi che si sono succeduti in Medio Oriente, il quale, ancora una volta, appare come una regione di contrasti e di guerre.

I numerosi interventi fatti dalla Santa Sede per evitare il doloroso conflitto in Iraq sono ben noti. Ciò che importa oggi è che la comunità internazionale aiuti gli iracheni, liberati da un regime che li opprimeva, affinché siano messi in condizione di riprendere le redini del loro Paese, di consolidarne la sovranità, di determinare democraticamente un sistema politico ed economico conforme alle loro aspirazioni, e che l'Iraq in tal modo torni ad essere un interlocutore credibile nella comunità internazionale.

La mancata risoluzione del problema israelo-palestinese continua a essere un fattore di destabilizzazione permanente per tutta la regione, senza contare le indicibili sofferenze imposte alle popolazioni israeliana e palestinese. Non mi stancherò mai di ripetere ai responsabili di questi due popoli: la scelta delle armi, il ricorso, da una parte al terrorismo e dall'altra alle rappresaglie, l'umiliazione dell'avversario, la propaganda astiosa, non conducono da nessuna parte. Solo il rispetto delle legittime aspirazioni degli uni e degli altri, il ritorno al tavolo dei negoziati e l'impegno concreto della comunità internazionale possono condurre all'inizio di una soluzione. La pace autentica e duratura non può ridursi a un semplice equilibrio tra le forze contrapposte; essa è soprattutto frutto di un'azione morale e giuridica.

Altre tensioni e conflitti, soprattutto in Africa, potrebbero ugualmente essere menzionati. Il loro impatto sulle popolazioni è drammatico. Agli effetti della violenza si aggiungono l'impoverimento e il deterioramento del tessuto istituzionale, che gettano interi popoli nella disperazione. Bisogna anche ricordare il pericolo che continuano a rappresentare la produzione e il commercio delle armi, che alimentano abbondantemente queste zone a rischio.

Questa mattina vorrei rendere un omaggio del tutto particolare a Monsignor Michael Courtney, Nunzio Apostolico in Burundi, assassinato di recente. Come tutti i Nunzi e tutti i diplomatici, egli ha voluto servire innanzitutto la causa della pace e del dialogo. Rendo omaggio al suo coraggio e al suo impegno per sostenere il popolo burundese nel suo cammino verso la pace e verso una fraternità più grande, in ragione del suo ministero episcopale e del suo compito diplomatico. Mi preme inoltre richiamare alla memoria il Signor Sergio Vieira de Mello, Rappresentante speciale dell'O.N.U. in Iraq, ucciso in un attentato nel corso della sua missione. Desidero anche ricordare tutti i membri del corpo diplomatico che, nel corso degli ultimi anni, hanno perduto la vita o hanno dovuto soffrire in ragione del mandato che era loro proprio.

E come non menzionare il terrorismo internazionale che, seminando la paura, l'odio e il fanatismo, disonora tutte le cause che pretende di servire? Mi accontenterò semplicemente di dire che ogni civiltà degna di questo nome implica il rifiuto categorico dei rapporti di violenza. È per questo - e lo dico dinanzi a una platea di diplomatici - che non potremo mai rassegnarci ad accettare passivamente che la violenza tenga in ostaggio la pace!

È più che mai urgente giungere a una sicurezza collettiva più effettiva che dia all'Organizzazione delle Nazioni Unite il posto e il ruolo che le competono. È più che mai necessario imparare a trarre degli insegnamenti dal passato lontano e recente. In ogni caso, una cosa è certa: la guerra non risolve i conflitti tra i popoli!

2. La fede: una forza per costruire la pace

Anche se qui parlerò a nome della Chiesa cattolica, so che le diverse confessioni cristiane e i fedeli delle altre religioni si considerano testimoni di un Dio della giustizia e della pace.

8 Quando si crede che ogni persona umana ha ricevuto dal Creatore una dignità unica, che ciascuno di noi è soggetto di diritti e di libertà inalienabili, che servire il prossimo significa crescere nell'umanità, molto di più, quando si vuole essere discepoli di colui che ha detto: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35), si può facilmente comprendere quale capitale rappresentano le comunità dei credenti nella costruzione di un mondo pacificato e pacifico.

Da parte sua, la Chiesa cattolica mette a disposizione di tutti l'esempio della sua unità e della sua universalità, la testimonianza di tanti santi che hanno saputo amare i loro nemici, di tanti uomini politici che hanno trovato nel Vangelo il coraggio di vivere la carità nei conflitti. Ovunque la pace sia in causa, vi sono dei cristiani per testimoniare con parole e fatti che la pace è possibile. È questo il senso, come ben sapete, degli interventi della Santa Sede nei dibattiti internazionali.

3. La religione nella società: presenza e dialogo

Le comunità di credenti sono presenti in tutte le società, espressione della dimensione religiosa della persona umana. I credenti si aspettano dunque legittimamente di poter partecipare al dibattito pubblico. Purtroppo bisogna osservare che non è sempre così. In alcuni Paesi europei siamo testimoni, in questi ultimi tempi, di un atteggiamento che potrebbe mettere in pericolo il rispetto effettivo della libertà di religione. Se tutti sono d'accordo di rispettare il sentimento religioso degli individui, non si può dire altrettanto per il "fatto religioso", vale a dire per la dimensione sociale delle religioni, dimenticando in questo gli impegni assunti nel quadro di quella che allora si chiamava la "Conferenza sulla Cooperazione e la Sicurezza in Europa". Spesso viene invocato il principio della laicità, di per sé legittimo, se viene inteso come distinzione tra la comunità politica e le religioni (cfr Gaudium et spes GS 76). Tuttavia, distinzione non vuol dire ignoranza! La laicità non è laicismo! Essa non è altro che il rispetto di tutte le credenze da parte dello Stato, che assicura il libero esercizio delle attività di culto, spirituali, culturali e caritative delle comunità dei credenti. In una società pluralista, la laicità è un luogo di comunicazione tra le diverse tradizioni spirituali e la nazione.

I rapporti tra Chiesa e Stato, al contrario, possono e devono dar luogo a un dialogo rispettoso, portatore di esperienze e di valori fecondi per il futuro di una nazione. Un sano dialogo tra lo Stato e le Chiese - che non sono concorrenti ma interlocutori - può, senza alcun dubbio, favorire lo sviluppo integrale della persona umana e l'armonia della società.

La difficoltà di accettare il fatto religioso nello spazio pubblico si è manifestata in modo emblematico in occasione del recente dibattito sulle radici cristiane dell'Europa. Alcuni hanno riletto la storia attraverso il prisma delle ideologie riduttrici, dimenticando ciò che il cristianesimo ha apportato alla cultura e alle istituzioni del continente: la dignità della persona umana, la libertà, il senso dell'universale, la scuola e l'Università, le opere di solidarietà. Senza sottovalutare le altre tradizioni religiose, rimane il fatto che l'Europa si è affermata nel tempo stesso in cui veniva evangelizzata. E, in tutta giustizia, bisogna ricordare che, solo poco tempo fa, i cristiani, promovendo la libertà e i diritti dell'uomo, hanno contribuito alla trasformazione pacifica di regimi autoritari, nonché al ripristino della democrazia nell'Europa centrale e orientale.

4. Come cristiani, tutti insieme, siamo responsabili della pace e dell'unità della famiglia umana
Come sapete, l'impegno ecumenico è uno dei punti di particolare attenzione del mio pontificato. In effetti, sono convinto che se i cristiani riuscissero a superare le loro divisioni il mondo sarebbe più solidale. È per questo che ho sempre favorito gli incontri e le dichiarazioni comuni, vedendo in ciascuno di essi un esempio e uno sprone per l'unità della famiglia umana.

Come cristiani, abbiamo la responsabilità del "vangelo della pace" (Ep 6,15). Tutti insieme, possiamo contribuire in modo efficace al rispetto della vita, alla salvaguardia della dignità della persona umana e dei suoi diritti inalienabili, alla giustizia sociale e alla conservazione dell'ambiente. Inoltre, la pratica di uno stile di vita evangelico fa sì che i cristiani possano aiutare i loro compagni nell'umanità a superare gli istinti, a compiere gesti di comprensione e di perdono, a soccorrere insieme quanti sono nel bisogno. Non si valuta abbastanza l'influenza pacificatrice che i cristiani uniti potrebbero avere in seno sia alla loro comunità sia alla società civile.

Se dico questo, non è solo per ricordare a tutti coloro che si richiamano a Cristo l'impellente necessità di imboccare con risolutezza il cammino che conduce all'unità come la vuole Cristo, ma anche per indicare ai responsabili delle società le risorse che possono attingere dal patrimonio cristiano come pure da coloro che di esso vivono.

In questo ambito è possibile citare un esempio concreto: l'educazione alla pace. Riconoscete qui il tema del mio Messaggio per il 1º gennaio di quest'anno. Alla luce della ragione e della fede, la Chiesa propone una pedagogia della pace, al fine di preparare tempi migliori. Essa desidera mettere a disposizione di tutti le sue energie spirituali, convinta che "la giustizia deve trovare il suo completamento nella carità" (n. 10). È questo che noi, umilmente, proponiamo a tutti gli uomini di buona volontà, poiché "noi cristiani, l'impegno di educare noi stessi e gli altri alla pace lo sentiamo come appartenente al genio stesso della nostra religione" (n. 3).

9 Sono queste le riflessioni che desideravo condividere con voi, Eccellenze, Signore e Signori, mentre ci viene offerto un nuovo anno. Esse sono maturate dinanzi al presepio, dinanzi a Gesù, che ha condiviso e amato la vita degli uomini. Egli rimane contemporaneo di ciascuno di noi e di tutti i popoli qui rappresentati. Affido a Dio, nella preghiera, i loro progetti e le loro realizzazioni, mentre invoco su di voi e sulle persone a voi care l'abbondanza delle sue Benedizioni. Felice anno nuovo!


GP2 Discorsi 2004