GPII 1979 Insegnamenti - I. Maestri della Verità.

II. Segni e costruttori dell'unità

Il vostro servizio pastorale alla verità si completa con un uguale servizio all'unità.

Quest'unità deve essere anzitutto tra voi stessi, in quanto Vescovi.

"Dobbiamo salvaguardare e conservare tale unità - scriveva san Cipriano in un momento di gravi minacce alla comunione dei Vescovi nel suo Paese - soprattutto noi, i Vescovi, che abbiamo il compito di presiedere nella Chiesa, al fine di dare testimonianza che l'Episcopato è uno e invisibile. Che nessuno alteri la verità né inganni i fedeli. L'Episcopato è uno..." (S. Cipriano, "De Unitate Ecclesiae", 6,8).

Questa unità dei Vescovi proviene non da calcoli e manovre umane, bensì dall'alto: dal servizio all'unico Signore, dall'animazione che proviene da un solo Spirito, dall'amore a una sola ed unica Chiesa. E' l'unità risultante dalla Missione, che Cristo ci ha affidato, che nel Continente latino-americano si attua da quasi mezzo millennio e che voi continuate ad attuare con animo generoso in tempi di profonde trasformazioni, mentre ci avviciniamo alla fine del secondo millennio della redenzione e dell'azione della Chiesa. E' l'unità del Vangelo, del Corpo e Sangue dell'Agnello, di Pietro vivo nei suoi successori: tutti segni diversi tra loro, ma tanto importanti della presenza di Gesù tra noi.

Come dovete viverla, fratelli, questa unità di Pastori, in questa Conferenza, che di per se stessa è un segno e frutto di tale unità che già esiste, e in pari tempo anticipazione e principio di un'unità che deve essere ancora più stretta e solida. Cominciate questi lavori in un clima di fraterna unità: sia questa unità un elemento di evangelizzazione.

L'unità dei Vescovi tra loro si prolunga nell'unità con i sacerdoti, religiosi e fedeli. I sacerdoti sono i collaboratori immediati dei Vescovi nella missione pastorale, la quale risulterebbe compromessa, se non regnasse tra loro e i Vescovi tale stretta unione.

Soggetti assai importanti di questa unità, saranno parimenti i religiosi e le religiose. Ben so come è stato e continua ad essere importante il contributo degli stessi all'evangelizzazione in America Latina. Qui essi giunsero agli albori della scoperta e accompagnarono i primi passi di quasi tutti i Paesi. Qui hanno lavorato senza sosta a fianco del clero diocesano. In diversi Paesi più della metà, in altri la maggior parte del presbiterio è composta da religiosi. Sarebbe sufficiente questo per comprendere quanto importa, qui più che in altre parti del mondo, che i religiosi non solo accettino, ma che mirino lealmente a un'unione indissolubile di intenti e di azioni con i Vescovi. A questi il Signore ha affidato la missione di pascere il gregge. A questi compete il compito di tracciare il cammino dell'evangelizzazione. Non può, non deve loro mancare la collaborazione, in pari tempo responsabile e attiva, ma anche docile e fidente dei religiosi, il cui carisma ne fa dei ministri assai più atti al servizio del Vangelo.

Tale linea impone a tutti, nella comunità ecclesiale, il dovere di evitare magisteri paralleli, ecclesiasticamente inaccettabili e pastoralmente sterili.

Soggetto di tale unità sono anche i laici, impegnati individualmente o associati in organismi di apostolato per la diffusione del Regno di Dio. Sono essi che devono consacrare il mondo a Cristo in mezzo alle preoccupazioni quotidiane e nelle diverse funzioni familiari e professionali, in intima unione ed obbedienza con i legittimi pastori.

Questo dono prezioso dell'unità ecclesiale deve essere salvaguardato tra tutti coloro che fanno parte del Popolo pellegrino di Dio, in conformità a quanto asserito dalla "Lumen Gentium".

III. Difensori e promotori della dignità


1. Quelli che hanno familiarità con la storia della Chiesa sanno che in tutti i tempi vi sono state ammirevoli figure di Vescovi profondamente impegnati nella promozione e nella coraggiosa difesa della dignità umana di coloro, che il Signore aveva loro affidato. Lo hanno sempre fatto in forza dell'imperativo della loro missione episcopale, perché per essi la dignità umana rappresenta un valore evangelico, che non può essere disprezzato senza grave offesa del Creatore.

Questa dignità viene conculcata, a livello individuale, quando non sono tenuti nel dovuto conto valori come la libertà, il diritto di professare la religione, l'integrità fisica e psichica, il diritto ai beni essenziali, alla vita. E' calpestata, a livello sociale e politico, quando l'uomo non può esercitare il suo diritto di partecipazione, o viene sottoposta ad ingiuste e illegittime coercizioni o a torture fisiche o psichiche, ecc.

Non ignoro quanti problemi di questo genere si dibattano oggi in America Latina. Come Vescovi non potete disinteressarvi di essi. So che vi proponete di compiere una riflessione seria sulle relazioni e connessioni esistenti tra evangelizzazione e promozione umana o liberazione, prendendo in considerazione, in un campo così ampio e importante, la specifica presenza della Chiesa.

E' qui che ritroviamo, nella pratica concreta, i temi che abbiamo abbordato parlando della verità su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo.2. Se la Chiesa si rende presente nella difesa o nella promozione della dignità dell'uomo, lo fa in conformità con la sua missione, che, pur essendo di carattere religioso e non sociale o politico, non può fare a meno di considerare l'uomo nel suo essere integrale.

Il Signore ha delineato nella parabola del Buon Samaritano il modello delle preoccupazioni per tutte le necessità umane (Lc 10,29ss), e ha dichiarato che si identificherà con i diseredati, gli infermi, i carcerati, gli affamati e i derelitti, ai quali si sia tesa la mano (Mt 25,31ss). La Chiesa ha appreso in questa e in altre pagine del Vangelo (cfr. Mc 6,35-44), che la sua missione evangelizzatrice ha come parte indispensabile l'impegno per la giustizia e l'opera della promozione dell'uomo (cfr. Sinodo "De Iustizia in mundo": AAS 63 (1971) 923-942) e che tra evangelizzazione e promozione umana vi sono legami molto forti di ordine antropologico, teologico e caritativo (cfr. EN 31); di modo che "l'evangelizzazione non sarebbe completa, se non tenesse in conto la connessione reciproca, che nel corso dei tempi si stabilisce tra il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell'uomo" (EN 29).

Teniamo presente, d'altra parte, che l'azione della Chiesa in campi come quello della promozione umana, dello sviluppo, della giustizia, dei diritti della persona, vuole rimanere sempre al servizio dell'uomo, e dell'uomo così come lo vede nella visione cristiana della sua antropologia. Essa, infatti, non ha bisogno di ricorrere a sistemi e ideologie per amare, difendere e collaborare alla liberazione dell'uomo: è al centro del messaggio, del quale essa è depositaria e banditrice, che trova ispirazione per operare in favore della fraternità, della giustizia, della pace, contro tutte le dominazioni, schiavitù, discriminazioni, violenze, attentati alla libertà religiosa, aggressioni all'uomo, e quanto attenta alla vita (cfr. GS 26 GS 27 GS 29).

3. Non è quindi per opportunismo e per desiderio di novità che la Chiesa, "esperta in umanità" (Paolo VI, Discorso alle Nazioni Unite, 5 ottobre 1965: AAS 57 (1965) 878), si erge a difesa dei diritti umani. E' per un autentico impegno evangelico, il quale, come è stato per Cristo, riguarda coloro che sono in maggiore necessità.

Fedele a questo impegno, la Chiesa vuole mantenersi libera di fronte agli opposti sistemi, così da optare solo per l'uomo, quali che siano le miserie o le sofferenze che lo affliggono; e questo non per mezzo della violenza, dei giochi di potere, dei sistemi politici, ma bensì per mezzo della verità sull'uomo, in cammino verso un futuro migliore.

4. Nasce di qui la costante preoccupazione della Chiesa per la delicata questione della proprietà. Una prova ne sono gli scritti dei Padri della Chiesa, nel corso del primo millennio del cristianesimo (S. Ambrogio, "De Nabuthae", 12,53: PL 14, 747). Lo dimostra chiaramente la vigorosa dottrina di san Tommaso d'Aquino, tante volte riaffermata. Nei nostri tempi, la Chiesa ha fatto appello agli stessi principi in documenti di larghissima diffusione, come le encicliche sociali degli ultimi Papi. Di questo tema parlo, con forza e profondità particolari, il Papa Paolo VI nella sua enciclica "Popolorum Progressio" (23-24; cfr. MM 106).

Questa voce della Chiesa, eco di quella della coscienza umana, non ha cessato di risuonare nel corso dei secoli in mezzo ai più vari sistemi e condizioni socio-culturali, e merita, anzi necessita di essere ascoltata anche nella nostra epoca, quando alla ricchezza crescente dei pochi corrisponde parallelamente la miseria crescente delle masse.

E in questo caso che acquista carattere urgente l'insegnamento della Chiesa, secondo cui su tutta la proprietà privata grava un'ipoteca sociale.

In relazione a tale insegnamento, la Chiesa ha una missione da compiere: deve predicare, educare le persone e le collettività, formare l'opinione pubblica, orientare i responsabili dei popoli. In questa maniera lavorerà in favore della società, nella quale vuole inserire questo principio cristiano ed evangelico, per dare il frutto di una distribuzione più giusta ed equa dei beni, non solo all'interno di ciascuna Nazione, ma anche nel mondo internazionale in generale, evitando che i paesi più forti usino il proprio potere a detrimento di quelli più deboli.

Coloro, sui quali ricade la responsabilità della vita pubblica degli Stati e delle Nazioni, dovranno comprendere che la pace interna e internazionale sarà assicurata, solo se vige un sistema sociale ed economico fondato sulla giustizia.

Cristo non rimase indifferente di fronte a questo ampio ed esigente imperativo della morale sociale. E neppure la Chiesa potrebbe rimanerlo. Nello spirito della Chiesa, che è lo Spirito di Cristo, eappoggiati sulla sua vasta e solida dottrina, mettiamoci al lavoro in questo campo.

Bisogna qui sottolineare nuovamente che la sollecitudine della Chiesa è diretta all'uomo nella sua integrità.

Per questa ragione, condizione indispensabile perché un sistema economico sia giusto è che favorisca lo sviluppo e la diffusione dell'istruzione pubblica e della cultura. Quanto più giusta è l'economia tanto più profonda sarà la coscienza della cultura. Ciò si trova sulla linea di quanto affermava il Concilio: per conseguire una vita degna dell'uomo, non è possibile limitarsi ad avere di più, ma occorre aspirare ad essere di più (GS 35).

Attingete, dunque, fratelli, a queste fonti autentiche. Parlate con il linguaggio del Concilio, di Giovanni XXIII, di Paolo VI: è il linguaggio dell'esperienza, del dolore, della speranza dell'umanità contemporanea.

Quando Paolo VI dichiarava che "lo sviluppo è il nuovo nome della pace" (PP 76), aveva presenti anche i vincoli di interdipendenza che esistono non solo all'interno delle Nazioni, ma anche al loro esterno, a livello mondiale. Egli prendeva in considerazione i meccanismi che, per essere impregnati non di autentico umanesimo, ma di materialismo, producono a livello internazionale ricchi sempre più ricchi accanto a poveri sempre più poveri.

Non esiste una regola economica, in grado di cambiare di per sé tali meccanismi. Occorre fare appello nella vita internazionale ai principi dell'etica, alle esigenze della giustizia, al primo dei comandamenti quello dell'amore.

Bisogna dare il primato al morale, allo spirituale, a ciò che nasce dalla piena verità sull'uomo.

Ho desiderato manifestarvi queste riflessioni, che ritengo molto importanti, sebbene non debbano distrarvi dal tema centrale della Conferenza: all'uomo, alla giustizia, arriveremo mediante l'evangelizzazione.

5. Di fronte a quanto detto, la Chiesa vede con profondo dolore "la crescita, talvolta massiccia, della violazione dei diritti umani in ogni parte della società e del mondo... Chi può negare che oggi singole persone e autorità civili violano i diritti fondamentali della persona umana con impunità, diritti quali quello di nascere, il diritto alla vita, il diritto alla procreazione responsabile, al lavoro, alla pace, alla libertà e alla giustizia sociale, il diritto a partecipare alle decisioni che concernono popoli e nazioni? E che cosa si può dire quando ci troviamo di fronte alle varie forme di violenza collettiva, quali la discriminazione razziale contro individui e gruppi, l'uso di torture fisiche e psicologiche, perpetrate contro prigionieri o dissidenti politici? La lista cresce quando volgiamo la nostra attenzione agli esempi di sequestro di persona per ragioni politiche e agli atti di rapimento per guadagno materiale, che colpiscono così drammaticamente la vita familiare e l'edificio sociale" (Giovanni Paolo II, Lettera all'ONU in occasione del 30° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, 2 dicembre 1978; AAS 71 (1979) 122).

Ancora una volta gridiamo forte: rispettate l'uomo. Egli è l'immagine di Dio! Evangelizzate, perché ciò diventi una realtà. Affinché il Signore trasformi i cuori e umanizzi i sistemi politici ed economici, partendo dall'impegno responsabile dell'uomo.

6. Gli impegni pastorali in questo campo devono essere animati da una retta concezione cristiana della liberazione. La Chiesa ha il dovere di annunziare la liberazione di milioni di esseri umani, il dovere di aiutare affinché si consolidi questa liberazione; pero ha anche il dovere corrispondente di proclamare la liberazione nel suo significato integrale, profondo, come lo ha annunziato e realizzato Gesù (EN 30-31). "Liberazione da tutto ciò che opprime l'uomo, che è pero, innanzitutto, salvezza dal peccato e dal maligno, nella gioia di conoscere Dio e di essere conosciuto da lui" (EN 9). Liberazione fatta di riconciliazione e di perdono. Liberazione che erompe dalla realtà di essere figli di Dio, che possiamo chiamare "Abba, Padre" (Rm 8,15), in forza della quale riconosciamo in ogni uomo un nostro fratello, il cui cuore può essere trasformato dalla misericordia di Dio. Liberazione che ci spinge, con la forza della carità, alla comunione, la cui sommita e pienezza troviamo nel Signore. Liberazione come superamento delle diverse schiavitù e idoli, che l'uomo si forgia, e come crescita dell'uomo nuovo. Liberazione che nella missione propria della Chiesa non si riduce alla pura e semplice dimensione economica, politica, sociale o culturale, che non si sacrifica alle esigenze di una qualsiasi strategia, di una prassi o di un risultato a breve termine (EN 33).

Per salvaguardare l'originalità della liberazione cristiana e le energie che è capace di sviluppare, è necessario ad ogni costo, come chiedeva il Papa Paolo VI, evitare riduzioni e ambiguità: "La Chiesa perderebbe la sua significazione fondamentale. Il suo messaggio di liberazione non avrebbe più alcuna originalità e finirebbe facilmente per essere accaparrato e manipolato da sistemi ideologici e da partiti politici" (EN 32). Vi sono molti segni, che aiutano a discernere se si tratta di una liberazione cristiana e se, invece, si nutre piuttosto di ideologie che le sottraggono la coerenza con una visione evangelica dell'uomo, delle cose, degli avvenimenti (EN 35). Sono segni che derivano dai contenuti, che annunziano, o dagli atteggiamenti concreti che assumono, gli evangelizzatori. A livello di contenuti, è doveroso osservare qual è la fedeltà alla Parola di Dio, alla Tradizione viva della Chiesa, al suo Magistero. Quanto agli atteggiamenti, occorre ponderare qual è il loro senso di comunione con i Vescovi in primo luogo, e con gli altri settori del Popolo di Dio; qual è il contributo che si dà alla costruzione reale della comunità e con quale forma di amore si orienta la propria sollecitudine verso i poveri, gli infermi, i diseredati, gli indifesi, gli oppressi, e come, scoprendo in essi l'immagine di Gesù "povero e paziente, ci si sforza di liberarli e di servire in essi Cristo" (LG 8). Non illudiamoci: i fedeli umili e semplici, quasi per istinto evangelico, captano spontaneamente quando nella Chiesa si serve il Vangelo e quando lo si svuota e lo si soffoca con altri interessi.

Come vedete, conserva tutta la sua validità l'insieme di osservazioni che sul tema della liberazione ha fatto la "Evangelii Nuntiandi".

7. Quanto abbiamo ricordato sopra costituisce un ricco e complesso patrimonio, che la "Evangelii Nuntiandi" (EN 38) denomina Dottrina Sociale o Insegnamento Sociale della Chiesa. Questa nasce alla luce della Parola di Dio e del Magistero autentico, della presenza dei cristiani in seno alle situazioni mutevoli del mondo, a contatto con le sfide che da esse provengono. Tale dottrina sociale comporta pertanto principi di riflessione, ma anche norme di giudizio e direttive di azione (Paolo VI, "Octogesima Adveniens", 4).

Confidare responsabilmente in tale dottrina sociale, anche se alcuni cercano di seminare dubbi e sfiducia su di essa, studiarla con serietà, cercare di applicarla, insegnarla, esserle fedele è, in un figlio della Chiesa, garanzia dell'autenticità del suo impegno nei delicati ed esigenti doveri sociali, e dei suoi sforzi a favore della liberazione o della promozione dei suoi fratelli.

Permettete, dunque, che raccomandi alla vostra speciale attenzione pastorale l'urgenza di sensibilizzare i vostri fedeli su questa dottrina sociale della Chiesa.

Occorre porre particolare attenzione nella formazione di una coscienza sociale a tutti i livelli e in tutti i settori. Quando aumentano le ingiustizie e cresce dolorosamente la distanza tra poveri e ricchi, la dottrina sociale, in forma creativa e aperta ai vasti campi della presenza della Chiesa, deve essere prezioso strumento di formazione e di azione. Ciò vale particolarmente in relazione ai laici: "competono propriamente ai laici, sebbene non esclusivamente, i doveri e il dinamismo secolari" (GS 63). E' necessario evitare inganni e studiare seriamente quando certe forme di supplenza hanno la loro ragion d'essere. Non sono i laici i chiamati, in virtù della loro vocazione nella Chiesa, a dare il loro apporto nelle dimensioni politiche, economiche, e ad essere efficacemente presenti nella tutela e promozione dei diritti umani?

IV. Alcuni compiti prioritari


1. Molti temi pastorali, di grande rilievo, vi accingete a considerare. Il tempo mi impedisce di accennarvi. Ad alcuni mi sono riferito o mi riferiro negli incontri con i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi, i laici.

I temi che qui vi segnalo hanno, per diversi motivi, una grande importanza. Non tralascerete di considerarli, tra tanti altri che la vostra perspicacia pastorale vi indicherà.

a) La famiglia. Fate ogni sforzo affinché vi sia una pastorale della famiglia. Dedicatevi a un settore così prioritario, con la certezza che l'evangelizzazione nel futuro dipende in gran parte dalla "Chiesa domestica". E' la scuola dell'amore, della conoscenza di Dio, del rispetto alla vita, alla dignità dell'uomo. Tale pastorale è tanto più importante, in quanto la famiglia è oggetto di tante minacce. Pensate alle campagne favorevoli al divorzio, all'uso di pratiche anticoncezionali, all'aborto, che distruggono la società.

b) Le vocazioni sacerdotali e religiose. Nella maggior parte dei vostri paesi, nonostante uno speranzoso risveglio di vocazioni, la loro mancanza è un problema grave e cronico. La sproporzione tra il numero crescente di abitanti e quello degli evangelizzatori è immensa. Ciò importa oltremodo alla comunità cristiana. Ogni comunità deve procurare le sue vocazioni, anche come segno della sua vitalità e maturità. Bisogna riattivare un'intensa azione pastorale che, partendo dalla vocazione cristiana in generale, da una pastorale giovanile entusiasta, dia alla Chiesa i servitori di cui ha bisogno. Le vocazioni laicali, così indispensabili, non possono essere una compensazione. Più ancora, una delle prove dell'impegno del laico è la fecondità delle vocazioni alla vita consacrata.

c) La gioventù. Quanta speranza pone in essa la Chiesa! Quante energie circolano nella gioventù dell'America Latina, che hanno bisogno della Chiesa! Quanto noi, Pastori, dobbiamo stare vicino ad essa, perché Cristo e la Chiesa, perché l'amore del fratello penetrino profondamente nel suo cuore!

2. Al termine di questo messaggio non posso fare a meno di invocare ancora una volta la protezione della Madre di Dio sulle vostre persone e sul vostro lavoro in questi giorni. Il fatto che il nostro incontro abbia luogo alla presenza spirituale di Nostra Signora di Guadalupe, venerata in Messico e in tutti gli altri Paesi come Madre della Chiesa in America Latina, è per me un motivo di gioia e una fonte di speranza. "Stella dell'evangelizzazione", sia lei la vostra guida nelle riflessioni che farete e nelle decisioni che prenderete. Che lei ottenga dal suo Divin Figlio per voi: - audacia di profeti e prudenza evangelica di Pastori.

- perspicacia di maestri e sicurezza di guide e orientatori.

- forza d'animo come testimoni, e serenità, pazienza e mansuetudine di padri.

Il Signore benedica i vostri lavori. Siete accompagnati da rappresentanti scelti: presbiteri, diaconi, religiosi, religiose, laici, esperti, osservatori, la cui collaborazione vi sarà molto utile. Tutta la Chiesa ha fissi gli occhi su di voi con fiducia e speranza. Vogliate rispondere a tali aspettative con piena fedeltà a Cristo, alla Chiesa, all'uomo. Il futuro sta nelle mani di Dio, ma in un certo qual modo, il futuro di un nuovo impulso evangelizzatore, Dio lo pone anche nelle vostre. "Andate, dunque, insegnate a tutte le genti" (Mt 2819).

Data: 1979-01-28

Data estesa: Domenica 28 Gennaio 1979.

Titolo: Il Papa prega per voi

Testo: Trascorrendo questi momenti fra voi, voglio salutare i dirigenti del Centro, tutti i bambini e le bambine malati di questo Ospedale Infantile, e tutti i bambini che soffrono nelle loro case, in qualunque parte del Messico.

La malattia non vi permette di giocare con i vostri amici; perciò ha voluto venire a vedervi un altro amico, il Papa, che tante volte pensa a voi e prega per voi.

Saluto anche i vostri genitori, fratelli, sorelle, familiari e quanti si preoccupano della vostra salute e vi seguono con tanta cura e affetto.

Vi invito ora a dire una Ave Maria alla Vergine di Guadalupe per voi, che così presto avete trovato il dolore e la malattia nella vostra vita.

Cari bambini, il Papa continuerà a ricordarvi e porta con sé il vostro sorridente saluto a braccia aperte, lasciandovi il suo abbraccio e la sua benedizione.

Data: 1979-01-29

Data estesa: Lunedì 29 Gennaio 1979.





Nella Cattedrale di Oaxaca (Messico) - Siate veri testimoni di Cristo


Amatissimi fratelli e sorelle.

Questa cerimonia, nella quale con immensa gioia conferiro alcuni ministeri sacri a discendenti delle antiche stirpi di questa terra d'America, conferma la verità del detto di un'alta personalità del vostro Paese al mio venerato predecessore Paolo VI: dall'inizio della storia delle nazioni americane fu soprattutto la Chiesa che protesse i più umili, la loro dignità e valore come persone umane.

La verità di tale affermazione riceve oggi una nuova conferma, ora che il Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale chiamerà alcuni di loro a collaborare con i suoi pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per sua maggiore crescita e vitalità (cfr. Paolo VI, EN 73).

1. E' risaputo che questi ministeri non trasformano i laici in chierici: coloro che li ricevono continuano ad essere laici, ossia, non lasciano lo stato nel quale vivevano quando furono chiamati (cfr. 1Co 7,20). E anche quando cooperano, come supplenti o aiutanti, con i ministri consacrati, questi laici sono soprattutto collaboratori di Dio (cfr. 1Co 3,9), che si vale anche di essi per compiere la sua volontà di salvare tutti gli uomini (cfr. 1Tm 2,4).

Anzi, precisamente perché questi laici si compromettono in modo deliberato con tale disegno salvifico, a tal punto che questo compromesso è per essi ragione ultima di presenza nel mondo (cfr. S. Giovanni Crisostomo, "In Act. Ap." 20,4) devono essere considerati come archetipi della partecipazione di tutti i fedeli alla missione salvifica della Chiesa.

2. In realtà tutti i fedeli, in virtù del proprio Battesimo e del Sacramento della Cresima, devono professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio per mezzo della Chiesa, diffonderla e difenderla come veri testimoni di Cristo (cfr. LG 11). Ossia, sono chiamati all'evangelizzazione, che è un dovere fondamentale di tutti i membri del popolo di Dio (cfr. AGD 35), abbiano o non abbiano particolari funzioni legate più intimamente ai doveri dei Pastori (AA 24).

A questo proposito lasciate che il successore di Pietro rivolga un fervente appello a tutti e ad ognuno, di assimilare e praticare gli insegnamenti e gli orientamenti del Concilio Vaticano II, che ha dedicato ai laici il capitolo 4 della costituzione dogmatica "Lumen Gentium", e il decreto "Apostolicam Actuositatem".

3. Desidero inoltre, come ricordo del mio passaggio fra di voi, e tuttavia con lo sguardo rivolto ai fedeli di tutto il mondo, alludere brevemente a quanto è peculiare della cooperazione dei laici nell'unico apostolato della Chiesa e che conferisce a tutte le sue espressioni, sia individuali, sia associate, la sua caratteristica determinante. Per ciò voglio ispirarmi all'invocazione a Cristo che leggiamo nella preghiera delle Lodi di questo lunedi della quarta settimana del tempo liturgico ordinario: "Tu che operi con il Padre nella storia dell'umanità, rinnnova gli uomini e le cose con la forza del tuo spirito".

In effetti, i laici, che per vocazione divina partecipano di tutta la realtà umana, iniettando in essa la propria fede, fatta realtà nella propria vita pubblica e privata (cfr. Jc 2,17), sono i protagonisti più immediati del rinnovamento degli uomini e delle cose. Con la loro presenza attiva di credenti, lavorano alla progressiva consacrazione del mondo a Dio (cfr. LG 34). Questa presenza si confà a tutta l'autonomia della religione cristiana, la quale è una dottrina, ma è soprattutto un avvenimento: l'avvenimento dell'Incarnazione, Gesù, uomo-Dio, che ha riassunto in sé l'universo (cfr. Ep 1,10); corrisponde all'esempio di Cristo che ha fatto anche del contatto fisico un veicolo di comunicazione del suo potere restauratore (cfr. Mc 1,41 Mc 7,33 Mt 9,29ss; Mt 20,34 Lc 7,14 Lc 8,54); e inerente all'indole sacramentale della Chiesa, la quale, fatta disegno e strumento dell'unione degli uomini con Dio e dell'unità di tutto il genere umano (cfr. LG 1), è stata chiamata da Dio ad essere in permanente comunione con il mondo per essere in esso il lievito che lo trasforma da dentro (cfr. Mt 13,33).

L'apostolato dei laici, così sentito e posto in pratica, conferisce pieno senso a tutte le manifestazioni della storia umana, rispettando la sua autonomia e favorendo il progresso richiesto dalla propria natura di ciascuna di loro. Nello stesso tempo, ci dà la chiave per interpretare pienamente il senso della storia, dal momento che tutte le realtà temporali, come gli avvenimenti che le manifestano, acquistano il significato più profondo nella dimensione spirituale che stabilisce la relazione fra presente e futuro (cfr. He 13,14). Il misconoscimento o la mutilazione di questa dimensione si convertirebbe, di fatto, in un attentato contro l'essenza stessa dell'uomo.

4. Al lasciare questa terra, porto di voi con me un gradito ricordo. Quello di aver incontrato anime generose che fin da adesso offriranno la vita per la diffusione del regno di Dio. E allo stesso tempo, sono sicuro che, come alberi piantati vicino a fiumi, daranno frutti abbondanti a suo tempo (cfr. Ps 1,3) per il rafforzamento del Vangelo. Animo! Siate lievito nella pasta (Mt 13,33), fate Chiesa! Che la vostra testimonianza risvegli dappertutto altri annunciatori della salvezza: "Come son belli i piedi di coloro che evangelizzano il bene" (Rm 10,15).

Diamo grazie a Dio che "ha cominciato questa opera buona e la porterà a compimento fino al giorno di Gesù Cristo" (Ph 1,6).

Data: 1979-01-29

Data estesa: Lunedì 29 Gennaio 1979.


Agli indios messicani - Cuilapan (Messico) - Il Papa vuol essere la vostra voce

Testo: Amatissimi fratelli indigeni e campesinos.

Soprattutto molte grazie per le parole del Signor Arcivescovo di Oaxaca.

E ugualmente grazie per le parole di uno di voi, rappresentante degli indigeni. Vi ringrazio di cuore, di tutto cuore. Mi piacevano molto le parole in lingua indigena. Mi parevano molto graziose.

E ora vi saluto con allegrezza, vi sono grato della vostra entusiasta presenza e delle parole di benvenuto che mi avete rivolto, Non trovo un migliore saluto per esprimervi i sentimenti che riempiono adesso il mio cuore, che la frase di san Pietro, il primo Papa della Chiesa: "Pace a voi che siete in Cristo". Pace a voi, che formate un gruppo così numeroso.

Anche voi, abitanti di Oaxaca, de Chiapas, de Culiacan e a quelli venuti da tante altre parti, eredi del sangue e della cultura dei vostri nobili antenati - soprattutto i "mixtecas" e gli "zapotecas" -, siete stati "chiamati ad essere santi, con tutti quelli che invocano il nome di nostro Signore Gesù Cristo" (1Co 1,2).

Il Figlio di Dio "abito tra di noi" per fare figli di Dio quelli che credono nel suo nome (cfr. Jn 1,11ss); e affido alla Chiesa la continuazione di questa missione salvifica dovunque ci siano degli uomini. Non è per niente strano che un giorno nel già lontano secolo XVI, arrivarono qui per fedeltà alla Chiesa, dei missionari intrepidi, desiderosi di assimilare il vostro stile di vita e abitudini per rivelare meglio e dare viva espressione all'immagine di Cristo. Vada il nostro grato ricordo al primo vescovo di Oaxaca, Juan José Lopez de Zarate e a tanti altri missionari - francescani, domenicani, agostiniani e gesuiti -, uomini ammirabili per la loro fede e per la loro umana generosità.

Loro sapevano molto bene quanto è importante la cultura come veicolo per trasmettere la fede, perché gli uomini progrediscano nella conoscenza di Dio. In questo non ci può essere distinzione né di razza né di cultura, "non c'è né greco né giudeo... né schiavo né libero, bensì Cristo tutto in tutti" (cfr. Col 3,9-11).

Questo costituisce una sfida e uno stimolo per la Chiesa, giacché essendo fedele al messaggio genuino e totale del Signore, deve aprirsi e interpretare tutta la realtà umana per impregnarla della forza del Vangelo (cfr. EN 20 EN 40).

Amatissimi fratelli, la mia presenza tra di voi vuole essere un segno vivo, degno di fede, di questa preoccupazione universale della Chiesa. Il Papa e la Chiesa sono con voi e vi amano: amano le vostre persone, la vostra cultura, le vostre tradizioni; ammirano il vostro meraviglioso passato, vi incoraggiano nel presente e sperano tanto per il futuro.

Pero non vorrei parlarvi solo di questo. Attraverso di voi, campesinos e indigeni, mi si presenta davanti agli occhi la moltitudine immensa del mondo rurale, parte prevalente nel continente latino-americano e comunque un settore molto vasto anche oggi nel nostro pianeta. Davanti a questo spettacolo imponente che si riflette nelle mie pupille, non posso non pensare all'identico quadro che contemplava, dieci anni fa, il mio predecessore Paolo VI, nella sua memorabile visita in Colombia, e ancor più concretamente al suo incontro con i campesinos.

Con lui voglio ripetere, e se fosse possibile con un accento ancor più forte nella mia voce, che il Papa attuale vuol essere solidale con la vostra causa, che è poi la causa del popolo umile, della gente povera (Paolo VI, Allocuzione del 23 agosto 1968: AAS 60 (1968) 621). Il Papa sta con queste masse di popolazione, quasi sempre abbandonate ad un indegno livello di vita e a volte trattate e sfruttate duramente. Facendo mia la condotta dei miei predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, e insieme quella del Concilio Vaticano II (cfr. "Mater et Magistra", "Populorum Progressio", GS 9 GS 71, ecc.), davanti a una situazione che continua ad essere allarmante, non molte volte migliore, e a volte anche peggiore, il Papa vuol essere la vostra voce, la voce di coloro che non possono parlare o di coloro che son fatti tacere, per essere coscienza delle coscienze, invito all'azione, per recuperare il tempo perduto che spesso è tempo di sofferenze prolungate e di speranze non soddisfatte.

Il depresso mondo rurale, il contadino che con il suo sudore irriga anche il suo sconforto, non può più aspettare che si riconosca in modo pieno ed efficace la sua dignità, non inferiore a quella di qualsiasi altro settore sociale. Ha diritto che lo si rispetti; che non lo si privi, con manovre che a volte equivalgono a vere spogliazioni, del poco che possiede; che non si impedisca la sua aspirazione a partecipare direttamente alla sua propria elevazione. Ha diritto che cadano le barriere di sfruttamento, spesso fatte di egoismi intollerabili e contro le quali vanno in pezzi i suoi migliori sforzi di promozione. Ha diritto all'aiuto efficace, che non sia elemosina o briciole di giustizia, perché possa accedere allo sviluppo che merita la sua dignità di uomo e di figlio di Dio. Perciò c'è bisogno di una realizzazione pronta e in profondità.

Bisogna porre in atto trasformazioni audaci, profondamente innovatrici. Bisogna intraprendere riforme urgenti, senza aspettare oltre (PP 32).

Non si può dimenticare che le misure da prendere devono essere adeguate. La Chiesa difende si il legittimo diritto alla proprietà privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogni proprietà privata grava sempre un'ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato. E se il bene comune lo esige, non c'è da dubitare davanti alla stessa espropriazione, fatta nella debita forma (PP 24).

Tutto il mondo rurale ha una grande importanza e una grande dignità. E' proprio lui ad offrire alla società i prodotti necessari per il sostentamento. E' un compito che merita l'apprezzamento e la grata stima di tutti, come riconoscimento della dignità di coloro che di quello si occupano. Una dignità che può e deve accrescersi con la contemplazione di Dio, favorita dal contatto con la natura, riflesso dell'azione divina, che ha cura dell'erba del campo, la fa crescere, la nutre; che feconda la terra dandole pioggia e vento, per alimentare anche gli animali che aiutano l'uomo, come si legge al principio del Genesi.

Il lavoro dei campi comporta non piccole difficoltà per lo sforzo che esige, per il disprezzo con il quale alle volte è considerato, e per gli ostacoli che incontra, che solo un'azione a largo raggio può risolvere. Se no continuerà la fuga dai campi verso le città, creando molti problemi di proletarizzazione intensiva e difficoltosa, condizioni di vita indegne di esseri umani, ecc.

Un male abbastanza diffuso tra i contadini è la tendenza all'individualismo, mentre un'azione meglio coordinata e solidale potrebbe essere di non poco aiuto. Pensate anche a questo, cari figli.

Se ben soppesiamo tutto, il mondo rurale possiede ricchezze umane e religiose veramente invidiabili: un radicato amore alla famiglia, senso dell'amicizia, aiuto al più bisognoso, profondo umanesimo, amore alla pace e alla convivenza civile, viva esperienza della dimensione religiosa, confidenza e apertura a Dio, promozione dell'amore alla Vergine Maria, e molte altre. E un meritato tributo di riconoscimento quello che il Papa vuole esprimervi e di cui siete creditori da parte della società. Grazie, campesinos, per il vostro valido apporto al bene sociale. L'umanità vi deve molto. Potete sentirvi orgogliosi del vostro contributo al bene comune. Grazie! E ora, da parte vostra, responsabili dei popoli, classi potenti che alle volte avete terre improduttive che nascondono il pane che manca a tante famiglie, la coscienza umana, la coscienza dei popoli, il grido dell'abbandonato, soprattutto la voce di Dio, la voce della Chiesa, vi ripetono con me: non è giusto, non è umano, non è cristiano, continuare con certe situazioni chiaramente ingiuste. Bisogna mettere in pratica misure reali, efficaci, a livello locale, nazionale, internazionale, nell'alveo della grande linea segnata dall'enciclica "Mater et Magistra" (parte terza). E' chiaro che in ciò, chi ha di più, più deve collaborare.

Amatissimi fratelli e figli. Lavorate alla vostra elevazione umana, pero non fermatevi qui. Fatevi ogni volta più degni nel campo morale e religioso. Non covate sentimenti di odio e di violenza, bensì guardate verso il Padre e Signore di tutti, che a ciascuno dà la ricompensa che merita per i suoi atti. La Chiesa sta con voi e vi esorta a vivere la vostra condizione di figli di Dio, uniti a Cristo, sotto lo sguardo di Maria, vostra santissima Madre. Il Papa vi chiede la vostra preghiera e vi offre la sua. E nel benedire voi tutti e le vostre famiglie, si congeda da voi con le parole dell'apostolo san Paolo: "Portate un saluto a tutti i fratelli con un bacio santo" (1Th 5,26).

Sia questo un appello alla speranza.

Così sia.

Data: 1979-01-29

Data estesa: Lunedì 29 Gennaio 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - I. Maestri della Verità.