GPII 1978 Insegnamenti - Al Sindaco di Roma - Campidoglio (Roma)


Al rito di presa di possesso del Laterano (Roma)

Titolo: Giustizia e amore

Cari fratelli e sorelle.


1. E' giunto il giorno in cui il Papa Giovanni Paolo II viene nella Basilica di San Giovanni in Laterano a prendere possesso della Cattedra di Vescovo di Roma.

Desidero inginocchiarmi in questo luogo e baciare la soglia di questo tempio, che da tanti secoli è "dimora di Dio con gli uomini" (Ap 21,3): Dio-Salvatore con il popolo della Città Eterna, Roma. Con tutti qui presenti ripeto le parole del salmo: "Quale gioia, quando mi dissero: / "Andremo alla casa del Signore". / E ora i nostri piedi si fermano / alle tue porte, Gerusalemme! / Gerusalemme è costruita / come città salda e compatta. / Là salgono insieme le tribù, / le tribù del Signore, / secondo la legge di Israele, / per lodare il nome del Signore" (Ps 121).

Non è questa un'immagine dell'odierno evento? Le antiche generazioni salivano in questo luogo: generazioni di Romani, generazioni di Vescovi di Roma, successori di san Pietro, e cantavano quest'inno di gioia, che oggi ripeto qui con voi. Mi unisco a queste generazioni, io, nuovo Vescovo di Roma, Giovanni Paolo II, polacco di origine. Mi fermo sulla soglia di questo tempio e chiedo a voi di accogliermi nel nome del Signore. Vi prego di accogliermi così come avete accolto, attraverso tutti i secoli, i miei predecessori, così come avete accolto, appena alcune settimane fa, Giovanni Paolo I, tanto amato da tutto il mondo! Vi prego di accogliere anche me.

Dice il Signore: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Jn 15,16). Questo è tutto ciò a cui posso richiamarmi: non sono qui per volontà mia.

Il Signore mi ha eletto. Nel nome del Signore vi prego dunque: accoglietemi!


2. Nello stesso tempo, esprimo il mio cordiale saluto a tutti. Saluto i Signori Cardinali e i fratelli nell'Episcopato che hanno voluto partecipare a questa cerimonia e, in particolar modo, desidero salutare te, caro fratello Cardinale Vicario, Monsignor Vicegerente e i Vescovi Ausiliari di Roma; voi diletti sacerdoti di questa mia diocesi; voi sorelle e fratelli di tanti Ordini religiosi e Congregazioni. Rivolgo un rispettoso saluto alle Autorità Governative e Civili con un riconoscente pensiero alle Delegazioni che sono qui presenti. Saluto voi tutti! e questo "tutti" vuol dire "ciascuno in particolare". Anche se non pronuncio i vostri nomi uno per uno, intendo ugualmente salutare ognuno di voi, chiamandolo per nome! Voi Romani! A quanti secoli risale questo saluto? Esso ci riconduce ai difficili inizi della fede e della Chiesa, la quale proprio qui, nella capitale dell'antico Impero, ha superato, durante tre secoli, la sua prova di fuoco: prova di vita. E ne è uscita vittoriosa. Gloria ai Martiri e ai Confessori! Gloria a Roma Santa! Gloria agli apostoli del Signore! Gloria alle catacombe, e alle basiliche della Città Eterna!


3. Entrando oggi nella Basilica di San Giovanni in Laterano, mi si presenta dinanzi agli occhi il momento in cui Maria varca la soglia della casa di Zaccaria per salutare Elisabetta, madre di Giovanni. Scrive l'Evangelista che a questo saluto "il bambino... sussulto in grembo" (Lc 1,41), e tanti Padri e scrittori aggiungono, fin dai tempi più remoti, che da quell'istante Giovanni ricevette la grazia del Salvatore. E perciò lui stesso, per primo, Lo ha annunciato. Lui per primo, con tutto il popolo d'Israele, Lo ha atteso sulle rive del Giordano. Ed è stato lui a manifestarlo al popolo con le parole: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo" (Jn 1,29), Agnello di Dio significa Redentore, significa Salvatore del mondo! Giustamente, questa Basilica, dedicata a san Giovanni Battista oltre che a san Giovanni Evangelista, è consacrata al Santissimo Salvatore. E' come se, anche oggi, così come attraverso i secoli, udissimo questa voce risuonare sulle rive del Giordano. La voce del precursore, la voce del profeta, la voce dell'amico dello Sposo. così disse Giovanni: "Egli deve crescere e io invece diminuire" (Jn 3,30). Questa prima confessione della fede in Cristo Salvatore è stata come la chiave che ha chiuso l'antica alleanza, tempo di attesa, e ha aperto la nuova alleanza, tempo di compimento. Questa prima fondamentale confessione della fede nell'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, l'avevano già sentita sulle rive del Giordano i futuri apostoli di Cristo. L'ha probabilmente sentita anche Simon Pietro. Essa lo ha aiutato a proclamare più tardi, agli inizi della nuova alleanza: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

E' giusto quindi che i successori di Pietro salgano a questo luogo per ricevere, come una volta l'ha ricevuta Pietro, la confessione di Giovanni: "Ecco l'Agnello di Dio", e trasferirla nella nuova era della Chiesa proclamando: "Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente".


4. Nella cornice di questo meraviglioso incontro dell'antico col nuovo, desidero oggi, come nuovo Vescovo di Roma, iniziare il mio ministero verso il Popolo di Dio di questa Città e di questa diocesi, che è diventata, per la missione di san Pietro, la prima nella grande famiglia della Chiesa, nella famiglia delle diocesi-sorelle. Il contenuto essenziale di questo ministero è il comandamento della carità: questo comandamento che fa di noi, uomini, gli amici di Cristo: "Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando" (Jn 15,14). "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Jn 15,9).

O Città Eterna, o cari fratelli e sorelle, o cittadini Romani! Il vostro nuovo Vescovo desidera soprattutto che rimaniamo nell'amore di Cristo, e che questo amore sia sempre più forte delle nostre debolezze. Esso ci aiuti a modellare il volto spirituale della nostra Comunità, perché davanti a questo amore spariscano gli odi, le invidie, ogni malizia e perversità, nelle grandi come nelle piccole cose, nelle questioni sociali come in quelle interpersonali. Che l'amore sia il più forte! Con quale gioia, e insieme con quanta riconoscenza ho seguito in questi ultimi giorni i numerosi episodi (la televisione me li ha resi vicini) in cui, a seguito della mancanza di personale negli ospedali, tanti si offrirono volontari, adulti e in particolare giovani, per servire con premura i malati. Se è valida la ricerca della giustizia nella vita professionale, tanto più deve essere vigile l'amore sociale. Desidero, quindi, per la mia nuova diocesi, per Roma, questo amore che il Cristo ha voluto per i suoi discepoli.

L'amore costruisce; solo l'amore costruisce! L'odio distrugge. L'odio non costruisce niente. Può solo disgregare. Può disorganizzare la vita sociale; può, tutt'al più, far pressione sui deboli, senza pero edificare nulla.

Per Roma, per la mia nuova diocesi, e insieme per tutta la Chiesa e per il mondo, desidero amore e giustizia. Giustizia e amore, affinché possiamo costruire.

In merito a questa costruzione, c'insegna oggi (nella seconda lettura) san Paolo, così come un tempo ha insegnato ai cristiani di Efeso, quando scriveva: "(Cristo) ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri... al fine di edificare il Corpo di Cristo" (Ep 4,11 Ep 4,12). E io, continuando questo pensiero alla luce del Concilio Vaticano II e riferendomi in particolare al Decreto sull'Apostolato dei Laici, aggiungerei che Cristo ci chiama, affinché diventiamo padri, madri di famiglia, figli e figlie, medici, ingegneri, avvocati, tecnici, scienziati, educatori, studenti, alunni, chiunque! Ognuno ha il suo posto in questa costruzione del Corpo di Cristo, così come ognuno ha il suo posto e il suo compito nella costruzione del bene comune degli uomini, della società, della nazione, dell'umanità. La Chiesa si costruisce nel mondo. Si costruisce con uomini vivi. All'inizio del mio servizio vescovile, domando a ciascuno di voi di trovare e definire il proprio posto nell'opera di questa costruzione.

Chiedo ancora a voi tutti Romani, senza eccezione, a voi tutti che siete oggi qui presenti e a tutti coloro a cui la voce del vostro nuovo Vescovo giungerà: Andate in spirito sulla riva del Giordano, là ove Giovanni Battista insegnava: Giovanni, patrono appunto di questa Basilica, cattedrale di Roma.

Ascoltate ancora una volta ciò che lui ha detto, indicando il Cristo: "Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo".

Ecco il Salvatore! Credete in lui con fede rinnovata, con fede tanto fervente come quella dei primi cristiani romani, che qui hanno perseverato durante tre secoli di prove e di persecuzioni.

Credete con fede rinnovata, così come è necessario per noi, cristiani del secondo millennio che sta per finire, in Cristo, Salvatore del mondo! Amen.

Data: 1978-11-12 Data estesa: Domenica 12 Novembre 1978


Ai Vescovi della Nuova Zelanda - Impegno di evangelizzazione in linea con il Concilio


Cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo! Saro sempre grato a Dio per avermi dato l'occasione di visitare la Nuova Zelanda. Anche se il mio soggiorno fra voi nel 1973 fu breve, mi diede grande gioia. Assicuratevi che il mio ricordo di quei giorni è ancora vivo e che esso costituisce per me un motivo di più per agire al fine di essere utile al vostro amato popolo nel Vangelo di Gesù Cristo. E oggi questa è la mia speranza: con la Grazia di Dio, adempiere il mio ministero papale verso di voi, miei fratelli Vescovi. Come successore di Pietro, desidero confermarvi nella professione di fede dell'apostolo; voi da parte vostra continuerete con fresco vigore e nuova forza a predicare Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente e ad assistere il vostro popolo perché realizzi in pieno la sua dignità cristiana per raggiungere il suo destino finale.

Il Concilio Vaticano II volle evitare ogni apparenza di trionfalismo nella Chiesa. A questo riguardo il Concilio pose in rilievo il fatto che Cristo chiama la sua Chiesa "a quella continua riforma della quale la Chiesa ha sempre bisogno, in quanto è un'istituzione di uomini qui in terra" (UR 6). Il Concilio non ha mai avuto intenzione di affermare che la Chiesa ha sempre a portata di mano facili soluzioni ai problemi individuali (cfr. GS 33); esso tuttavia desidero porre positivamente particolare accento sul ruolo dell'insegnamento della Chiesa: il fatto che essa è provvista di luce da Dio, al fine di offrire soluzioni a problemi che affliggono l'umanità (cfr. GS 12). Il Concilio auspico che, attraverso la predicazione del Vangelo, tutte le genti fossero illuminate dalla luce di Cristo che risplende sul volto della Chiesa (cfr. LG 1).

La Chiesa veramente riflette la luce di Cristo, e da Cristo ha ricevuto un messaggio che risponde alle fondamentali aspirazioni del cuore umano. Nella costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno noi siamo sollecitati da questo monito: "I Vescovi, ai quali è affidato il compito di guidare la Chiesa di Dio, devono, insieme ai loro sacerdoti, predicare il Vangelo di Cristo in modo tale che tutte le attività mondane dei fedeli siano immerse nella luce del Vangelo" (GS 43). Come Vescovi, voi state costantemente cercando di adempiere questo ruolo di servizio pastorale: portare il tesoro della parola di Dio con riferimento preciso alla vita di ciascun membro del gregge, di portare la luce di Cristo nella vita degli individui e delle comunità.

Desidero assicurarvi oggi che sono profondamente consapevole dei legami che ci uniscono nella Chiesa e nella sua comunione gerarchica. Voi avete le mie preghiere e il mio sostegno in tutte le vostre opere apostoliche. In particolare, sono d'accordo con voi nella missione di difendere la vita umana in tutti i vostri sforzi catechistici, in tutto il vostro lavoro per l'educazione cattolica, voi potete contare sulla solidarietà della Chiesa universale. Che lavoro importante è il provvedere all'educazione dei ragazzi attraverso le scuole cattoliche, nelle quali loro possono "progredire in tutto verso di lui che è il capo, Cristo" (Ep 4,15)! Che grande sfida è per un Vescovo custodire il deposito della dottrina cristiana, cosicché ogni nuova generazione possa ricevere la pienezza della fede apostolica! A che profonda paterna sensibilità e guida spirituale è chiamato il Vescovo, allo scopo di unirsi realmente all'intera diocesi nell'esercitare la vigilanza collettiva che è necessaria per mantenere vera l'educazione cattolica! Attraverso la parola, l'esempio e la preghiera, il Vescovo deve ispirare ogni membro della famiglia cristiana a fare la sua parte, cosicché la luce di Cristo tocchi tutta la gente in ogni aspetto essenziale della vita moderna.

Nonostante difficoltà e ostacoli, non dobbiamo mai esitare nel nostro impegno di lavoro per la ristabilizzazione dell'unità cristiana, secondo l'ardente desiderio del cuore di Cristo. L'orientamento del Concilio Ecumenico è deciso, e il suo richiamo alla conversione e santità di vita è ancor più perentorio oggi che non quattordici anni fa, quando questo appello fu fatto: "ricordino tutti i credenti in Cristo che più puramente si sforzeranno di vivere secondo il Vangelo, più incoraggeranno e praticheranno anche l'unità cristiana" (UR 7). Il grande patrimonio ecumenico del Concilio fu succintamente riassunto da Paolo VI nelle ultime righe di chiusura del suo testamento, che io propongo ancora una volta alla vostra devota meditazione e a quella dell'intera Chiesa: "Si continui l'opera di avvicinamento dei nostri fratelli separati, con più comprensione, con più pazienza e con grande amore; ma senza deviazione dalla vera dottrina cattolica". Questo delicato lavoro va al di là dell'umana potenza: solo lo Spirito Santo può portarlo a compimento. Con intensità di amore noi dobbiamo pregare il Padre: "Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà".

Con queste riflessioni riaffermo il mio affetto in Gesù Cristo per tutti i cattolici e per tutti i vostri concittadini in Nuova Zelanda. Il mio amore particolare è con il povero, l'ammalato, il sofferente. Invio anche un particolare saluto al popolo dei Maori, incoraggiandolo a rimanere forte nella fede e fervente nell'amore. La mia apostolica benedizione "a tutti voi che siete in Cristo" (1P 5,14).

Data: 1978-11-13 Data estesa: Lunedi 13 Novembre 1978


Ai religiosi e fedeli di Ernakulam (India) - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Vescovo testimone di Cristo

Carissimi amati in Cristo.

Nel corso di questo mese il card. Joseph Perecattil festeggerà il venticinquesimo anniversario della sua Ordinazione Episcopale, e io sono lieto di celebrare questo avvenimento ricevendo un gruppo di fedeli di Ernakulam.

La vostra presenza qui infatti è una rappresentanza dell'intera arcidiocesi: clero, religiosi e laici riuniti intorno al vostro Arcivescovo, uniti nella comunione di fede e di amore con la Chiesa universale, sotto la guida di Gesù Cristo, "Pastore Supremo" (1P 5,4). Il sublime misero della Chiesa locale è qui celebrato in tutta la sua bellezza, e il Vescovo di Roma trae gioia dalla vostra presenza e immenso sostegno spirituale dall'amore filiale che gli dimostrate come successore di Pietro.

Spero ardentemente che la vostra visita alla Sede di Pietro e il rinnovamento della vostra professione di fede sulla sua tomba nella Basilica abbiano un significato permanente per il resto della vostra vita. L'intera struttura della Chiesa è legata alla professione di Pietro della divinità del Signore Gesù: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Tutta la nostra ecclesiologia ha senso a partire da questa grande realtà; la nostra vocazione di Cristiani è di proclamare con l'autenticità della nostra vita ciò che accettiamo per fede.

Un Vescovo è, in particolar modo, chiamato a dare testimonianza alla fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, Figlio di Dio e Figlio di Maria. Il cardinal Perecattil ha fatto ciò per un quarto di secolo e io desidero oggi, alla presenza di tutti voi, rendere onore a lui e all'Episcopato, che è un grande dono di Dio per assicurare che la fede della sua Chiesa possa essere comunicata, sostenuta e nutrita.

I miei ringraziamenti vanno al Cardinale e a tutti voi di Ernakulam.

Nell'amore del Salvatore abbraccio tutti i membri della comunità ecclesiale, specialmente coloro che soffrono o sono afflitti per qualsiasi motivo. Vi assicuro che la Chiesa è grata per le vocazioni sacerdotali e religiose che sono nate fra di voi, e per tutti i frutti di giustizia e santità evidenti nella vostra vita cristiana.

Fortificati dalla grazia di Dio e dal prestare attenzione alle esortazioni delle Scritture, "tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede" (He 12,2): questa è la mia preghiera per Ernakulam in questa gioiosa circostanza e sempre.

Con la mia apostolica benedizione.

Data: 1978-11-14 Data estesa: Martedi 14 Novembre 1978


Agli Ufficiali e agli Allievi delle Scuole Antincendi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Prezioso servizio alla comunità

Cari giovani.

Ben volentieri ho accolto il desiderio a me espresso dai vostri Superiori di intrattenermi con voi Allievi delle Scuole Antincendi di Roma in questo Cortile di San Damaso per rivolgervi, sia pur brevemente, la mia parola di compiacimento e di plauso per quello che "siete" e per quello che "fate": - Voi "siete" giovani entusiasti e generosi che desiderate testimoniare al nuovo Papa, come già i vostri compagni maggiori hanno fatto negli anni scorsi col mio venerato predecessore Papa Paolo VI, la vostra fede in Dio e la vostra fiducia nella Chiesa. Per questo vi ringrazio e vi esprimo tutta la mia simpatia e solidarietà.

- Voi "fate" pratica per addestrarvi, nella disciplina del corpo e dello spirito, a rendere alla comunità un prezioso servizio per la difesa e per l'incolumità dei cittadini, a costo anche di gravi pericoli; ebbene: sappiate unire all'esercizio delle virtù umane, proprie della vostra futura professione, l'ideale nobile e nobilitante che vi fa scorgere nel fratello in pericolo o nel bisogno il Cristo stesso (cfr. Mt 25,31-46).

Vi auguro anche che, tornando alle vostre case, al termine del vostro tirocinio, possiate realizzare tutte codeste vostre buone intenzioni nella vita privata e in quella pubblica: nella formazione della vostra futura famiglia, che già sognate, e nell'inserimento nella società da bravi onesti cittadini, amanti del progresso, della giustizia, della pace e del mutuo rispetto.

Con questi auspici, saluto e ringrazio di nuovo gli Ufficiali del Comando, il Cappellano Capo e tutti voi, cari giovani, che siete la speranza della Chiesa e della società, e a tutti impartisco la mia benedizione, che desidero estendere ai vostri amici, ai vostri Parenti e ai vostri cari di famiglia.

Data: 1978-11-15 Data estesa: Mercoledi 15 Novembre 1978


Ai giovani nella Basilica Vaticana - Il luminoso esempio di san Stanislao Kostka

Anche oggi questa Patriarcale Basilica Vaticana è affollata di lieta gioventù, che offre ai miei occhi e soprattutto al mio cuore lo spettacolo grandioso ed esaltante.

Vi ringrazio, cari ragazzi e ragazze, e cari giovani delle scuole, delle parrocchie e delle associazioni cattoliche, per la gioia e il conforto che mi procurate con la vostra numerosa presenza, che è conferma di quanto vivamente sia sentito tra voi il problema religioso-morale, quale risposta ad aspirazioni profonde dello spirito.

Desidero assicurarvi che seguo i vostri problemi, le vostre difficoltà; condivido le vostre attese; desidero accompagnarvi nel vostro cammino.

L'ho già ripetuto in diverse occasioni: voi giovani siete la speranza della Chiesa e della società. Tale affermazione, tuttavia, a prima vista tanto evidente, ha bisogno, forse, di una sosta di riflessione.

Anzitutto, gli adulti, genitori, educatori, uomini responsabili della Chiesa o della società civile, sono veramente convinti della speranza che voi rappresentate? I motivi di ansia derivanti da alcune espressioni di vita dell'odierna gioventù, potrebbero avere affievolito tale fiduciosa certezza, fonte di intelligente e intensa operosità, in vista della vostra formazione.

E voi, cari giovani, vi sentite veramente, in profondità, speranza e lieta promessa del domani? Certo, non è sufficiente la consapevolezza di un'incipiente età anagrafica per dare il senso di quell'interiore fiducia, che sola permette di guardare all'avvenire con la tranquilla sicurezza di essere in grado di trasformare le forze operanti del mondo, per la costruzione di una convivenza veramente degna dell'uomo.

Essere giovani significa vivere in sé un'incessante novità di spirito, alimentare una continua ricerca di bene, sprigionare un impulso a trasformarsi sempre in meglio, realizzare una perseverante volontà di donazione. Chi ci consentirà tutto ciò? Ha forse l'uomo in se stesso il vigore di affrontare con le proprie forze le insidie del male, dell'egoismo e - diciamolo pure chiaramente - le insidie disgregatrici del "principe di questo mondo", sempre attivo per dare all'uomo, prima, un falso senso delle sue autonomie, e condurlo, poi, attraverso l'insuccesso, nel baratro della disperazione? A Cristo, l'eternamente giovane, a Cristo vincitore di ogni espressione di morte, a Cristo risorto per sempre, a Cristo che comunica nello Spirito Santo la continua, prorompente vita del Padre, dobbiamo ricorrere noi tutti, giovani e adulti, al fine di fondare e assicurare la speranza del domani, che voi costruirete, ma che trovasi già potenzialmente presente nell'oggi.

Cristo Gesù deve vincere; ogni volta che la sua grazia abbatte in noi le forze del male, egli rinnova la nostra giovinezza, allarga gli orizzonti della nostra speranza, fortifica le energie della nostra fiducia.

La vittoria di Cristo nei nostri cuori esige l'esercizio della virtù della fortezza, terza virtù cardinale, la quale costituisce il tema scelto per l'udienza generale di quest'oggi.

Tale virtù, che ci permette di affrontare i pericoli e di sopportare le avversità - come afferma san Tommaso d'Aquino - consente all'uomo di combattere coraggiosamente, di "agere contra" per gli ideali della giustizia, dell'onestà e della pace, dai quali vi sentite profondamente attratti. Non si può pensare di costruire un mondo nuovo senza essere forti e coraggiosi nel superare le false idee di moda, i criteri di violenza del mondo, le suggestioni del male. Tutto ciò esige che oltrepassiamo le barriere della paura per dare la nostra testimonianza a Cristo e offrire al tempo stesso - le due realtà si sovrappongono - un'immagine dell'uomo vero, che si esprime unicamente nell'amore, nel dono di sé.

Anche a voi voglio indicare l'esempio di fortezza di un giovane diciottenne, san Stanislao Kostka, patrono dei giovani, il quale, per seguire la propria vocazione allo stato religioso, pur essendo di complessione gracile e di natura sensibile, affronta l'opposizione dell'ambiente, sfugge all'inseguimento dei suoi, e compie a piedi, di nascosto, il viaggio da Vienna a Roma, per poter entrare nel Noviziato dei Gesuiti e corrispondere così alla chiamata del Signore.

La sua tomba, nella chiesa di Sant'Andrea al Quirinale, è meta, specie in questo mese, di pie visite di schiere giovanili.

Ecco, cari giovani, seguire Cristo, costruire l'uomo in voi e adoperarsi perché si costruisca negli altri, comporta coraggiosi propositi e la forza tenace di praticarli, sostenendosi a vicenda anche con forme di associazione, che consentano di unire i vostri sforzi, di approfondire scambievolmente le vostre convinzioni, d'incoraggiarvi con reciproco, amoroso aiuto.

Affidatevi alla grazia del Signore che grida dentro di noi e per noi: coraggio! La vittoria sul mondo sarà di Cristo. Volete mettervi dalla sua parte ed affrontare con lui questo combattimento dell'amore, animati da invincibile speranza e da coraggiosa fortezza? Non sarete soli; tutti saranno con voi, anche il Papa, che vi ama e che vi benedice.

Data: 1978-11-15 Data estesa: Mercoledi 15 Novembre 1978




All'Unione Internazionale delle Superiore Generali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Le religiose, luce per la Chiesa e per l'umanità

Care sorelle.

"Ecce quam bonum et iucundum habitare fratres in unum...". Voi, certo, apprezzate questo salmo; e in questo momento lo state vivendo. E' quasi finito il tempo in cui le Congregazioni religiose si incontravano poco, per ragioni geografiche e, forse, per altre ancora. Ne sia lodato Iddio! E complimenti anche a voi, sorelle mie: per diverse vie testimoniate un unico tesoro, affidato dallo stesso Cristo alla Chiesa: l'incomparabile tesoro dei consigli evangelici! Certo la vostra Unione Internazionale delle Superiore Generali esce appena dalla tenera età: non ha che tredici anni! Ma ha già portato buoni frutti, e il nuovo Papa, come il suo benemerito predecessore Paolo VI, che vi ha accolto tante volte, desidera che ne porti ancor più. Spesso davanti al mio e al vostro spirito deve esser presente la ben nota parabola della vigna e del vignaiolo (Jn 15,1-8).

Il vostro incontro ha trattato il tema "Vita religiosa e umanità nuova": tema fondamentale, antichissimo e attualissimo. Se tutto il Popolo di Dio è invitato a diventare un'umanità nuova in Cristo e tramite Cristo (costituzione LG 39-42), le vie di accesso a questa umanità nuova - in altri termini, alla santità - sono diverse, e tali devono restare. Proprio il capitolo sei della "Lumen Gentium", senza introdurre tra i membri del Popolo di Dio la minima discriminazione - sarebbe in contrasto con il progetto redentivo del Cristo Gesù, progetto di santità e di unità per il mondo -, illumina la vostra via.

Effettivamente, dopo il Concilio, le Congregazioni religiose hanno moltiplicato tempi e mezzi per l'approfondimento degli essenziali valori religiosi: li hanno opportunamente posti di nuovo nella scia di quella prima consacrazione - ontologica e incancellabile - che è il battesimo. E tutte le religiose si son come passata una parola d'ordine: "Dobbiamo essere anzitutto delle cristiane"; e un certo numero ha preferito o aggiunto quest'altra: "Cerchiamo di essere anzitutto donne". E' chiaro che queste due esortazioni non si escludono. Queste formule, che fanno colpo, han trovato favori presso gran parte del Popolo di Dio. Ma i lati positivi di una simile presa di coscienza non possono dispensare da una continua e intelligente vigilanza. Il tesoro dei consigli evangelici e l'impegno, maturo e senza ripensamenti, a farne il codice di un'esistenza cristiana non possono dipendere da un'opinione pubblica, sia pur ecclesiale. La Chiesa e, diciamo, lo stesso mondo han bisogno più che mai di uomini e donne che sacrifichino tutto, per seguire Cristo come gli apostoli. E fino a tal punto che il loro sacrificio di un amore coniugale, di beni terreni posseduti in proprio e di un uso completamente autonomo della libertà divenga inspiegabile se non riferito a un immenso amore per Cristo. Un simile radicalismo è necessario per annunziare in maniera profetica, ma sempre assai umile, questa umanità nuova, modellata sul Cristo, totalmente disponibile a Dio e totalmente disponibile per gli altri.

Ogni religiosa deve testimoniare il primato di Dio e consacrare ogni giorno un tempo abbastanza lungo a starsene davanti al Signore, per dirgli il proprio amore e soprattutto per farsi amare da lui. Ogni religiosa, col suo tono di vita, deve ogni giorno dichiarare che sceglie semplicità e povertà di mezzi per quanto riguarda la sua vita personale e di comunità. Ogni religiosa deve ogni giorno fare la volontà di Dio e non la propria, per rendere evidente che i progetti umani - i suoi e quelli della società - non sono gli unici piani della storia, ma che esiste un disegno di Dio tale da esigere il sacrificio della propria libertà.

Questo genuino profetismo dei consigli evangelici, vissuto giorno per giorno è senz'altro possibile con la grazia di Dio, non è una orgogliosa lezione data al popolo cristiano; è invece una luce assolutamente indispensabile per la vita della Chiesa, talvolta tentata di ricorrere ai mezzi di potenza; è perfino indispensabile per un'umanità che va errando per i sentieri seducenti e ingannevoli del materialismo e dell'ateismo.

E se la vostra consacrazione a Dio è davvero realtà così profonda, non è senza importanza portarne in modo permanente il segno esterno, costituito da un abito religioso semplice e conveniente: è il mezzo per ricordare continuamente a voi stesse il vostro impegno, che taglia corto sullo spirito del mondo; è una testimonianza silenziosa ma eloquente; è un segno, che il nostro mondo secolarizzato ha bisogno di trovare sul suo cammino e che, d'altra parte, molti cristiani desiderano incontrare. Vi prego di riflettervi bene.

Ecco, sorelle, il prezzo della vostra realistica partecipazione

all'annunzio e all'edificazione di questa "nuova umanità". Infatti l'uomo - al di là dei beni terreni necessari al suo vivere e ohimè! così mal distribuiti - non può venir soddisfatto se non dalla conoscenza e dall'amore di Dio, realtà inseparabili dall'accogliere e dall'amare tutti, specialmente quanti sono umanamente e moralmente più poveri. Ogni ricerca, ogni trasformazione delle vostre Congregazioni va fatta in questa ottica, altrimenti lavorate invano.

Questo, sorelle, è l'ideale verso cui tendete voi personalmente, e al quale maternamente e vigorosamente attirate le compagne del vostro viaggio evangelico. Nella pratica - lo sapete meglio che altri - di tanto in tanto urtate in circostanze inevitabili: cambiamenti sociali rapidi in un paese, scarsità e invecchiamento del personale, clima di interminabili ricerche e sperimentazioni, richieste delle giovani, ecc. Siate disponibili verso tutte queste realtà: prendetele sul serio, mai sul tragico. Cercate con calma soluzioni progressive, chiare, coraggiose. Pur restando voi stesse, cercate insieme ad altre. Soprattutto siate figlie della Chiesa: non soltanto a parole, ma a fatti! Nella fedeltà sempre rinnovata al carisma dei loro fondatori, le Congregazioni devono sforzarsi davvero di corrispondere all'attesa della Chiesa, agli impegni che la Chiesa - tramite i suoi Pastori - ritiene più urgenti oggi per affrontare una missione che ha tanto bisogno di operai specializzati. Garanzia di questo esemplare amore per la Chiesa - inseparabile dall'amore per Gesù Cristo - è il vostro dialogo con i responsabili delle Chiese locali improntato a fedeltà e dedizione a quelle stesse Chiese; e così pure rapporti fiduciosi con la nostra Congregazione per i religiosi e gli Istituti secolari.

Care sorelle, immenso è il capitale di generosità delle vostre Congregazioni: investite avvedutamente queste forze; non permettete che vadano avventatamente sciupate.

Vi prego di trasmettere ad ognuna delle vostre sorelle, qualunque sia il suo posto nella Congregazione di cui voi avete la responsabilità, l'affetto del Papa e anche la speranza che egli pone in ciascuna per il rinnovamento di una esigente pratica dei consigli evangelici e per una limpida testimonianza di ogni comunità religiosa: la loro fede ardente, lo spirito apostolico e, certo, i loro rapporti personali facciano dire a quanti cercano vie nuove in questa nostra società sfinita dal materialismo, dalla violenza e dalla paura: "Abbiamo trovato un modello da imitare". Si, sorelle mie, nella stessa Chiesa e sulle sue tracce - tra tante altre di santa Caterina da Siena e santa Teresa d'Avila - voi potete mostrare il posto che tocca alla donna.

Che lo Spirito Santo operi potentemente in voi! Con Maria, che fu di una docilità assoluta, vivete nell'ascolto della Parola di Dio e traducetela in pratica: fino alla croce.

Che il vostro dono totale a Cristo sia sempre sorgente di gioia, di dinamismo, di pace! A tutte voi, a quante rappresentate, la nostra benedizione apostolica.

Data: 1978-11-16 Data estesa: Giovedi 16 Novembre 1978


Ai Vescovi del Canada in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La disciplina sacramentale nella vita della Chiesa

Cari fratelli in Cristo.

E' ricca fonte di energia pastorale raccoglierci insieme, nel nome di Gesù e nell'unità della sua Chiesa. Per me, personalmente, è gran gioia abbracciarvi come fratelli nell'Episcopato, partecipi dello stesso Vangelo e pastori, in Canada, di una grande porzione del Popolo di Dio. Le vostre diocesi sono assai importanti per la Chiesa universale, e per me che un insondabile disegno di Dio ha ora posto sulla Sede di Pietro perché io sia il Servo di tutti.

Nei testi del Concilio Vaticano II si dà anche una genuina nozione di diocesi: "una porzione del Popolo di Dio affidata alla guida di un Vescovo assistito dal suo clero; in modo che, aderendo al suo Pastore e da lui, mediante il Vangelo e l'Eucaristia, trasformata in comunità nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa locale in cui sia davvero presente e operante la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica" (CD 11). E' mistero dell'amore di Dio questo su cui oggi stiamo riflettendo: il Vescovo come pastore di una Chiesa locale in cui vive l'unità cattolica.

Questa unità viene causata e assicurata dal Vangelo e dall'Eucaristia; infatti il Concilio ci ricorda: "Tra i principali doveri del Vescovo spicca la predicazione del Vangelo" (LG 25). Il Vescovo trova la sua identità nell'evangelizzare, nell'essere araldo di quel Vangelo che, secondo san Paolo, è "potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1,16). Alla vetta del nostro ministero di evangelizzazione si trova l'Eucaristia, che noi espressamente riconosciamo, insieme al Concilio, "come la fonte e il culmine di tutta l'evangelizzazione" (PO 5).

Dalla Parola di Dio e dalla sua più alta realizzazione nell'Eucaristia noi attingiamo gioia e forza per essere padri, fratelli e amici dei nostri preti, che hanno il compito vitale di collaborare con noi a comunicare il mistero di Cristo. Possa la felicità che il Vangelo fa scaturire nella nostra vita esser contagio per i nostri sacerdoti nel loro ministero e aiutarli a rendersi conto di quanto Cristo abbia bisogno di loro per la sua missione di salvezza. Presso la tomba di Pietro noi domandiamo umilmente anche la grazia di soddisfare alla responsabilità verso il nostro intero gregge con rinnovata fortezza e con sempre più profondo amore. E' con la potenza del Vangelo di Cristo che affrontiamo tante situazioni e problemi pastorali inerenti al nostro ministero: solo su tale fondamento riusciamo a costruire la Chiesa, che è germe, inizio del Regno di Dio sulla terra e fermento di ogni società. Nella potenza della Parola di Dio troviamo energia per promuovere la giustizia, dare testimonianza all'amore, sostenere la sacralità della vita e proclamare la dignità della persona umana e il suo trascendente destino. In breve, con la potenza del Vangelo ci presentiamo a proclamare con serenità e fiducia le imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ep 3,8).

A motivo della centralità della Parola di Dio siamo chiamati a dare assoluta priorità pastorale a una sempre più vigorosa difesa e insegnamento del deposito della fede. Su tale punto san Paolo ci esorta sempre ad apostolica vigilanza: "Davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, in nome della sua manifestazione e del suo regno, ti scongiuro: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna o no. Confuta il falso, correggi l'errore, richiama all'obbedienza ma fa tutto ciò con pazienza e con intento di insegnare" (Ep 4,1-3).

Allo stesso tempo, in quanto vescovi, siamo esortati a profondo interesse pastorale e premura per la disciplina comune a tutta la Chiesa (cfr. LG 23). Questo esige sensibilità per la delicata azione dello Spirito Santo nella vita del nostro popolo; e insieme comporta umile presa di coscienza che tale azione viene compiuta particolarmente attraverso il ministero dei vescovi: a loro, in unione con l'intero Collegio Episcopale e il suo Capo, Pietro, è promessa l'assistenza dello Spirito Santo, perché possano efficacemente guidare i fedeli a salvezza.

In questo momento, nella vita della Chiesa ci sono due particolari aspetti della disciplina sacramentale degni della speciale attenzione della Chiesa universale: desidero ricordarli per essere accanto a tutti i vescovi, ovunque si trovino. Sono temi che fanno parte di quella disciplina generale della quale la Santa Sede ha primaria responsabilità: e il Papa desidera star vicino ai suoi fratelli nell'Episcopato e offrir loro una parola di incoraggiamento e di orientamento pastorale per il bene dei fedeli. Si tratta della pratica della prima Confessione in vista della prima Comunione; e, ancora, della questione relativa alla assoluzione generale.

Dopo una iniziale sperimentazione, nel 1973 Paolo VI riaffermo la disciplina della Chiesa Latina circa la prima Confessione. Con spirito di esemplare fedeltà numerosi vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi, professori e catechisti si dedicarono a spiegare l'importanza di una disciplina che l'autorità suprema della Chiesa aveva confermato; e la tradussero in pratica a vantaggio dei fedeli. E per le comunità ecclesiali fu di conforto sapere che la Chiesa universale dava rinnovata assicurazione circa un tema pastorale su cui, in precedenza, vigeva una leale divergenza di opinioni. Sono grato a voi per la vostra personale vigilanza in tale campo, e vi prego di continuare a spiegare l'ansia della Chiesa che venga conservata questa disciplina universale, così ricca di fondamento dottrinale e confermata dall'esperienza di tante Chiese locali.

Circa i bambini che hanno raggiunto l'età della ragione la Chiesa è lieta di garantire il valore pastorale del fatto che essi abbiano già sperimentato la manifestazione sacramentale della conversione prima di venir ammessi a partecipare al Mistero Pasquale nell'Eucaristia.

Come Supremo Pastore, Paolo VI manifesto uguale profonda cura per il grande tema della conversione nel suo aspetto di Confessione individuale.

All'inizio di quest'anno, durante una visita "ad limina" (Discorso del 20 aprile 1978 ai Vescovi degli Stati Uniti d'America) egli accenno con una certa insistenza alle Norme Pastorali che regolano l'uso dell'assoluzione generale; e mostro che esse sono effettivamente collegate all'insegnamento solenne del Concilio di Trento circa il precetto divino della confessione individuale. Ancora una volta egli sottolineo il carattere del tutto eccezionale dell'assoluzione generale; e, insieme, chiese che i Vescovi aiutassero i loro sacerdoti a "ritenere il loro ministero di Confessori come uno dei più importanti... Altre attività dovrebbero venir prosposte o tralasciate: ma non il confessionale".

Vi ringrazio per quanto avete fatto e ancora farete per illustrare l'importanza della sapiente disciplina della Chiesa in un settore così intimamente collegato all'opera della riconciliazione. In nome del Signore Gesù e insieme all'intera Chiesa, assicuriamo tutti i nostri sacerdoti della grande efficacia soprannaturale di un perseverante ministero della Confessione auricolare esercitato nella fedeltà al comando del Signore e all'insegnamento della sua Chiesa. E ancora una volta cerchiamo di sottolineare davanti ai nostri fedeli i grandi vantaggi che vengono da una confessione frequente. Io sono ben convinto delle parole del mio predecessore Pio XII: "Non senza ispirazione dello Spirito Santo, venne introdotta questa pratica nella Chiesa" (AAS 35 (1943) 235).

Lo stesso Nostro Signore Gesù Cristo ha insistito sulla naturale indissolubilità del matrimonio; e la sua Chiesa non deve permettere che il suo pensiero su tal punto venga offuscato. Sarebbe infedele al suo Maestro se non insistesse, come lui, che chiunque rimanda sua moglie o suo marito e crea una nuova unione commette adulterio (Mc 10,11-12). L'inscindibile unione di marito e moglie è un grande mistero, un segno sacramentale in rapporto con Cristo e la Chiesa; salvando la trasparenza di tale segno manifesteremo in maniera ottimale quell'amore che esso simboleggia, cioè l'amore che unisce Cristo e la Chiesa e che lega insieme Salvatore e salvati.

E, in tutte le vostre attività pastorali, contate sul mio amore fraterno: resto unito a voi e al vostro clero - per il quale prego ogni giorno - e con voi rendo grazie a Dio per i grandi favori accordati ai fedeli delle vostre diocesi: per il loro rinnovato sentimento di solidarietà con la missione della Chiesa, per i vividi segni di risveglio spirituale, per l'accresciuta devozione alla Parola di Dio, per la più profonda comprensione della responsabilità sociale e per la fortezza dei giovani nel rispondere alla chiamata di Cristo. Possa l'auspicato rinnovamento includere anche continuazione e sviluppo della splendida eredità Canadese di servizio al Vangelo: in particolare fornendo a tutta la Chiesa gran numero di missionari che diffondano la Parola di Cristo.

Che la gioia e la pace di Cristo Gesù sia potentemente comunicata dal ministero pastorale vostro e dei vostri amati sacerdoti. E che tutti noi troviamo coraggio e perseveranza dal constatare appieno che "la nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo" (1Jn 1,3).

Cari fratelli, seguendo l'esempio dei vostri predecessori siete venuti ad inginocchiarvi sulla tomba dell'apostolo Pietro; così ho fatto anch'io tante volte, venendo da Cracovia.

Questo atto personale e comunitario, sempre commovente, esprime un senso molto profondo, un impegno assai rigoroso. Tutti sappiamo che l'umile pescatore di Galilea - pur in dipendenza dal Cristo, che è l'unica pietra angolare - tuttavia è stato da Gesù stesso chiamato la Roccia della Chiesa. E' questa Roccia che permette al Popolo di Dio di crescere nel tempo e nello spazio su solide fondamenta, cioè sull'indispensabile fede; solo grazie a questa Roccia tale popolo rimane in unione profonda e stabile col Cristo, Fonte di vita; solo così conserva

e ricostruisce l'unità tra i discepoli e resiste all'usura del tempo e alle correnti esterne - e talora interne - di dissoluzione e disgregazione. Oh! certo, lo Spirito Santo è sempre in attività, e con voi io godo degli inattesi rinnovamenti, dei veri approfondimenti che constatate nelle vostre comunità: sono frutti dello Spirito. E tuttavia, noi pastori dobbiamo essere vigili e accorti, nella speranza e nell'umiltà: le forze della dissoluzione e disgregazione sono anch'esse attive, e sempre attuale è la parabola del buon grano e della zizzania.

E' per questo che noi pastori, per primi, dobbiamo professare ben chiara la fede, la dottrina della Chiesa, tutta la dottrina della Chiesa. E' per questo che dobbiamo aderire e sollecitare francamente l'adesione dei fedeli alla disciplina sacramentale della Chiesa, garante della continuità e dell'autenticità dell'azione salvatrice di Cristo, garante della dignità e dell'unità del culto cristiano, e finalmente garante della genuina vitalità del Popolo di Dio. Ecco quanto esige la nostra comune missione di servire la salvezza delle anime. Ecco quanto implica, soprattutto, la visita "ad limina Apostolorum".

Che il Signore Gesù vi aiuti lui stesso a diventare, con Pietro, la roccia su cui si edifichino le vostre comunità; quanto a me, mio compito è contribuire a rendervi forti: vi accompagnero nel vostro lavoro con la preghiera.

Pregate anche voi per me.

E benediciamo, tutti insieme, le vostre care comunità diocesane.

Data: 1978-11-17 Data estesa: Venerdi 17 Novembre 1978



GPII 1978 Insegnamenti - Al Sindaco di Roma - Campidoglio (Roma)