GPII 1987 Insegnamenti - All'Unione Giuristi cattolici - Città del Vaticano (Roma)

All'Unione Giuristi cattolici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Scienza medica e diritto a difesa dell'integrità della persona

Testo:

Illustri signori.


1. Sono lieto di accoglievi in udienza in occasione del vostro Convegno nazionale sui "problemi giuridici della biomedicina". A tutti rivolgo il mio saluto cordiale. Il tema, sul quale avete scelto di appuntare quest'anno le vostre riflessioni, sottolinea il fatto incontestabile che nuovi e gravi problemi si pongono oggi in campo giuridico a seguito dei progressi realizzati dalla medicina.

Gli sviluppi della ricerca biomedica hanno reso possibile una conoscenza sempre più completa del genoma umano e oggi si tenta di disegnare la mappa e il sequenziamento di quel microcosmo biologico, che è rappresentato dal codice genetico. Da questa conoscenza scaturiscono nuove possibilità per la prevenzione e cura di malattie ereditarie. Da essa, pero, derivano anche problemi nuovi di rilevanza etica e anche giuridica, sui quali occorre prendere posizione. Occorrerà in particolare elevare adeguate barriere giuridiche, affinché non si verifichi alcuna selezione degli esseri umani ispirata all'eugenismo né sia indotta l'interruzione della vita embrionale o fetale a motivo dell'esistenza di un difetto genetico o di una malattia ereditaria.

Inoltre, nessuna utilità sociale o scientifica e nessuna motivazione ideologica potranno mai motivare un intervento sul genoma umano, che non sia terapeutico, cioè in se stesso finalizzato al naturale sviluppo dell'essere umano.


2. L'ordinamento giuridico non può disinteressarsi di questi problemi, giacché per sua natura esso è chiamato a definire i diritti fondamentali della persona e a configurare gli strumenti della loro difesa e promozione.

Allo stesso modo, la scienza giuridica non può non prendere a cuore la difesa dell'identità genetica di ogni essere umano, nato o nascituro. Mancherebbe a un suo preciso compito. Il senso civile e ancor più la dottrina evangelica si impegnano, oggi più che mai, a far si che il diritto soccorra attraverso lo strumento delle leggi ogni persona umana, tanto più chiaramente e vigorosamente quanto più fragile e indifesa è la vita del singolo di fronte al crescente potere tecnologico.

La difesa dell'integrità e della dignità della persona è certamente e anzitutto compito di ogni individuo e di ogni cittadino chiamato a rispettare in sé il dono della vita, che non gli appartiene; anche l'ordinamento giuridico tuttavia dovrà farsi carico della tutela di tale dono, nel quale sta il valore primario e fondamentale di ogni umano consorzio.


3. Le nuove frontiere della medicina non sono soltanto quelle della genetica e della procreazione artificiale. Prospettive assai promettenti si sono aperte anche sul fronte delle applicazioni pratiche della medicina; nella tutela della salute, nella cura delle malattie, nell'assistenza ai malati gravi e ai morenti. Anche su queste frontiere si profilano, pero, le minacce di spinte ideologiche e culturali contrastanti col rispetto della persona umana e con le stesse finalità dell'assistenza medica.

L'avanzare di una cultura utilitaristica che, come ha introdotto la legalizzazione dell'aborto, così ora sollecita quella dell'eutanasia, e sempre più esplicitamente giustifica la sperimentazione sull'uomo senza tener conto del rispetto dovuto all'integrità del soggetto, è un fatto allarmante che la classe sanitaria non può da sola affrontare senza l'aiuto del diritto. Infatti, se è vero che il diritto non può disinteressarsi degli eventuali abusi compiuti nelle applicazioni incontrollate della medicina, è altrettanto vero che le leggi devono far sentire il loro sostegno a quanti, scienziati e terapeuti, sono impegnati a combattere le malattie e a recare sollievo alla sofferenza dei malati, rendendo all'uomo un servizio che è degno di ogni considerazione e riconoscenza.


4. Il diritto e la medicina sono due antiche discipline, due universi scientifici, che per la loro natura e origine possono utilmente incontrarsi nella ricerca di mezzi, strutture e sussidi atti ad assicurare la difesa, la promozione e il progresso dell'uomo, di tutto l'uomo e di ogni uomo.

Affinché non accada, tuttavia, che il loro incontro si riduca a uno scontro infruttuoso o a un deludente compromesso, sarà necessario che tanto la scienza medica quanto il diritto facciano riferimento ad un terzo polo più elevato: quello di un'adeguata antropologia, avente il suo centro ispiratore nell'ontologia della persona umana: di qui sgorgano quei valori etici, a cui deve attenersi ogni attività, specie se direttamente ordinata alla tutela e alla promozione dell'essere umano. La fede cristiana, poi, che considera la dignità dell'uomo nella luce del Verbo Incarnato, apre a tale antropologia ulteriori orizzonti di trascendente grandezza.

Nell'auspicare, illustri signori, che la vostra riflessione possa trovare nelle prospettive esposte spunti illuminanti per le opportune deduzioni in campo giuridico, invoco sui vostri lavori l'assistenza divina e di cuore vi benedico.

1987-12-05 Data estesa: Sabato 5 Dicembre 1987




Al "Very Special Arts Internationalis" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Diritto ai disabili di partecipare alla vita socio-culturale

Testo:

Signore e signori, cari amici.


1. Sono lieto di salutare molto cordialmente i rappresentanti del "Very Special Arts International" provenienti da varie parti del mondo. Siete venuti a questo incontro a Roma, perché condividete un comune amore e interesse per i nostri fratelli e sorelle handicappati. Voi non solo siete interessati, ma siete anche profondamente impegnati ad arricchire la loro vita nelle sue molteplici dimensioni, specialmente con il mondo dell'arte. E' proprio un grande piacere darvi il benvenuto oggi in Vaticano. Vi assicuro che la Chiesa, come voi, è particolarmente vicina a tutti coloro che sono deboli o in qualche modo disabili.

Ed è orgogliosa di contare molti di loro tra i suoi membri.


2. Ogni vita umana è sacra poiché ogni persona è creata a immagine e somiglianza di Dio. San Paolo dice: "Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo" (Ep 2,10). Il nostro valore, la nostra dignità come persone umane, non viene da ciò che facciamo e diciamo, ma dal nostro essere, dal fatto che "Dio ci ama, ci ha creati per vivere nella gioia in sua presenza per sempre".

Le vite di coloro che sono handicappati non sono meno sacre di quelle di coloro che non lo sono. So che condividete con me questa convinzione. Al tempo stesso siamo a conoscenza che la qualità della vita degli handicappati spesso non è in armonia con il loro valore interiore. Qui penso non solo alla qualità che viene dai servizi speciali e dalle pratiche assistenziali di cui i nostri fratelli e sorelle necessitano, mi riferisco piuttosto al loro desiderio e al loro diritto di partecipare in modo autentico alla vita sociale e culturale. E' precisamente in questo campo che avete scelto di concentrare i vostri sforzi. E io plaudo di tutto cuore la vostra scelta.


3. La Chiesa ha sempre favorito le arti. Infatti il Vangelo di Gesù Cristo che essa proclama ha ispirato innumerevoli artisti, uomini, tra i quali c'erano degli handicappati, le cui opere d'arte hanno arricchito il mondo. Le vere opere d'arte esprimono la grandezza e la meraviglia del mistero della vita umana. Esse sono come sentinelle eloquenti che proteggono la razza umana dalle tendenze e dalle mode che potrebbero negare o attenuare la dimensione spirituale dell'esistenza umana. L'arte eleva e consola; ispira e dà speranza. Aiuta lo spirito umano a procedere verso Dio e verso i più importanti valori della vita.

L'arte non è patrimonio esclusivo di qualcuno. Come avete giustamente sottolineato, "nell'arte non vi sono handicap". Per un periodo il corpo può avere varie limitazioni, lo spirito è libero di elevarsi. L'arte è primariamente un'espressione della dimensione spirituale di una persona, dei desideri più profondi alla più grande bellezza che lo spirito di Dio dà al cuore e all'anima. I festivals e altri incontri testimoniano questo fatto, mostrando molte opere artistiche dei nostri fratelli e sorelle handicappati.

Cari amici, vi assicuro il mio interesse personale e il mio sostegno nella preghiera. Dio vi sostenga nei vostri lodevoli sforzi nel promuovere l'arte tra gli handicappati.

Invoco Dio affinché elargisca abbondanti doni di pace e di gioia su voi, sulle vostre famiglie e su tutti coloro che cercate di servire.

1987-12-05 Data estesa: Sabato 5 Dicembre 1987




Ai Neocatecumenali spagnoli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vivere le verità della propria fede

Testo:

Amatissimi fratelli e sorelle, E' per me motivo di viva soddisfazione ricevere questa mattina le Comunità neocatecumenali delle parrocchie madrilene di San Roque, Santa Catalina, di Nostra Signora della Paloma, e il gruppo di catechisti itineranti. A tutti e a ciascuno di voi desidero riservare un cordiale saluto di benvenuto. So che siete venuti a Roma con il principale proposito di rinnovare la vostra professione di fede davanti alla tomba dell'Apostolo. Il cammino neocatecumenale vi porta a meditare e a vivere profondamente le verità del Credo, come linfa vivificante del vostro essere cristiani e come impegno a dare testimonianza delle promesse battesimali.

Il sentire e il "fare vita" le verità della nostra fede, è l'elemento essenziale per irrobustire la nostra comunione nel seno della Chiesa, nostra Madre. Per tutto questo, chiedo a Dio che il vostro pellegrinaggio a Roma, centro del cattolicesimo, vi rafforzi nella universalità del vostro impegno cristiano, e vi animi nel vostro camminare come itineranti al servizio del Vangelo.

Tornando alle vostre comunità in Spagna e nel mondo, portate a tutti il saluto del Papa, che a tutti pensa e per tutti prega con grande affetto e viva speranza.

Vi raccomando, in questo Anno mariano, alla protezione della Vergine santissima, modello di santità e docile verso l'azione dello Spirito. Che lei vi accompagni nel vostro cammino. Con questi auguri e come dimostrazione del costante aiuto divino, vi imparto in segno di benevolenza, la benedizione apostolica.

1987-12-05 Data estesa: Sabato 5 Dicembre 1987




Omelia durante i Vespri - Santa Maria Maggiore (Roma)

Titolo: La grazia di riconoscerci "Chiese sorelle"

Testo:

1. Questo tempo liturgico dell'Avvento rafforza la nostra fede nella seconda venuta di Cristo. Siamo così chiamati a volgere il nostro pensiero verso l'avvenire, nell'attesa del suo ritorno glorioso. E' un'attesa in cui, in qualche modo, si prolunga l'antica speranza messianica, proclamata dai profeti per dare gioia e forza ai poveri del Signore, i quali, durante secoli, hanno avuto fiducia nella sua potenza e da lui hanno aspettato la loro liberazione. Fra questi poveri è stata scelta colei che era predestinata a concepire nel suo verginale seno e a mettere al mondo il Messia, il Figlio consustanziale al Padre, fatto uomo per noi.

Noi celebriamo le lodi di Colei che si è presentata come "l'ancella del Signore" e realizziamo ciò che ella profeticamente annunciava nel suo cantico di gratitudine: "Tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1,38 Lc 1,48). La Vergine Maria, che ha accolto con fede il Messia, che l'ha dato al mondo, che l'ha accompagnato fedelmente fino ai piedi della croce; Maria, che ha pregato con gli apostoli preparandosi alla discesa dello Spirito per la nascita della Chiesa, ha compreso quanto grande sia la speranza a cui Dio ci chiama (cfr. Ep 1,18).


2. L'attesa piena di speranza ha condotto Maria alla liberante scoperta della povertà quale atteggiamento dello spirito, proprio di chi vuole disporsi ad accogliere colui che, "da ricco che era, si è fatto povero perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà" (cfr. 2Co 8,9). Apprestandoci a celebrare le feste della Natività e dell'Epifania del nostro Salvatore e attendendo nella fede "la manifestazione del nostro Signore Gesù Cristo" (1Co 1,7), noi abbiamo la certezza che la nostra povertà sarà colmata dalla "ricchezza della gloria di Dio" (cfr. Ep 3,16) e che "le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18).

La Chiesa, serva di Dio per la sua gloria e serva degli uomini per la loro salvezza, riceve e annuncia questa grande speranza, offrendo instancabilmente le proprie sofferenze e la propria povertà al suo Signore, la cui "potenza si mostra pienamente nella debolezza" (2Co 12,9). così se nel corso dei secoli delle divergenze, a volte molto gravi, tra i cristiani d'Oriente e d'Occidente, hanno indebolito la testimonianza dell'unica Chiesa di Cristo, oggi il pentimento e il desiderio dell'unione abitano i loro cuori. Oggi abbiamo una nuova prova che Dio ha pietà di noi e ascolta le preghiere di quanti continuamente intercedono per l'unità di tutti i cristiani nella sua Chiesa. Alla Chiesa cattolica e alla Chiesa ortodossa è stata concessa la grazia di riconoscersi di nuovo Chiese sorelle e di camminare verso la piena comunione. Su questo cammino ho la gioia di incontrare, in questi giorni, a Roma, il mio carissimo fratello, il patriarca ecumenico Dimitrios I di Costantinopoli, il quale continuerà ora a guidare la nostra meditazione.


3. Santità, nell'accoglierla con carità profonda e viva stima, saluto, nella sua persona, tutta la Chiesa ortodossa.

Quanto a voi, cari fratelli e care sorelle, so che condividete questa gioia, scorgendo nell'incontro di questa sera un segno che il Signore ci dà, per rispondere alla speranza della sua Chiesa.

1987-12-05 Data estesa: Sabato 5 Dicembre 1987




Omelia alla celebrazione con il Patriarca Dimitrios I - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Realizzare un servizio di carità e amore riconosciuto da tutti

Testo:

"Nel deserto preparate la via del Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio" (Is 40,3).


1. Questo invito, rivolto un tempo dal profeta agli esiliati del popolo d'Israele, la liturgia pone oggi sulle nostre labbra per tutti i discepoli di Cristo che si apprestano a celebrare la festa della sua nascita e della sua epifania, nell'attesa colma di speranza della sua seconda venuta.

In questi giorni benedetti della visita della santità vostra alla Chiesa di Roma e al suo vescovo, e particolarmente in questo momento, in cui ci è data la gioia di pregare insieme con questa assemblea presso la tomba dell'apostolo Pietro, le parole del profeta sono risuonate per invitarci all'azione di grazie, a una più grande obbedienza alla volontà di Cristo e a una speranza incrollabile nel suo amore.

"Nel deserto preparate la via del Signore". Colpiti nel vedere i deserti di angoscia e di sofferenza che tanto spesso gli uomini attraversano, e consci della missione di unità e di pace affidata dal Signore alla sua Chiesa, i miei predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI decisero con risolutezza, assieme ai padri del Concilio Vaticano II, di impegnarsi personalmente e di impegnare tutta la Chiesa cattolica nell'opera di riconciliazione di tutti i cristiani in una stessa comunione di fede e d'amore, affinché la Chiesa di Cristo potesse più fedelmente svolgere la sua missione di annunciare al mondo il Vangelo.

Lo Spirito di Dio che aveva loro ispirato questo santo proposito, illuminava anche il cuore del suo illustre e veneratissimo predecessore nella sede di Costantinopoli, sua santità il patriarca Athenagoras I, e lo colmava di saggezza, di speranza, di carità profonda e del vivo desiderio di lavorare al ristabilimento della piena comunione ecclesiale per la perfetta bellezza della Chiesa. Il Signore aveva scelto coloro che sarebbero stati i suoi strumenti per dare inizio alla realizzazione di quest'opera. Il Signore riannodava tra le Chiese d'Oriente e d'Occidente delle relazioni di amore e di pace, affinché esse potessero presto, di nuovo insieme, preparare per lui la via sulla terra degli uomini.


2. L'eredità che ci hanno lasciato questi pionieri, grandi servitori di Dio e della Chiesa, ci spinge innanzitutto a rivolgere a Dio la nostra azione di grazie: "Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione" (2Co 1,3). E vorrei evocare, per renderne grazie, alcuni dei grandi e significativi avvenimenti sulla via percorsa insieme dalle nostre Chiese durante questi ultimi decenni.

Sulla scia dell'ispirato disegno di Papa Giovanni XXIII, il suo successore Papa Paolo VI si recava in pellegrinaggio nei luoghi in cui nostro Signore verso il suo sangue, "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,52). Sua santità il patriarca Athenagoras I lo raggiungeva colà e i due pellegrini si incontravano in una stessa preghiera, dopo secoli di estraneamento e di silenzio.

Il 7 dicembre 1965 - si compirà domani il XXII anniversario di quell'evento - con una dichiarazione solenne, Paolo VI e Athenagoras I esprimevano la loro volontà di cancellare dalla memoria e dalla storia presente della Chiesa le sentenze di scomunica pronunciate reciprocamente nell'anno 1054. Nel mese di luglio 1967, Papa Paolo VI si recava in visita alla Chiesa di Costantinopoli e al suo venerato pastore mentre, qualche mese più tardi, il 26 ottobre, il patriarca Athenagoras I era accolto in questa basilica dallo stesso Papa Paolo VI, affiancato dai vescovi riuniti allora con lui in Sinodo.

Sin dall'indomani della cerimonia dell'inaugurazione del mio ministero pastorale nella sede di Pietro, ho tenuto a dire chiaramente che "l'impegno della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico è irreversibile" (22 ottobre 1978). Erano questi i sentimenti che mi animavano quando, nel mese di novembre 1979, mi fu data la gioia di incontrarLa nella sua sede patriarcale del Fanar. Potemmo allora annunciare insieme che l'inizio del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa era imminente e potemmo rendere pubblici i nomi dei membri della commissione mista cattolico-ortodossa incaricata di questo dialogo. I membri della commissione hanno lavorato da allora in poi con la competenza, la perseveranza e la lealtà che sono a tutti note. La commissione ha già potuto elaborare due documenti che contengono delle affermazioni molto importanti per la continuazione del dialogo.


3. Ed ecco che in questo momento solenne e in questi giorni benedetti, accompagnato da degni metropoliti del suo sinodo e da altri membri della sua Chiesa, ella viene, santità, in uno slancio di amore fraterno, a scambiare di nuovo con me il bacio della pace e a testimoniare così del suo desiderio sincero, da lei pure espresso sin dalla sua elezione alla sede patriarcale di Costantinopoli, di contribuire al ristabilimento progressivo della perfetta comunione tra le nostre Chiese.

Non ho evocato che alcuni dei grandi momenti del nostro cammino comune, ma non dimentico tutto ciò che la grazia invisibile dello Spirito Santo ha realizzato nelle nostre Chiese e nelle loro mutue relazioni per mezzo della preghiera e della testimonianza evangelica di parrocchie e di comunità, particolarmente di comunità monastiche, per tramite della collaborazione e di incontri a livello locale, attraverso gli scambi regolari di visite tra Roma e Costantinopoli, in occasione delle nostre feste patronali, e per mezzo di tanti altri contatti in molteplici forme con tutte le Chiese ortodosse. Noi dobbiamo veramente rendere grazie a Dio che, attraverso la sua visita di oggi e i doni già ricevuti lungo il cammino percorso di nuovo insieme, fortifica la nostra speranza per il cammino che resta ancora da percorrere.

Poiché vogliamo essere per i fedeli delle nostre Chiese e per il mondo null'altro che dei "servitori per amore di Gesù" (2Co 4,5) al fine di preparare, per loro e con loro, "la via del Signore" (Is 40,3), eccoci disponibili e risoluti.

Nel Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica ha approfondito la sua contemplazione del piano di Cristo per la sua Chiesa. Essa ha compreso quindi più profondamente la realtà della comunione che mantiene nell'unità le Chiese particolari presenti nel mondo. Questo approfondimento costituisce un importante contributo alla nostra ricerca per ristabilire una perfetta comunione tra noi. Nel corso dei primi secoli della nostra storia, noi abbiamo seguito ciascuno la propria via, pur conservando la nostra comunione di fede e di vita sacramentale malgrado le difficoltà che potevano sorgere nelle nostre relazioni. Durante tale periodo, era riconosciuto alla Sede di Roma non solo un primato d'onore, ma anche una reale responsabilità per presiedere alla carità, secondo le parole di sant'Ignazio di Antiochia, e per favorire il mantenimento della comunione tra tutte le Chiese. Sono conscio che, per delle ragioni molto diverse, e contro la volontà degli uni e degli altri, ciò che doveva essere un servizio ha potuto manifestarsi sotto una luce abbastanza diversa. Ma, come lei sa, è per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come vescovo di Roma, a esercitare tale ministero. così, nella prospettiva di questa perfetta comunione che noi vogliamo ristabilire, io prego insistentemente lo Spirito Santo perché ci doni la sua luce, e illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri. Mi permetto, santità, di chiederle di pregare con me e per me, affinché colui che ci "guiderà alla verità tutta intera" (Jn 16,13) ci detti, sin da ora, i gesti, gli atteggiamenti, le parole e le decisioni che ci permetteranno di compiere tutto ciò che Dio vuole per la sua Chiesa.

Il Concilio Vaticano II ha chiesto che nello sforzo per il ristabilimento della piena comunione con le Chiese orientali si tenga in particolare considerazione la "natura delle relazioni vigenti tra esse e la sede di Roma prima della separazione" (UR 14). Queste relazioni rispettavano pienamente la potestà di quelle Chiese di "reggersi secondo le proprie discipline". Vorrei assicurarla, santità, che la sede di Roma, così attenta a tutto ciò che la tradizione della Chiesa comporta, vuole rispettare pienamente questa tradizione della Chiesa d'Oriente.


4. In questi istanti di raccoglimento, noi vogliamo mantenerci in adorazione davanti al mistero della santa Trinità e supplicare che la sua grazia ci penetri, deboli e poveri quali siamo, e ci aiuti nella nostra missione così piena di speranza per la Chiesa e per il mondo.

Attraverso la figura del più grande dei profeti, che il santo Vangelo ci ha presentato qualche istante fa, lo Spirito di Dio ci permette di meglio comprendere uno degli atteggiamenti fondamentali che il Signore attende da noi.

Noi accogliamo questo invito in vista del compito pastorale che ci è proprio, ma esso si rivolge anche a ogni ministro della Chiesa, a ogni fedele, secondo la sua vocazione. Con il santo profeta Giovanni il Precursore, abbiamo la certezza della continua venuta di Dio nella storia dell'umanità. Come lui, noi vogliamo preparare la via del Signore. Come lui, noi vogliamo indicare nel Cristo l'unico liberatore dal peccato, dalla sofferenza, e dalla morte, venuto per "dirigere i nostri passi sulla via della Pace" (Lc 1,79), poiché i cristiani d'Oriente e d'Occidente, ormai insieme e, con un più forte amore, debbono dire al mondo, con le parole e con gli atti, che il Signore è venuto, viene e verrà sulla via degli uomini.

Nei confronti di una responsabilità così grande e così necessaria, io imploro per noi, fratello amatissimo, per i nostri fratelli nell'episcopato e per tutti i fedeli di Cristo, la grazia dell'umiltà, poiché noi non siamo "degni di chiamarci per sciogliere i legacci dei sandali" di colui che noi annunciamo (cfr. Mc 1,7). Questa missione e questo atteggiamento non sono forse evocati nelle magnifiche "Deisis" delle icone e degli affreschi delle basiliche d'Oriente e d'Occidente, in cui il santo profeta Giovanni Battista, rivolto verso Cristo, suo Signore, lo indica con la mano e con l'umile movimento di tutto il suo essere? In queste "Deisis" vediamo pure la Madre del Redentore nello stesso atteggiamento, di umiltà, che indica anch'ella il suo Figlio e il suo Signore, ripetendoci incessantemente: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5). Ieri sera nella basilica di Santa Maria Maggiore, edificata in onore della divina maternità della Vergine, abbiamo potuto pregarla insieme. In questa celebrazione eucaristica, io le domando di intercedere presso il suo divin Figlio. Insieme abbiamo cantato la lode di Dio, insieme abbiamo ascoltato la sua Parola, insieme imploriamo la grazia di essere fedeli al Vangelo. Malgrado una tale testimonianza di comunione, noi non potremo ancora bere insieme allo stesso calice; ciò è per noi fonte di una sofferenza che amareggia il nostro cuore.

Voglia Cristo, per il tramite delle preghiere della sua santissima e immacolata Madre, mantenerci nella pace e nella speranza. Voglia egli tramutare la nostra sofferenza in un incentivo a lavorare instancabilmente per ritrovare presto la piena comunione tra di noi e preparare insieme, sulla terra degli uomini, una "strada per il nostro Dio" (Is 40,3)! Amen.

1987-12-06 Data estesa: Domenica 6 Dicembre 1987




Recita dell'Angelus col Patriarca - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Monte Athos "Giardino della Vergine"

Testo:

Cari fratelli e sorelle.

Ho la gioia di avere qui accanto per la recita dell'Angelus il patriarca ecumenico Dimitrios I. Lo salutiamo cordialmente e lo ringraziamo per la sua visita a Roma.


1. Meta del nostro spirituale pellegrinaggio è, oggi, un luogo caro al cuore degli ortodossi, il Monte Athos. Esso è chiamato anche "il Giardino della Vergine" poiché, secondo la tradizione athonita, l'imbarcazione della Vergine Maria, in rotta verso Efeso, sarebbe stata deviata a causa di una tempesta e sarebbe così approdata al Monte Athos. Al centro di questo "Giardino della Vergine" è conservata l'icona "Axion Estin", l'immagine più venerata del mondo ortodosso greco. Questa icona, detta "della Vergine Misericordiosa" ("Eleousa"), rappresenta Maria santissima che regge sul braccio destro il Figlio, il quale tiene in mano il rotolo della sacra Scrittura aperto al capitolo 61, versetto 1, di Isaia: "Lo Spirito del Signore Dio è su di me", il testo, cioè, spiegato da Gesù nella sinagoga di Nazaret, all'inizio della sua vita pubblica (cfr. Lc 4,16ss). L'icona è chiamata "Axion Estin" a ricordo di un evento miracoloso accaduto nello skita dedicato oggi a sant'Andrea, nei pressi di Kariès, centro amministrativo della Santa Montagna.

Secondo una pia tradizione, nella notte tra il 10 e l'11 giugno del 982 l'arcangelo Gabriele, apparso sotto le vesti di un monaco, avrebbe recitato per la prima volta, durante la celebrazione liturgica della notte ("Agrypnia"), l'inno che inizia appunto con le parole "Axion Estin": "E' veramente giusto proclamare beata te, / o Deipara, che sei beatissima, tutta pura, / e Madre del nostro Dio. / Noi magnifichiamo te, / che sei più onorabile dei cherubini / e incomparabilmente più gloriosa dei serafini. / Tu, che senza perdere la tua verginità, / hai messo al mondo il Verbo di Dio. / Tu, che veramente sei la Madre di Dio".


2. Da quel tempo, ogni 11 giugno sul Monte Athos si festeggia solennemente l'icona e davanti ad essa si torna a cantare quello che è diventato l'inno più popolare della pietà ortodossa.

L'immagine è stata trasferita dallo skita di sant'Andrea alla chiesa del Protaton, a Kariès, e posta sul trono al centro del santuario. Giorno e notte arde davanti a questa immagine un cero posto in un preziosissimo candelabro d'oro e di diamanti. I monaci si alternano ininterrottamente davanti all'icona per pregarla e per vegliarla.

Possa la Vergine "Axion Estin" colmare di tutte le sue benedizioni coloro che, nel suo "Giardino", hanno dedicato la loro vita a suo Figlio con quella generosità radicale che è la caratteristica della vita monastica. Possa ella guidare, nell'obbedienza e nella peregrinazione della fede, tutti questi uomini che mai cessano di pregare per la Chiesa, affinché essa sia conservata nell'integrità del patrimonio sacro, trasmesso una volta per tutte al popolo cristiano. [Omissis: saluti a vari gruppi]

1987-12-06 Data estesa: Domenica 6 Dicembre 1987




All'Istituto "Maddalena Aulina" - Città del Vaticano (Roma)


Titolo: Operaie del Vangelo inviate per la salvezza delle anime

Testo:

Sono ben lieto di accogliervi, care sorelle dell'Istituto secolare "Maddalena Aulina", di cui state festeggiando in questi giorni il XXV anniversario del riconoscimento giuridico, da parte di Papa Giovanni XXIII.

"Istituto secolare" significa, come ha detto il Concilio (PC 11), che voi vivete una vita di vera e propria consacrazione a Dio nella pratica dei consigli evangelici realizzando il vostro "specifico apostolato nella vita secolare, come se apparteneste alla vita secolare". In tal modo voi, in una forma simile a quella dei laici, animate cristianamente i valori temporali e terreni dall'interno e direttamente, diffondendo lo spirito evangelico nel mondo.

Vi denominate "Operaie parrocchiali": il che significa che la vostra specifica missione si indirizza in modo speciale a sostenere le attività di varie parrocchie collaborando, in una forma originale e complementare come donne consacrate, con i fratelli rivestiti del sacerdozio ministeriale. Siete anche voi, come loro, anche se in modo diverso, operaie del Vangelo, mandate per la salvezza delle anime! Il vostro Istituto è nato per l'iniziativa di una donna coraggiosa e lungimirante, Maddalena Aulina, la quale sapeva che le opere di Dio devono essere provate al vaglio della sofferenza; accettando perciò serenamente la croce, la sua intuizione profetica ha finito per trionfare, e oggi le sue figlie operano non soltanto in alcune Nazioni europee, ma anche in America e in Africa. Vi auguro che la vostra presenza si diffonda sempre più, giacché "la messe è molta, ma gli operai sono pochi"! (Mt 9,37).

Con questi sentimenti e auspici, care sorelle, vi esorto a seguire l'esempio della vostra fondatrice, oggi più che mai attuale; vi esorto come essa diceva, a "fare Chiesa", a costruire la Chiesa nella comunione con i vostri pastori, mentre di cuore vi benedico tutte, insieme con i vostri familiari, collaboratori e amici.

1987-12-06 Data estesa: Domenica 6 Dicembre 1987




Città del Vaticano (Roma) - Dichiarazione comune del Papa e del Patriarca Dimitrios I



Noi, il Papa Giovanni Paolo II e il Patriarca ecumenico Dimitrios I, rendiamo grazie a Dio che ci ha permesso di incontrarci a pregare insieme e con i fedeli della Chiesa di Roma, venerabile per la memoria degli apostoli corifei Pietro e Paolo e per conservarci nella vita della Chiesa di Cristo e della sua missione nel mondo.

Il nostro incontro è segno della fraternità esistente tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Questa fraternità, che si è manifestata in numerose occasioni e sotto diverse forme, non cessa di crescere e di portare frutti per la gloria di Dio. Proviamo di nuovo la grazia di essere insieme come fratelli (cfr. Ps 132). Rendendo grazie "al Padre della luce dal quale viene ogni buon regalo e ogni dono perfetto" (cfr. Jc 1,17), preghiamo e invitiamo tutti i fedeli della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa a intercedere con noi presso Dio, che compie l'opera che ha iniziato in noi! Facendo nostre le parole di san Paolo, noi lo esortiamo: "rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti" (Ph 2,2). Che il cuore di tutti si disponga costantemente a ricevere l'unità come un dono che il Signore ha fatto alla sua Chiesa! Esprimiamo la nostra gioia e la nostra soddisfazione constatando i primi risultati e lo svolgimento positivo del dialogo teologico annunciato sin dal nostro incontro al Fanar il 30 novembre 1987. I documenti accettati dalla commissione mista costituiscono dei punti di riferimento importanti per la continuazione del dialogo. Infatti cercano di esprimere che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa possono già professare insieme come fede comune il mistero della Chiesa e il legame tra la fede e i sacramenti. Poiché le nostre Chiese hanno ricevuto e celebrano gli stessi sacramenti, essi percepiscono meglio che quando l'unità della fede è assicurata, una certa diversità d'espressione, spesso complementare e di usi propri non sono loro d'ostacolo, ma arricchiscono la vita della Chiesa e la conoscenza, sempre imperfetta, del mistero rivelato (cfr. 1Co 13,12).

Davanti a questi primi risultati dello sforzo intrapreso in comune, nell'"obbedienza della fede" (Rm 1,5), per ristabilire la piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, ringraziamo e incoraggiamo i membri della commissione mista del dialogo teologico. Auspichiamo che i fedeli ne siano informati e possano anche rendere grazie a Dio, unirsi alla preghiera del Signore: "perché tutti siamo una cosa sola" (Jn 17,21), restare vigilanti nell'intercessione e crescere insieme nella fede e nella speranza. Ci auguriamo anche che il progresso del dialogo faccia crescere cattolici e ortodossi nella migliore conoscenza reciproca e una più grande carità. Per la predicazione, la catechesi, la formazione teologica così orientate, il dialogo porterà tutti i suoi frutti nel popolo di Dio.

Noi preghiamo lo Spirito del Signore che nella Pentecoste ha manifestato l'unità nella diversità delle lingue, di "condurci nella verità tutta intera" (cfr. Jn 16,13) e di fare in modo che si trovino delle soluzioni alle difficoltà che impediscono ancora la piena comunione che si manifesterà nella celebrazione eucaristica.

Il nostro incontro ha luogo in questo anno del 12° centenario del secondo Concilio di Nicea che, preparato da una lunga collaborazione senza screzi tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, ha fatto trionfare la fede ortodossa. Le Chiese di Oriente e d'Occidente, durante i secoli, hanno celebrato insieme i concili ecumenici che hanno proclamato e difeso "la fede trasmessa ai santi, una fede per tutti" (Jud 1,3). "Chiamati a una sola speranza" (Ep 4,4), attendiamo il giorno voluto da Dio nel quale sarà celebrata l'unità ritrovata nella fede e sarà stabilita la piena comunione da una celebrazione dell'Eucaristia del Signore.

Rinnoviamo davanti a Dio il nostro impegno comune di promuovere in tutti i modi possibili il dialogo di carità, seguendo l'esempio di Cristo che nutre la sua Chiesa e la circonda delle premure della sua carità (cfr. Ep 5,29). In questo spirito rifiutiamo ogni forma di proselitismo, ogni atteggiamento che sarebbe o potrebbe essere percepito come una mancanza di rispetto.

Questa carità creatrice ci porta a collaborare per la giustizia e la pace, sia a livello mondiale che a livello regionale e locale. Ci spinge a non limitare questa collaborazione, ma ad aprirla oltre ai cristiani, a tutti coloro che nelle altre religioni cercano Dio, la sua giustizia e la sua pace. Essa ci rende disponibili a collaborare insieme al bene dell'umanità con tutti gli uomini di buona volontà. Infatti la sua missione di Chiesa nei confronti del mondo che Cristo è venuto a salvare implica la difesa della dignità dell'uomo ovunque essa sia direttamente o indirettamente messa in questione in molteplici modi e tra l'altro dalla miseria che impedisce una vita decente; ovunque ciò ostacoli la vita delle coppie e delle famiglie, base di società; dalla limitazione della libertà delle persone e delle comunità di vivere e di professare la loro fede e di realizzarsi secondo la propria cultura; attraverso l'utilizzo e il commercio di esseri umani, in particolare dei giovani, per l'asservimento delle passioni degli altri o rendendoli schiavi della droga; con una ricerca del piacere che si libera di ogni ordine morale; con la paura che genera l'esistenza di mezzi che nuocciono gravemente l'integrità della creazione; con delle ideologie razziste che negano la fondamentale uguaglianza di tutti davanti a Dio, ideologie particolarmente inammissibili per dei cristiani che devono rivelare al mondo il volto di Cristo Salvatore e aiutarlo così a superare le sue contraddizioni, le sue tensioni, le sue angosce, perché essi credano che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio perché tutti e tutte siano salvati da lui (cfr. Jn 3,16-17) e diventino in lui un solo corpo nel quale sono membra gli uni degli altri (cfr. Rm 12,5).

In questi momenti pieni di gioia nei quali facciamo l'esperienza di una profonda comunione spirituale che desideriamo condividere con i pastori e i fedeli sia dell'Oriente che dell'Occidente, eleviamo i nostri cuori verso colui che è il capo, Cristo. Da lui il corpo intero riceve concordia e coesione grazie a tutte le articolazioni che lo servono secondo un'attività divisa a misura di ciascuno. così il corpo realizza la propria crescita.

Così costituisce se stesso nell'amore (cfr. Ep 4,16). Sia resa gloria a Dio per mezzo di Cristo nello Spirito Santo.

1987-12-07 Data estesa: Lunedi 7 Dicembre 1987





GPII 1987 Insegnamenti - All'Unione Giuristi cattolici - Città del Vaticano (Roma)