GPII 1978 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)


Al Sacro Collegio nell'udienza per gli auguri - Nel cammino di san Carlo

Desidero di tutto cuore ringraziare per le espressioni di benevolenza nei riguardi della mia persona. Il giorno onomastico fa convergere sempre l'attenzione e la benevolenza dei più vicini, dei familiari, sulla persona che porta un determinato nome. Questo nome ci ricorda l'amore dei nostri genitori, che imponendolo volevano in un certo modo determinare il posto del loro bambino in quella comunità di amore che è la famiglia. Con questo nome essi, per primi, si sono rivolti a lui e, insieme ad essi, i fratelli e le sorelle, i parenti, gli amici e i compagni. E così il nome ha tracciato la via dell'uomo tra gli uomini; tra gli uomini più vicini e più affezionati.

Pero il mistero del nome va oltre. I genitori che hanno imposto al loro bambino il nome nel battesimo volevano definire il suo posto nella grande assise d'amore che è la Famiglia di Dio. La Chiesa sulla terra tende continuamente alle dimensioni di questa famiglia nel mistero della comunione dei Santi. Imponendo il nome al proprio figlio, i genitori vogliono introdurlo nella continuità di questo mistero.

I miei carissimi genitori mi hanno dato il nome di Karol (Carlo), che era anche il nome di mio padre. Certamente non hanno mai potuto prevedere (entrambi sono morti giovani) che questo nome avrebbe aperto al loro bambino la via tra i grandi eventi della Chiesa di oggi.

San Carlo! Quante volte mi sono inginocchiato davanti alle sue reliquie nel Duomo di Milano; quante volte ho ripensato alla sua vita, contemplando nella mia mente la gigantesca figura di questo uomo di Dio e servo della Chiesa, Carlo Borromeo, Cardinale, Vescovo di Milano e uomo del Concilio. Egli è uno dei grandi Protagonisti della profonda riforma della chiesa del XVI secolo, operata dal Concilio di Trento, che rimarrà per sempre unita al suo nome, come pure egli è uno degli artefici dell'istituzione dei seminari ecclesiastici, riconfermata in tutta la sua sostanza dal Concilio Vaticano secondo. Egli fu, inoltre, servo delle anime, che non si lasciava mai impaurire; servo dei sofferenti, degli ammalati, dei condannati a morte.

Mio patrono! Nel suo nome i miei genitori, la mia parrocchia, la mia patria intendevano prepararmi sin dall'inizio a un singolare servizio alla Chiesa, nel contesto dell'odierno Concilio, con i tanti compiti uniti alla sua realizzazione, e anche nell'insieme delle esperienze e sofferenze dell'uomo di oggi.

Dio vi ripaghi, venerati fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, perché in questo giorno avete voluto insieme con me venerare san Carlo nella mia indegna persona. Dio ripaghi tutti coloro che lo fanno insieme con voi.

Potessi, almeno in parte, essere suo imitatore! Spero che le vostre preghiere, le preghiere di tutti gli uomini buoni, nobili, benevoli, miei fratelli e sorelle, mi aiuteranno in questo.

Ed ora, prima che io finisca questo discorso, mi sia permesso di rivolgermi in modo del tutto particolare a lei, venerato e caro Decano del Sacro Collegio, portatore dello stesso nome di Carlo.

Abbiamo un comune patrono e nello stesso giorno festeggiamo l'onomastico.

Ricambio i migliori voti augurali. E lo faccio dal profondo del cuore, con vivissima gratitudine.

Il Decano del Sacro Collegio mi ha dimostrato grande benevolenza in questi primi giorni del mio pontificato. Le sue parole, ogni volta che parla, sono piene di amore e di dedizione; e io accolgo le espressioni che mi ha oggi rivolto come un segno di singolare appoggio per i miei primi passi all'inizio della mia nuova Missione. Lo ringrazio di cuore.

E prego affinché san Carlo, nostro comune patrono, benedica la sua persona per tutta la vita, per tutti i giorni pieni di amore per la Chiesa e segnati dallo spirito di dedizione e di servizio, che edifica noi tutti.

Con la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1978-11-04 Data estesa: Sabato 4 Novembre 1978


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preghiamo per Roma e per l'Italia

Sia lodato Gesù Cristo! Desidero dedicare l'odierna domenica specialmente ai santi patroni d'Italia. Mi rendo conto del fatto che salendo sulla Sede di Pietro a Roma mi sono trovato al centro della storia di questo Paese e di questa Nazione.

L'Italia! Chi non conosce il suo passato collegato con la potenza dell'antica Roma! Roma-città e Roma-impero. Proprio al cuore di questo antico impero è venuto Pietro, a cui Cristo aveva detto "conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32). A questa città Pietro è stato diretto dall'onnipotente mano del Signore quando lo strappo dal carcere di Gerusalemme, dalle catene di Erode.

Nel recinto del Conclave, dopo l'elezione, pensavo: che cosa diro ai Romani quando mi presentero dinanzi ad essi come il loro Vescovo, provenendo da "un Paese lontano", dalla Polonia? Mi è venuta allora in mente la figura di san Pietro. Ed ho pensato così: Quasi duemila anni fa anche i vostri Avi hanno accettato un Nuovo Venuto; adesso quindi voi pure accoglierete un altro: accoglierete anche Giovanni Paolo II, come avete accolto una volta Pietro di Galilea.

Forse non conviene ritornare su questo argomento, quando il susseguirsi delle circostanze ha confermato con quale cordialità, dopo tanti secoli, avete accolto un papa non-italiano. Desidero quindi rendere grazie anzitutto a Dio, e poi anche a voi per la magnanimità dimostratami prima ed ora. E proprio oggi voglio corrispondere in modo del tutto particolare alla vostra accoglienza.

Per questo mi reco dai vostri santi patroni, ad Assisi, la città di san Francesco, e alla tomba di santa Caterina da Siena che si trova, come sapete, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma (purtroppo, il tramonto del sole nel mese di novembre non mi permette, nello stesso giorno, di andare anche a Siena, come avrei tanto desiderato). In questo modo Giovanni Paolo II intende inserirsi nella storia della salvezza che si è impressa, in modo così eloquente e abbondante, nella storia d'Italia ed in diversi luoghi di questo Paese.

L'Italia! Roma! Questi nomi mi sono stati sempre vicini e cari. La storia della Polonia, la storia della Chiesa, nella mia Patria, sono piene di avvenimenti, che mi avvicinavano Roma e all'Italia, e che me le rendevano care, direi mie.

Cracovia, la città dalla quale provengo, spesso viene chiamata "la Roma polacca". Spero che, venendo dalla "Roma polacca" alla Roma eterna, potro, come Vescovo di Roma, servire sotto la protezione della Madre della Chiesa e dei vostri santi patroni, tutti, ma in modo particolare questa vostra amata terra e gli uomini che mi hanno accolto con tanta benevolenza.

Recitiamo l'"Angelus Domini".

Preghiamo per Roma e per l'Italia.

Raccomandiamo nella preghiera tutti gli abitanti di questa terra così benedetta da Dio.

Raccomandiamo anche tutti i suoi morti, tutti i caduti e i dispersi, vittime della guerra.

Data: 1978-11-05 Data estesa: Domenica 5 Novembre 1978


Nella Basilica di San Francesco ad Assisi (Perugia)

Titolo: Aiutateci ad avvicinare Cristo alla nostra epoca

Eccomi ad Assisi in questo giorno che ho voluto dedicare in modo particolare ai santi patroni di questa terra: l'Italia; terra alla quale Dio mi ha chiamato perché possa servire come successore di san Pietro. Dato che non sono nato su questo suolo, sento più che mai il bisogno di una "nascita" spirituale in esso. E perciò, in questa domenica, vengo pellegrino ad Assisi, ai piedi del santo Poverello Francesco, il quale ha scritto a caratteri incisivi il Vangelo di Cristo nei cuori degli uomini del suo tempo. Non possiamo meravigliarci che i suoi concittadini abbiano voluto vedere in lui il patrono d'Italia. Il Papa, che a motivo della sua missione deve avere dinanzi agli occhi tutta la Chiesa universale, sposa di Cristo, nelle varie parti del globo, ha bisogno in modo particolare nella sua sede di Roma dell'aiuto del santo patrono d'Italia, ha bisogno dell'intercessione di san Francesco d'Assisi.

E perciò oggi arriva qui.

Viene per visitare questa città sempre testimone della meravigliosa avventura divina, svoltasi a cavallo tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo.

Essa è testimone di quella sorprendente santità passata qui come un grande soffio dello Spirito. Soffio a cui partecipo san Francesco d'Assisi, la sua spirituale sorella santa Chiara e tanti altri santi nati dalla loro spiritualità evangelica.

Il messaggio francescano si è esteso lontano, oltre le frontiere d'Italia, e ben presto è giunto anche sul suolo polacco, da dove io provengo. E sempre vi opera con frutti copiosi come del resto in altri paesi del mondo e in altri continenti.

Vi diro che, come arcivescovo di Cracovia, abitavo vicino ad una antichissima chiesa francescana, e ogni tanto andavo là a pregare, a fare la "Via Crucis", a visitare la cappella della Madonna Addolorata. Momenti indimenticabili per me! Non si può non ricordare qui che proprio da questo magnifico tronco della spiritualità francescana è sbocciato il beato Massimiliano Kolbe, patrono particolare nei nostri difficili tempi.

Non posso non ricordare che proprio qui ad Assisi, in questa Basilica, nell'anno 1253, il Papa Innocenzo IV ha proclamato Santo il Vescovo di Cracovia, il Martire Stanislao, ora patrono di Polonia, di cui io fino a poco fa ero indegno successore.

perciò oggi, nel mettere per la prima volta come Papa il piede qui, alle sorgenti di questo grande soffio dello Spirito, di questa meravigliosa rinascita della Chiesa e della cristianità nel secolo tredicesimo unita con la figura di san Francesco d'Assisi, il mio cuore si apre verso il nostro patrono e grida: "Tu, che hai tanto avvicinato il Cristo alla tua epoca, aiutaci ad avvicinare Cristo alla nostra epoca, ai nostri difficili e critici tempi. Aiutaci! Questi tempi attendono Cristo con grandissima ansia, benché molti uomini della nostra epoca non se ne rendano conto. Ci avviciniamo all'anno duemila dopo Cristo. Non saranno tempi che ci prepareranno ad una rinascita del Cristo, ad un nuovo Avvento? Noi, ogni giorno, nella preghiera eucaristica esprimiamo la nostra attesa, rivolta a lui solo, nostro Redentore e Salvatore, a lui che è compimento della storia dell'uomo e del mondo.

Aiutaci, san Francesco d'Assisi, ad avvicinare alla Chiesa e al mondo di oggi il Cristo.

Tu, che hai portato nel tuo cuore le vicissitudini dei tuoi contemporanei, aiutaci, col cuore vicino al cuore del Redentore, ad abbracciare le vicende degli uomini della nostra epoca. I difficili problemi sociali, economici, politici, i problemi della cultura e della civiltà contemporanea, tutte le sofferenze dell'uomo di oggi, i suoi dubbi, le sue negazioni, i suoi sbandamenti, le sue tensioni, i suoi complessi, le sue inquietudini... Aiutaci a tradurre tutto ciò in semplice e fruttifero linguaggio del Vangelo. Aiutaci a risolvere tutto in chiave evangelica affinché Cristo stesso possa essere "Via, Verità, Vita" per l'uomo del nostro tempo.

Questo chiede a Te, figlio santo della Chiesa, figlio della terra italiana, il papa Giovanni Paolo II, figlio della terra polacca. E spera che non glielo rifiuterai, che lo aiuterai. Sei sempre stato buono e sempre ti sei affrettato a portare aiuto a tutti coloro che si sono rivolti a Te.

Ringrazio vivamente l'Eminentissimo Cardinale Silvio Oddi, Delegato Pontificio per la Basilica di San Francesco d'Assisi, e l'Eccellentissimo Vescovo di Assisi, Monsignor Dino Tomassini, e tutti gli Arcivescovi e i Vescovi della Regione pastorale Umbra, con i sacerdoti delle varie diocesi.

Un saluto e un grazie particolare ai Ministri Generali delle quattro Famiglie Francescane, alla Comunità della Basilica di San Francesco, a tutti i Francescani, a tutte le famiglie religiose - i religiosi e le religiose - che si

ispirano alla Regola, allo stile di vita di san Francesco d'Assisi.

Vi dico quello che sento nel profondo del cuore: Il Papa vi è grato per la vostra fedeltà alla Vostra vocazione francescana.

Il Papa vi è grato per la vostra operosità apostolica e missione evangelica.

Il papa vi ringrazia per le vostre preghiere per lui e secondo le sue intenzioni.

Il Papa vi assicura del suo ricordo nella preghiera.

Servite il Signore con gioia.

Siate servi del suo popolo con letizia, perché san Francesco vi ha voluti servi gioiosi dell'umanità, capaci di accendere dappertutto la lampada della speranza, della fiducia, dell'ottimismo che trova la sua sorgente nel Signore stesso. Di esempio vi sia oggi e sempre il vostro, il nostro comune santo patrono, san Francesco di Assisi! Porgo poi il mio cordialissimo e deferente saluto alle Autorità civili qui presenti: al Signor Sindaco di Assisi, ai Membri della Giunta Comunale e del Consiglio, alle Autorità civili della Regione Umbria e della Provincia di Perugia, ai Parlamentari della Regione.

Grazie! Grazie per la loro presenza, grazie per aver voluto associarsi alla comune preghiera presso la Tomba di san Francesco! Ai sentimenti della mia profonda gratitudine unisco i voti più fervidi di bene, di prosperità, di progresso per le loro persone e per l'intera carissima popolazione dell'Umbria.

Da Assisi poi, da questo luogo sacro, tanto caro a tutti gli Italiani, un commosso saluto e una particolare benedizione a tutta l'Italia, a tutti gli Italiani spiritualmente presenti a questo nostro incontro di preghiera, a tutto il popolo italiano.

Un affettuoso pensiero, e un particolare ricordo desidero riservare agli emigrati italiani, agli italiani dispersi in tutti i continenti del globo. So che nelle loro case, spesso tanto lontane da Assisi e dall'Italia, c'è sempre un ricordo portato dall'Italia e legato ad Assisi, una immagine di san Francesco e nel cuore una devozione sincera e vissuta al Poverello di Assisi. E un saluto poi a quanti si onorano del nome "Francesco", trovando nel nostro santo patrono un esempio di vita, un protettore celeste, una guida spirituale, una ispirazione interiore! Per tutti, ad Assisi, una speciale preghiera del Papa! E a tutti, da Assisi, una speciale benedizione apostolica! Data: 1978-11-05 Data estesa: Domenica 5 Novembre 1978


Presso la tomba di santa Caterina nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva (Roma)

Titolo: Segno visibile della missione della donna nella Chiesa

Volge ormai al tramonto questo giorno che ho voluto consacrare in modo particolare ai santi patroni d'Italia. Eletto dal Sacro Collegio dei Cardinali a successore di san Pietro, con profonda trepidazione ho accettato questo servizio, ritenendolo volontà di Nostro Signore Gesù Cristo. Quando mi sono reso conto di non essere nativo di questa terra, ma uno straniero, per essa, mi è venuta in mente la figura di san Pietro, anche lui straniero in Roma. così, in spirito di fede, per ubbidienza, ho accettato questa elezione, in virtù della quale sono diventato successore di Pietro e Vescovo di Roma.

Tanto più sento il bisogno d'inserirmi in questa nuova terra che Pietro ha scelto venendo da Gerusalemme, attraverso Antiochia, a Roma. E la scelse per fondare in essa la sua cattedra apostolica. Questa terra mi è sempre stata vicina; ora essa deve diventare la mia seconda patria, e perciò ho pensato di esprimere oggi in modo speciale la mia unione con questa terra, con l'Italia. Desidero far parte di essa in tutta la sua ricchezza storica e, nello stesso tempo, in tutta la sua realtà odierna. Una particolare testimonianza di ogni patria terrena degli uomini sono i propri santi, fra i quali questi due: santa Caterina da Siena e san Francesco d'Assisi; che sono stati proclamati patroni d'Italia.

Qui davanti alle reliquie di santa Caterina devo ancora una volta ringraziare la divina Sapienza perché ha voluto servirsi di questo semplice e insieme profondo cuore di donna, per mostrare, in un periodo di incertezza, la strada alla Chiesa e, specialmente, ai successori di Pietro. Quanto amore e quanto coraggio! Quanta meravigliosa semplicità, ma anche quanta meravigliosa profondità d'animo: anima aperta a tutte le ispirazioni dello Spirito consapevole della sua missione.

Auspico di cuore che, nella nostra epoca, santa Caterina, Dottore della Chiesa, continui ad essere patrona della consapevolezza della vocazione cristiana di tutti. Consapevolezza che, in modo particolare, deve maturare e approfondirsi, perché la Chiesa possa adempiere la missione affidatale da Cristo e adempierla secondo i bisogni dei nostri tempi! In santa Caterina da Siena vedo un segno visibile della missione della donna nella Chiesa. Vorrei dire molte cose su questo argomento, ma il breve spazio di tempo di questo giorno non me lo permette. La Chiesa di Gesù Cristo e degli apostoli è nello stesso tempo Chiesa-madre e Chiesa-sposa. Tali espressioni bibliche rivelano in modo chiaro quanto profondamente la missione della donna sia iscritta nel mistero della Chiesa. Potessimo insieme scoprire il multiforme significato di questa missione, andando, mano nella mano, con il mondo femminile di oggi, basandoci sulle ricchezze che sin dall'inizio il Creatore ha messo nel cuore della donna e sulla sapienza mirabile di questo cuore che Dio ha voluto rivelare, tanti secoli fa, in santa Caterina da Siena.

Come a quei tempi ella fu maestra e guida dei papi allontanatisi da Roma, oggi sia ispiratrice del Papa venuto a Roma, e avvicini a lui non solo la propria patria ma anche tutte le terre del mondo in un unico abbraccio della Chiesa Universale.

Vorrei inoltre esprimere la mia speciale gratitudine all'Eminentissimo Cardinale Ciappi, appartenente all'Ordine di san Domenico; al Maestro Generale dei Domenicani e tutti i suoi Confratelli (allo stesso tempo confratelli di santa Caterina), come pure a tutti i Vescovi qui presenti; un saluto particolare all'Eccellentissimo Arcivescovo di Siena, Monsignor Castellano, e a tutti i membri del pellegrinaggio venuto da Siena: devo scusarmi di non aver potuto recarmi alla vostra bellissima città, ma spero che potrà essere trovata un'altra occasione.

Saluto tutti e mi raccomando a tutti, e di gran cuore tutti benedico.

Data: 1978-11-05 Data estesa: Domenica 5 Novembre 1978


Ai ragazzi e ai giovani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cercate, amate, testimoniate Gesù

Siate i benvenuti, carissimi ragazzi e ragazze, e carissimi giovani. Vi saluto con tutto il cuore e vi dico che è particolarmente grande la gioia che mi recate oggi con la vostra numerosa ed affettuosa presenza. Si sta sempre bene con i giovani.

Il Papa vuole bene a tutti, ad ogni uomo e a tutti gli uomini, ma ha una preferenza per i più giovani, perché essi avevano un posto preferenziale nel cuore di Cristo, il quale desiderava rimanere con i fanciulli (Mc 10,14 Lc 18,16); e intrattenersi con i giovani; ai giovani rivolgeva particolarmente la sua chiamata (Mt 19,21); e di Giovanni, l'apostolo più giovane, aveva fatto il suo prediletto.

Vi ringrazio pertanto vivamente per essere venuti a visitarmi, portandomi il dono prezioso della vostra giovinezza, dei vostri occhi pieni di gioia e di vita, dei vostri volti splendenti di ideali.

In questo primo incontro desidero esprimervi, oltre che l'intensità dei miei sentimenti di affetto, la mia speranza. Si, la mia speranza, perché voi siete la promessa del domani. Voi siete la speranza della Chiesa e della società.

Contemplandovi, penso con trepidazione e con fiducia a ciò che vi attende nella vita e a ciò che sarete nel mondo di domani, e desidero lasciarvi, come viatico per la vostra vita, tre pensieri: cercate Gesù; amate Gesù; testimoniate Gesù.


1. Prima di tutto, "cercate Gesù"! Oggi meno che mai ci si può arrestare ad una fede cristiana superficiale o di tipo sociologico; i tempi, voi ben lo sapete, sono cambiati. L'aumento della cultura, l'influenza continua dei "mass-media", la conoscenza delle vicende umane passate e presenti, l'aumento della sensibilità e dell'esigenza di certezza e di chiarezza sulle verità fondamentali, la presenza massiccia nella società e nella cultura di concezioni atee, agnostiche e anche anticristiane, reclamano una fede personale, e cioè ricercata con l'ansia della verità, per essere poi vissuta integralmente.

Bisogna cioè giungere alla chiara e certa convinzione della verità della propria fede cristiana e cioè, in primo luogo, della storicità e della divinità di Cristo e della missione della Chiesa da lui voluta e fondata.

Quando si è veramente convinti che Gesù è il Verbo Incarnato ed è tuttora presente nella Chiesa, allora si accetta totalmente la sua "parola", perché è parola divina, che non inganna, non si contraddice, e ci dà l'unico e vero senso della vita e dell'eternità. Egli solo, infatti, ha parole di vita eterna! Egli solo è la via, la verità e la vita! Vi ripeto pertanto: cercate Gesù, leggendo e studiando il Vangelo: leggendo qualche buon libro; cercate Gesù approfittando in particolare della lezione di Religione a Scuola, dei catechismi, degli incontri nelle vostre parrocchie.

Cercare Gesù personalmente, con l'ansia e con la gioia di scoprire la verità, dà una profonda soddisfazione interiore e una grande forza spirituale per mettere poi in pratica ciò che egli esige, anche se costa sacrificio.


2. In secondo luogo, vi dico: amate Gesù! Gesù non è un'idea, un sentimento, un ricordo! Gesù è una "persona" sempre viva e presente con noi! - Amate Gesù presente nell'Eucaristia. Egli è presente in modo sacrificale nella santa Messa, che rinnova il Sacrificio della Croce. Andare a Messa significa andare al Calvario per incontrarci con lui, nostro Redentore. Egli viene in noi nella santa Comunione e rimane presente nei Tabernacoli delle nostre Chiese, perché egli è il nostro amico, è l'amico di tutti e desidera essere particolarmente l'amico e il sostegno nel cammino della vita di voi ragazzi e giovani, che siete così bisognosi di confidenza e di amicizia.

- Amate Gesù presente nella Chiesa, mediante i suoi sacerdoti; presente nella famiglia, mediante i vostri genitori e coloro che vi amano. Amate Gesù presente specialmente in chi soffre, in qualunque maniera: fisicamente, moralmente, spiritualmente. Sia vostro impegno e programma amare il prossimo scoprendo in lui il volto di Cristo.


3. E infine, vi dico: testimoniate Gesù con la vostra fede coraggiosa e con la vostra innocenza.

E' vano lamentarsi della malvagità dei tempi. Come già scriveva san Paolo, bisogna vincere il male facendo il bene (Rm 12,21). Il mondo stima e rispetta il coraggio delle idee e la forza delle virtù. Non abbiate paura a rifiutare parole, gesti, atteggiamenti non conformi agli ideali cristiani. Siate coraggiosi nel respingere ciò che distrugge la vostra innocenza o incrina la freschezza del vostro amore a Cristo.

Cercare, amare, testimoniare Gesù! Ecco il vostro impegno; ecco la consegna che vi lascio! così facendo, non soltanto conserverete nella vostra vita la vera gioia, ma beneficherete anche la società intera che ha bisogno soprattutto di coerenza al messaggio evangelico.

Questo è quanto di cuore auspico per voi, mentre di gran cuore benedico voi, tutti i vostri cari e quanti si dedicano alla vostra formazione.

Data: 1978-11-08 Data estesa: Mercoledi
1978




Al clero di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il mondo ha bisogno della nostra testimonianza sacerdotale

Signor Cardinale.


1. Desidero ringraziare di tutto cuore per le parole indirizzatemi all'inizio di questo nostro incontro di oggi. Insieme al Cardinale Vicario, a Monsignor Vicegerente, ai Vescovi Ausiliari, è qui presente il Clero della diocesi di Roma per incontrarsi col nuovo Vescovo di Roma, che Cristo ha designato mediante il voto dei Cardinali nel Conclave del 16 ottobre, dopo la morte improvvisa del tanto amato Papa Giovanni Paolo I. Devo confessarvi, cari Confratelli, che ho molto desiderato questo incontro e l'ho tanto atteso. Tuttavia, assumendo l'eredità dei miei venerabili predecessori - difatti appena tre mesi ci dividono anche dalla morte del grande Papa Paolo VI - pensavo che convenisse farlo gradualmente. Tanto più che le circostanze sono così insolite.

La successione dei Vescovi di Roma, dopo 455 anni, annovera un Papa che viene da oltre i confini d'Italia. perciò ho considerato doveroso che la presa di possesso della diocesi di Roma, unita al solenne ingresso nella Basilica di san Giovanni in Laterano, fosse preceduta da un periodo di preparazione. In questo frattempo, ho voluto inserirmi in quella magnifica corrente della tradizione cristiana d'Italia, espressa dalle figure dei suoi patroni: san Francesco d'Assisi e santa Caterina da Siena. Dopo questa preparazione, desidero adempiere al fondamentale dovere del mio pontificato, cioè prendere possesso di Roma come diocesi, come Chiesa di questa Città, assumere ufficialmente la responsabilità di questa Comunità, di questa tradizione alle origini della quale sta san Pietro apostolo. Sono profondamente consapevole di essere diventato Papa della Chiesa universale, perché Vescovo di Roma. Il ministero ("munus") del Vescovo di Roma, quale successore di Pietro, è la radice della universalità.

Il nostro incontro di oggi, nella festa della Dedicazione della Basilica Lateranense, è come una inaugurazione dell'atto solenne che avrà luogo domenica prossima. Saluto il Cardinale Vicario, Monsignor Vicegerente, i Vescovi e tutti i sacerdoti qui riuniti, sia diocesani che religiosi. A tutti porgo il più cordiale benvenuto in nome di Cristo Salvatore.


2. Con grande attenzione ho ascoltato il discorso del Cardinale Vicario. Aggiungo che, già prima del nostro incontro di oggi, egli ha avuto la bontà di farmi partecipe di varie questioni riguardanti la diocesi di Roma, e in particolare dell'attività pastorale che in essa, prima per dignità fra le diocesi della Chiesa, pesa sulle vostre spalle, cari fratelli sacerdoti.

Mentre ascoltavo il discorso, constatavo con gioia che i più essenziali problemi mi sono vicini. Essi fanno parte di tutta la mia precedente esperienza.

Venti anni di servizio vescovile e quasi quindici di direzione pastorale in una delle più antiche diocesi della Polonia, l'arcidiocesi di Cracovia, fanno si che questi problemi rivivano nei miei ricordi, costringendomi a confrontarli fra loro.

Sono del tutto cosciente di che cosa significhino l'evangelizzazione e l'attività pastorale in una città, il cui centro storico è ricco di chiese che si spopolano, mentre nello stesso tempo sorgono nuovi quartieri e borgate alle quali bisogna provvedere, spesso anche lottando per ottenere nuove chiese, nuove parrocchie, e le altre condizioni fondamentali per l'evangelizzazione. Ricordo gli ammirevoli, zelanti e spesso eroici sacerdoti, con i quali ho potuto condividere la sollecitudine e le lotte. Su questa strada, la fede, nutrita dalla tradizione, acquista nuova forza. La laicizzazione programmata oppure scaturita da abitudini e predisposizioni degli abitanti di una grande città si arresta, quando incontra una viva testimonianza di fede, che sa evidenziare anche la dimensione sociale del Vangelo.

So anche, cari fratelli, quale significato hanno le singole istituzioni e strutture a cui il Cardinale Vicario di Roma ha avuto la bontà di accennare.

Cioè la Curia, nel nostro caso il Vicariato di Roma, le Prefetture e il relativo Consiglio dei Parroci Prefetti e il Consiglio Presbiterale. Ho imparato a dare il valore giusto a tutte queste forme di lavoro di gruppo. Esse non sono soltanto strutture amministrative, ma centri per mezzo dei quali si esprime e si realizza la nostra comunione sacerdotale, e insieme l'unione del servizio pastorale e dell'evangelizzazione. Nel mio precedente lavoro vescovile mi ha reso grande servizio il Consiglio Presbiterale, sia come comunità, sia come luogo di ritrovo per condividere, insieme al vescovo, la comune sollecitudine per tutta la vita del "presbyterium" e per l'efficacia della sua attività pastorale.

Fra le istituzioni che il Cardinale Vicario ha enumerato nel suo discorso, mi sono sempre state, nel mio precedente servizio di vescovo, molto vicine e care queste tre: il seminario diocesano, l'Università di Scienze Teologiche e la parrocchia.

Come desidererei contribuire al loro sviluppo! Il seminario è infatti "la pupilla dell'occhio" non soltanto dei vescovi, ma di tutta la Chiesa locale e universale. L'Università di Scienze Teologiche - in questo caso l'Università Lateranense - mi sarà tanto cara come mi era e rimane cara la Facoltà di Teologia a Cracovia, con gli istituti annessi. Riguardo alla parrocchia, quale profonda ragione trovo nell'affermazione che il vescovo si sente più a suo agio "nella parrocchia"! Le visite alle parrocchie - fondamentali cellule organizzative della Chiesa e insieme della comunità del Popolo di Dio - come le amavo! Spero che le potro continuare anche qui per conoscere i vostri problemi e quelli delle parrocchie. A questo riguardo, abbiamo già avuto colloqui preliminari con Sua Eminenza e i Suoi Vescovi.


3. Tutto ciò che dico si riferisce a voi e vi tocca direttamente, cari fratelli sacerdoti romani. Mentre vi incontro qui per la prima volta e vi saluto con sincero affetto, ho ancora nei miei occhi e nel cuore il "presbyterium" della Chiesa di Cracovia, tutti i nostri incontri in varie occasioni, i numerosi colloqui che hanno avuto inizio fin dagli anni del Seminario, i convegni dei sacerdoti, compagni di ordinazione dei singoli corsi seminaristici, ai quali sempre sono stato invitato ed ho partecipato con gioia e profitto! Senz'altro non sarà possibile trasferire tutto ciò qui, nelle nuove condizioni di lavoro, ma dobbiamo far tutto il possibile per essere vicini, per formare l'"unum", la comunione sacerdotale, composta da tutto il clero diocesano e religioso, e da tutti i sacerdoti provenienti di varie parti del mondo che operano nella Curia Romana e che altresi si dedicano con sollecitudine al ministero pastorale. Questa comunione dei sacerdoti tra di loro e con il vescovo è la condizione fondamentale dell'unione tra tutto il Popolo di Dio. Essa costruisce la sua unità nel pluralismo e nella solidarietà cristiana. L'unione dei sacerdoti con il vescovo deve diventare la sorgente dell'unione reciproca dei sacerdoti tra loro e dei gruppi di sacerdoti. Questa unione, alla cui base troviamo la consapevolezza della propria grande missione, si esprime mediante lo scambio di servizi e di esperienze, la disponibilità alla collaborazione, l'impegno in tutte le attività pastorali, sia nella parrocchia che nella catechesi o nel dirigere l'azione apostolica dei laici.

Cari fratelli, dobbiamo amare dal più profondo dell'animo il nostro sacerdozio, come grande "sacramento sociale". Dobbiamo amarlo come l'essenza della nostra vita e della nostra vocazione, come base della nostra identità cristiana e umana.

Nessuno di noi può essere diviso in se stesso. Il sacerdozio sacramentale, il sacerdozio ministeriale, esige una particolare fede, un particolare impegno di tutte le forze dell'anima e del corpo, esige una speciale consapevolezza della propria vocazione, come vocazione eccezionale. Ognuno di noi deve, in ginocchio, ringraziare Cristo per il dono di questa vocazione: "Che cosa rendero al Signore per quanto mi ha dato? Alzero il calice della salvezza e invochero il nome del Signore" (Ps 115).

Dobbiamo prendere, cari fratelli, "il calice della salvezza". Siamo necessari agli uomini, siamo immensamente necessari, e non a mezzo servizio, a metà tempo, come degli "impiegati"! Siamo necessari come coloro che danno testimonianza e risvegliano negli altri il bisogno di dare testimonianza. E se talvolta può sembrare che non siamo necessari, vuol dire che dobbiamo cominciare a dare una testimonianza più chiara, e allora ci accorgeremo di quanto il mondo di oggi abbia bisogno della nostra testimonianza sacerdotale, del nostro servizio, del nostro sacerdozio.

Dobbiamo dare e offrire agli uomini del nostro tempo, ai nostri fedeli, al popolo di Roma questa nostra testimonianza con tutta la nostra esistenza umana, con tutto il nostro essere. La testimonianza sacerdotale, la tua, carissimo confratello sacerdote, e la mia coinvolge tutta la nostra persona. Si, il Signore sembra infatti parlarci: Ho bisogno delle tue mani per continuare a benedire, Ho bisogno delle tue labbra per continuare a parlare, Ho bisogno del tuo corpo per continuare a soffrire, Ho bisogno del tuo cuore per continuare ad amare, Ho bisogno di te per continuare a salvare" (Michel Quoist, "Preghiere").

Non illudiamoci di servire il Vangelo se tentiamo di "diluire" il nostro carisma sacerdotale attraverso un esagerato interesse per il vasto campo dei problemi temporali, se desideriamo "laicizzare" il nostro modo di vivere e di agire, se cancelliamo anche i segni esterni della nostra vocazione sacerdotale.

Dobbiamo conservare il senso della nostra singolare vocazione, e tale "singolarità" deve esprimersi anche nella nostra veste esteriore. Non vergogniamocene! Si, siamo nel mondo! Ma non siamo del mondo! Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato questa splendida verità sul

"sacerdozio universale" di tutto il Popolo di Dio, che deriva dalla partecipazione all'unico sacerdozio di Gesù Cristo. Il nostro sacerdozio "ministeriale", radicato nel Sacramento dell'Ordine, si differenzia essenzialmente dal sacerdozio universale dei fedeli. Ed è stato costituito al fine di illuminare più efficacemente i nostri fratelli e sorelle che vivono nel mondo cioè i laici sul fatto che tutti siamo in Gesù Cristo "regno di sacerdoti" per il Padre. Il sacerdote raggiunge tale fine attraverso il ministero della parola e dei sacramenti, che gli è proprio, e soprattutto attraverso il sacrificio eucaristico, per il quale solo lui è autorizzato; tutto ciò il sacerdote realizza pure attraverso uno stile adeguato di vita. perciò il nostro sacerdozio deve essere limpido ed espressivo. E se esso è nella tradizione della nostra Chiesa strettamente legato al celibato, lo è proprio per la limpidezza e l'espressività "evangelica", alla quale si riferiscono le parole di Nostro Signore sul celibato "per il regno dei cieli" (cfr. Mt 19,12).

Il Concilio Vaticano II e uno dei primi Sinodi Vescovili, quello del 1971, hanno prestato grande attenzione alle suddette questioni. Ricordiamo inoltre, che, durante tale Sinodo, il Papa Paolo VI ha elevato agli altari il beato Massimiliano Kolbe, sacerdote. Oggi desidero riferirmi a tutto ciò che e stato allora enunciato come anche a questa testimonianza sacerdotale del mio connazionale.

Vorrei confidarvi ancora un altro problema che mi sta particolarmente a cuore: le vocazioni sacerdotali per questa nostra cara Città e amata diocesi di Roma! Fatevi partecipi, cari sacerdoti, di questa mia preoccupazione e sollecitudine! Tornate ai vostri ricordi più personali. Non sta forse all'inizio della vostra vocazione un sacerdote esemplare che vi ha guidati nei vostri primi passi verso il sacerdozio? Non è, forse, il vostro primo pensiero, il vostro primo desiderio di seguire il Signore, legato ad una concreta persona di un sacerdote-confessore, di un sacerdote-amico? Torni a questo sacerdote il vostro riconoscente pensiero, il vostro cuore colmo di gratitudine. Si, il Signore ha bisogno di tramiti, di strumenti per far ascoltare la sua voce, la sua chiamata.

Cari sacerdoti, offritevi al Signore per essere i suoi strumenti nel chiamare nuovi operai alla sua vigna. Non mancano giovani generosi.

Con grande umiltà e amore chiedo a Cristo, unico ed eterno Sacerdote, per intercessione della sua e nostra Madre, tanto venerata nell'immagine conosciuta in tutto il mondo come "Salus Populi Romani" che il nostro comune servizio sacerdotale e pastorale in questa, che è la più venerabile diocesi della Chiesa Universale, sia benedetto e porti copiosi frutti. Riferendomi quindi alla preghiera sacerdotale di Gesù Cristo, finisco con queste parole: "Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola... affinché nessuno di loro si perda... perché siano consacrati nella verità" (Jn 17,11 Jn 17,19).

Data: 1978-11-09 Data estesa: Giovedi 9 Novembre 1978



GPII 1978 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)