GPII 1988 Insegnamenti - Ai Vescovi del Sudan in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Ai Vescovi del Sudan in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La libertà religiosa è misura di tutti gli altri diritti fondamentali

Testo:

Cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo.


1. Sono lieto di accogliervi, membri della Conferenza episcopale del Sudan, nell'occasione della vostra visita "ad limina". Siamo oggi qui riuniti nella comunione dello Spirito Santo e nella carità di Cristo che per sempre resta la pietra angolare (cfr. Ep 2,20) e pastore delle nostre anime (cfr. 1P 2,25). Il nostro incontro è un momento speciale di comunione ecclesiale e ci dà l'opportunità di rafforzare i legami di unità, carità e pace che ci uniscono nel Collegio dei Vescovi (LG 22).

Ognuno di voi rappresenta una Chiesa particolare nel Sudan e porta le speranze, le gioie, le sofferenze e le difficoltà dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici affidati alla vostra cura pastorale. Voi siete anche testimoni delle sofferenze delle vostre popolazioni. In quanto "ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1), voi siete particolarmente preoccupati per le gravi conseguenze della distruzione dei valori morali provocata da situazioni di insicurezza e dalla mancanza di possibilità di educazione e sviluppo. Tra le manifestazioni di questa crisi ci sono la distruzione dei legami familiari, la perdita del senso del valore e della dignità della vita umana, la crescita - in altre parole - della mentalità violenta, e lo spettacolo della gioventù disorientata e confusa. Questa difficile situazione interpella la vostra responsabilità pastorale e richiede una risposta dalla Chiesa intera.

Desidero incoraggiare la comunità ecclesiale del Sudan ad essere unita nell'affrontare le sfide del presente, per portare una reale testimonianza della presenza del Regno di Dio in mezzo al suo popolo. Nel nostro incontro di oggi è mio profondo desiderio confermarvi nella speranza viva alla quale siete stati rigenerati mediante la risurrezione di Gesù Cristo (cfr. 1P 1,27). Come dissi nell'ultima vostra visita "ad limina": "Il mio è un messaggio di speranza motivata dall'amore... Attraverso di voi e attraverso tutto il vostro popolo, uniti in comunità dalla parola e dai sacramenti, il Signore Gesù desidera mantenere viva l'invincibile speranza del suo Vangelo. In questo particolare momento storico, tutti voi siete chiamati a guidare il vostro popolo, a condurli a riporre la loro speranza nel misericordioso salvatore del mondo, il redentore dell'uomo" ("Allocutio ad Sudaniae Episcopos occasione oblata "ad limina" visitationis coram admissos", 6, die 30 oct. 1981: AAS 73 [1981] 725 s).


2. Sono pienamente consapevole delle coraggiose iniziative da voi prese per proclamare il Vangelo fronteggiando gravi difficoltà. Avete organizzato la vostra attività pastorale in due direzioni fondamentali. Da una parte, insieme con i sacerdoti, i religiosi e i catechisti, vi siete dedicati al compito grande di annunciare la buona novella della salvezza ai molti che non hanno conosciuto o accettato Cristo. Dall'altra parte, con grande sollecitudine vi siete dedicati ai vostri fedeli cattolici, sostenendoli con la parola e i sacramenti, svolgendo in mezzo a loro il compito del Buon Pastore.

Colgo questa opportunità per incoraggiare i vostri sforzi nel lavoro di evangelizzazione, che è "la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua più profonda identità" (Pauli VI EN 14). Nel vostro specifico contesto culturale il messaggio evangelico deve essere diffuso soprattutto attraverso la testimonianza di un'esemplare vita cristiana. Una tale testimonianza di dedizione è già un atto di evangelizzazione.


3. So che come Vescovi voi apprezzate grandemente l'inestimabile contributo che danno i vostri fratelli sacerdoti, diocesani e religiosi, sudanesi e missionari, all'evangelizzazione e allo sviluppo sociale del vostro Paese. Il loro magnifico lavoro pastorale, l'impegno caritativo, a costo di grandi sacrifici personali e a fronte di molti ostacoli sono una parte fondamentale del servizio della Chiesa al Popolo di Dio del Sudan. Un aspetto essenziale del vostro compito apostolico consiste nel confermare i vostri fratelli sacerdoti nella loro identità di ministri della parola e dei sacramenti. Cercate di aiutarli con la vostra comprensione e compassione. E' importante che voi e i vostri sacerdoti siate strettamente uniti e che i presbiteri di ogni Chiesa locale siano uniti al Vescovo con un cuor solo e un'anima sola. così la profonda natura di comunione di fede e carità della Chiesa si dimostra più apertamente.

Ho notato con soddisfazione che, nonostante le difficoltà, le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa sono in aumento in Sudan. Desidero assicurarvi la mia preghiera come sostegno a tutti i vostri sforzi per la scelta dei candidati meritevoli al ministero sacerdotale. Di più, condivido con voi la convinzione importante che i vostri seminaristi debbano ricevere un'adeguata preparazione spirituale, accademica e pastorale per il loro futuro servizio di sacerdoti di Gesù Cristo. Siate sempre veri padri in Cristo per i vostri seminaristi.

La presenza della Chiesa e il suo coinvolgimento nelle diverse sfere della sanità, del benessere sociale e dell'educazione dipende largamente dai membri degli istituti di vita consacrata che lavorano nel vostro Paese. Volentieri mi unisco a voi nel ringraziare Dio onnipotente per tutti i religiosi e le religiose che attraverso il loro lavoro instancabile al servizio del Vangelo nei diversi ambiti dello sviluppo umano hanno reso possibile alle vostre Chiese locali di esercitare un'influenza molto superiore al vostro numero limitato.


4. Nelle vostre Chiese locali i catechisti laici svolgono un ruolo fondamentale nell'educazione alla fede di bambini e adulti. La catechesi è uno dei momenti essenziali dell'intero processo di evangelizzazione, soprattutto quando implica l'insegnamento della dottrina cristiana in un modo organico e sistematico, con lo scopo di introdurre gli ascoltatori alla pienezza della vita cristiana (cfr. CTR 18).

Oltre alla formazione religiosa dei fedeli, vi esorto a dirigere la vostra attenzione alla creazione e promozione di programmi educativi permanenti, in particolare per preparare i laici ai vari ruoli di servizio e guida nelle comunità civili ed ecclesiali. Questa formazione completa è importante soprattutto per quei cattolici che hanno delle responsabilità nella vita pubblica. Questi uomini e queste donne vanno davvero incoraggiati e sostenuti nel loro servizio al bene comune dei concittadini.


5. Voi e quanti sono affidati alla vostra cura pastorale siete chiamati a portare il peso della testimonianza quotidiana a Cristo in una società pluralista sul piano delle religioni. In questa realtà, è vostro compito riaffermare l'impegno della Chiesa cattolica al dialogo e alla proclamazione del Vangelo. Come ho sottolineato in una precedente occasione: "Non si può porre la questione di scegliere uno e ignorare o respingere l'altro. Anche in situazioni in cui la proclamazione della nostra fede sia difficile, noi dobbiamo avere il coraggio di parlare di Dio, che è il fondamento della nostra fede, la ragione della nostra speranza, e la fonte della nostra carita" (Eiusdem "Allocutio ad eos qui plenario coetui Secretariatus pro non Christianis interfuerunt coram admissos", 3, die 28 apr. 1987: , X, 1 [1987] 1450).

La Chiesa ha un profondo rispetto per tutti i non-cristiani, poiché ritiene che il disegno della salvezza comprende tutti coloro che riconoscono il Creatore. Esiste perciò una base solida per il dialogo e la coesistenza pacifica con i musulmani. E' insegnamento specifico del Concilio Vaticano II che cristiani e musulmani devono "esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà" (NAE 3). Da parte nostra, dialogo significa disponibilità a collaborare con gli altri per il miglioramento dell'umanità, e impegno a ricercare insieme la pace vera e la giustizia.

A questo riguardo, il diritto alla libertà religiosa è una questione su cui i seguaci di tutte le tradizioni religiose dovrebbero collaborare, dal momento che la libertà religiosa è misura di tutti gli altri diritti fondamentali, perché tocca la sfera più intima dello spirito umano. Nessun individuo o gruppo, nemmeno lo Stato può imporre la sua autorità nella sfera delle convinzioni religiose. Dove lo Stato garantisce uno speciale status a una particolare religione, espressione della fede di una maggioranza di cittadini, esso tuttavia non può imporre quella religione a tutto il suo popolo o restringere la libertà religiosa di altri cittadini o di stranieri che vivono nel suo territorio. Come ho scritto nel messaggio di quest'anno per la Giornata mondiale della pace: "In nessun caso l'organizzazione statale può sostituirsi alla coscienza dei cittadini nel sottrarre spazi vitali o prendere il posto delle loro associazioni religiose. Il retto ordine sociale esige che tutti - singolarmente e comunitariamente - possano professare la propria convinzione religiosa nel rispetto degli altri" ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a.D. 1988", par I, die 8 dec. 1987: , X, 3 [1987] 1334 s).


6. Non posso mancare di far menzione della mia preoccupazione per il conflitto armato che si svolge nel Sudan meridionale e nel Kordofan del Sud, segnato dalla perdita di vite umane, seri danni ai civili, distruzione di proprietà e diffusa carestia. In più, i continui combattimenti hanno reso quasi impossibili i tentativi di portare soccorsi. Prego che venga presto trovata una soluzione negoziata alle ostilità, nel rispetto delle giuste aspirazioni dei popoli coinvolti. Con il bene del popolo sudanese nel cuore, rivolgo un appello a tutte le parti affinché perseguano la strada di una composizione negoziata.

Desidero esprimere anche la mia preoccupazione per le centinaia di migliaia di rifugiati e trasferiti che vivono ammassati nelle principali città del Sud e del Nord. Mentre vi esorto a continuare i vostri sforzi per portare soccorso a queste popolazioni povere e senza patria, rinnovo la speranza espressa alla presentazione delle lettere credenziali dell'Ambasciatore del Sudan che "la comunità internazionale risponda all'appello del Sudan per l'assistenza umanitaria di fronte a questo difficile problema" ("Allocutio ad exc. mum virum Awad Elkarim Fadulall Sudaniae apud Sanctam Sedem constitutum Legatum", die 7 ian.1988: , XI, 1 [1988] p. 49 ss.). L'intera questione evidenzia la grave contraddizione in cui versa la comunità internazionale, dove è talvolta difficile o impossibile organizzare o distribuire beni alimentari fondamentali di emergenza e mettere in atto programmi educativi e sanitari che sarebbero una parte fondamentale degli aiuti, mentre invece il commercio e il trasporto delle armi non conosce frontiere e continua senza limitazioni.


7. Vi ringrazio tutti, amatissimi fratelli, per la vostra generosa dedizione di pastori al gregge affidato alle vostre cure. Nelle vostre fatiche di tutti i giorni io vi sono vicino nell'amore di Gesù Cristo. Interceda per voi la beata Vergine Maria, cui recentemente avete consacrato il Sudan, e vi conforti nelle vostre fatiche pastorali. Recentemente avete avuto la gioia di consacrare la vostra patria alla beata Vergine Maria. Con questo solenne atto di amore e dedizione filiale, avete seguito l'esempio di Cristo che, morendo sulla croce, affido il discepolo prediletto alle cure della sua beata Madre. "Donna, ecco tuo figlio!", Cristo le disse. E anche voi avete detto: "Maria, ecco i tuoi figli e le tue figlie del Sudan; ecco che tutti si rifugiano in te". E davvero potete essere certi che la Vergine Maria ascolta questa preghiera. Perché ella sempre vede la Chiesa come il Corpo mistico di suo Figlio. Ella dà prova di tenera sollecitudine di madre verso il bisognoso e il debole, verso coloro che sono i prediletti da suo Figlio.

Nel nome di Gesù Cristo, pace a voi e a tutti i vostri sacerdoti, religiosi e fedeli. Con la mia apostolica benedizione.


Data: 1988-02-13 Data estesa: Sabato 13 Febbraio 1988




A un gruppo di studenti del Cameroun - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Udienza a studenti del Cameroun

Testo:

Cari studenti.

Sono felice di accogliervi qui in occasione della settimana culturale organizzata dalla associazione per gli studenti camerounesi in Italia, nel momento in cui il vostro Paese celebra la festa nazionale della gioventù.

Le giornate da voi vissute di incontri e dialogo vi hanno dato la possibilità di studiare i difficili problemi legati alla vostra condizione di studenti stranieri in un Paese di accoglienza. Vi avranno permesso di rinsaldare i legami di amicizia tra di voi e di far meglio conoscere, intorno a voi, il vostro patrimonio culturale.

La cultura, dal momento che pone l'accento sulla qualità dell'uomo piuttosto che sulla quantità dei suoi beni, è importante per l'identità di un popolo e deve essere salvaguardata e arricchita. Compito essenziale di quanti accedono alla cultura è l'educazione; grande è quindi il ruolo che sarete chiamati a svolgere tra i vostri compatrioti, per aiutarli a ben comprendere il mistero dell'uomo, il suo linguaggio, il suo essere e il suo destino.

Vi incoraggio a perseguire la vostra formazione universitaria e professionale per meglio servire i vostri fratelli e sorelle camerounesi, con un amore particolare per i più deboli, come la Chiesa è solita ripetere. Vi auguro di contribuire allo sviluppo di tutto ciò che rende un uomo colto: le qualità del cuore insieme allo spirito critico, il gusto del lavoro e della disciplina di vita, la stima per la verità nella rettitudine della coscienza e il senso della solidarietà universale.

Prego Dio di darvi coraggio e gioia nella vostra grandiosa responsabilità, e di tutto cuore vi benedico.


Data: 1988-02-13 Data estesa: Sabato 13 Febbraio 1988




Al Pontificio Seminario Romano Maggiore - Roma

Titolo: Come Maria, dobbiamo imparare ad aprirci alla discesa dello Spirito

Testo:

"Lo Spirito Santo scenderà su di te".

Abbiamo ascoltato il magnifico inno mariano "Akathistos" e possiamo dire che tutte le sue parole così ricche e poi tutti i suoi toni così profondi cercano di interpretare questa verità biblica dell'Annunciazione: "Lo Spirito Santo scenderà su di te". Momento decisivo, quando il Verbo si fece carne, per mezzo della Vergine, per mezzo della sua carne. E si fece carne grazie alla discesa dello Spirito Santo: discesa dello Spirito sullo spirito e sul corpo della Vergine. E la discesa dello Spirito fece in lei una cosa inesprimibile: una divinizzazione dell'umano, del virginale, del femminile. La parola che risuona nella bocca dell'arcangelo è "grazia": "piena di grazia". Questa parola vuole esprimere la partecipazione nel divino, anzi la partecipazione nella vita intima della divinità. Questo momento, nella vita della Vergine di Nazareth, è nello stesso tempo una definitiva prefigurazione, pre-annunciazione, anzi anticipazione di un'altra discesa dello Spirito Santo che doveva compiersi cinquanta giorni dopo la risurrezione di Cristo, nella Pentecoste: discesa che ha dato inizio a un altro Corpo di Cristo, la Chiesa. In quest'altra discesa di cui l'Annunciazione è stata l'anticipazione perfetta, adeguata, in quest'altra discesa dello Spirito Santo non solamente una persona, una vergine, ma tutti noi, tutto il Popolo di Dio, siamo abbracciati, permeati della stessa forza, dello stesso Spirito Santo che divinizza l'umano. Si devono ricordare queste verità profondissime perché appunto loro costituiscono il nucleo divino della buona novella: Dio vuole comunicarsi all'uomo fino a cambiare, in un certo senso, in una certa misura adeguata all'uomo creato, vuole cambiare, trasformare l'umanità, vuole farci partecipi della sua intima vita divina.

Lo dico durante questo nostro incontro, di cui sono molto grato al seminario romano, al Cardinale vicario, a monsignor rettore, nuovo Vescovo ausiliare di Roma, a tutti i superiori, a tutti gli studenti e a tutti i componenti di questo seminario romano. Sono anche grato a tutti gli ospiti, amici di questo seminario: giovani, adulti, tutti coloro che conoscono questo luogo, lo frequentano, pregano in questa cappella e si incontrano con questa bellissima icona della Madre della fiducia che è il tesoro speciale del seminario romano.

A che cosa serve questo seminario? Lo sappiamo bene: serve per preparare i futuri sacerdoti, quelli che devono essere servitori di Cristo, ma anche dispensatori dei misteri divini. Possiamo dire che il loro compito quotidiano, il loro ministero, sarà tutto centrato su quella realtà soprannaturale, su quella realtà divino-umana che ha trovato il suo definitivo inizio nel momento della incarnazione, nel momento in cui Maria ha udito le parole: "Lo Spirito Santo scenderà su di te". Che cosa dovete imparare voi, carissimi amici; che cosa dovete imparare voi, carissimi seminaristi; che cosa dobbiamo imparare noi tutti ogni giorno, davanti a questo mistero di Maria? Dobbiamo imparare questa cosa che è la più specifica per lei: dobbiamo imparare come aprirci, come fare strada allo Spirito Santo, al Santissimo Paraclito, come fare strada alla sua discesa, perché lui opera sempre dappertutto in ciascuno di noi e cerca le strade che potrebbero portarlo sempre più entro lo spirito umano. Spirito divino, spirito umano: l'incontro dei due si chiama molte volte "vita spirituale". Ecco, la vita spirituale abbraccia molti sforzi, molte forme di preghiera, di sacramenti, di ascesi, molte pratiche, ma l'essenziale rimane sempre questo: l'incontro dello Spirito divino, lo Spirito Santo, con lo spirito umano. Porta aperta dello spirito umano alla discesa dello Spirito divino.

Ed io auguro a tutti, auguro a tutti noi, auguro a me stesso, auguro a questo seminario e a tutti i suoi componenti e specialmente ai suoi studenti di possedere questa vita spirituale, di approfondirla guardando alla dolce immagine della "Madonna della fiducia". Si, ci vuole una grande fiducia nell'uomo, da parte di qualsiasi uomo, che il proprio spirito possa essere la dimora dello Spirito Santo, la dimora di Dio vivo e vero, nella sua comunicazione paterna, filiale, spirituale; anzi, che questo costituisce il vero destino dell'uomo perché se egli non crede, che cosa rimane all'uomo? Senza il destino spirituale, senza la vita dello spirito, che cosa rimane dell'umano? Basta guardare alle realtà empiriche.

Questa nostra presenza, questa nostra preghiera e la nostra partecipazione al magnifico canto "Akathistos" - per il quale siamo tanto grati al direttore e a tutti gli artisti - siano per noi un nuovo invito alla vita spirituale.

Nell'insieme del programma seminaristico questa vita, questa apertura nello Spirito Santo sotto lo sguardo materno di Maria, devono trovare un posto privilegiato. Proprio come diceva Gesù di un'altra "parte ottima" che è appunto questa "pars optima", questa parte migliore: tutto quello che l'uomo può fare, cui può aspirare, in cui può maturare nella sua vita, per camminare verso i suoi ultimi e definitivi destini.

Vi ringrazio per la vostra attenzione e raccomando il seminario romano, la Chiesa di Roma, alla preghiera di tutti.

[Prima di lasciare il seminario, il Santo Padre ha pronunziato le seguenti parole:] Questa è la sera dei discorsi brevi: ed è un bene. Certo, non lo è se la brevità nasce dalla scarsezza delle idee, ma lo è se nasce dalla loro densità.

Sant'Agostino ha già scritto le sue "Confessioni": quelle del vostro rappresentante ne rappresentano forse una o due pagine, ma sono sempre confessioni, non personali, ma di una intera generazione: quelli che si trovano qui - che sono già una rappresentanza significativa - ma anche quelli che si trovano fuori, appartengono alla stessa generazione.

Ascoltando il vostro collega, io ho pensato al mio predecessore, al Papa Paolo VI, perché a lui, al suo pontificato è toccato quel periodo della contestazione, degli ultimi anni 1960 e dei primi anni 1970. Ho pensato, come penso sempre: "Quale fede, quale speranza ha dovuto avere quel Papa per vedere nella contestazione il preannuncio di un "si" mariano". Anzi, proprio da quella contestazione sono venuti tanti "si" - "fiat" - nelle anime di giovani, ragazzi e ragazze: forse non sono, come si dice, i "teen agers", quelli sopra i venti anni, i trenta anni. Ci voleva un periodo di contestazione, ci voleva anche un tempo per la contestazione per arrivare a questo "si". Poi siamo arrivati a questo "si" e ne dobbiamo ringraziare Dio. Per questo ho pensato a Papa Paolo VI: quanta fede, quanta speranza doveva avere - e l'aveva veramente - per aspettare, dopo il periodo abbastanza massiccio della contestazione, quel "si" di tanti giovani.

Spero che lui ora ringrazi il Signore nella sua dimora eterna e noi lo ringraziamo con lui qui, sulla terra, nel seminario romano, ma non solamente qui, anche in molti luoghi del mondo dove questo "si" della vocazione cristiana, sacerdotale, religiosa, si sente sempre più spesso. E, ancora, preghiamo per la moltiplicazione di questi "si" che sono le voci della speranza.

Vi ringrazio per questa bellissima serata, tradizionale ma sempre nuova.

Vi ringrazio per il bellissimo inno "Akathistos", forse il più bello degli inni mariani. Ma vi ringrazio anche per le novità di carattere organizzativo e pastorale, come il centro di formazione permanente per il clero romano: devono camminare insieme la formazione preparatoria al sacerdozio e la formazione permanente del sacerdote. In un certo senso è vero che noi non dobbiamo mai abbandonare il seminario: anche avendolo terminato, dobbiamo sempre ritornarvi. Il nostro seminario è la nostra casa-madre.

Grazie al seminario romano, grazie a tutti coloro che cercano di portarlo avanti anche in senso quantitativo e organizzativo ma soprattutto in senso spirituale: tutto va insieme, tutto appartiene alla stessa realtà umana e deve essere vivificato dalla grazia del Signore. E questo segno corrisponde alla presenza centrale della Vergine, "Madre della fiducia", nella vostra casa.


Data: 1988-02-13 Data estesa: Sabato 13 Febbraio 1988




Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Venerata sul monte Hostyn Maria, protettrice vittoriosa della Moravia

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. L'odierna ricorrenza della festa dei santi Cirillo e Metodio, apostoli della Moravia e compatroni dell'Europa, ci induce a volgere oggi il nostro sguardo verso quella terra dalle antiche tradizioni cristiane.

In Moravia, all'estremità nord-occidentale dei Carpazi, davanti al panorama di una fertile pianura, si leva il monte Hostyn, sul quale erano solite rifugiarsi le popolazioni delle zone vicine in occasione delle ripetute ondate delle incursioni nemiche. Il monte, frequentato in antico per celebrazioni pagane, divenne luogo di devozione cristiana quando, grazie all'opera dei santi fratelli Cirillo e Metodio, la Moravia fu convertita al Vangelo. Su di esso continuavano a cercare rifugio quanti erano minacciati dalle scorribande delle orde tartare, che sul loro passaggio seminavano terrore, desolazione e morte. Nel 1241, nelle vicinanze di Hostyn, i cristiani, che si erano rifugiati sul monte, imploravano accoratamente la Vergine per ottenere misericordia e salvezza; ed ecco, i tartari furono costretti alla fuga in seguito a una sconfitta che la popolazione della zona attribui ad uno speciale aiuto del cielo.

Da quel tempo Maria comincio ad essere venerata su quel monte come protettrice vittoriosa della Moravia.


2. Verso la metà del 1500 sul monte fu eretta una cappella, frequentata soprattutto dagli operai che lavoravano nelle vicine miniere, ma un secolo dopo questa venne distrutta da gruppi di fanatici. Riedificata dopo la guerra dei trent'anni, vi fu collocata per la prima volta l'immagine di Maria, con in braccio il Bambino Gesù.

Nel secolo decimottavo sul posto fu edificata una bellissima chiesa con due torri, ed a fianco la casa canonica, dove abitavano tre sacerdoti e due eremiti, a disposizione delle necessità spirituali della folla crescente dei pellegrini. Poi la chiesa fu chiusa e gli altari vennero asportati. Solo nel 1840 fu possibile riaprire al culto il luogo sacro, con l'erezione di un nuovo altare e con la collocazione di una statua in legno della Madonna con il Bambino.


3. Il massimo sviluppo delle manifestazioni popolari e dei grandi pellegrinaggi si ebbe in epoca piuttosto recente, con Antonio Cirillo Sotjan, poi Arcivescovo di Olomouc, il quale diede vita alla casa del pellegrino, affidando la cura delle anime ai padri della Compagnia di Gesù. Grandi festeggiamenti furono organizzati il 15 agosto 1912 in occasione della incoronazione dell'immagine della Madonna e di Gesù Bambino. La corona, ornata di molte pietre preziose, era stata benedetta a Roma dal Papa san Pio X. Settant'anni dopo, io stesso ho elevato il Santuario di Hostyn al grado di Basilica minore.

Nei dintorni vi sono altri santuari mariani, tra i quali voglio ricordare quello di Velehrad, antica sede di san Metodio, dove si venera la "Mater Unionis", madre dell'unità di tutti i cristiani.

A Maria, venerata in quei santuari tanto vicini al mio cuore, eleviamo la nostra preghiera.


Data: 1988-02-14 Data estesa: Domenica 14 Febbraio 1988




Visita pastorale del Vescovo di Roma - Roma

Titolo: Parrocchia di san Benedetto fuori Porta san Paolo

Testo:

[Il primo saluto alla comunità parrocchiale nel 60° di fondazione] Con grande gioia partecipo al vostro anniversario, il sessantesimo anniversario di questa parrocchia di san Benedetto. Saluto tutta la comunità, tutti i parrocchiani. Sono passato accanto alle transenne per salutare alcuni, i più vicini, ma nella mia intenzione c'era anche quella di andare dappertutto, in tutti questi palazzi, in queste case, per incontrare le persone, specialmente quelle sofferenti, tutti i membri della vostra comunita parrocchiale dove vivono, lavorano, gioiscono, soffrono.

Tutti siamo figli dello stesso Padre. A questo vero Padre che è nei cieli ci guida il suo Figlio che si è fatto uomo, uno di noi, per renderci possibile questa strada, questa strada spirituale, questo cammino della fede, della speranza, della carità, questo cammino del Vangelo e cammino della Chiesa.

Così siamo tutti uniti a Gesù Cristo.

La vostra parrocchia è intitolata a san Benedetto, Patriarca dell'Occidente. Lo è grazie ai suoi meriti, alle sue iniziative connesse con la vita monastica - il grande Ordine benedettino - con la sua parola programmatica lasciata a tutti i suoi concittadini, non solamente di questa penisola, ma di tutta Europa: "ora et labora". Possiamo ripetere queste parole. Sono sempre attuali e presentano un programma di vita umano e insieme cristiano. Possiamo, anzi dobbiamo augurare a tutti noi che questa espressione di san Benedetto, questo suo famoso motto, possa rappresentare un programma per oggi, per questa parrocchia, per tutti noi.

Vi ringrazio per la buona accoglienza. Saluto tutti ancora una volta e voglio offrirvi una benedizione all'inizio di questa visita pastorale, svolgendo il mio ministero pastorale petrino nella Diocesi di Roma. Voglio che partecipino alla mia benedizione il Cardinale vicario e Monsignor Vescovo del vostro settore pastorale per invocare, così uniti, il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo come sorgente di benedizione continua per ciascuno e per tutti, per la Chiesa e per il mondo, per la città di Roma e per la vostra parrocchia.

[Ai bambini, ai genitori e agli insegnanti] Saluto tutti i vostri genitori qui presenti o che si trovano a casa.

Saluto i vostri maestri, insegnanti, le suore, le Maestre Pie Filippini, che io conosco abbastanza bene perché sono anche a Castelgandolfo. Saluto poi i vostri sacerdoti che offrono la loro sollecitudine pastorale per questa comunità.

Possiamo dire che in questo momento si uniscono tre ambienti: la famiglia, la scuola - non solamente una ma diverse scuole, perché certamente i bambini e i giovani della parrocchia frequentano diverse scuole - e poi la parrocchia, ossia la Chiesa. Questi tre ambienti devono sempre rimanere uniti per il bene dell'uomo in fase educativa, in formazione, come sono i bambini nella famiglia, ma poi anche nella società. La famiglia viene infatti affiancata, aiutata dalla scuola ed anche dalla parrocchia, dalla Chiesa.

Vi auguro che sia sempre forte quel triplice legame: famiglia, scuola, parrocchia; famiglia, parrocchia, scuola. E vi auguro che siano sempre unite fra loro per il bene della nuova generazione, della futura generazione. Di fronte a noi, specialmente di fronte a questi tre ambienti, c'è una grande opera, l'opera dell'educazione. Educare vuol dire fare l'uomo umano, umano e nello stesso tempo cristiano. Le forze, le energie, le iniziative della famiglia, della scuola, della parrocchia devono essere unite per arrivare a questa grande finalità. così voglio inaugurare la visita nella vostra parrocchia salutando questa comunità educativa costituita dalla parrocchia insieme con la famiglia e con la scuola. E auguro a questi tre ambienti un lavoro fruttuoso per il bene dei bambini, dei giovani, della nuova generazione, del futuro della vostra città, della vostra patria e del mondo. Voglio offrire una benedizione a tutti i presenti e a tutti gli appartenenti a questa triplice comunità educativa: famiglia, scuola, parrocchia.


[Omelia durante la celebrazione eucaristica]


1. "Se vuoi, puoi guarirmi!" (Mc 1,40).

Con tale invocazione si rivolge a Cristo un lebbroso, come riferisce il brano del Vangelo di Marco che leggiamo oggi.

In conformità alla legge di Mosè i lebbrosi erano esclusi dalla società.

Abitavano, completamente isolati, "fuori dell'accampamento" (cfr. Lv 13,46). Se qualcuno si fosse avvicinato ad essi, dovevano gridare: "Immondo,! Immondo!" (cfr. Lv 13,45). così leggiamo nel libro del Levitico, dal quale è tratta la prima lettura dell'odierna liturgia.

Anche il lebbroso, di cui si parla nel Vangelo d'oggi, aveva lo stesso obbligo. Tuttavia leggiamo che egli ando da Gesù e "lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi!"". Cioè chiedeva: "Mondami! Toglimi la lebbra!".

Gesù stese la mano, lo tocco e gli disse: ""Lo voglio, guarisci!".

Subito la lebbra scomparve ed egli guari" (Mc 1,41-42).


2. Gesù di Nazareth fece molti miracoli, che la Sacra Scrittura chiama pure "segni". La guarigione di un lebbroso è uno di essi. Ed è un segno eloquente e penetrante.

La chiave per la comprensione di questo "segno" si trova nel salmo responsoriale dell'odierna liturgia.

Il salmista proclama: "Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa/ e perdonato il peccato./ Beato l'uomo, a cui Dio non imputa alcun male" (Sal.


32[31],1-2).

Come risulta dalle ricerche degli specialisti, esiste un legame concettuale tra "l'esperienza dell'impurità" nel senso fisico e quella della colpa e del peccato.

Il lebbroso era considerato, secondo la legge mosaica, come un impuro.

Era obbligato ad avvertire gli altri della sua malattia, gridando "immondo, immondo". L'impurità consisteva, in questo caso, in una malattia dell'organismo, che era causa dell'alterazione e decomposizione del corpo.


3. Il peccato, l'"impurità" nel senso morale cioè spirituale, significa l'alterazione e decomposizione interiore dell'uomo. Si potrebbe definire la lebbra dell'anima.

E benché una tale decomposizione - la lebbra dell'anima! - sia nascosta agli occhi dell'uomo - invisibile a causa della sua natura spirituale - tuttavia anche il peccato può essere contagioso.

Basta pensare a ciò che si chiama l'"eredità del peccato", oppure ciò che nei nostri tempi è chiamato il "peccato sociale".

Ci sono troppe prove sulla diffusione dei peccati, sulla degradazione morale, con essa collegata, di ambienti umani e perfino di intere società.


4. Tuttavia il peccato è soprattutto un'azione della persona. Soltanto l'uomo, quale soggetto cosciente e libero, può essere il suo autore, e alla sua coscienza viene imputato il male morale della colpa commessa.

Tuttavia il processo di "alterazione" dell'uomo nel senso morale è - secondo la rivelazione divina - reversibile. Il peccato può essere rimesso da Dio.

Il salmista chiama beato l'uomo, a cui è rimessa la colpa, il cui peccato è stato dimenticato, l'uomo a cui Dio non imputa alcun male.

Infatti soltanto Dio può rimettere i peccati.

Questa è una delle verità centrali dell'antico e del nuovo testamento, in particolare della buona novella: la verità che la Chiesa ci ricorda oggi nella liturgia.

Nel Vangelo di Matteo leggiamo che Gesù predicava il Vangelo del Regno e curava ogni malattia e infermità (cfr. Mt 9,35). Tra l'altro guariva i lebbrosi. E le guarigioni del corpo erano segno della guarigione delle anime umane dal peccato.


5. Una tale guarigione - cioè la remissione dei peccati - esige una determinata disposizione da parte dell'uomo.

Il salmista dice: "Ti ho manifestato il mio peccato,/ non ho tenuto nascosto il mio errore./ Ho detto: confessero al Signore le mie colpe/ e tu hai rimesso la malizia del mio peccato" (Ps 32[31],5).

Questa disposizione da parte dell'uomo consiste anzitutto nel fatto di conoscere e di riconoscere che il peccato si oppone a Dio, e poi di confessarlo.

Ciò che proclama il salmista corrisponde alle principali condizioni del sacramento della Penitenza: l'esame di coscienza, il dolore dei peccati con una ferma decisione di cambiar vita, la confessione, e la soddisfazione.


6. Cristo Signore, che ebbe lui stesso il potere di rimettere i peccati, lo trasmise alla Chiesa dopo la sua risurrezione. Venuto agli apostoli, riuniti nel cenacolo, disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Jn 20,22-23).

Dalla potenza della redenzione di Cristo, mediante la croce, proviene alla Chiesa il potere di rimettere i peccati, legato al ministero apostolico esercitato dai Vescovi e sacerdoti.

Possiamo trovare una certa allusione a questo fatto anche nelle odierne letture, quando Cristo, a guarigione avvenuta, rimanda il lebbroso dai sacerdoti, così come era previsto nella legge di Mosè: "Và, presentati al sacerdote" (Mc 1,44).


7. La meditazione, basata sulla Parola di Dio nell'odierna liturgia, si svolge nella domenica che precede immediatamente il mercoledi delle Ceneri, inizio della Quaresima.

Durante tale periodo queste verità fondamentali della fede e della vita cristiana saranno ampiamente sviluppate ed approfondite alla luce del mistero pasquale della nostra redenzione.


8. Oggi le meditiamo insieme, cari fratelli e sorelle della parrocchia dedicata a san Benedetto, perché divengano per tutti alimento della fede nella potenza ricreatrice di Cristo. Egli continua sempre - per il tramite della Chiesa - a porsi accanto all'uomo e a mettere la propria mano sul capo di chi lo invoca, per essere sanato.

Pure in questa celebrazione eucaristica il Redentore è realmente vicino, presente, e concede il suo perdono insieme con la sua infinita pietà. Mentre esprimo la mia gioia perché mi è dato di pregare il Signore misericordioso con tutti voi, saluto di vero cuore il Cardinale vicario e monsignor Clemente Riva, Vescovo responsabile del settore sud, e, con loro, il parroco, don Luigi Paroni ed i membri della Compagnia di san Paolo, che validamente lo coadiuvano nella cura pastorale.

Rivolgo la mia parola di compiacimento alle suore dell'Istituto delle Maestre Pie Filippini. So che la vostra presenza qui risale ai primi tempi della parrocchia, della quale oggi celebriamo il 60° anniversario di fondazione, e si esplica in modo prezioso sia nell'ambito della scuola che nel servizio alla catechesi.

In particolar modo desidero salutare i membri del Consiglio pastorale parrocchiale e del consiglio parrocchiale degli affari economici, come pure gli aderenti ai molteplici gruppi laicali. Carissimi, vi esorto a perseverare nel contributo, che generosamente offrite per fare della vostra comunità un luogo fraterno, dove la fede viene purificata e accresciuta nell'ascolto della Parola divina e nella celebrazione dei sacramenti, e dove la carità conduce al servizio del Signore e del prossimo. Questa fu la singolare intuizione di don Giovanni Rossi, il quale volle fare di questa famiglia una "parrocchia sociale", come egregiamente testimoniano le iniziative da lui intraprese e che voi, pur con differenti modalità, proseguite, per rendere gloria a Dio anche mediante l'amore che soccorre.

A tutti, carissimi fratelli e sorelle, desidero far giungere il mio affettuoso saluto e ricordare che la vocazione di credenti non contrappone la preghiera agli impegni quotidiani. Come insegna il vostro patrono san Benedetto, la preghiera e il lavoro non si contrappongono, ma sono due complementari espressioni dell'essere radicati in Cristo.


9. Sentiamo infine la parola dell'Apostolo, che nella lettera ai Corinti ci invita: "Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (1Co 11,1).

Il Vangelo ci dà un insegnamento sul peccato e proclama la conversione.

Tuttavia la parola - filo conduttore della buona novella - non è il "peccato", ma l'"imitazione di Cristo".

Cristo purifica i lebbrosi, guarisce i malati come "segno" della guarigione dai peccati e nello stesso tempo dice: "Seguimi". E poi san Paolo di Tarso, al quale questa chiamata giunse in modo particolare, scrive: "Fatevi miei imitatori... io lo sono di Cristo": fatevi quindi imitatori di Cristo! Nel periodo di Quaresima, ormai vicino, dobbiamo ricordarcelo.

Ma non soltanto il male è contagioso - non soltanto lo è il peccato - lo è anche il bene. Occorre che in questo tempo propizio abbondi in noi, sempre più, il bene! Lasciamoci contagiare dal bene! Diffondiamo il bene! Per essere anche noi, sempre imitatori di Cristo. Amen.

[Ai membri del Consiglio pastorale].

Ho detto alla fine dell'omelia che non solo il male è contagioso, ma che anche il bene lo è. E questo è il principio su cui si fonda la Chiesa, e grazie al quale essa cresce sempre. C'era un bene grande, molto contestato, che si chiamava Gesù Cristo (si, molto contestato, fino alla morte sulla croce). Ma questo bene ha trovato accoglienza e si è diffuso. Quelli che lo hanno accolto sono tanti.

Dodici di loro sono stati chiamati, come apostoli; ma la Chiesa è tutta apostolica, tutta vive dell'apostolato. Questo significa diffusione del bene, bene che proviene sempre da Cristo Gesù, ma passa attraverso tanti altri: gli apostoli e i loro successori (e a Roma abbiamo il centro della Sede apostolica, e la successione di Pietro). Ma anche tanti, tanti altri.

E oggi siamo più che mai consapevoli che questo apostolato, questa diffusione del bene che si chiama Cristo, opera anche attraverso i laici. Io saluto in voi questo apostolato dei laici nella parrocchia di san Benedetto.

Saluto le persone, i diversi gruppi di questo apostolato. E saluto soprattutto quell'organo centrale, "concentrante", che si chiama Consiglio pastorale. E auguro a voi tutti la diffusione del bene, la diffusione di Gesù Cristo e del suo Vangelo, di questi valori che sono cristiani, e che fondano una vita veramente umana.

Auguro questo a tutti voi, vi ringrazio per la vostra collaborazione nell'apostolato in questa parrocchia, insieme ai vostri sacerdoti. Insieme al vostro parroco e anche al vostro Vescovo, presente in ogni parrocchia. Tutti collaboriamo con lui e tutti insieme collaboriamo con Gesù Cristo. Vi ringrazio ancora e benedico tutti i presenti, le vostre famiglie, i vostri cari, tutta la comunità parrocchiale.

[Alla Compagnia di san Paolo].

Sappiamo bene che san Paolo ha avuto tanti collaboratori. Di essi si conoscono anche i nomi, sono i compagni e i collaboratori di san Paolo, e anche le sue collaboratrici, lungo le strade del mondo. Ci sono tanti volti familiari in questo apostolato di san Paolo. E in questo secolo, grazie a un Cardinale, è nata la Compagnia di san Paolo. Mi congratulo con san Paolo, con il Cardinale Ferrari proclamato beato il 10 maggio, e mi congratulo con voi, compagni e collaboratori di san Paolo, e con il vostro superiore generale. Non devo spiegare di più perché il resto lo dice il vostro nome, o meglio il binomio: san Paolo e Compagnia. Non può non essere apostolica una Compagnia che si richiama all'Apostolo delle genti.

E non può non essere universale perché questo Apostolo, più di altri - senza togliere nulla a san Pietro - seppe dare alla Chiesa nascente la sua dimensione universale. Portare Cristo agli ultimi confini del mondo, del mondo di allora...

Oggi un ragazzo mi ha chiesto perché il Papa viaggia. Io ho un po scherzato con lui, poi gli ho risposto: il Papa viaggia perché Gesù ha detto "andate nel mondo intero". Ecco la risposta. La mia benedizione su tutti voi.

[Ai rappresentanti del mondo del lavoro].

La prima associazione che mi viene in mente, qui, è quella di san Benedetto, perché la vostra parrocchia è appunto la parrocchia di san Benedetto.

Sappiamo di lui che fu un grande promotore della vita monastica. Ma all'interno di questa esperienza egli fu soprattutto il promotore dell'ora et labora. Vita di preghiera, con san Benedetto, ma anche di fondazione di una vera e propria civiltà. Sappiamo bene quali sono i meriti dei benedettini fin dal primo millennio della nostra era, in tutta Europa (e patrono d'Europa san Benedetto è stato proclamato da Papa Paolo VI). Fondatore di una civiltà nuova grazie alla sua iniziativa che riguardava insieme la spiritualità umana attraverso la preghiera e la civiltà nelle sue diverse dimensioni: non solo in quella culturale e artistica, ma anche in quella economica. L'economia di allora era soprattutto agricola, e infatti l'opera dei benedettini fu rivolta in particolare a questo settore dell'economia. Erano veri maestri nell'agricoltura, insegnarono non solo a pregare, ma anche, veramente, a lavorare. Poi le condizioni economiche col tempo mutarono. Da un'economia prevalentemente rurale, qual era ai tempi di san Benedetto, il mondo economico si è poi sviluppato, soprattutto nei centri urbani, col commercio e con l'artigianato, e infine con l'industria. Oggi ci sono diversi campi nel lavoro umano. Ma sempre questa crescita, questo sviluppo si può subordinare al principio di san Benedetto: ora et labora. Le forme del lavoro umano sono dunque diverse, si sviluppano nel corso dei secoli. Certo, un settore di lavoro moderno, come quello dell'industria, è molto diverso non solo rispetto ai secoli del passato, ma anche rispetto a questo nostro secolo, alla prima metà di questo secolo. C'è stato un grande progresso tecnico, voi lo sapete. Ma io ve lo sottolineo per chiarirvi fino in fondo il significato della vostra presenza in questa parrocchia, o piuttosto la presenza della parrocchia nel vostro ambiente.

Come ha detto il parroco, si tratta di un ambiente formato da diverse attività lavorative, specializzazioni, imprese. Ma tutto confluisce in questa parrocchia, nella finalità fondamentale della vita umana. Perché se le diverse attività economiche servono a fornire i mezzi, il pane all'uomo, e sempre è stato così nei vari secoli; è anche vero pero che non di solo pane vive l'uomo, ma anche della Parola di Dio. E la vostra presenza qui, la presenza della parrocchia con voi è il segno di questa Parola di Dio che vuole essere alleata dell'uomo: alleata del suo lavoro, delle sue iniziative economiche, per il bene dell'uomo, per il bene integrale dell'uomo. Voglio augurare a tutti voi, alle vostre famiglie, alle vostre aziende, tutto il bene, nel nome del Salvatore del mondo, del Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, e del suo fedele e grande apostolo san Benedetto, il quale ci ripete da sempre, a tutti, europei e non solo europei: ora et labora.

[Ai giovani riuniti nella chiesa parrocchiale] Saluto cordialmente la comunità giovanile di san Benedetto, qui riunita.

Vi ringrazio per le parole dei vostri rappresentanti, anche del giovane della "Repubblica dei ragazzi". Vorrei riferirmi al Vangelo di oggi, e alla interpretazione del Vangelo... che ho dato all'omelia. Ho detto che dal Vangelo di oggi noi vediamo che il male, in particolare un male come la lebbra, è contagioso.

A causa di questa contagiosità i lebbrosi erano tenuti lontani dalla società.

Un'ingiusta umiliazione, ma era così. Si, il male è contagioso, eppure dentro quel male contagioso, passa il bene: il bene che è Gesù, e che guarisce il male. E dunque non solo il male ma anche questo bene è contagioso. Tanti sofferenti, tanti malati, al contatto di Gesù guarivano, gioivano, si convertivano: anche i grandi peccatori e peccatrici. Perché Gesù significa appunto il bene che passa attraverso il male e lo trasforma. Questa forza di trasformare il male nel bene, questo è Gesù Cristo: è la sua caratteristica più profonda, è la sua missione. Lo dico ai giovani perché Gesù Cristo rappresenta sempre una sfida, e direi una sfida specifica per i giovani, perché i giovani sono consapevoli dei diversi mali che esistono al mondo e anche dei mali che sono nascosti nella loro stessa personalità. Ma i giovani sono desiderosi del bene, anche se qualche volta il bene, sembra impossibile. Ma Gesù Cristo è capace di convertire il male nel bene.

E anche noi ne siamo capaci. E il bene così può diventare contagioso. Anche gli altri, gli altri vostri coetanei possono aprire gli occhi, vedere che è possibile questo cambiamento. Questo passaggio dal male al bene, questa metanoia, come si dice in greco, tutto è possibile all'interno del mistero di Cristo, che ha saputo passare dalla morte alla vita: Cristo crocifisso e risorto. Si, tutto questo è possibile. Il mistero pasquale è la prova di questa possibilità di cambiamento in ciascuno di noi. Dal male contagioso al bene contagioso. Con queste parole, con questa sfida di Cristo, io vi lascio. Vi auguro di ascoltare, di seguire sempre Cristo, e di trovare il lui la forza del bene. Vi benedico tutti.


Data: 1988-02-14 Data estesa: Domenica 14 Febbraio 1988





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