GPII 1987 Insegnamenti - Ai sacerdoti statunitensi - Miami (Stati Uniti)

Ai sacerdoti statunitensi - Miami (Stati Uniti)

Titolo: Il magistero per guidare la comunità alla piena verità

Testo:

Miei cari confratelli sacerdoti.


1. Trovandomi qui oggi, voglio aprivi il mio cuore e celebrare insieme con voi il sacerdozio al quale tutti partecipiamo: "Vobis sum episcopus, vobiscum sacerdos".

Sono convinto che non vi può essere miglior modo di cominciare che volgere i nostri pensieri e i nostri cuori a quel pastore che conosciamo tutti il buon pastore, l'unico sommo sacerdote, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Il mio cuore è colmo di gratitudine e di lode nell'esprimere il mio amore per il sacerdozio, la bellissima vocazione, la meravigliosa vocazione alla quale partecipiamo non perché ne siamo degni, ma perché Cristo ci ha amati, ci ama e ci ha affidato questo particolare ministero di servizio. E ringrazio Dio per voi, cari confratelli sacerdoti. Cito le parole di san Paolo: "Ringrazio Dio... ricordandomi sempre di voi nelle mie preghiere, notte e giorno" (2Tm 1,3).

Sono anche grato a voi, confratelli sacerdoti, per il vostro benvenuto ispirato ad amore fraterno, espresso personalmente e per tramite di padre McNulty quale vostro rappresentante. Rivolgo le mie parole a tutti voi qui presenti e a tutti i sacerdoti negli Stati Uniti. A tutti esprimo la mia gratitudine per il vostro ministero, la vostra perseveranza, la vostra fede e il vostro amore, per il fatto stesso che cercate di vivere il sacerdozio, vicini al popolo, in verità: la verità di essere ministri di Cristo il buon pastore.

Come sacerdoti, abbiamo tutti "un tesoro in vasi di creta" (2Co 4,7).

Senza alcun merito nostro, e con tutte le nostre debolezze, siamo stati chiamati a proclamare la parola di Dio, a celebrare i sacri misteri, specialmente l'Eucaristia, ad aver cura del popolo di Dio, a continuare il ministero di riconciliazione affidatoci dal Signore. Siamo così servitori sia del Signore che del suo popolo, e siamo noi stessi continuamente chiamati alla conversione, continuamente invitati a "camminare in una via nuova" (Rm 6,4).

Confratelli sacerdoti carissimi, sono venuto negli Stati Uniti per confermarvi nella vostra fede, secondo la volontà di Cristo (cfr. Lc 22,32). Sono venuto a voi perché desidero che tutte le distanze siano colmate, perché, insieme possiamo crescere e diventare sempre più realmente una comunione di fede, di speranza e di carità. Vi confermo nei doni preziosi che avete ricevuti e nella generosa risposta che avete dato al Signore e al suo popolo, e vi incoraggio a diventare sempre più simili a Gesù Cristo, il sommo sacerdote eterno, il buon pastore.

San Paolo ci ricorda, come già ricordava a Timoteo, di essere intrepidi nel servire Cristo: "Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro... ma soffri anche tu per il Vangelo, aiutato dalla forza di Dio" (2Tm 1,7-8). Sappiamo che proclamare il Vangelo e vivere il proprio ministero fino in fondo comporta inevitabili sofferenze. Sarebbe errato ridurre la vita sacerdotale a quest'unica dimensione di sofferenza, ma sarebbe anche errato non riconoscere questa dimensione o risentirsene quando la incontriamo. Non siamo esenti dalla condizione umana, né potremo mai sfuggire a quello svuotamento dell'Io, sull'esempio di Gesù che "fu messo egli stesso alla prova per aver sofferto personalmente" (He 2,18)


2. E' importante per noi trovare soddisfazione nel nostro ministero, e avere le idee chiare riguardo alla natura della soddisfazione che possiamo aspettarci. La salute fisica ed emotiva dei sacerdoti è un fattore importante per il loro benessere umano e sacerdotale complessivo, ed è necessario provvedere ad essa. Mi compiaccio che i vostri vescovi e voi stessi abbiate dedicato particolare attenzione a queste cose in questi ultimi anni. Eppure il senso di realizzazione che proviene dal nostro ministero non consiste, dopo tutto, in un benessere fisico o psicologico; né può mai consistere nell'agiatezza e sicurezza materiale. La nostra realizzazione dipende dalla nostra relazione con Cristo e dal servizio che possiamo offrire al suo corpo, la Chiesa. Ciascuno di noi è più autenticamente se stesso quando è "per gli altri".


3. Proprio qui sorge naturalmente un problema per noi nel nostro ministero. Ci vengono chieste tante cose da tante persone differenti, e così spesso la nostra risposta sembra inadeguata alle loro necessità. Talvolta la cosa è dovuta alle nostre limitazioni umane. Siamo forse tentati allora di cedere a un'eccessiva autocritica, dimenticandoci che Dio può servirsi tanto della nostra debolezza quanto della nostra forza per compiere la sua volontà.

E' un vostro grande merito, fratelli, sforzarvi di essere misericordiosi, gentili e indulgenti come il buon pastore che conoscete, imitate e amate, al quale avete promesso la vostra fedeltà. Nessun'altra via è possibile.

Talvolta, tuttavia, ciò che vi si chiede in nome della compassione può non essere in accordo con la piena verità di Dio, la cui legge eterna d'amore non può mai contraddire il fatto che egli è sempre "ricco di misericordia" (Ep 2,4).

La misericordia autentica tiene conto del progetto di Dio per l'uomo, e questo progetto - contrassegnato dal segno della croce - è stato rivelato da un sommo sacerdote misericordioso, che sa "compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato" (He 4,15). Se invece quello che dovrebbe essere un gesto di misericordia è contrario alle esigenze della parola di Dio, non potrà mai essere realmente compassionevole e giovevole per i nostri fratelli e sorelle bisognosi. Gesù, che era lui stesso perfetta espressione dell'amore del Padre, era anche consapevole di essere "segno di contraddizione" (Lc 2,34). L'apostolo Giovanni ci dice che, a un certo punto nel ministero del Signore, "molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui" (Jn 6,66).

E oggi vi sono realmente molti problemi delicati che i sacerdoti devono trattare nel loro ministero di ogni giorno. So bene, avendo ascoltato molti sacerdoti e vescovi, che esistono diversi approcci a questi problemi. Ciò che è visto in un modo da alcuni dei nostri confratelli viene valutato differentemente da altri. Si, abbiamo tutti problemi che sorgono dall'esercizio del nostro sacerdozio, problemi che esigono da noi di ricercare continuamente la luce e la saggezza che vengono soltanto dallo Spirito Santo.

Ma a questo riguardo è importante per noi renderci conto che lo stesso Spirito Santo, dal quale scaturiscono tutti i diversi e meravigliosi carismi, e che risiede nel cuore di tutti i fedeli, ha posto nella Chiesa lo speciale carisma del magistero, con il quale guida l'intera comunità alla pienezza della verità.

Attraverso l'azione dello Spirito Santo viene costantemente adempiuta la promessa di Cristo; "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Sappiamo che attraverso il Concilio Vaticano II la Chiesa ha espresso chiaramente e collegialmente il suo insegnamento su molti di questi problemi delicati, e che gran parte di questo insegnamento è stata successivamente ripetuta nelle differenti sessioni del Sinodo dei vescovi. Per la sua stessa natura, questo insegnamento della Chiesa è dunque normativo per la vita della Chiesa e per l'intero servizio pastorale. Il Sinodo imminente, previa un'ampia consultazione e la fervente preghiera esaminerà a lungo altri importanti problemi nella vita della Chiesa, e assumerà un atteggiamento pastorale nei loro riguardi.

Mi rendo ben conto che la vostra fedeltà alla volontà di Cristo riguardo alla sua Chiesa e la vostra sensibilità pastorale richiedono grandi sacrifici e grande generosità di spirito. Come dissi ai vescovi degli Stati Uniti poche settimane dopo essere stato eletto Papa: "Come voi, ho imparato come vescovo a capire il ministero dei sacerdoti, i problemi che toccano la loro vita, i meravigliosi sforzi che fanno, i sacrifici che sono parte integrante del loro servizio al popolo di Dio. Come voi, sono perfettamente consapevole di quanto Cristo faccia affidamento sui suoi sacerdoti per compiere col tempo la sua missione di redenzione" (9 novembre 1978).


4. Nell'esprimere la convinzione che Cristo ha bisogno dei suoi sacerdoti e vuole associarli a sé nella sua missione di salvezza, dobbiamo anche sottolineare la conseguenza di questo: la necessità di nuove vocazioni sacerdotali. E' assolutamente necessario che tutta la Chiesa lavori e preghi per questa intenzione. Come padre McNulty ha detto così bene, noi sacerdoti dobbiamo personalmente invitare giovani generosi a dedicare la loro vita al servizio del Signore; devono essere realmente attratti dalla gioia che proiettiamo nelle nostre vite e nel nostro ministero.

Vi è un altro elemento ancora da considerare quando valutiamo il futuro delle vocazioni, ed è la potenza di Cristo, del mistero pasquale di Cristo. Come Chiesa di Cristo, siamo tutti chiamati a professare la sua potenza davanti al mondo; a proclamare che, in virtù della sua morte e risurrezione, siamo capaci di attirare a lui giovani, in questa generazione come nel passato; a dichiarare che egli è abbastanza forte per attirare oggi stesso giovani a una vita di abnegazione, di puro amore e di totale dedizione al sacerdozio. Nel professare questa verità, nel proclamare con fede la potenza del Signore della messe, abbiamo il diritto di aspettarci che esaurisca le preghiere che egli stesso ha comandato di offrire. L'ora attuale invita a una grande fiducia in lui, che ha vinto il mondo.


5. L'autentico rinnovamento della Chiesa, iniziato dal Concilio Vaticano II, è stato un grande dono ci Dio al suo popolo. Attraverso l'azione dello Spirito Santo, è stato realizzato un bene immenso. Dobbiamo continuare a pregare e lavorare perché lo Spirito Santo porti il suo progetto a compimento in noi. A questo riguardo i sacerdoti hanno un ruolo insostituibile da svolgere nella vita rinnovata della Chiesa. La Chiesa viene rinnovata ogni giorno dalla grazia mentre cerca una comprensione più profonda e più penetrante della parola di Dio; mentre cerca di adorare più autenticamente in spirito e in verità; mentre riconosce e sviluppa i doni di tutti i suoi membri. Queste dimensioni di rinnovamento rendono necessari quei compiti incessanti dei sacerdoti che conferiscono al loro ministero il suo carattere unico: il ministero della parola e del sacramento, la cura del gregge di Cristo.

Il vero rinnovamento presuppone la proclamazione chiara, fedele ed efficace della parola di Dio. Il Concilio Vaticano II indicava che questo è il primo compito del sacerdote (PO 4). Coloro che predicano devono farlo con dinamica fedeltà, il che significa essere fedeli a ciò che ci tramandano la Tradizione e la Scrittura insegnate dall'autorità pastorale vivente della Chiesa, e fare ogni sforzo per presentare il Vangelo nella maniera più efficace possibile nella sua applicazione alle circostanze nuove della vita. Ogni volta che la parola viene proclamata in maniera autentica, la parola redentrice di Cristo continua. Ma ciò che viene proclamato deve prima essere vissuto.

Il rinnovamento nella grazia e nella vita di Cristo dipende dallo sviluppo della vita di culto della Chiesa. Poiché noi sacerdoti presiediamo alla liturgia, dobbiamo conoscere e apprezzare i riti della Chiesa con lo studio e con la preghiera. Siamo chiamati a presiedere celebrazioni che sono fedeli alla disciplina della Chiesa e legittimamente adattate, conformemente alle norme, al bene del popolo.

Un rinnovamento autentico è legato anche al modo in cui i sacerdoti esercitano il loro compito di curare il gregge di Dio, incoraggiando in particolare i fedeli a fare uso dei loro doni nell'apostolato e in varie forme speciali di servizio. L'impegno della Chiesa all'evangelizzazione, alla proclamazione della parola di Dio, alla chiamata del popolo alla santità di vita, non può essere sostenuto senza gli sforzi instancabili e il supporto disinteressato dei sacerdoti. Per quanto riguarda l'invito del popolo a conversione come lo fece Gesù - la conversione totale del Vangelo - l'esempio dei sacerdoti è estremamente importante per l'autenticità della vita della Chiesa.

Questo è particolarmente vero nell'uso che facciamo noi stessi del sacramento di Penitenza, attraverso il quale veniamo ripetutamente convertiti al Signore. Su questa condizione poggia la piena, soprannaturale efficacia del nostro "ministero di riconciliazione" (2Co 5,18) e di tutta la nostra vita sacerdotale.

L'esperienza della Chiesa c'insegna che "la celebrazione dell'Eucaristia e il ministero degli altri sacramenti, lo zelo pastorale, il rapporto con i fedeli, la comunione con i confratelli, la collaborazione col vescovo, la vita di preghiera, in una parola tutta l'esistenza sacerdotale, subisce un inesorabile scadimento, viene a mancare, per negligenza o per qualsiasi altro motivo, il ricorso, periodico e ispirato da autentica fede e devozione, al sacramento della Penitenza.

In un prete che non si confessasse più o si confessasse male, il suo essere prete e il suo fare il prete ne risentirebbero molto presto e se ne accorgerebbe anche la comunità, di cui egli è pastore" (RP 31).

La gente si aspetta che siamo uomini di fede e di preghiera. La gente guarda a noi per la verità di Cristo e per l'insegnamento della Chiesa. Chiede di vedere l'amore di Cristo incarnato nelle nostre vite. Tutto questo ci rammenta una verità molto fondamentale che il sacerdote è "un altro Cristo". In un certo senso, noi sacerdoti siamo Cristo per tutti coloro ai quali provvediamo. Questo vale per tutti gli aspetti della nostra opera sacerdotale, ma ancora più nel sacrificio eucaristico, dal quale scaturisce la nostra identità di sacerdoti e nel quale essa viene espressa più chiaramente ed efficacemente.

Questa verità riveste particolare importanza anche per il nostro servizio quali ministri del sacramento di Riconciliazione, attraverso il quale rendiamo un servizio insostituibile alla causa della conversione e della pace, e all'avvento del regno di Dio sulla terra. Vorrei ripetere a questo punto le parole che a suo tempo rivolsi ai sacerdoti della Chiesa: "Onore dunque a questo silenzioso esercito di nostri confratelli, che hanno ben servito e servono ogni giorno la causa della riconciliazione mediante il mistero della penitenza sacramentale" (RP 29).

Nella sua missione al mondo la Chiesa viene rinnovata quando chiama gli uomini a rispondere al comandamento divino dell'amore, e quando sostiene e promuove i valori del Vangelo laddove incidono sulla vita pubblica. Facendo questo la Chiesa diventa una voce profetica in questioni di verità e di giustizia, di misericordia e di pace. In questi compiti che coinvolgono il mondo, la guida del ministero sacerdotale è stata e continua ad essere decisiva. I sacerdoti che incoraggiano e sostengono i laici aiutano costoro ad esercitare la loro missione che è quella di portare i valori del Vangelo nella vita pubblica. I sacerdoti e i laici che collaborano gli uni con gli altri possono così spronare la società stessa a difendere la vita, a difendere tutti i diritti dell'uomo a proteggere la vita della famiglia, a lavorare per una maggior giustizia sociale, a promuovere la pace.


6. Una delle cose più importanti che i sacerdoti degli Stati Uniti hanno sperimentato dopo il Concilio è stata il rinnovamento della loro vita spirituale.

Molti sacerdoti hanno cercato questo rinnovamento in gruppi di sostegno fraterno, attraverso la direzione spirituale, ritiri e altri impegni lodevoli. Questi sacerdoti hanno visto il loro ministero rivitalizzato da una riscoperta dell'importanza della preghiera personale. Mentre continuate a scoprire Cristo nella vostra preghiera e nel vostro ministero, sperimenterete più profondamente che egli - il buon pastore - è il centro stesso della vostra vita, il significato stesso del vostro sacerdozio.

Cari confratelli: parlandovi di preghiera, non vi dico cose che non sapete né vi esorto a fare cose che non praticate già. La preghiera è stata parte integrante della vostra vita quotidiana, sin dai vostri anni di seminario e anche prima. Ma la perseveranza nella preghiera, come sapete, è difficile. L'aridità dello spirito, le distrazioni estreme, il pensiero allettante che potremmo trascorrere il nostro tempo più utilmente: queste cose sono familiari a chiunque si sforzi di pregare. In un momento o in un altro, questi elementi aggrediranno inevitabilmente la vita di preghiera di un sacerdote.

Per noi sacerdoti la preghiera non è né un lusso né una scelta da prendere o da accantonare secondo la nostra convenienza. La preghiera è essenziale alla vita pastorale. Attraverso la preghiera cresciamo nella sensibilità allo Spirito di Dio che è all'opera nella Chiesa e in noi stessi. Siamo inoltre resi più consapevoli degli altri, diventiamo "attenti ai loro bisogni, alla loro vita e al loro destino" (cfr. Lettera del Giovedi Santo ai sacerdoti, 1987, n. 11).

Attraverso la preghiera finiamo insomma per amare profondamente coloro che Gesù ha affidati al nostro ministero. Ha grande importanza per la nostra vita e per il nostro mistero la grande preghiera di lode - la Liturgia delle Ore - che la Chiesa c'ingiunge e che preghiamo in suo nome e in nome di nostro Signore Gesù Cristo.


7. Negli anni recenti, i sacerdoti spesso mi hanno parlato della necessità di sostegno nel loro ministero. Le sfide del servizio sacerdotale oggi sono grandi, e la richiesta di energie nel nostro tempo sembra aumentare ogni giorno. In tali circostanze siamo facilmente tentati dallo scoraggiamento! Ma, cari fratelli, in questi tempi è più importante che mai dare ascolto al consiglio della Lettera agli Ebrei: "...tenendo fisso lo sguardo su Gesù autore e perfezionatore della fede.

Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a Colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo" (He 12,2-4).

L'incoraggiamento e il sostegno che troviamo l'uno nell'altro è un grande dono dell'amore di Dio, una caratteristica del sacerdozio di Cristo. La crescita del reciproco sostegno tra i fratelli sacerdoti attraverso la preghiera e la condivisione, è un segno ancora più incoraggiante. Lo stesso si può dire, a un diverso livello, per lo sviluppo dei concili presbiterali affidati alla solidarietà dei sacerdoti tra loro e con il loro vescovo nella missione della Chiesa universale. Come sacerdoti abbiamo bisogno di esempi di ministero sacerdotale, "artisti" del lavoro pastorale che ci ispirino e intercedano per noi, sacerdoti come Filippo Neri, Vincenzo de Paoli, Giovanni Vianney, Giovanni Bosco, Massimiliano Kolbe. E possiamo anche riflettere sulle vite sacerdotali di uomini che abbiamo conosciuto personalmente, sacerdoti esemplari che ci ispirano perché hanno vissuto il ministero sacerdotale di Gesù Cristo con profonda generosità e amore.

Per perseverare nel nostro ministero pastorale abbiamo bisogno soprattutto di "una cosa soltanto" che Gesù ci richiede (cfr. Lc 10,42). Dobbiamo conoscere il pastore molto bene, è necessario un rapporto profondo e personale con Cristo, sorgente e modello supremo del nostro sacerdozio, un rapporto che richiede l'unione nella preghiera. Il nostro amore in Cristo rinnovato frequentemente nella preghiera, specialmente davanti al santissimo Sacramento, è alla base del nostro impegno al celibato. Questo amore ci rende capaci, come servitori del regno di Dio, di amare la nostra gente liberamente e in modo profondo e casto.

Miei cari fratelli condividendo il sacerdozio di Cristo, noi condividiamo le stesse gioie e preoccupazioni. E' una grande gioia per me essere con voi oggi. Vi ringrazio nuovamente per il dono di voi stessi a Cristo e alla Chiesa. Voglio che sappiate che vi sono vicino nei vostri sforzi per servire il Signore e il suo popolo. Vi esprimo la mia gratitudine, la mia preghiera, il mio sostegno e il mio amore. Concludendo spero che ognuno di voi faccia esperienza della gioia di cui parla il salmista: "Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme" (Ps 132),1.

Cari fratelli sacerdoti, l'unità cattolica è una vocazione. Come sacerdoti in America siete chiamati a vivere questa unità cattolica nelle Chiese particolari, nelle diocesi alle quali appartenete. Ma queste Chiese particolari non sono mai completamente unite tra loro, né più fedeli alla loro identità se non quando esse vivono nella piena comunione di fede e di amore con la Chiesa universale. Sopra il vostro ministero sacerdotale c'è il mistero dell'unità ecclesiale, che siete chiamati a vivere in sacrificio e amore in comunione con Maria Madre di Gesù.

La protezione e il tenero amore della nostra Santa Madre sono un grande sostegno per tutti noi sacerdoti. La sua preghiera ci assiste, il suo esempio ci sprona, la sua vicinanza ci consola. In sua presenza sperimentiamo la gioia e la speranza di cui abbiamo tanto bisogno. Non è il giorno e l'ora di rivolgerci a lei come abbiamo fatto nel giorno della nostra ordinazione e affidare ancora a lei noi stessi, il nostro popolo e il nostro sacro ministero? Perché? Per la gloria del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Cari sacerdoti d'America, cari fratelli: "Il mio amore a tutti voi in Cristo Gesù" (1Co 16,24).

1987-09-11 Data estesa: Venerdi 11 Settembre 1987




Al Presidente Reagan al Museo "Vizcaya" - Miami (Stati Uniti)

Titolo: Contribuire alla promozione della verità nella carità

Testo:

Signor presidente.


1. Le sono grato per la grande cortesia che mi ha dimostrato venendo personalmente a incontrarmi in questa città di Miami. Grazie per questo gesto di gentilezza e di rispetto. Da parte mia la saluto cordialmente nella sua qualità di capo eletto dell'Esecutivo degli Stati Uniti d'America. Nel rivolgermi a lei esprimo il mio profondo rispetto per la struttura costituzionale di questa democrazia, che lei è chiamato a "preservare, proteggere e difendere". Nel rivolgermi a lei, signor presidente, saluto ancora una volta tutto il popolo americano con la sua storia, le sue conquiste e le sue grandi possibilità di servire l'umanità.

Con gioia rendo onore alla nazione statunitense per quanto essa ha fatto per il suo popolo, per tutti coloro che essa ha riunito in una creatività culturale e accolto in una unità nazionale indivisibile, conformemente al suo motto: "E pluribus unum". Ringrazio l'America e tutti gli americani - quelli delle generazione passate e quelli della presente - per la loro generosità verso i milioni di fratelli bisognosi in tutto il mondo. perciò oggi desidero onorare le benedizioni e i doni che l'America ha ricevuto da Dio e coltivato e che sono divenuti i valori autentici dell'intero "esperimento" americano negli ultimi due secoli.


2. Per tutti voi questo è un momento speciale della vostra storia: la celebrazione del bicentenario della vostra costituzione. E tempo di riconoscere il significato di quel documento e di riflettere su importanti aspetti del costituzionalismo che lo ha prodotto. E' tempo di ricordare l'originale fede politica americana con il suo appello alla sovranità di Dio. Celebrare le origini degli Stati Uniti è sottolineare quei principi morali e spirituali, quelle preoccupazioni etiche che hanno influenzato i vostri padri fondatori e sono state incorporate nell'esperienza dell'America.

Undici anni fa, quando il vostro paese stava commemorando un altro grande documento, la Dichiarazione di Indipendenza, il mio predecessore Paolo VI parlo a Roma ai deputati del Congresso degli Stati Uniti. Le sue parole sono ancora attuali: "In ogni momento - disse - il vostro bicentenario vi parla di principi morali, di convinzioni religiose, di diritti inalienabili dati dal Creatore". E aggiunse: "Speriamo ardentemente che questa commemorazione del vostro bicentenario costituisca un ritorno a quei sani principi morali formulati dai vostri padri fondatori e custoditi per sempre nella vostra storia" (Discorso del 26 aprile 1976).


3. Fra i tanti mirabili valori di questa nazione ve n'è uno che spicca particolarmente. E' la libertà. Il concetto di libertà è parte del tessuto stesso di questa nazione come comunità politica di un popolo libero. La libertà è un grande dono, una grande benedizione di Dio. Fin dalle origini dell'America, la libertà è stata diretta a costruire una società ben ordinata e a promuovere la sua vita pacifica. La libertà è stata applicata alla pienezza della vita umana, alla tutela della dignità umana e alla salvaguardia di tutti i diritti umani.

L'esperienza di una libertà regolata è veramente parte integrante della storia di questa terra.

Questa è la libertà che l'America è chiamata a vivere, a tutelare e a trasmettere. Essa è chiamata ad esercitarla in modo tale che possa promuovere la causa della libertà in altre nazioni e tra altri popoli.

La sola autentica libertà, l'unica libertà che possa veramente soddisfare, è la libertà di fare ciò che abbiamo il dovere di fare come esseri umani creati da Dio secondo il suo disegno. E' la libertà di vivere la verità di ciò che siamo e di chi siamo davanti a Dio; la verità della nostra identità come figli di Dio, come fratelli e sorelle in un'umanità comune. Questo è il motivo per cui Gesù Cristo ha unito la libertà alla verità affermando solennemente: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32). Tutti i popoli sono chiamati a riconoscere la verità liberatoria della sovranità di Dio su di loro come individuo e come nazioni.


4. Lo sforzo di tutelare e perfezionare il dono della libertà implica inoltre la ricerca incessante della verità. Parlando agli americani in un'altra occasione del rapporto tra libertà e verità, dissi che "come popolo voi avete la comune responsabilità di difendere e di purificare la libertà. Come tante altre cose di grande valore, la libertà è fragile. San Pietro riconosceva tutto questo quando raccomandava ai cristiani di non servirsi della loro libertà "come un velo per coprire la malizia" (1P 2,16). Qualunque alterazione della verità o divulgazione di non-verità è un'offesa alla libertà; qualunque strumentalizzazione dell'opinione pubblica, qualunque abuso di autorità o potere o, d'altro canto, la semplice omissione della vigilanza, mette in pericolo l'eredità di un popolo libero. Ma, cosa ancora più importante, ogni contributo alla promozione della verità nella carità consolida la libertà ed edifica la pace. Quando la comune responsabilità della libertà è veramente accettata da tutti, una grande forza nuova viene messa in opera al servizio dell'umanità (Discorso del 21 giugno 1980).


5. Il servizio all'umanità è sempre stato un aspetto peculiare della vocazione dell'America ed è ancora oggi rilevante. Sulla scia di quanto affermai al presidente degli Stati Uniti nel 1979 vorrei ora ripetere: "L'attaccamento ai valori umani e ai problemi etici, che è sempre stato una caratteristica del popolo americano deve essere collocato specialmente nell'attuale contesto di crescente interdipendenza tra i popoli della terra, nella prospettiva che il bene comune della società abbraccia non solo la singola nazione, alla quale si appartiene, ma i cittadini del mondo intero... Le attuali relazioni tra i popoli e tra le nazioni richiedono l'instaurazione di una più vasta cooperazione internazionale, e maggiore deve essere anche il suo impegno in vista del miglioramento delle sorti di tutti coloro la cui stessa umanità è costantemente minacciata dal bisogno e dall'indigenza... L'America, che negli ultimi decenni ha dimostrato bontà e generosità nel fornire cibo agli affamati di tutto il mondo sarà - ne sono certo - in grado di unire a questa generosità un contributo ugualmente convincente all'instaurazione di un ordine mondiale che creerà le necessarie condizioni economiche e commerciali per relazioni più giuste tra tutte le nazioni del mondo, nel rispetto della loro dignità e della propria personalità" (Discorso alla Casa Bianca, 6 ottobre 1979).


6. Accanto al servizio, la libertà è davvero un grande dono di Dio a questa nazione. L'America ha bisogno della libertà per essere se stessa e per adempiere alla sua missione nel mondo. In un momento difficile della storia di questo paese un grande americano, Abramo Lincoln, parlo di una particolare esigenza di quei tempi "che questa nazione sotto la protezione di Dio possa avere una rinascita della libertà". Una rinascita della libertà è continuamente necessaria: libertà di esercitare la responsabilità e la generosità, libertà di affrontare la sfida di servire l'umanità, la libertà necessaria per adempiere l'umano destino, la libertà di vivere secondo la verità, di difenderla da ogni alterazione e strumentalizzazione, la libertà di osservare la legge di Dio - che è il modello supremo di tutta la libertà umana - la libertà di vivere come figli di Dio, sicuri e felici: la libertà di essere America in quella democrazia costituzionale concepita per essere "una nazione sotto la sovranità di Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti".

1987-09-11 Data estesa: Venerdi 11 Settembre 1987




Alle organizzazioni ebraiche - Miami (Stati Uniti)

Titolo: La Chiesa avverte sempre più il legame con gli ebrei

Testo:

Cari amici, rappresentanti di tante organizzazioni ebraiche qui giunti da tutti gli Stati Uniti, miei cari fratelli e sorelle ebrei.


1. Vi sono grato per le vostre cordiali parole di saluto. Sono veramente lieto di essere con voi, particolarmente in questo momento in cui ha inizio il giro della Collezione Giudaica Vaticana. Il meraviglioso materiale, che comprende Bibbie miniate e Libri di preghiera, mostra solo una piccola parte delle immense risorse spirituali della tradizione ebraica nel corso dei secoli fino ad oggi, risorse spirituali spesso impiegate in fruttuosa cooperazione con artisti cristiani.

E' opportuno, all'inizio del nostro incontro sottolineare la nostra fede nell'unico Dio, che ha scelto Abramo, Isacco e Giacobbe e con loro ha stretto un'alleanza di amore eterno, che non è mai stata revocata (cfr. Gn 27,13 Rm 11,29). E' stata invece confermata dal dono della Thorà a Mosè, aperta dai profeti alla speranza della redenzione eterna e all'impegno universale per la giustizia e la pace. Il popolo ebraico, la Chiesa e tutti coloro che credono in Dio misericordioso - che, nelle preghiere degli ebrei è invocato come "'Av Ha-Rakhamîm - può trovare, in questa fondamentale alleanza con i patriarchi, un punto di partenza determinante per il nostro dialogo e la nostra comune testimonianza nel mondo.

E' inoltre opportuno ricordare la promessa fatta da Dio ad Abramo e la fratellanza spirituale che essa ha instaurato: "Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce" (Gn 22,18). Questa fratellanza spirituale, legata all'obbedienza a Dio, esige un grande rispetto reciproco in umiltà e fiducia. Un esame obiettivo dei nostri rapporti nel corso dei secoli deve prendere in considerazione questa grande necessità.


2. E veramente degno di nota il fatto che gli Stati Uniti siano stati fondati da uomini che sono approdati su queste sponde spesso come rifugiati religiosi. Essi aspiravano ad essere trattati con giustizia e ad essere ospitati secondo la parola di Dio, come leggiamo nel Levitico: "Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu lo amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio" (Lv 19,34). Fra questi immigrati vi erano un gran numero di cattolici e di ebrei. Gli stessi principi religiosi fondamentali di libertà e giustizia, di uguaglianza e solidarietà umana, affermati nella Thorà come pure nel Vangelo, erano infatti rispecchiati negli alti ideali umani e nella tutela dei diritti universali trovati negli Stati Uniti. Questi, a loro volta, esercitavano un forte influsso positivo sulla storia dell'Europa e di altre parti del mondo. Ma i sentieri degli immigrati nel loro nuovo paese non erano sempre agevoli. E' triste ammettere che pregiudizio e discriminazione erano conosciuti nel nuovo mondo, così come nel Vecchio. Tuttavia, insieme, Ebrei e Cattolici hanno contribuito al successo dell'esperimento americano per quanto riguarda la libertà religiosa e, in questo contesto unico, hanno dato al mondo una potente forma di dialogo interreligioso fra le nostre due antiche tradizioni. Per coloro che sono impegnati in questo dialogo, tanto importante per la Chiesa e per il popolo ebraico, io prego: che Dio vi benedica e vi fortifichi in questo servizio.


3. Allo stesso tempo, il nostro comune retaggio, compito e speranza, non annullano le nostre identità specifiche. A motivo della sua specifica testimonianza cristiana, "la Chiesa deve predicare Gesù Cristo al mondo" ("Orientamenti", 1974, I).

Così facendo noi proclamiamo che "Cristo è la nostra pace" (Ep 2,14).

Come dice l'apostolo Paolo: "Tutto questo pero viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" (2Co 5,18). Allo stesso tempo, riconosciamo e apprezziamo i tesori spirituali del popolo ebraico e la loro testimonianza religiosa a Dio. Un dialogo teologico fraterno cercherà di comprendere, alla luce del mistero della redenzione, come le differenze nella fede non debbano diventare motivo di inimicizia, ma piuttosto aprire la via alla "riconciliazione", cosicché alla fine "Dio sia tutto in tutti" (1Co 15,28).

A questo proposito sono lieto che la Conferenza episcopale degli Stati Uniti e il Consiglio delle Sinagoghe abbiano dato l'avvio a consultazioni fra responsabili ebrei e vescovi che dovrebbero portare avanti un dialogo su problemi di grandissimo interesse per le nostre due comunità di fede 4. Considerando la storia alla luce dei principi di fede in Dio, dobbiamo anche meditare sul terribile episodio della Shoà, il tentativo insano e disumano di sterminare il popolo ebreo in Europa, un tentativo che ha causato milioni di vittime - fra cui donne e bambini, vecchi e ammalati - sterminati soltanto perché erano ebrei.

Meditando su questo mistero delle sofferenze dei figli di Israele, la loro testimonianza di speranza, di fede e di umanità di fronte a oltraggi disumani, la Chiesa avverte sempre più profondamente il suo legame comune con il popolo ebraico e con il suo tesoro di ricchezze spirituali passato e presente.

E' anche opportuno ricordare i grandi, inequivocabili sforzi dei Papi contro l'antisemitismo e il Nazismo al culmine della persecuzione contro gli ebrei. Nel 1938 Pio XI dichiarava che "l'antisemitismo non può essere ammesso" (6 settembre 1938), e affermava la completa opposizione fra la cristianità e il Nazismo affermando che la croce nazista era "nemica della croce di Cristo" (Discorso di Natale, 1938). E sono persuaso che la storia rivelerà ancora più chiaramente e in modo più convincente quanto profondamente Pio XII ha sentito la tragedia del popolo ebraico, e quanto intensamente ed efficacemente si è adoperato per assisterlo durante la seconda guerra mondiale. Parlando a nome dell'umanità e dei principi cristiani, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti ha denunciato le atrocità con la seguente dichiarazione: "Dall'invasione assassina della Polonia, completamente priva di ogni sembianza di umanità, si è dato l'avvio a uno sterminio premeditato e sistematico del popolo di questa nazione. La stessa tecnica diabolica è stata applicata a molti altri popoli. Sentiamo un profondo senso di repulsione verso le crudeli indegnità perpetrate contro gli ebrei nei Paesi conquistati e contro gente indifesa che non apparteneva alla nostra fede" (14 novembre 1942). Ricordiamo anche molti altri che, a rischio della loro stessa vita, hanno aiutato gli ebrei perseguitati, e sono onorati dagli ebrei con il titolo di "Tzaddiqè 'ummôt ha-'olâm" (Giusti delle Nazioni).


5. La terribile tragedia del vostro popolo ha indotto molti pensatori ebrei a riflettere sulla condizione umana con acute intuizioni. La loro visione dell'uomo e le radici di questa visione nell'insegnamento della Bibbia, che condividiamo nel nostro comune retaggio delle Scritture ebraiche, offrono a studiosi ebrei e cattolici parecchio materiale utile per la riflessione e il dialogo. E io penso qui soprattutto al contributo di Martin Buber e anche a quelli di Mahler e di Levinas.

Per comprendere ancor più profondamente il significato della Shoà e le radici storiche dell'antisemitismo che l'hanno provocata, la collaborazione congiunta e gli studi da parte di cattolici ed ebrei sulla Shoà debbono continuare. Tali studi sono già stati effettuati attraverso molte conferenze nel vostro Paese, come i Seminari nazionali sui rapporti cristiano-giudaici. Le implicazioni religiose e storiche della Shoà per cristiani ed ebrei verranno ora esaminate formalmente dal Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico che si riunirà, per la prima volta negli Stati Uniti, al termine di quest'anno. E, come ho confermato nel corso dell'incontro importante e molto cordiale che ho avuto con responsabili ebrei a Castel Gandolfo il primo settembre, un documento cattolico sulla Shoà e l'antisemitismo verrà pubblicato, a seguito di questi studi approfonditi. Allo stesso modo, speriamo che i programmi comuni di istruzione sui nostri rapporti storici e religiosi, che sono ben sviluppati nel vostro Paese, promuoveranno veramente il rispetto reciproco e ammaestreranno le future generazioni sull'olocausto, affinché un tale orrore non sia mai più possibile! Mai più! Quando ho incontrato i responsabili della comunità ebraica polacca a Varsavia nel giugno di quest'anno, ho sottolineato il fatto che, attraverso la terribile esperienza della Shoà, il vostro popolo è diventato "una forte voce ammonitrice per tutta l'umanità, per tutte le nazioni, per tutte le potenze di questo mondo, per ogni sistema e ogni individuo... un ammonimento di salvezza" (Discorso del 14 giugno 1987).


6. E' anche auspicabile che in ogni diocesi i cattolici rendano effettive, sotto la direzione dei vescovi, le affermazioni del Concilio Vaticano II e le successive istruzioni pubblicate dalla Santa Sede riguardanti il corretto modo di predicare e di insegnare sugli ebrei e sull'ebraismo. So che molti grandi sforzi in questa direzione sono già stati fatti dai cattolici e desidero esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che si sono impegnati così diligentemente a questo scopo.


7. In ogni dialogo sincero è necessaria l'intenzione da parte di ogni partecipante, di permettere agli altri di definirsi "alla luce della propria esperienza religiosa" ("Orientamenti", 1974, Introduzione). Fedeli a tale affermazione, i cattolici riconoscono, fra gli elementi dell'esperienza ebraica, che gli ebrei hanno un attaccamento religioso alla loro terra, che affonda le sue radici nella tradizione biblica.

Dopo il tragico sterminio della Shoà, il popolo ebraico ha vissuto un nuovo periodo della sua storia. Essi hanno diritto a una patria, così come lo ha ogni nazione civile, secondo il diritto internazionale. "Per il popolo ebraico che vive nello Stato di Israele e che in quella terra conserva così preziose testimonianze della sua storia e della sua fede, dobbiamo invocare la desiderata sicurezza e la giusta tranquillità che è prerogativa di ogni nazione e condizione di vita e di progresso per ogni società" ("Redemptionis Anno", 20 aprile 1984).

Ciò che è stato affermato sul diritto a una patria si applica anche al popolo palestinese, fra cui numerosi sono senza tetto e rifugiati. Mentre tutti gli interessati debbono onestamente meditare sul passato - i musulmani non meno degli ebrei e dei cristiani - è tempo di trovare quelle soluzioni che condurranno ad una pace giusta, completa e duratura in quella regione. Per questa pace prego sinceramente.


8. Infine, nel ringraziarvi ancora una volta per la cordialità del saluto che mi avete rivolto, lodo e ringrazio il Signore per questo incontro fraterno, per il dono del dialogo fra i nostri due popoli, e per la nuova e più profonda comprensione fra noi.

Mentre il nostro lungo rapporto si avvicina al suo terzo millennio, è nostro grande privilegio essere testimoni di questo progresso in questa generazione. Spero sinceramente che, quali parti in questo dialogo, quali fratelli nella fede in Dio che si è rivelato, quali figli di Abramo, ci impegneremo a rendere un servizio comune all'umanità, di cui tanto avverte il bisogno ai nostri giorni. Siamo chiamati a collaborare nel servizio e ad unirci in una causa comune tutte le volte che un fratello o una sorella sono abbandonati, dimenticati, reietti o sofferenti in qualsiasi modo; tutte le volte che i diritti umani sono minacciati o la dignità umana è offesa; tutte le volte che i diritti di Dio sono violati o ignorati.

Con il salmista, io ora ripeto; "Ascoltero che cosa dice Dio il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore" (Ps 85,9).

A tutti voi, cari amici, cari fratelli e sorelle; a tutti voi, caro popolo ebraico degli Stati Uniti: con grande speranza vi auguro la pace del Signore.

Shalom! Shalom! Dio vi benedica in questo Sabbat e in quest'anno: "Shabbath Shalom! Shanah Tovah we-Hatimah Tovah!".

1987-09-11 Data estesa: Venerdi 11 Settembre 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Ai sacerdoti statunitensi - Miami (Stati Uniti)