GPII 1988 Insegnamenti - Omelia nel corso della liturgia in rito siro-maronita - Città del Vaticano (Roma)

Omelia nel corso della liturgia in rito siro-maronita - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Il Libano vuole vivere"

Testo:

"Quando venne il tempo della purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore" (Lc 2,22).


1. Cristo Gesù, l'Emmanuele, entra oggi nel tempio costruito dalla mano dell'uomo.

La ricerca di Dio, il desiderio di lodarne la grandezza e la gloria, hanno edificato una casa, ove il mistero divino potesse abitare in mezzo agli uomini. Il credente sa bene che nulla è in grado di contenere l'autore della vita. Ogni generazione dunque ripete le parole di Salomone: "Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita" (1R 8,27). Il tempio diviene allora il luogo della supplica e dell'ascolto, dove il cuore dell'uomo, che ha bisogno di segni per aggrapparsi all'immateriale, riversa le ansie e le attese della vita facendone una preghiera rivolta al Misericordioso: "Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: li sarà il mio nome!... Ascoltali dal luogo della tua dimora, dal cielo; ascolta e perdona" (1R 8,29-30).

Oggi nel tempio entra Dio stesso, colui che è infinitamente più grande del tempio: allo sforzo umano di costruire una dimora per Dio risponde la divina "condiscendenza": oggi l'immensità di Dio entra nella povertà di una dimora umana e il Dio bambino è offerto all'eterno Padre.


2. Carissimi fratelli e sorelle, figli e figlie della gloriosa tradizione antiochena, che unisce insieme siri e maroniti, e mostra nei malankaresi la fecondità di un cristianesimo capace di accogliere e valorizzare culture anche remote, voi oggi celebrate con noi questo evento di salvezza. La liturgia maronita esalta con parole altissime l'odierno sublime mistero; "Figlio eterno, con la tua nascita secondo la carne tu hai allontanato dagli uomini la maledizione, poi sei entrato nel tempio, portato tra le braccia della Vergine, tua madre... Concedici di essere tempio dove tu dimori" (dalla "Preghiera della sera"). "Tu sei la speranza che i giusti hanno atteso, desiderando di vederla; tu sei entrato nel tempio come offerta per gli uomini; Simeone ti vide, ti riconobbe, ti porto tra le braccia e ti benedisse. Concedici dunque di vederti in ogni uomo e di riconoscerti in ogni avvenimento" (dalla "Preghiera del mattino").

Voi carissimi fratelli e sorelle, siete qui oggi a testimoniare i tesori spirituali di una tradizione antica e vivissima. Una tradizione profondamente radicatasi nel Libano, un Paese particolarmente caro al cuore della Chiesa e del Papa. Una terra biblica, giardino di delizie, cantata come luogo della benedizione e che oggi soffre per uno stato di guerra che pare non conoscere fine. Una tremenda furia di distruzione avvolge questo piccolo Paese, che, mille volte colpito, mille volte tenta di rinascere a nuova vita.

Si, il Libano vuole vivere, vuole ritornare ad essere quel valore civile e quella realtà di convivenza e collaborazione tra culture e tradizioni diverse, che è la sua vocazione storica.

Per i libanesi dobbiamo invocare con insistenza la possibilità di restituire la fisionomia originale al loro amato e tormentato Paese.

Dobbiamo sperare che anche i Paesi che hanno a cuore la sorte del Libano, come tutti quelli che hanno possibilità di contribuire, vogliano collaborare per permettere l'invocata soluzione nella pace e nella giustizia. Una soluzione tanto più urgente in un periodo sempre più contrassegnato da ingenti sofferenze che non risparmiano nessuna comunità e mettono in pericolo tutti i cittadini.

Faccio appello ai libanesi, a tutti i libanesi di fede religiosa, di cultura e di tradizioni diverse, affinché vogliano essere coscienti che la pace e la riconciliazione sono frutto di un impegno di giustizia, di comprensione e di carità nei confronti di tutti.

Oggi, in segno di partecipazione, ho voluto celebrare con voi questa Eucaristia nel vostro rito. Ad essa prendono parte anche i religiosi e le religiose della diocesi di Roma. Pregheremo con le vostre parole, perché ogni popolo ha nella Chiesa il suo tempio e la sua dimora: la Chiesa di Roma e le Chiese di tradizione siro-antiochena, unite nella comune professione di fede e nella frazione del pane, annunciano al mondo la Pentecoste dello Spirito, ove tutte le lingue cantano l'unico mistero dell'amore divino.


3. "E anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,35). Maria, l'arca dell'alleanza, offre suo Figlio nel tempio. La profezia del vecchio Simeone accomuna anche lei alla missione del Figlio: la luce che illumina le genti diviene la spada della verità, tagliente ed esigentissima. Nessuna falsità, nessuna doppiezza, nessuna tergiversazione possono coesistere con la fede in questo Bambino santo, "segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori" (Lc 2,34s).

C'è già sullo sfondo la croce, l'emblema della contraddizione. Eppure la tradizione sira ama rivestire quel segno di una luce di gloria, facendone lo strumento per l'ingresso nel Regno; la croce diviene il ponte che sovrasta il mare di fuoco, per il quale passano coloro che hanno lasciato questo mondo: "La tua croce - canta la vostra liturgia maronita - sia il ponte attraverso il quale i fedeli defunti, che indossano la veste del Battesimo, siano condotti al porto della vita eterna" ("Mazmoro" prima delle Letture nella Liturgia dei Defunti).

Maria, in questo anno a lei dedicato, nel quale tanto opportunamente questa liturgia si inserisce, oggi è particolarmente presente al mistero che celebriamo. E' presente perché le sue braccia di Madre presentano a Dio il i Verbo incarnato; ed è presente in questo momento liturgico che stiamo vivendo, per quel legame intimo che la unisce all'Eucaristia. "Maria ci ha dato il pane del riposo in luogo del pane del travaglio procurato da Eva" come canta sant' Efrem, la "cetra dello Spirito Santo" (S. Ephrem "Inno sul pane non lievitato", 6).

E quale splendida testimonianza di amore alla vergine Madre ci è trasmessa dalla tradizione dei siri! Alla vostra sensibilità, così partecipe della lotta fra tenebre e chiarore, così rapita nella contemplazione della luce celeste, anche Maria si presenta come colei che è abitata dalla luce divina, capace di trasfigurare e purificare la pesantezza della opacità umana. "Come in un occhio - sono ancora parole di San Efrem - la luce ha posto dimora in Maria, ha reso lucida la sua mente, sfolgorante il suo pensiero, pura la sua comprensione facendo brillare la sua verginità" (S. Ephrem "Inno sulla Chiesa", 36). La vostra liturgia continuamente protesa ad afferrare la luce divina che scende dall'alto, vede davvero nella Madre di Dio il roveto ardente ove si cela e manifesta ad un tempo lo splendore divino.


4. Carissimi religiosi e religiose, convenuti a questo tradizionale appuntamento di preghiera, come non trarre profitto dalla celebrazione di un rito così suggestivo e profondamente spirituale, per cogliere dalla tradizione della cristianità siriaca ancora uno spunto di meditazione sulla vita religiosa? Non è forse il mondo siro particolarmente insigne per il valore e la profondità della sua vita monastica? Fedele alla Scrittura quale fonte di ogni spiritualità, il monaco siriaco si protende verso la radicalità del "quaerere Deum" con tutta la fantasiosa pluriformità della sua natura perennemente mobilitata in attesa del Signore Gesù. Nel suo "marana tha", tale sensibilità proclama una struggente nostalgia di Dio, un bisogno intimo di prepararsi all'incontro con lui, di rendere agile il piede, cinti i fianchi e insonne la veglia, perché egli, il Signore risorto, sta per venire. Tesa continuamente tra l'oscurità di vicende storiche spesso penose, nelle catene di una esistenza di cui percepisce drammaticamente il limite, l'anima siriaca si slancia nel cielo della libertà, in quella ricerca di assoluto senza compromessi che sempre contraddistinse "il popolo del patto", fino al rigore di Charbel e Rafqa.

Cari fratelli e sorelle, non vi è, alla base della vocazione religiosa proprio questa tensione ad essere degni dei tempi ultimi? Dal tesoro di questa antica tradizione, così segnata dall'amoroso prepararsi per l'incontro con lo Sposo, nasca un impegno a riscoprire la radicalità della vostra testimonianza di fede, la specificità del vostro essere nella Chiesa e nel mondo, quale sacramento del Regno che viene.


5. Dalla storia spirituale del monachesimo orientale, vorrei trarne molto sinteticamente tre spunti, tra i molti possibili, che mi sembrano particolarmente rilevanti per la vita religiosa di oggi: l'essere religiosi significa ricercare, giorno dopo giorno, con fedeltà e tenacia, l'equilibrio interiore. Il monachesimo fu al riguardo una scuola esigente; quello siro in particolare, scandaglio con matura precisione le profondità del cuore, mostrando una conoscenza davvero ammirevole di quanto abita l'intimo dell'uomo. Questa ricerca della pace interiore è addirittura definita la "vera filosofia", connotata di una tonalità marcatamente pratica: si tratta di conoscere progressivamente, con pazienza, ciò che vive dentro di noi, di accordare, armonizzandole, le varie componenti della nostra persona, che ci fanno originali e irripetibili. La santità passa attraverso "la riconciliazione dell'anima e del corpo", come afferma Teodoreto (Theodoreti,"Therap. XII", 53). Ciò farà scaturire quella moderazione dell'animo che Teodoreto identifica con la "dolcezza".

Non è questo un aspetto profondamente umano dell'ascesi? E la santità non sboccia da un cuore veramente riconciliato, che nella sua limpidezza interiore rivela la piena realizzazione della persona? 6. Inoltre, un elemento di grande importanza è, in questa prospettiva, la paternità spirituale il monachesimo non cessa di vedere nel padre spirituale la vera guida nel cammino della santità.

A convertire il cuore non è tanto la regola fredda, ma l'esempio e il consiglio, resi tanto più accettevoli, in quanto personalizzati, riferiti ai tratti particolari di ogni individuo. E' preoccupante osservare come questa scuola di umanità sia potuta talora cadere in desuetudine nella Chiesa. E' invece molto importante che i religiosi e le religiose coltivino questo riferimento costante per la propria crescita umana e spirituale, poiché è difficile vivere gli impegni esigenti della consacrazione, senza una guida che conosca il nostro cuore, ci sorregga con la sapienza che le viene dallo Spirito, ci conforti con la magnanimità attinta alla fonte di ogni paternità, Dio che ci ha chiamati. E, una volta formati alla scuola dello Spirito, non possono proprio i religiosi e le religiose divenire una preziosa sorgente di guida spirituale per i laici egualmente assetati di Dio e bisognosi di un riferimento sicuro nel loro itinerario spirituale? Non è questa una prospettiva di grande valore per il futuro della vita religiosa? 7. Infine il monaco è l'uomo della fiducia in Dio portata sino a quella che, agli occhi degli uomini, può apparire temerarietà. Nasce così la "parresia" l'audacia che deriva dall'intimità divina e sa levare la voce di fronte a qualsiasi ingiustizia in nome di quella verità, così temuta dai prepotenti e dagli oppressori.

Un cuore puro saprà dare a questa disarmata libertà interiore la forza di testimoniare la radicalità di un Vangelo senza compromessi.


8. così la beata schiera di monaci d'Oriente chiamati gli "insonni", i "vigilanti", proprio come gli angeli, parla a noi oggi. Dalle Chiese siriache, dalle comunità della luce e dell'attesa, si leva verso di noi la voce del fuoco e dello Spirito, che parlo un giorno in Maria, che parla oggi nei sacramenti della Chiesa. E' ancora Efrem che se ne fa eco per noi: "Nel seno che ti porto tu sei Fuoco e Spirito, / Fuoco e Spirito sono nel fiume in cui fosti battezzato, / Fuoco e Spirito sono pure nel nostro Battesimo / e nel pane e nel calice sono Fuoco e Spirito" (S. Ephrem "Inno sulla fede", 10).

"Marana tha", Signore speranza del mondo, vieni!


Data: 1988-02-02 Data estesa: Martedi 2 Febbraio 1988




Ai Vescovi e alla comunità ecclesiale di Taiwan - Roma

Titolo: Messaggio per il Simposio sull'evangelizzazione

Testo:

Ai miei venerabili fratelli membri della Conferenza episcopale regionale cinese e ai partecipanti al simposio sull'evangelizzazione.

Dopo quattro anni di intensa preparazione, siete impegnati in un simposio sull'evangelizzazione, che costituisce un passo importante nella storia della vostra Chiesa locale.

La preparazione di questo avvenimento ha già prodotto abbondanti frutti di vita cristiana nel vostro popolo, tra cui la costituzione di molti gruppi di preghiera e di studio, il rinnovamento spirituale delle parrocchie e delle comunità religiose, il coinvolgimento dei laici nelle attività pastorali e missionarie, l'organizzazione e l'educazione dei catecumeni, l'apostolato tra gli studenti, conferenze e seminari sull'evangelizzazione, e molto altro.

Mentre sta per finire questo simposio, comincia la fase ancor più delicata, quella di attuare le sue risoluzioni e le sue direttive. In questo momento così particolare desidero essere presente spiritualmente in mezzo a voi, per salutarvi nel nome di nostro Signore Gesù Cristo e per incoraggiarvi nella vostra risposta generosa e impegnata, con l'aiuto dello Spirito, alla volontà del Padre per la Chiesa affidata al vostro ministero.

Il vostro simposio ha un duplice proposito: uno pastorale o ad intra, e l'altro missionario o ad extra. Questi due aspetti sono intimamente connessi. Il compito che avete è di creare comunità cristiane piene di fede, speranza e carità, dedite alla preghiera, che vivano nella gioia e nella pace della famiglia di Dio, i cui membri sono tra loro uniti, attirando altri al messaggio di salvezza che annunciate con chiarezza e coraggio ai vicini e ai lontani. Per conseguire questo fine pastorale, il vostro simposio ha rivolto la sua attenzione a molti significativi aspetti della vita delle vostre comunità, cercando un rinnovamento spirituale e organizzativo delle forze già al lavoro in mezzo a voi, incoraggiando l'emergere di nuovi programmi pastorali ed energie che mirano, tra l'altro, a santificare la famiglia e a rinsaldare la Chiesa universale.

Il fine ultimo del vostro simposio non è altro che impregnare con i valori evangelici la società cinese e condurre alla salvezza di Cristo il più possibile del vostro popolo.

La Chiesa ovunque è al servizio della persona umana. Essa cerca di esprimere il rispetto e l'amore per il genere umano attraverso una generosa solidarietà nei confronti di ogni gruppo e individuo. Nessuno è escluso da questo amore che "è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5). Il suo servizio pieno di carità è indirizzato alla persona nella sua interezza, corpo e anima, e ad ogni persona e gruppo, senza discriminazioni di sorta.

Accanto al ministero dei Vescovi e dei preti all'interno della comunità ecclesiale, il vostro simposio ha giustamente rivolto la sua attenzione alla missione e alla responsabilità del laicato nella Chiesa e nel mondo, che è stato il tema del Sinodo dei Vescovi tenutosi nell'ottobre dell'anno scorso. Il laicato ha il suo specifico e attivo ruolo da giocare nell'evangelizzazione. Portando un'autentica testimonianza ai valori evangelici, i laici fanno si che la verità del Vangelo possa giungere in ogni ambito della società, in ogni professione e attività, ad ogni genere di persona. I cristiani sono sempre più consapevoli del fatto che proprio attraverso la loro fede essi sono in grado di offrire un reale ed efficace servizio alla società in cui vivono. Come insegna il Concilio Vaticano II, "essi devono dimostrarsi membra vive di quel gruppo umano, in mezzo a cui vivono, e prender parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell'umana esistenza, alla vita culturale e sociale" (AGD 11).

Per voi si tratta di far conoscere Cristo e di "incarnare" il messaggio del Vangelo e la Chiesa nella cultura cinese, una delle culle più ricche di valori intellettuali e morali nella storia dell'umanità. In questo contesto, una liturgia inculturata in modo appropriato diventa il segno visibile e l'espressione del dialogo tra la fede e le tradizioni culturali. La vostra Chiesa locale è chiamata ad essere insieme cattolica e autenticamente cinese nella sua liturgia, che "contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa" (SC 2).

Ponendovi davanti a queste necessità che pesano sulla vostra responsabilità ecclesiale, voi siete consapevoli dei vostri limiti come individui e come membri della vostra Chiesa locale. Potete essere tentati di esitare.

Tuttavia quante volte leggiamo nel Vangelo l'invito del Signore a "non avere paura"? E' la sua presenza e la sua forza che ci dà il coraggio di andare avanti e dare testimonianza.

Davanti a voi c'è la grande realtà cinese. Il famoso missionario gesuita Matteo Ricci e i suoi primi compagni erano soliti dire: "Siamo diventati cinesi per vincere a Cristo i cinesi". Ma voi siete già cinesi e per questo siete i naturali evangelizzatori della grande famiglia cinese, per la quale siete i testimoni privilegiati del messaggio cristiano. Di più, attraverso la vostra stessa esperienza di vita voi dimostrate che accettare Cristo e il Vangelo non vuol dire affatto abbandonare la propria cultura o essere meno leali e fedeli rispetto alla propria nazione. Avete il grande compito di pregare per tutti i vostri fratelli e sorelle nella fede perché, dopo che siano stati rimossi tutti gli ostacoli, l'unità possa esprimersi pienamente, in comunione con Pietro che il Signore stesso ha stabilito come "il principio e fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione" (LG 18).

Con fiducia orante in Maria, madre della Chiesa, anche voi, in modo particolare siete chiamati ad ascoltare e compiere il mandato del Signore risorto: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,19-20).

Il vostro attuale simposio sull'evangelizzazione deriva, ultimamente, da questo mandato divino. Quello che richiede da voi e dalle vostre Chiese locali è strettamente legato alla promessa del Signore. Egli è con voi. In lui è la vostra fiducia e la vostra forza! Possa dunque l'intera comunità cattolica di Taiwan essere confortata, incoraggiata e rinsaldata dalla celebrazione di questo incontro.

Come segno della mia fraterna e spirituale partecipazione, con gioia vi imparto una speciale apostolica benedizione.

Dal Vaticano, 2 febbraio 1988.


Data: 1988-02-02 Data estesa: Martedi 2 Febbraio 1988



Alla giunta comunale di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: E' necessario governare evitando abusi ma anche il vuoto o l'inefficienza dell'autorità

Testo:

Onorevole signor sindaco di Roma, signori della Giunta e del Consiglio comunale!


1. Vi saluto tutti con sincera cordialità e vi ringrazio per questa gradita visita all'inizio dell'anno, la quale, pur essendo tradizionale, non è formalistica, anzi diventa occasione favorevole per un reciproco scambio di idee e un rinnovato stimolo per l'assolvimento di un non facile compito.

Ringrazio sentitamente l'onorevole sindaco Nicola Signorello per le calde e deferenti parole di omaggio che mi ha indirizzato a nome vostro personale e di tutta la cittadinanza romana.

Lo scambio degli auguri annuali tra autorità religiose e civili contribuisce a mettere in luce l'utilità e la necessità del loro rapporto a vantaggio delle stesse persone umane, che sono destinatarie del rispettivo servizio.

Quando poi si tratta di una capitale come Roma, l'incidenza e la qualità del servizio sono più che mai in relazione al grado di tale collaborazione. Mi auguro, pertanto, che il nostro presente incontro, oltre al consolidamento della cooperazione valga segnare un dato positivo nel cammino della nostra città.


2. Nell'odierna circostanza, desidero soprattutto rilevare anche a vostro conforto e incoraggiamento, quanto la Chiesa si attende dal potere civile e amministrativo, come fattore essenziale nel faticoso itinerario dello sviluppo di un popolo.

La Chiesa - come ben sapete - ha sempre chiaramente riconosciuto i diritti della potestà civile, raccomandando ai propri fedeli l'obbligo di renderle onore, sull'esempio di Gesù, che ha sottolineato il dovere di versare il tributo a Cesare (Mt 22,21). E, con immediata rispondenza, san Pietro, nel testo di quella che è da considerare la prima lettera pontificia della storia, mentre esortava i cristiani a comportarsi coerentemente "come uomini liberi", insisteva sulla necessità di sottomettersi ad "ogni istituzione umana", dalle autorità più alte a quelle intermedie (cfr. 1P 2,13-17).

Anche il più recente Concilio si mantiene sulla stessa linea, col mettere in rilievo la dignità e l'alta funzione di coloro che sono preposti alla cosa pubblica, ricordando ai cittadini di essere tenuti a obbedire per dovere di coscienza (cfr. DH 11). L'autorità pubblica, infatti, ha il suo fondamento nella natura umana, ed appartiene quindi all'ordine stabilito da Dio (cfr. GS 74). Senza l'effettivo ed equilibrato esercizio della potestà pubblica non sarà possibile raggiungere, mantenere ed incrementare l'ordine sociale, che è finalizzato alla promozione del bene comune, davanti a cui debbono cedere gli interessi di parte.

Ecco perché il Concilio non manca di sottolineare la responsabilità del potere civile di esercitare l'autorità nell'ambito della legge morale e della corretta amministrazione.

Spetta alla legittima autorità il compito specifico di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune, non in forma dispotica, ma come forza morale che si appoggia prima di tutto sulla libertà e sulla coscienza del dovere e del compito assunto.

Non è stato mai facile governare, ed è più che mai difficile oggi, nel contesto della società moderna, in una metropoli come Roma, capitale di uno Stato sovrano e, allo stesso tempo, centro della cattolicità. Ciò è anche più vero alla luce della fede cristiana, che considera ogni persona umana superiore a tutte le cose. Tuttavia, governare è necessario evitando da una parte abusi di autorità a ogni livello, dall'altra l'eccesso opposto del vuoto o dell'inefficienza dell'autorità. Un potere pubblico paralizzato non si può giustificare nell'insieme dell'ordine stabilito da Dio. Il dovere di ubbidire da parte dei sudditi è strettamente collegato con l'obbligo delle autorità di intervenire.


3. In tema di efficienza del potere pubblico e di funzionalità amministrativa, si pensa subito al dovere primario di mettere i cittadini in condizioni di condurre una vita veramente degna dell'uomo. Desidero qui fare riferimento preciso al problema indilazionabile che ad ogni persona non manchi la possibilità di procurarsi il necessario al vitto, al vestito, all'abitazione, anche in vista della formazione di una nuova famiglia; non manchino il lavoro, una sufficiente educazione, una sana ed obiettiva informazione, un'adeguata rete di servizi sociali.

Quando si esamina lo stato presente della città di Roma, non si può non riconoscere la realtà dei notevoli progressi realizzati, con la collaborazione di molti, sotto il profilo economico, sociale, culturale ed anche del benessere materiale. Ciò è tanto più vero, se si tengono presenti le enormi e crescenti difficoltà proprie di una metropoli moderna, nel quadro nazionale e internazionale, con tutto l'insieme delle spinte positive e negative caratteristiche di una società libera.

Tuttavia, il Vescovo di Roma, anche nella sua funzione inscindibile di pastore della Chiesa universale, non può chiudere gli occhi di fronte alla persistenza di zone non ristrette di miseria e di sottosviluppo, coesistenti accanto alle fasce sempre più ampie di ricchezza ed anche di opulenza. Egli non può trascurare di dire che, insieme con la diffusione dell'inquinamento ambientale, di cui non infrequentemente si parla, esiste pure il fenomeno, grave per lo sviluppo globale dell'uomo, dell'inquinamento morale. E ciò,non contribuisce a promuovere universalmente l'immagine più vera della città, che non è certo un agglomerato di elementi eterogenei nè una massa informe o anonima di cittadini.


4. Onorevole sindaco, egregi signori, anche chi non ha fede riconosce la peculiarità unica di Roma come sede del successore di Pietro e centro propulsivo della religione cattolica,e tutti sanno quanto lo spirito del Vangelo possa contribuire anche al miglioramento e alla qualità della vita umana sulla terra.

Nel rinnovare il mio ringraziamento per questa vostra visita, rivolgo a tutti, a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, ai vostri concittadini il mio benedicente saluto e augurio.


Data: 1988-02-04 Data estesa: Giovedi 4 Febbraio 1988




Al Segretariato per l'Unione dei cristiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La crescita del movimento ecumenico richiede orientamenti sempre aggiornati

Testo:

Carissimi fratelli e figli in Cristo.


1. Con l'animo pieno di gioia, ringrazio il Cardinale Jean Willebrands per le parole con cui mi ha presentato il lavoro della assemblea plenaria del Segretariato per l'Unione dei cristiani.

In particolare desidero ringraziare di cuore tutti coloro che, provenienti da diverse parti del mondo, hanno lasciato le loro occupazioni per mettere a disposizione di tutta la Chiesa cattolica la loro esperienza, la loro competenza, la loro sollecitudine per la crescita della piena unità di tutti i cristiani. In realtà, questo impegno comune, che è una delle priorità dell'azione pastorale dei nostri tempi, risponde a un preciso comando di Cristo alla sua Chiesa perché sia segno e strumento dell'unità di tutto il genere umano (cfr. Jn 17,21 LG 1). Il nuovo Codice di Diritto Canonico vi si riferisce esplicitamente: "E' compito primario del Collegio dei Vescovi e della Santa Sede incoraggiare e guidare presso i cattolici il movimento ecumenico il cui fine è ristabilire l'unità tra i cristiani, unità che la Chiesa, per volontà di Cristo, deve promuovere". (CIC 755, § 1). Ora, un simile impegno, così ampio, perché possa conseguire risultati reali, richiede l'apporto di molteplici competenze e la esatta conoscenza delle diverse situazioni locali.

Vi sono pertanto profondamente riconoscente per la riflessione comune da voi effettuata alla luce dei comandi evangelici e nel confronto leale e fraterno delle opinioni degli uni e degli altri, per trovare e formulare degli orientamenti fondati sulla dottrina, che rispondano ai problemi di oggi e siano aperti all'avvenire.


2. I rapporti sulle iniziative più importanti realizzate dal Segretariato, dopo l'ultima assemblea plenaria, vi hanno consentito una visione unitaria della situazione ecumenica attuale, con i suoi risultati positivi, i suoi problemi e le sue difficoltà. Si tratta, in verità, di un ampio giro d'orizzonte che comprende le relazioni con le Chiese orientali, quelle con le Chiese e le Comunità ecclesiali occidentali. Queste relazioni hanno caratteristiche comuni, certamente, ma anche aspetti specifici e differenti, poiché si tratta di questioni teologiche, di problemi di ordine storico e culturale, di situazioni sociologiche e politiche, di atteggiamenti psicologici e di implicazioni pastorali: il che forma un panorama estremamente variegato. In un simile contesto, una conoscenza precisa dei problemi e la ferma speranza che non delude mai quelli che lavorano per il Regno di Dio, in obbedienza alla volontà del Signore, offrono la possibilità di trovare nuove vie appropriate per risolvere le questioni, ereditate dalla storia, che ancora dividono i cristiani.

Considerando tutto ciò che è stato realizzato fra i cristiani, per grazia di Dio, per il ristabilimento della piena unità, sia attraverso il dialogo teologico, sia attraverso relazioni di fraternità, siamo incitati a raddoppiare gli sforzi all'interno della Chiesa cattolica e con gli altri cristiani, per progredire verso un accordo nella fede. Il Signore ha benedetto gli inizi di questo movimento; egli ci ha finora aiutato creando una situazione completamente nuova nelle relazioni tra i cristiani; ancora ci darà il suo sostegno, ne sono sicuro, per compiere il suo disegno.


3. Durante questa assemblea voi avete studiato, in modo particolare, il progetto di una nuova edizione del Direttorio ecumenico.

Il Concilio Vaticano II aveva chiesto che gli orientamenti per la pratica dell'ecumenismo fossero raccolti in un Direttorio per l'applicazione dei principi del decreto sull'ecumenismo e degli altri documenti conciliari con incidenza ecumenica.

Il Direttorio, tenuto in due momenti, nel 1967 e nel 1970, ha reso preziosi servizi nell'orientare, coordinare e sviluppare l'impegno ecumenico.

Dopo la sua promulgazione, altri documenti hanno trattato problemi ecumenici, direttamente o indirettamente, come il Motu Proprio "Matrimonia Mixta" (1970), l'Istruzione su casi particolari di ammissioni di altri cristiani all'Eucaristia nella Chiesa cattolica (1972), il documento sulla collaborazione ecumenica a livello nazionale, regionale e locale (1975), la costituzione apostolica "Sapientia Christiana" sulle università e le facoltà ecclesiastiche (1979), l'esortazione apostolica "Catechesi Tradendae" (1979), e altri ancora; in più, il Codice di Diritto Canonico del 1983 ha dato luogo a una situazione di novità.

Questo rende necessaria una nuova redazione del Direttorio che tenga conto dell'insieme, in modo che il compito pastorale della promozione organica dell'unità ne rimanga facilitato e condotto in modo coerente.

La prima parte del Direttorio ecumenico (1967, n. 2) aveva già indicato come orientamento di avere un'attenzione costante all'evoluzione della situazione ecumenica "senza che sia posto alcun ostacolo alle vie della Provvidenza e senza che si rechi pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo" (UR 24). Ancora: il nuovo Direttorio deve essere un mezzo per approfondire e far progredire in modo ordinato la situazione ecumenica.

Mi auguro quindi che il lavoro compiuto in questa settimana di assemblea plenaria costituisca il solido fondamento dottrinale e l'appropriato orientamento pastorale perché questo nuovo progetto possa trovare senza indugio una formulazione definitiva e perché venga presto promulgato.

La vastità del movimento ecumenico, la moltiplicazione dei documenti di dialogo, l'urgenza sentita di una più grande partecipazione di tutto il Popolo di Dio a questo movimento e, di conseguenza, la necessità di una informazione dottrinale corretta per un giusto impegno, tutto questo richiede degli orientamenti aggiornati, senza indugio.


4. Quando tornerete alle vostre Chiese particolari, ai vostri impegni pastorali, porterete di certo con voi un'eco delle riflessioni di questi giorni, destinate ad approfondire la sollecitudine e la preoccupazione concreta per il ristabilimento della piena unità.

Unendomi a voi nella preghiera, chiedo al Signore di benedirvi, e con voi tutti coloro che collaborano con voi nel servizio per l'unità.


Data: 1988-02-05 Data estesa: Venerdi 5 Febbraio 1988




Alla Giunta regionale del Lazio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La politica: scienza ed arte del servizio

Testo:

Onorevoli presidenti e illustri membri del Consiglio e della Giunta regionale del Lazio!


1. Sono lieto ed onorato di accogliervi in questa udienza a voi riservata all'inizio del nuovo anno, e con grande cordialità porgo a ciascuno di voi il mio deferente saluto, estendendo il pensiero anche a tutti i Consiglieri ed ai rispettivi familiari.

Desidero manifestarvi viva gratitudine per gli auguri da voi presentati e per questa visita che è segno di ossequio sincero.

Davanti a voi viene spontaneo e logico immaginare la vasta porzione dell'Italia, di cui siete direttamente responsabili: "Questa splendida, austera, vetusta, fatidica regione del Lazio" - come disse Paolo VI, ricevendo per la prima volta i vostri colleghi nel 1972 - col suo paesaggio "spazioso e solenne e con la sua gloriosa storia civile e religiosa (cfr. Insegnamenti di Paolo VI, X [1972] 220).

Ma soprattutto è naturale pensare alle vostre responsabilità ed ai compiti, per i quali siete stati eletti dai cittadini e che dovete svolgere nella complessa situazione del mondo moderno. Infatti, il vero e retto fine dell'attività politica è il benessere materiale e spirituale della società, in modo che i diritti e i doveri siano da tutti rispettati e tutelati.

Come scrisse Pio XI nell'enciclica "Divini Redemptoris": "Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale di cui l'uomo può e deve servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l'uomo, e non viceversa... Ciò è da intendersi nel senso che, mediante l'unione organica con la società, sia a tutti resa possibile per la mutua collaborazione l'attuazione della vera felicità terrena" (Pii XI "Divini Redemptoris", 29).


2. Ma, purtroppo, è diventato difficile realizzare questo intento! Le difficoltà, intrinseche alla stessa compagine della vita associata, sembrano ancora aumentare a motivo delle accresciute esigenze dei cittadini, dei contrasti ideologici e degli ostacoli concreti che ogni giorno sorgono nell'azione pubblica, nella quale bisogna necessariamente scegliere e decidere. Chi, come voi, amministra comuni interessi, deve mantenere sempre ferme e limpide le qualità che rendono saggi, onesti e operosi, e cioè: la coscienza morale, la sensibilità sociale e la lungimiranza politica, unita alla competenza tecnica nel proprio settore, in modo che siano veramente risolti i problemi che man mano si affacciano e siano soddisfatte le giuste richieste dei cittadini.

In proposito, è interessante ed utile rileggere in questo anno, in cui ricorre il quarantennio della Costituzione della Repubblica Italiana, gli articoli del Titolo V, riguardanti "Le Regioni, le Province, i Comuni". Prescindendo da una interpretazione giuridica e tecnica, che farete voi stessi, insieme con gli esperti, il messaggio che in sintesi se ne ricava è quello del "servizio", specialmente alla luce dell'articolo 5, che recita: "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento". Emerge evidente l'intenzione dei legislatori: decentrare per servire meglio, più concretamente e tempestivamente la cittadinanza. E' questa la vostra responsabilità ed anche la vostra dignità, essere e sentirvi a servizio di questa vasta Regione, che ha avuto fiducia in voi e da voi attende il contributo dell'intelligenza, della capacità e - diro anche - dell'amore.


3. L'occasione di questo incontro riporta il nostro pensiero alla festività del Natale, che abbiamo da poco commemorato. La solenne e soave liturgia natalizia ci ha fatto nuovamente meditare sulla "teologia dell'incarnazione", e cioe sull'evento unico e strepitoso del "farsi uomo" della seconda Persona della Santissima Trinità: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi!" (Jn 1,1 Jn 1,14). Poiché Dio si è fatto uomo ed ha voluto inserirsi nella nostra storia, possiamo dedurre logicamente che Dio vuole la storia umana, la ama, la stima, la guida, la eleva, la salva. Nel disegno creatore e redentore di Dio c'è appunto questa nostra storia talvolta drammatica e contrastata, e tuttavia sempre sostenuta dall'onnipotenza e dall'onniscienza dell'Altissimo. Da questa verità sgorga la "teologia delle realtà terrene": queste si rivelano nel loro pieno valore oggettivo e universale alla luce della ragione e della rivelazione. La tragedia della società moderna sta proprio nello smarrimento del significato trascendente ed eterno dell'uomo e, quindi, delle realtà terrene.

L'uomo così rischia di divenire un essere sperduto, senza significato; dietro a lui non ci sarebbe nulla, come non c'è, nulla davanti; il senso della sua esistenza sarebbe dato unicamente dall'esistenza stessa. Diventa allora dolorosamente logico il pullulare di "progetti di vita" insufficienti, disperati, contradditori, privi di un'apertura al trascendente.

Alla luce, invece, dell'incarnazione di Dio le realtà terrene non solo assumono il loro significato di "mezzi" per il "fine", che trascende l'uomo e la storia, ma sprigionano anche una forza di attrazione, per cui merita impegnarsi in esse, in tutti i settori del vivere sociale e familiare, nonostante le difficoltà ed anche le sconfitte.


4. La "teologia delle realtà terrene" sfocia perciò nella "teologia della politica", la quale non deve essere solamente - come si dice - l'arte del possibile, ma piuttosto deve intendersi come scienza e arte del servizio, proprio perché Dio, volendo la storia umana, vuole insieme la società, affidandone il coordinamento all'autorità, in vista del raggiungimento del bene comune, naturale e soprannaturale. Pertanto, il "fare politica", in tutti i settori, anche nell'ambito regionale, significa amare la "persona umana" e spendere tempo, intelligenza e fatica per venire incontro alle sue necessità. Il "politico" sente quanto pesante sia l'assillo quotidiano di dover ben ponderare le questioni, per poi operare le giuste scelte e decidere in modo assennato e costruttivo.

Per il bene della Regione, cari amici, accettate con generosità questo impegno di servizio e di amore: grande sarà certamente la ricompensa, prima nella riconoscenza dei cittadini e poi nell'eterna mercede del cielo, verso il quale camminano le singole esistenze e l'intera storia umana.

Iniziando il nuovo anno, invoco su di voi e sul vostro lavoro l'intercessione materna di Maria Santissima e vi imparto la mia benedizione, assicurando il ricordo nella preghiera.


Data: 1988-02-06 Data estesa: Sabato 6 Febbraio 1988





GPII 1988 Insegnamenti - Omelia nel corso della liturgia in rito siro-maronita - Città del Vaticano (Roma)