GPII 1987 Insegnamenti - Messa all'Eastern Campus - New Orleans (Stati Uniti)

Messa all'Eastern Campus - New Orleans (Stati Uniti)

Titolo: Praticare la giustizia, ma soprattutto la misericordia

Testo:

Signore, abbi pazienza con me e ti restituiro ogni cosa" (Mt 18,26).

Cari fratelli e sorelle in Cristo.


1. Questa supplica compare due volte nella parabola del Vangelo. La prima volta è fatta dal servo che deve al suo padrone diecimila talenti: una somma particolarmente alta secondo il valore del denaro al tempo del Nuovo Testamento.

Poco dopo questa richiesta viene ripetuta da un altro servo dello stesso padrone.

Anche lui è in debito, non verso il suo padrone, ma verso l'altro servo. E il suo debito è solo una piccolissima parte del debito perdonato al suo compagno. Il centro della parabola è il fatto che il servo con il debito più grande riceve comprensione dal padrone al quale deve molto denaro. Il Vangelo ci dice che "Impietositosi del servo, il padrone lo lascio andare e gli condono il debito" (Mt 18,27). Ma questo stesso servo non vuole dare ascolto alla richiesta del servo suo compagno, che gli deve del denaro. Egli non ha pietà di lui, ma "lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito" (Mt 18,30).

Gesù usa spesso parabole come questa per i suoi insegnamenti, e questo è un metodo speciale per la proclamazione della buona novella. Queste permettono a colui che ascolta di comprendere più facilmente la "realtà divina" che Gesù è venuto a rivelare. Nella parabola di oggi si percepisce quasi immediatamente che questa è il preludio alle parole che Gesù ci dice di usare quando preghiamo il nostro Padre celeste: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12).

Queste parole del Padre nostro ci insegnano qualcosa di molto importante. Se vogliamo che Dio ci ascolti quando lo supplichiamo come il servo - "Sii paziente con me" - dobbiamo essere altrettanto pronti ad ascoltare il nostro prossimo che ci chiede: "Abbi pazienza con me e ti rifondero il debito". In caso contrario non possiamo aspettarci perdono da parte di Dio, ma una punizione. Nella parabola il servo viene punito perché, pur essendo egli stesso debitore, è intollerante in quanto creditore verso il servo suo compagno.

Cristo è molto chiaro: quando noi stessi siamo privi di comprensione o misericordia, quando siamo guidati solo da una "cieca" giustizia, allora non possiamo fare affidamento sulla misericordia del "grande creditore" che è Dio, nei cui confronti siamo tutti debitori.


2. Nella parabola, troviamo due modelli o metri di giudizio differenti: il modello di Dio e quello dell'uomo. Il modello divino è quello in cui la giustizia è totalmente permeata dall'amore misericordioso. Il modello umano è incline a fermarsi soltanto alla giustizia - giustizia che è senza misericordia - che è in un certo senso "cieca" nei riguardi dell'uomo.

Invece la giustizia umana è spesso guidata dall'odio e dalla vendetta, come ci ricorda il Libro del Siracide. Esso dice - e le parole del Vecchio Testamento sono dure - "Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore?... Egli, che è soltanto carne, conserva rancore; chi perdonerà i suoi peccati?... Ricordati della tua fine e smetti di odiare... Ricordati dei comandamenti e non aver rancore verso il prossimo... Egli non ha misericordia per l'uomo suo simile, e osa pregare per i suoi peccati?" (Si 28,3 Si 28,5-7 Si 28,4).

Le esortazioni che troviamo sia nel Libro del Siracide sia nel Vangelo vanno nella stessa direzione. Il metro di misura dell'uomo - cioè della sola giustizia - che è spesso "cieca" o "accecata" dall'odio, deve accettare il modello di Dio, altrimenti la giustizia da sola può facilmente diventare ingiustizia, come dice il detto latino: "summum ius, summa iniuria". La rigorosa applicazione della legge può, a volte, portare al più alto grado di ingiustizia.

Come ho detto nella mia lettera enciclica sulla misericordia di Dio: "La giustizia, in ogni sfera dei rapporti interumani deve subire, per così dire, una notevole "correzione" da parte di quell'amore, il quale - come proclama san Paolo - "è paziente" e "benigno" o, in altre parole, porta in sé i caratteri dell'amore misericordioso, tanto essenziali per il Vangelo e per il Cristianesimo" (DM 14).


3. L'amore misericordioso è anche alla base della risposta del Signore alla domanda di Pietro: "Signore, quante volte dovro perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,21-22). Nel linguaggio simbolico della Bibbia, questo significa che noi dobbiamo essere capaci di perdonare tutti, ogni volta. Certamente questo è uno dei più difficili e radicali imperativi del Vangelo. Per cui quanta sofferenza e angoscia, quanta futilità, distruzione e violenza potrebbero essere evitate, se solo noi mettessimo in pratica in tutte le nostre relazioni umane la risposta del Signore a Pietro.

L'amore misericordioso è assolutamente necessario, in particolare, per le persone che sono più vicine: tra i coniugi, tra i genitori e i figli, tra gli amici. Nel momento in cui la vita familiare è sottoposta a un così grande stress, quando un alto numero di divorzi e famiglie distrutte diventano una triste realtà, dobbiamo chiederci se le relazioni umane sono basate, come dovrebbero essere, sull'amore misericordioso e sul perdono rivelato da Dio in Gesù Cristo. Dobbiamo esaminare il nostro cuore e vedere in che misura noi siamo pronti a perdonare e ad accettare il perdono in questo mondo e in quello futuro.

Nessuna relazione così intensa e stretta come il matrimonio e la famiglia può sopravvivere senza perdonare "settanta volte sette". Se le coppie non possono perdonare con la tenerezza e la sensibilità che la misericordia comporta, allora cominceranno inevitabilmente a vedere il loro rapporto solo in termini di giustizia, di ciò che è mio e ciò che è tuo - con emozione, spiritualmente e materialmente - e in termini di ingiustizie reali o solo percepite. Tutto ciò può portare a un allontanamento e al divorzio, e spesso sviluppa un'aspra disputa riguardo alla proprietà e, più tragicamente, riguardo ai bambini. La sola situazione dei bambini dovrebbe farci comprendere che il rifiuto del perdono non è in accordo con la vera natura del matrimonio così come Dio ha stabilito e come egli vuole che venga vissuto. Senza dubbio alcune persone obietteranno che l'insegnamento di Cristo circa l'indissolubilità del matrimonio, così come viene sostenuta dalla Chiesa, manca di compassione. Ma ciò che deve essere considerato è l'inefficacia del divorzio, e la sua immediata disponibilità nella società moderna, a portare misericordia e perdono e guarigione a tante coppie e ai loro bambini, nella cui vita sofferente rimane una rottura e una sofferenza che non possono essere eliminate. Le parole del Cristo misericordioso, che comprende pienamente il cuore umano, rimangono per sempre: "Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi" (Mt 19,6).

Nello stesso tempo, l'amore misericordioso e il perdono non devono mai essere intesi a eliminare il diritto della persona alla giustizia, perfino nel matrimonio. Nell'enciclica alla quale ho appena fatto riferimento dico che "la giustizia, propriamente intesa, costituisce lo scopo del perdono. In nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l'oltraggio arrecato. La riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell'oltraggio sono condizione del perdono" (DM 19). Ogni volta che si perdona si esige un amore pentito.

Tutto ciò deve anche essere applicato al vasto contesto della vita sociale, politica, culturale ed economica all'interno della nazione e tra i vari popoli e paesi. Possiamo dunque non avere speranza in ciò che il Papa Paolo VI descriveva come "la civiltà dell'amore" invece del criterio dell'"occhio per occhio e dente per dente", atteggiamento che devasta la faccia della terra e rovina la famiglia del genere umano? Come ho già detto, questo amore, basato sul perdono che Gesù insegna a Pietro, non significa che le legittime esigenze di giustizia, che la gente richiede a buon diritto, vengano con questo eliminate. Ma, qualche volta, queste richieste sono molto complesse.

Un caso particolarmente urgente oggi è la questione del debito internazionale. Come sapete, molti Paesi in via di sviluppo sono indebitati in modo molto pesante con le nazioni industrializzate, e per una quantità di ragioni è sempre più difficile per loro restituire i prestiti. La "cieca giustizia" da sola non può risolvere questo problema secondo un modello etico che promuove il bene di tutti gli uomini. L'amore misericordioso esige una reciproca comprensione e il riconoscimento delle necessità e priorità umane, al di sopra e oltre la "cieca" giustizia dei meccanismi finanziari. Dobbiamo poter arrivare a soluzioni che riflettano contemporaneamente una piena giustizia e misericordia.

La natura dell'interesse della Chiesa per questi argomenti viene illustrata nel messaggio pastorale sull'Economia americana (nn. 4.7) promulgato dai vescovi statunitensi. Essi dicono: "Noi scriviamo... in quanto eredi dei profeti biblici che citiamo: "praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Di" (Mic 6,8)... Noi vi parliamo in veste di insegnanti morali, non come tecnici dell'economia. Noi miriamo a innalzare le dimensioni etica e umana della vita economica...". Praticare la giustizia, si, ma anche, l'amore. E' quanto troviamo al centro del messaggio di Cristo. Ed è l'unico modo di realizzare quella "civiltà dell'amore" che assicura pace per noi e per il mondo.


4. "Perdona noi... come noi perdoniamo". L'Eucaristia che stiamo celebrando e alla quale stiamo prendendo parte è legata alla profonda verità di queste parole. Ogni volta che partecipiamo all'Eucaristia, noi dobbiamo trasferire la parabola del Vangelo di oggi nella realtà di questo sacramento che è il "grande mistero della fede". Quando ci riuniamo insieme, dobbiamo renderci conto di quanto siamo debitori verso Dio creatore, Dio redentore. Debitori, prima per la nostra creazione, e poi per la nostra redenzione. Dice il salmista: Benedici il Signore, anima mia, / quanto è in me benedica il suo santo nome. / Benedici... non dimenticare tanti suoi benefici" (Ps 102,1-2).

Questa esortazione è diretta a ognuno di noi e allo stesso tempo a tutta la comunità dei credenti. Non dimenticare... il dono di Dio. Non dimenticare... che hai ricevuto il suo dono: nella creazione - e cioè nella tua esistenza e in tutto ciò che è intorno a te; nella redenzione - con la grazia dell'adozione come figli e figlie di Dio in Cristo, al prezzo della sua croce.

Quando riceviamo un dono, siamo in debito. Ma in verità noi siamo più che debitori perché non è possibile ripagare un dono in modo adeguato. Ma dobbiamo provarci. Dobbiamo rendere un dono in cambio di un altro dono. Il generoso dono di Dio deve essere riparato dal nostro dono. E il nostro dono, riflettendo i nostri grandi limiti, deve mirare a imitare la generosità divina, il modo divino di donare.

In Cristo il nostro dono deve essere trasformato, in modo da unirci a Dio. L'Eucaristia è il sacramento di tale trasformazione. Cristo stesso fa di noi "un eterno dono al Padre". E questo è veramente il grande mistero della fede e dell'amore.


5. "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Con queste parole della preghiera insegnataci dal Figlio di Dio, io mi rivolgo a tutti coloro che sono qui riuniti a New Orleans nello spirito del Vangelo e a quanti organizzano le assemblee eucaristiche delle Chiese locali di questa regione. Io vi saluto in quanto eredi orgogliosi di una ricca e varia storia culturale, in quanto popolo che sa valutare il bisogno di amore misericordioso tra gli individui e i gruppi. Sono qui rappresentati i mondi culturali della Francia e delle altre nazioni europee, dei popoli di colore, delle regioni spagnole, e più recentemente del Vietnam. Oggi questa regione continua ad essere la casa di differenti razze e culture ora unite in un'unica nazione, gli Stati Uniti.

Tutte queste razze e culture hanno arricchito la vita della vostra Chiesa locale nel caratteristico modo dell'eredità tipicamente francese che uomini come Roberto Cavelier, Sieur de la Salle, e Jeanne-Baptiste Le Moyme e Sieur de Bienville hanno apportato a questa terra secoli fa. Voi siete anche persone che dovete soltanto guardarvi intorno per vedere i molti e meravigliosi doni che vi dà l'imponente fiume Mississippi e il suo fertile delta, e le ricchezze che vi dà il mare. Tutto ciò vi viene come dono da Dio. Per mezzo di una saggia amministrazione e l'uso responsabile di queste risorse voi potete trovare dignità nel vostro lavoro che cercate di procurarvi per voi e per le vostre famiglie. Spero che possiate continuare a lavorare in armonia per il bene della società alla quale appartenete, tenendo sempre a mente le parole della preghiera di Cristo: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori".

L'uomo moderno dimentica facilmente la proporzione, o piuttosto, la sproporzione tra ciò che ha ricevuto e ciò che dovrebbe dare. Egli è cresciuto così tanto ai suoi occhi, ed è così sicuro che ogni cosa è il risultato del suo genio e della sua "operosità", che non si accorge più dell'Uno, che è l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine, l'Uno che è la Fonte Prima di tutto ciò, così come l'ultimo Fine, l'Uno nel quale tutto ciò che esiste trova il suo significato.

L'uomo moderno dimentica facilmente che egli ha ricevuto un grande dono.

Così, alla base di tutto ciò che egli è e di tutto ciò che è il mondo, c'è il dono, il dono gratuito dell'Amore. Quando l'uomo perde questa consapevolezza, egli dimentica anche il debito, e il fatto che egli è debitore. Egli perde la coscienza del peccato. Molte persone, oggi, specialmente coloro che hanno raggiunto una civiltà di ricchezza e piacere, vivono come se il peccato e Dio non esistessero.

Per questa ragione dobbiamo ascoltare con particolare attenzione la Lettera ai Romani: "Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi" (Rm 14,7-9). Dobbiamo ascoltare attentamente queste parole di san Paolo e ricordarle bene.

"Signore abbi pazienza con me e ti restituiro ogni cosa". "L'amore è paziente, è benigno l'amore... Non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità.. L'amore non avrà mai fine" (1Co 13,4 1Co 13,6 1Co 13,8). Si, l'amore è supremo! Amen.

1987-09-12 Data estesa: Sabato 12 Settembre 1987




Alle università cattoliche - New Orleans (Stati Uniti)

Titolo: I frutti del lavoro teologico convalidati dal magistero

Testo:

Cari amici, responsabili dell'Istruzione Superiore Cattolica.


1. Al termine di questa giornata dedicata alla celebrazione nella preghiera dell'educazione cattolica negli Stati Uniti, saluto voi e tutti coloro che rappresentate, con stima e con affetto nel Signore nostro Gesù Cristo. Ringrazio l'Associazione delle università e degli Istituti Universitari Cattolici per aver organizzato questo incontro. Esprimo la mia gratitudine al dottor Norman Francis e a tutti i componenti dell'università Xavier per la loro ospitalità in questo Istituto, che in tante diverse maniere serve la causa degli studi superiori cattolici.

"Benediro il Signore in ogni tempo; / sulla mia bocca sempre la sua lode. / Celebrate con me il Signore, / esaltiamo insieme il suo nome" (Ps 33,2-4). Si, ringraziamo insieme Dio per le molte cose buone che egli, Padre di sapienza, ha compiuto nelle università e negli istituti universitari cattolici. E siamo anche grati per la grande vitalità delle vostre scuole - per la loro identità cattolica, per il servizio alla verità, e per il ruolo che svolgono contribuendo a far sentire la presenza della Chiesa nel mondo della cultura e della scienza. E siamo grati soprattutto agli uomini e alle donne impegnati in questa missione, quelli del passato e quelli di oggi, che hanno fatto e che continuano a fare dell'istruzione superiore cattolica la grande realtà che è oggi.


2. Gli Stati Uniti sono un caso unico, con la loro rete di 235 università e istituti universitari che si dichiarano cattolici. Il numero e la diversità dei vostri istituti sono infatti senza confronti; esercitano un'influenza non solo all'interno degli Stati Uniti, ma in tutta la Chiesa universale, e hanno una responsabilità per il suo bene.

Tra due anni celebrerete il 200° anniversario della fondazione, ad opera di John Carroll, dell'Università di Georgetown, prima università cattolica negli Stati Uniti. Dopo Georgetown, sotto la guida di congregazioni religiose e di vescovi lungimiranti, e con il generoso sostegno della popolazione cattolica, altre università sono state fondate in varie parti di questo vasto Paese. Da due secoli questi istituti danno un grande contributo ad un laicato cattolico emergente, oggi è ampiamente e intimamente coinvolto nell'industria, nel governo, nelle professioni, nelle arti e in tutte le forme d'impresa pubbliche e private - tutte attività che costituiscono il caratteristico dinamismo e la vitalità di questo Paese.

In mezzo a tante circostanze mutevoli, le università cattoliche sono sfidate e invitate a conservare un vivo senso della loro identità cattolica e adempiere alle loro particolari responsabilità verso la Chiesa e la società.

Proprio facendo questo, portano un loro specifico contributo al campo più ampio degli studi superiori.

L'identità cattolica dei vostri istituti è una questione complessa e di vitale importanza. Questa identità è legata alla professione esplicita della cattolicità da parte dell'università in quanto istituzione, e anche alla convinzione personale e al senso di missione da parte dei suoi professori e amministratori.


3. Nel corso della mia visita pastorale a questo Paese nel 1979, parlai di vari elementi che vengono a far parte della missione dell'istruzione superiore cattolica. Sarà utile sottolineare ancora una volta l'importanza della ricerca su problemi vitali per la Chiesa e per la società: ricerca effettuata "con un giusto senso della storia unito alla preoccupazione di mettere in evidenza il pieno significato della persona umana rigenerata in Cristo"; accentuare la necessità di educare uomini e donne di grande cultura i quali, "avendo fatto una sintesi personale tra fede e cultura, siano capaci e desiderosi di assumere compiti al servizio della comunità e della società in genere, e di dare testimonianza della loro fede davanti al mondo"; e, infine, proseguire nella costituzione di una comunità vivente di fede, "dove un autentico impegno alla ricerca scientifica e allo studio sia accompagnato da un profondo impegno a una vita cristiana autentica" (Discorso all'Università, n. 3, del 7 ottobre 1979).


4. Per apprezzare pienamente il valore del vostro patrimonio culturale, dobbiamo riandare alle origini della vita universitaria cattolica. L'università quale la conosciamo ebbe il suo inizio in stretto legame con la Chiesa. Non fu un caso.

Fede e amore per lo studio sono in stretta relazione tra di loro. Per i Padri della Chiesa e per i pensatori e accademici del medioevo, la ricerca della verità era associata alla ricerca di Dio. Secondo l'insegnamento cattolico - quale è espresso anche nel Concilio Vaticano I - la mente è capace non solo di cercare la verità ma anche di afferrarla, per quanto imperfettamente. La fede religiosa stessa esige l'indagine intellettuale; e la convinzione che non vi può essere contraddizione tra fede e ragione è un aspetto specifico della tradizione umanistica cattolica, quale è esistita in passato ed esiste ancora oggi.

L'istruzione superiore cattolica è chiamata a svolgere, per grazia di Dio, una straordinaria "cooperazione alla diffusione della verità" (3Jn 8).

L'università cattolica si dedica al servizio della verità, come avviene per ogni università. Nella sua ricerca e nel suo insegnamento, tuttavia, essa parte dalla visione e dalla prospettiva di fede e viene così arricchita in maniera affatto particolare.

Sotto questo profilo si vede che esiste una relazione intima tra l'università cattolica e il magistero della Chiesa. I vescovi, quali "Doctores et Magistri fidei", devono essere visti non come agenti esterni, ma come partecipanti alla vita dell'università cattolica nel suo ruolo privilegiato, quali protagonisti nell'incontro tra fede e scienza e tra verità rivelata e cultura.

La cultura moderna riflette molte tensioni e contraddizioni. Viviamo in un'epoca di grandi conquiste tecnologiche, ma anche di grandi ansietà umane.

Troppo spesso la visione che l'individuo ha della realtà è oggi frammentaria.

Talvolta l'esperienza è mediata da forze sulle quali la gente non ha alcun controllo: altre volte non vi è neanche consapevolezza di queste forze. Cresce la tentazione di relativizzare principi morali e di privilegiare il procedimento rispetto alla verità, con gravi conseguenze per la vita morale e anche per la vita intellettuale delle persone e della società. L'università cattolica deve affrontare tutti questi problemi sotto l'ottica della fede e attingendo al suo ricco patrimonio culturale.


5. La moderna cultura è caratterizzata da un pluralismo di atteggiamenti, di punti di vista e di intuizioni. Questa situazione esige giustamente una reciproca comprensione; significa che la società e i gruppi interni alla società devono rispettare coloro che hanno una prospettiva differente dalla loro. Ma il pluralismo non esiste unicamente per se stesso; è diretto alla pienezza della verità. Nel contesto accademico, il rispetto per le persone rettamente contemplato dal pluralismo non giustifica l'opinione che problemi ultimi riguardanti la vita e il destino dell'uomo non abbiano risposte finali, ne che tutte le fedi abbiano uguale valore, purché nessuna venga fatta valere come assolutamente vera e normativa. Non si serve così la causa della verità.

E' naturale che la cultura di ogni epoca contiene certe ambiguità che riflettono tensioni interne del cuore dell'uomo, la lotta tra bene e male. Il Vangelo quindi, nel suo continuo incontro con la cultura, deve mettere sempre in discussione i successi e le ipotesi dell'epoca. Poiché le implicazioni di questa ambiguità sono oggi spesso così distruttive per la comunità, così ostili per la dignità umana, è d'importanza fondamentale che il Vangelo purifichi la cultura, la esalti e la orienti al servizio di quanto è autenticamente umano. La stessa sopravvivenza dell'umanità potrebbe dipendere da ciò. Per questo voi, come responsabili dell'educazione cattolica negli Stati Uniti, avete un contributo estremamente importante da offrire.

Esiste oggi l'esigenza sempre più chiara di una riflessione filosofica sulla verità riguardante la persona umana. Occorre un approccio metafisico come antidoto al relativismo intellettuale e morale. Ma ciò che occorre più di tutto è fedeltà alla parola di Dio per garantire che il progresso umano tenga in considerazione l'intera verità rivelata dell'atto eterno d'amore in cui l'universo, ma specialmente la persona umana, acquista il suo significato ultimo.

Quanto più si cerca di svelare il mistero della persona umana, tanto più ci si apre al mistero della trascendenza. Quanto più profondamente si penetra il mistero divino, tanto più si scopre la vera grandezza e dignità dell'essere umano.


6. Nei vostri istituti, che sono il contesto di elezione per l'incontro tra fede e cultura, la scienza teologica ha un ruolo speciale da svolgere e merita un posto privilegiato nel programma degli studi e nell'assegnazione di risorse per la ricerca. Ma la teologia, come la concepisce la Chiesa, è molto più che una disciplina accademica. I suoi dati sono i dati della rivelazione di Dio affidati alla Chiesa. La comprensione più profonda del mistero di Cristo, la comprensione alla quale mira la riflessione teologica, è in definitiva un dono dello Spirito Santo elargito per il bene comune di tutta la Chiesa. La teologia è veramente una ricerca per comprendere sempre più chiaramente il retaggio di fede custodito, trasmesso e reso esplicito dal magistero della Chiesa. Inoltre l'istruzione teologica serve la comunità di fede aiutando le nuove generazioni a comprendere e a integrare nella propria vita la verità di Dio, così essenziale per le questioni basilari del mondo moderno.


7. La teologia è al servizio dell'intera comunità ecclesiale. L'impegno teologico comporta un'interazione tra i vari membri della comunità di fede. I vescovi, uniti con il Papa, hanno la missione di insegnare in maniera autentica il messaggio di Cristo; in quanto pastori, sono chiamati a sostenere l'unità nella fede e nel modo di vivere cristiano dell'intero popolo di Dio. Per questo hanno bisogno dell'assistenza di teologi cattolici, i quali rendono così un servizio inestimabile alla Chiesa. Ma i teologi hanno anche bisogno del carisma affidato da Cristo ai vescovi, e prima di tutto al vescovo di Roma. I frutti del loro lavoro devono infine essere vagliati e convalidati dal magistero, perché arricchiscono la linfa vitale della comunità ecclesiale. Concretamente, dunque, il contesto ecclesiale della teologia cattolica conferisce a questa un carattere e un valore particolari, anche quando la teologia vive in un contesto accademico.

A questo punto le parole di san Paolo riguardanti i doni spirituali devono essere una sorgente di luce e di armonia per tutti noi. "Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione dello Spirito per l'utilità comune" (1Co 12,4-7). Nelle differenti cariche e nei differenti ministeri nella Chiesa, non si tratta di una forma di potere e di dominio che viene ripartita, ma dello stesso servizio del corpo di Cristo che è condiviso a secondo della vocazione di ognuno. E' una questione di unità nell'opera di servizio. In questo spirito desidero esprimere il mio cordiale sostegno al lavoro umile, generoso e paziente di ricerca teologica e di educazione che viene svolto nelle vostre università conformemente alla missione della Chiesa, che è quella di proclamare e insegnare la sapienza salvifica di Dio (cfr. 1Co 1,21).


8. La mia personale esperienza universitaria mi spinge a parlare di un'altra questione affine di suprema importanza negli istituti e nelle università cattoliche: cioè dell'educazione religiosa e morale degli studenti e della loro cura pastorale. Sono sicuro che anche voi prendete molto seriamente in considerazione tale servizio particolare e che lo ponete tra le vostre responsabilità più pressanti e più impegnative. Non è possibile incontrare uno studente universitario in alcuna parte del mondo senza udire le sue domande e notare la sua ansietà. I vostri studenti hanno nel cuore molte questioni riguardanti la fede, la pratica religiosa e la santità di vita. Ognuno arriva alle vostre università con un ambiente familiare, una storia personale e una cultura acquisita. Tutti vogliono essere accettati, amati e sostenuti da una comunità educativa cristiana che manifesti amicizia e un autentico impegno spirituale.

E' vostro privilegio servire i vostri studenti nella fede e nell'amore; aiutarli ad approfondire la loro amicizia con Cristo; offrire loro occasioni di preghiera e di celebrazioni liturgiche, con la possibilità di conoscere il perdono e l'amore di Gesù Cristo nei sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia.

Voi educatori cattolici siete in grado di condurre i vostri studenti a una forte esperienza di comunità e a un coinvolgimento molto serio in questioni sociali che allargheranno i loro orizzonti, metteranno in discussione il loro stile di vita e offriranno loro una possibilità autentica di realizzazione umana.

Gli studenti universitari, per esempio, si trovano in una situazione splendida per prendere a cuore l'invito del Vangelo ad uscire da se stessi, respingere l'introversione e concentrarsi sulle necessità degli altri. Gli studenti che hanno la possibilità di una educazione superiore possono facilmente comprendere l'attualità per il mondo di oggi della parola di Cristo del ricco e di Lazzaro (cfr. Lc 16,19ss), con tutte le sue conseguenze per l'umanità. E' in gioco non soltanto la rettitudine del cuore di ogni singola persona, ma anche l'intero ordine sociale quando tocca le sfere dell'economia, della politica, dei diritti e dei rapporti umani.

Qui nei centri universitari cattolici di questa nazione, vivificati dall'ispirazione del Vangelo, si devono trarre i modelli per la riforma di atteggiamenti e di strutture capaci di influenzare l'intera dinamica della pace e della giustizia nel mondo, che si ripercuote sull'Est e sull'Ovest, sul Nord e sul Sud. Non basta offrire ai diseredati del mondo briciole di libertà, briciole di verità e briciole di pane. Il Vangelo esige di più. La parabola del ricco e del povero è rivolta alla coscienza dell'umanità, e oggi in particolare alla coscienza dell'America. Ma questa coscienza passa spesso attraverso le aule delle università, attraverso notti di studio e ore di preghiera, fino a raggiungere e abbracciare l'intero messaggio profetico del Vangelo. "Volgete l'attenzione", ci viene detto nella seconda Lettera di Pietro, "come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori" (2P 1,19).


9. Carissimi fratelli e sorelle: come responsabili dell'educazione universitaria cattolica, avete avuto in eredità una tradizione di servizio e di eccellenza accademica, lo sforzo globale di molti che hanno lavorato tanto e sacrificato tanto per l'educazione cattolica in questo paese. Ora si estende davanti a voi il vasto orizzonte del terzo secolo di esistenza costituzionale della nazione e si dischiude il terzo secolo degli istituti cattolici di istruzione superiore al servizio del popolo di questo Paese. Le sfide che si pongono a voi sono altrettanto serie quanto quelle poste ai vostri antenati allorché si accinsero a creare la rete di istituzioni alle quali oggi presiedete. Certamente la sfida più grande di tutte è, e resterà, quella di conservare e rafforzare il carattere cattolico delle vostre università: quell'impegno istituzionale alla parola di Dio quale viene proclamata dalla Chiesa cattolica. Questo impegno è una espressione di coerenza spirituale e nello stesso tempo uno speciale contributo al dialogo culturale proprio della vita americana. Mentre vi adoperate a rendere più luminosa la presenza della Chiesa nel mondo della cultura moderna, possiate ascoltare ancora una volta la preghiera di Cristo al Padre per i suoi discepoli: "Consacrali nella verità. La tua parola è verità" (Jn 17,17).

Possa lo Spirito Santo, consigliere e Spirito di Verità, che ha vivificato e illuminato la Chiesa di Cristo sin dall'inizio, darvi grande fiducia nella parola del Padre e sostenervi nel servizio che rendete alla verità attraverso l'istruzione superiore cattolica negli Stati Uniti di America.

[Al termine del discorso:] Vi ringrazio per la vostra presenza questa sera. Attraverso la vostra presenza potrei essere presente non soltanto tra voi ma anche in più di duecento istituti accademici, università e "college" degli Stati Uniti, istituti cattolici della cultura dell'insegnamento superiore. Potrei essere presente tra tutti gli insegnanti, docenti accademici, professori, e tra tutti gli studenti. Vi saro molto grato se vorrete esprimere il mio affetto a tutti costoro.

Stiamo lavorando insieme.

Siate consapevoli di partecipare in modo speciale alla missione profetica della Chiesa, anzi, di Cristo stesso. La Chiesa partecipa alla missione profetica di Gesù Cristo. L'insegnamento della Chiesa, e quello degli Istituti che servono l'insegnamento della Chiesa, sono partecipi della missione profetica della Chiesa. Ora - alla luce del Concilio Vaticano II e particolarmente della "Lumen Gentium" - è forse più chiaro di prima che l'intera comunità degli studenti, degli insegnanti, di docenti accademici nella Chiesa, nell'università cattolica, nel "college" cattolico, ha questa speciale missione, questa profonda responsabilità.

In nome di Gesù Cristo, che è il nostro Supremo Maestro, in nome di Gesù Cristo, che è il nostro Supremo e unico Maestro - che è non solo Maestro ma che è Verità, che è Via, che è Vita -, in nome suo esprimo la mia gratitudine a voi tutti per questo incontro e per tutte le vostre attività.

1987-09-12 Data estesa: Sabato 12 Settembre 1987





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