GPII 1988 Insegnamenti - V L'unità della Chiesa e l'unità del continente europeo

V L'unità della Chiesa e l'unità del continente europeo


12. Percorrendo la via dell'ecumenismo, la Chiesa cattolica fissa lo sguardo sulla missione dei santi fratelli di Tessalonica, come ho detto nella epistola enciclica "Slavorum Apostoli".

Significativo nella loro missione è un particolare "profetismo ecumenico", benché tutti e due abbiano operato nel periodo in cui la cristianità era indivisa. La loro missione ebbe inizio in Oriente, ma i suoi sviluppi permisero di mettere in rilievo il legame e l'unità con Roma, con la Sede di Pietro. La loro intuizione apostolica della "koinonia", nella Chiesa è oggi intesa sempre più profondamente, in questa epoca di crescente nostalgia per l'unità di tutti i cristiani e per il dialogo ecumenico. Essi hanno presentito che le nuove Chiese dovevano - dinanzi alle differenze e alle discussioni sempre più accentuate - salvare e rafforzare la piena e visibile comunione dell'unica Chiesa di Cristo.

Infatti queste nascevano sul terreno dell'originalità propria dei vari popoli e delle rispettive aree culturali, ma dovevano nello stesso tempo conservare fra loro l'unità essenziale, in conformità con la volontà del divino fondatore. Per questo la Chiesa, nata dalla missione dei santi Cirillo e Metodio, avrebbe portato come iscritto in se stessa uno speciale sigillo di quella vocazione ecumenica, che i due santi fratelli avevano così intensamente vissuto. Nello stesso spirito nasceva anche - come ho già detto - la Chiesa di Kiev.

Quasi all'inizio del mio pontificato, nell'anno 1980, ebbi la gioia di proclamare i santi Cirillo e Metodio patroni d'Europa, accanto a san Benedetto.

L'Europa è cristiana nelle sue stesse radici. Le due forme della grande tradizione della Chiesa, l'occidentale e l'orientale, le due forme di cultura si integrano reciprocamente come i due "polmoni" di un solo organismo (cfr. RMA 24). Tale è l'eloquenza del passato; tale è l'eredità dei popoli che vivono nel nostro continente. Si potrebbe dire che le due correnti, l'orientale e l'occidentale, sono diventate simultaneamente le prime grandi forme dell'inculturazione della fede, nell'ambito delle quali l'unica e indivisa pienezza, affidata da Cristo alla Chiesa, ha trovato la sua espressione storica.

Nelle diverse culture delle nazioni europee, sia in Oriente sia in Occidente, nella musica, nella letteratura, nelle arti figurative e nell'architettura, come anche nei modi di pensare, scorre una comune linfa attinta ad un'unica fonte.


13. Al tempo stesso tale eredità diventa, in questo scorcio del XX secolo, una sfida particolarmente pressante all'unità dei cristiani. Una sincera aspirazione all'unità è presente oggi negli animi, quale presupposto di quella convivenza pacifica tra i popoli, in cui sta il bene di tutti. E' un'aspirazione che muove la coscienza dei cittadini, compenetra la politica e l'economia. I cristiani devono essere consapevoli delle sorgenti religiose e morali di tale sfida: Cristo "è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia" (Ep 2,14). Dio "ci ha riconciliati con sè mediante Cristo ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" (2Co 5,18). Questa realtà, quest'opera di Cristo ha oggi un suo particolare riflesso nella viva nostalgia dell'umanità per l'unità e la fraternità universale. Il desiderio dell'unità e della pace, del superamento delle diverse barriere e della composizione dei contrasti - così come il richiamo stesso del passato dell'Europa - diventa un segno stimolante dei nostri tempi.

Non esiste vera pace, se non sulla base di un processo di unificazione nel quale ogni popolo possa scegliere, nella libertà e nella verità, le vie del proprio sviluppo. D'altra parte, un tale processo è impossibile, se manca un accordo circa l'unità originaria e fondamentale, che si manifesta in diverse forme non antagoniste ma complementari, le quali hanno bisogno l'una dell'altra e si cercano reciprocamente. perciò, siamo profondamente convinti che la via verso la vera pace può essere raddrizzata in modo incomparabile nelle menti, nei cuori e nelle coscienze umane, mediante la presenza e il servizio di quel segno di pace che è - per sua natura - la Chiesa obbediente a Cristo e fedele alla sua vocazione.

Esprimiamo piena fiducia in tutti gli sforzi umani, che mirano a togliere di mezzo le occasioni di tensioni e di conflitti mediante la via pacifica del dialogo paziente, degli accordi, della comprensione e del rispetto reciproci.

E' vocazione dell'Europa, nata su fondamenti cristiani, una particolare sollecitudine per la pace nel mondo intero. In molte zone del mondo la pace manca, oppure è gravemente minacciata. E' necessaria, perciò, una costante e concorde cooperazione del continente europeo con tutte le nazioni in favore della pace e del bene, al quale ogni uomo e ogni comunità umana hanno un sacrosanto diritto.

VI Uniti nella gioia del millenio con Maria Madre di Gesù


14. I misteri e gli avvenimenti brevemente ricordati nella presente lettera, visti e meditati alla luce delle indicazioni del Concilio Vaticano II e nella prospettiva storica del Millennio, diventano per noi una sorgente di gioia e di consolazione nello Spirito Santo.

Tenendo conto dell'importanza del Battesimo della Rus' di Kiev nella storia dell'evangelizzazione e della cultura umana, ben si comprende come io abbia desiderato richiamare su di esso l'attenzione dell'intera Chiesa cattolica, invitando tutti i fedeli a comune preghiera. La Chiesa di Roma, costruita sul fondamento della fede apostolica di Pietro e di Paolo, si rallegra di questo Millennio e di tutti i frutti maturati nel corso delle generazioni: i frutti della fede e della vita, dell'unione e della testimonianza fino alla persecuzione e al martirio in conformità con l'annuncio di Cristo stesso. La nostra partecipazione spirituale alle solennità del Millennio si riferisce all'intero Popolo di Dio: fedeli e pastori, che vivono ed operano in quelle terre santificate mille anni or sono dal lavacro battesimale. Nella gioia di questa festa ci uniamo a tutti coloro che nel Battesimo, ricevuto dai loro antenati, riconoscono la sorgente della propria identità religiosa, culturale e nazionale; ci uniamo a tutti gli eredi di questo Battesimo, a prescindere dalla confessione religiosa, dalla nazionalità e dal luogo di abitazione; a tutti i fratelli e le sorelle ortodossi e cattolici. In particolare, ci uniamo a tutti i diletti figli e figlie delle nazioni russa, ucraina, bielorussa: a quelli che vivono nella loro patria, come anche a quelli che risiedono in America, in Europa occidentale e in altre parti del mondo.


15. In maniera speciale questa è certo la festa della Chiesa ortodossa russa, avente il suo centro a Mosca e che noi chiamiamo con gioia "Chiesa sorella".

Proprio essa ha assunto in gran parte l'eredità dell'antica Rus' cristiana, legandosi e rimanendo fedele alla Chiesa di Costantinopoli. Questa Chiesa, così come le altre Chiese ortodosse, ha veri sacramenti, segnatamente - in virtù della successione apostolica - l'Eucarestia e il Sacerdozio, grazie ai quali rimane unita alla Chiesa cattolica con legami strettissimi (cfr. UR 15). E insieme con le Chiese menzionate essa intraprende intensi sforzi per "conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni, che, come tra sorelle, ci devono essere tra le Chiese locali" (UR 14).

In questo solenne momento storico la comunità cattolica partecipa alla preghiera e alla meditazione sulle "grandi opere di Dio" (cfr. Ac 2,11) ed invia alla millenaria Chiesa sorella, mediante il Vescovo di Roma, il bacio di pace, come manifestazione dell'ardente desiderio di quella perfetta comunione che è voluta da Cristo ed è iscritta nella natura della Chiesa.

Le celebrazioni millenarie di tutti gli eredi del Battesimo di Vladimiro e la nostra partecipazione, che nasce da un bisogno del cuore, alla loro gioia e al loro ringraziamento, porteranno a tutti - è nostra profonda convinzione - una luce nuova, capace di penetrare le tenebre del difficile, secolare passato: la luce stessa, che sempre di nuovo nasce e giunge a noi dal mistero pasquale, dal mattino della Pasqua e della Pentecoste.


16. Una speciale espressione della nostra unione e partecipazione al Millennio del Battesimo della Rus', come anche dell'ardente desiderio di arrivare alla piena e perfetta comunione con le Chiese sorelle orientali, è costituita dalla proclamazione stessa dell'anno mariano, come è esplicitamente detto nell'enciclica "Redemptoris Mater": "Anche se ancora sperimentiamo i dolorosi effetti della separazione, avvenuta più tardi..., possiamo dire che davanti alla Madre di Cristo ci sentiamo veri fratelli e sorelle nell'ambito di quel popolo messianico, chiamato ad essere un'unica famiglia di Dio sulla terra" (RMA 50).

Il Verbo incarnato, da lei dato alla luce, rimane per sempre nel suo cuore, come ben manifesta la famosa icona "Znamenie", la quale presenta la Vergine orante col Verbo di Dio inciso sul cuore. La preghiera di Maria attinge in modo singolare alla potenza stessa di Dio: essa è un aiuto e una forza di ordine superiore per la salvezza dei cristiani. "Perché, dunque, non guardare a lei tutti insieme come alla nostra Madre comune, che prega per l'unità della famiglia di Dio e che tutti "precede" alla testa del lungo corteo dei testimoni della fede nell'unico Signore, il Figlio di Dio, concepito nel suo seno verginale per opera dello Spirito Santo?" (RMA 30).

Ai nostri fratelli e sorelle nella fede auguriamo che il patrimonio del Vangelo della croce, della Risurrezione e della Pentecoste non cessi di essere "via, verità e vita" (cfr. Jn 14,6) per tutte le generazioni future.

Eleviamo per questo con tutto il cuore la nostra preghiera alla Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 gennaio - nella festa della conversione di san Paolo - dell'anno 1988, decimo di pontificato.


Data: 1988-01-25 Data estesa: Lunedi 25 Gennaio 1988




Omelia nella Basilica di san Paolo alla conclusione dell'Ottavario per l'Unità dei Cristiani - Roma

Titolo: Anunnciati due documenti pastorali nel Millennio del battesimo della Rus' di Kiev

Testo:


1. "Io sono un giudeo, nato a Tarso di Cilicia... pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi" (Ac 22,3).

La chiesa riascolta oggi il discorso straordinario che l'uomo in catene (Ac 22,2), dall'alto della scalinata tra la torre e il Tempio di Gerusalemme (Ac 21,35), rivolse un giorno in lingua ebraica (Ac 22,2), al popolo in tumulto.

E' un discorso che ci aiuta a comprendere la sconvolgente novità della nostra fede, il suo carattere di avvenimento imprevedibile, di irruzione folgorante nella nostra esistenza, che ne viene messa in questione e indotta a riconsiderare tutte le certezze sulle quali precedentemente si reggeva.

"lo perseguitai a morte questa nuova dottrina..." (Ac 22,4), dice Paolo.

E' sconcertante costatare come, a volte, la violenza delle passioni umane sembri trovare alimento proprio nello zelo per Dio. La spiegazione di ciò va cercata nella precarietà di un equilibrio spirituale che induce il soggetto a vedere in ogni "novità" una minaccia, tanto più temibile quanto meno essa appare omogenea all'universo dei significati che fino a quel momento danno consistenza alla sua vita. Accade allora che un simile equilibrio, fragile perché intimamente insicuro, tenda a scomporsi ben presto nella violenza, motivata - se la questione è religiosa - con lo zelo per la religione. Ma si tratta di zelo "non illuminato" (Rm 10,1), come dirà Paolo stesso giudicando, alla luce della propria esperienza, il comportamento dei suoi connazionali.


2. Negli Atti degli Apostoli, troviamo, al contrario, un esempio di zelo illuminato tanto più significativo in quanto si pone quando ormai si va profilando la tensione tra la Sinagoga e la Chiesa nascente. E' l'esempio di Gamaliele, dottore della Legge (Ac 5,34), il quale parlando agli Israeliti, li esortava: "Lasciate stare questi uomini e rimandateli: perché se questo disegno, o quest'opera, è dagli uomini si dissolverà; ma se è da Dio non potrete dissolverla" (Ac 5,33). Questa è la voce di un uomo veramente radicato nel mistero, capace di portare in se stesso la pazienza di Dio nella storia. L'atteggiamento di Gamaliele non indulge ad un irenismo facile, privo di convinzioni realmente rassodate nello spirito, e perciò incosciente sia della posta in gioco che della costante minaccia che grava su di essa. Gamaliele è un uomo pieno di zelo per Dio; egli sa andare incontro alle crisi inevitabili della storia con quella fiducia salda e serena, che è propria dell'uomo veramente radicato nella luce e nell'amore dell'Eterno.


3. Lo "zelo non illuminato", di cui parla l'Apostolo, è frutto dell'insicurezza ansiosa, dell'amore cieco, il quale non sa maturare nella conoscenza del mistero.

Il fanatismo, che ne consegue, è il fallimento nell'amore di Dio.

Quante volte nella storia questo fallimento doloroso ha lasciato le sue cicatrici nel tessuto invisibile dell'unità della Chiesa! Quante volte anche fra i cristiani, in luogo del discernimento tranquillo di una fede salda perché aperta realmente al mistero, ha prevalso la timidezza ansiosa pronta al rifiuto - magari al rifiuto violento - sintomo infallibile di insicurezza e di crisi! L'esperienza di Paolo di Tarso deve illuminarci e ravvivare la nostra speranza. Il suo zelo focoso e intollerante si scontra con la luce che lo accieca e lo atterra. Gli occhi della sua mente gradatamente si aprono a tale luce sino alle altezze di una visione interamente rinnovata di ogni cosa, così che allo zelo ardente del suo cuore si dischiudono gli spazi sconfinati dell'amore.

In questa celebrazione eucaristica, nel ricordo delle esperienze storiche vissute, invochiamo questa luce su tutta la Chiesa.


4. Invochiamola sorretti dalla speranza. Ad essa ci invita il profeta Isaia con le parole riportate dalla liturgia odierna: "Il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti..." (Is 25,6).

La speranza dei popoli, e specialmente quella del popolo che Dio si è scelto, si esprime nel simbolo umanissimo di un banchetto alla fine della storia, "sopra il monte". Il mangiare e bere dell'uomo, su quel monte, diventerà finalmente eucaristia; esso sarà consapevolmente vissuto nello spazio interiore di quel rendimento di grazie continuo e spontaneo, nel quale, finalmente, l'uomo troverà se stesso, aderendo alla verità che lo costituisce.

La fede è l'alba di questa condizione finale, liberata dell'uomo che realizza pienamente nell'amore la sua verità di creatura.

Il banchetto di cui il profeta ci parla si svolge in una luce della quale la fede, nella sua penombra, è anticipazione fascinosa, ed insieme fervida aspettazione ed incessante domanda.

In questa luce l'uomo, alla fine, saprà ricevere se stesso e le cose come un dono, vivendo la libertà suprema della lode. "Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli, e la coltre che copriva tutte le genti" (Is 25,7).

L'amore dell'uomo, come la esperienza di san Paolo ci aiuta a comprendere, è prigioniero di questa "coltre"; e si consuma vanamente nel timore e nella diffidenza, nella violenza generata dal timore, fino a quando non riceve un raggio almeno della luce divina.

Tale luce, per la quale "sono in attesa le isole" si è svelata sulla croce, in quel mistero del Messia sofferente ed abbandonato, "scandalo per i Giudei, follia per i pagani", nel quale lo sguardo della fede riconosce l'impensabile profondità dell'amore di Dio.

Il monte sul quale Dio ha squarciato il velo e imbandito il banchetto è, secondo la fede della Chiesa, quello stesso sul quale è stata piantata la croce del Signore. 5. Di tale evento la Chiesa sa di essere stata fatta banditrice dal suo Signore: "Andate per il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Nella figura di Paolo essa ricorda e venera l'esempio più grande di una vita apostolica spesa nell'adempimento di questo comando del Signore, una vita consumata nella passione missionaria alimentata dalla rivelazione straordinaria del "mistero nascosto nei secoli": cioè del disegno di innestare tutte le genti nell'eredità della promessa, nell'attesa operosa del banchetto finale già iniziato nel memoriale della morte del Signore.

La Chiesa, sulle orme di Paolo, ha conosciuto lungo i secoli esempi mirabili di zelo missionario, di zelo per Dio, radicato in un amore maturo; esempi di zelo per la promessa in via di compimento. Nel corso di quest'anno ricorderemo la conversione del Principe Vladimiro di Kiev e del suo popolo, per la quale, con l'ingresso nella Chiesa degli slavi dell'Est, trovo compimento ideale la magnifica opera missionaria dei santi Cirillo e Metodio.

La memoria di questo evento così ricco di frutti per la causa del Vangelo, ma anche, possiamo ben dirlo, per la cultura della famiglia umana, ci darà occasione di riflettere sui compiti che attendono la Chiesa ai nostri giorni e di approfondire, nella fede, il senso della sua storia passata, e l'appello che viene da essa per il presente.


6. Nel contesto di questa celebrazione conclusiva della Settimana di preghiere per l' Unità dei cristiani il pensiero si indirizza, prima di tutto, alla Chiesa sorella del Patriarcato di Mosca che ha assunto gran parte dell'eredità cristiana dell'antica Rus' di Kiev. Ad essa l'intera comunità cattolica, nella persona del Vescovo di Roma, porge l'abbraccio della pace del Signore in quest'ora solenne della sua storia.

Possa la memoria del Battesimo di san Vladimiro ravvivare la coscienza di quei vincoli strettissimi di comunione che già ci uniscono ai nostri fratelli ortodossi; insieme alla consapevolezza della loro importanza ai fini della ricostruzione dell'unità visibile di tutti i battezzati. A nessuno può sfuggire, infatti, sino a che punto l'evangelizzazione del nostro mondo dipende in misura determinante dall'unità di tutti i cristiani, d'Oriente e d'Occidente, come segno visibile dell'amore di Dio operante nella storia.

Mi rallegro pertanto, rendendone grazie a Dio, dei progressi costanti nella reciproca comprensione con tutte le Chiese e comunità ecclesiali con le quali siamo in dialogo. Il progresso continuo del movimento ecumenico, malgrado le difficoltà di una così difficile storia, è in se stesso un chiaro indirizzo della volontà del Signore, al quale rinnoviamo incondizionata obbedienza.


7. Voglio ricordare in particolar modo i fratelli e le sorelle della Chiesa cattolica ucraina, costruita con le pietre vive della loro fede, che si collega con l'eredità di san Vladimiro. Essi, obbedendo alla voce della loro coscienza, sono nella piena comunione cattolica conservando l'eredità orientale. Il Concilio Vaticano II, grazie al suo approfondimento ecclesiologico, ha aperto una nuova via di incontro con l'Oriente cristiano, con il quale noi oggi speriamo non lontana la piena comunione.


8. Vorrei estendere ancora il mio augurio di pace e di prosperità a tutte le care popolazioni - ai Russi, agli Ucraini, ai Bielorussi - nelle quali vivono, come parte essenziale della loro storia e della loro cultura, le comunità dei fedeli ortodossi e cattolici che celebrano, nella memoria del Millennio, l'inizio della loro storia cristiana.

Affido infine a Maria, memoria vivente dei grandi eventi della Chiesa in tutto il corso della sua storia, queste riflessioni con le quali ho voluto anticipare alcuni dei contenuti di due documenti di prossima pubblicazione; il mio vivo desiderio è che tutti ci prepariamo a prendere parte, nello spirito - valutando in modo adeguato la grande rilevanza ecclesiale, ecumenica e culturale dell'avvenimento - alla grande festa dei nostri fratelli ortodossi e cattolici, eredi di san Vladimiro.

Possa questa importante ricorrenza affrettare la piena realizzazione della preghiera di Gesù nel cenacolo: "Ut omnes unum sint...". "Che tutti siano una cosa sola".

Amen!


Data: 1988-01-25 Data estesa: Lunedi 25 Gennaio 1988




Al Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (FIDA) - EUR (Roma)

Titolo: Le risorse investite per gli arsenali atomici siano destinate allo sviluppo dei paesi poveri

Testo:

Signor presidente, signor presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, signori ministri, signori delegati e rappresentanti permanenti degli Stati membri, signore e signori, 1. Ben volentieri ho accettato l'invito che lei mi ha rivolto, signor presidente, a nome dei rappresentanti dei centoquarantadue Stati membri del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (FIDA), a partecipare alle celebrazioni solenni del decimo anniversario della creazione di questa Organizzazione intergovernativa.

La recente istituzione del Fondo non gli ha impedito di assumere un ruolo importante nell'ampio sforzo di solidarietà intrapreso dalle nazioni in questa seconda metà del ventesimo secolo. E la vostra Organizzazione occupa un posto privilegiato tra le istituzioni internazionali che segnano ormai la vita dei popoli.

In futuro, quando si ricorderà l'epoca in cui noi viviamo, forse si ricorderanno i problemi e le molteplici divergenze, o i conflitti troppo numerosi, o ancora lo sviluppo scientifico e tecnico impressionante; ma si sottolineera anche che questo tempo è stato quello della solidarietà internazionale, grazie agli sforzi compiuti per affrontare e risolvere i problemi che affliggono l'umanità e grazie anche alle innumerevoli organizzazioni create in questo periodo. Si sarà lavorato molto nel campo della pace, della giustizia, della cooperazione economica, culturale e scientifica, dei diritti dell'uomo, della salute pubblica o della fame. Simili sforzi non possono essere vani. Come potrebbero essere dimenticati dalle generazioni future? 2. Il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, che da cinque anni ha scelto come sede definitiva la città di Roma, cara al mondo intero per la sua eccezionale ricchezza di tradizioni religiose e umane, si integra nel sistema delle istituzioni speciali delle Nazioni Unite che hanno per fine proprio di raccogliere e utilizzare risorse finanziarie a favore di progetti e programmi concernenti l'agricoltura e l'alimentazione. La Santa Sede, che attribuisce una importanza particolare allo sviluppo pacifico e solidale della comunità internazionale, ha incoraggiato fin dall'origine il progetto di una istituzione dedicata in modo specifico al sostegno finanziario delle iniziative individuali o collettive di cooperazione nelle zone più depresse; e non ha mancato di seguirne l'evoluzione perché questa iniziativa sembrava in grado di contribuire in larga misura alla lotta contro la fame e la denutrizione.


3. Il grave problema della fame, che tormenta ancora oggi tante regioni del mondo, non può essere risolto solo con l'intervento dei paesi produttori di derrate alimentari; non si potrà trovare una soluzione efficace se non si stimoleranno le considerevoli risorse umane dei lavoratori agricoli, dei pescatori e degli allevatori ai quali mancano mezzi economici e tecnici necessari. Per questo, è necessario che la ripartizione degli aiuti, la retribuzione del lavoro produttivo tenga in massimo conto le esigenze della giustizia sociale e favorisca la cooperazione di tutti. Di fatto, nessuno può lottare da solo contro fattori ecologici coercitivi come le condizioni atmosferiche sfavorevoli, la siccità prolungata, i parassiti, o contro l'incredibile degrado della terra dovuto a interventi sconsiderati o all'incuria dell'uomo.

Ma l'appoggio della Santa Sede alla FIDA è anche di ordine morale, perché, per numerosi paesi, questa organizzazione rappresenta un mezzo concreto per assumersi le loro responsabilità verso lo sviluppo dei paesi più poveri: fornisce a delle categorie intere di lavoratori i mezzi di lottare in prima persona contro la fame e la denutrizione. così questi uomini e queste donne utilizzano meglio le loro capacità e affermano la loro dignità.


4. Nello stesso ordine di idee, la FIDA costituisce una istituzione originale in ragione dei criteri che si è data per determinare i contributi finanziari in funzione delle possibilità economiche reali e dello sviluppo di ciascuno dei paesi membri, ripartiti in tre gruppi distinti. Inoltre la destinazione delle risorse finanziarie è proporzionata alle possibilità di utilizzo da parte dei paesi beneficiati. Di fronte alle mancanze più gravi o alle crisi acute, si prevedono delle facilitazioni di credito e delle donazioni gratuite.

Gli obiettivi del Fondo, quindi, non si limitano all'assegnazione dei crediti o delle donazioni, ma comprendono lo studio della situazione economica mondiale. Sappiamo bene tutti che, malgrado gli sforzi delle organizzazioni internazionali e i risultati già acquisiti, dei continenti interi si trovano davanti alla necessità imperiosa di migliorare le condizioni di vita e di lavoro di centinaia di milioni di persone. Nel dicembre 1986, nel corso della decima sessione del Consiglio dei Governatori della FIDA, il presidente sottolineava il fatto che in Asia, per esempio, dozzine di milioni di persone continuano a soffrire la fame e vivono senza poter sperare in un miglioramento. In Africa, il problema della sopravvivenza è di un'ampiezza catastrofica, e in America latina una parte importante della popolazione resta ai margini dello sviluppo, in impressionanti condizioni di miseria. E queste situazioni permangono nonostante un aumento notevole della produzione alimentare mondiale nel corso degli ultimi anni.


5. Nel 1967, il mio predecessore Paolo VI, nella sua enciclica sullo sviluppo dei popoli, indicava, tra i fini da perseguire, "il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane" di vita (Pauli VI PP 20); ricordava le carenze materiali, lo sfruttamento dei lavoratori; indicava anche altri obiettivi: assicurare a tutti il possesso dei beni necessari, sconfiggere le piaghe sociali, lavorare per il bene comune (cfr. Pauli VI PP 21).

Di fronte a questi obiettivi, non si può affidarsi alle sole iniziative individuali o al libero gioco della concorrenza. Giovanni XXIII aveva già affermato, nell'enciclica sociale "Mater et Magistra" la necessità di programmi concertati per incoraggiare, stimolare, coordinare l'azione degli individui e dei corpi intermedi (cfr. Ioannis XXIII "Mater et Magistra", II: AAS 53 [1961] 414 MM 11?).


6. Oltre alle collaborazioni bilaterali, le collaborazioni multilaterali acquistano un peso particolare, perché possono fare superare il rischio di un neocolonialismo o il timore di un'egemonia strategica, in situazioni in cui vengono privilegiati degli interessi politici, militari, economici o ideologici, a detrimento dei bisogni umani delle popolazioni.

La libertà, il mutuo rispetto e il principio dell'uguaglianza, insieme allo sviluppo della cooperazione internazionale, fanno parte dei fini riconosciuti dai paesi membri dell'Onu.

Questi obiettivi sono sempre da perseguire e da difendere; la loro realizzazione dipende dalla vitalità delle relazioni internazionali; viene ostacolata dalle crisi; viene annullata dalla violenza; ma progredisce nella stima e nella fiducia reciproche; è favorita dalla volontà dello sforzo comune; riceve vantaggio dal clima di distensione tra i differenti paesi.


7. Il decimo anniversario dell'istituzione della FIDA, che oggi si celebra, fornisce un'occasione privilegiata per verificare la missione svolta e, nello stesso tempo, gettare le basi per l'avvenire. In effetti, il ruolo che il Fondo intende giocare sarà tanto più dinamico quanto più si sarà riaffermata la volontà comune di mettere in atto gli ideali affermati dieci anni fa.

Noi siamo testimoni di un processo di distensione internazionale contrassegnato da un primo accordo di disarmo effettivo concluso tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica e vogliamo sperare che sia premessa di un disarmo più radicale. Ma tutto questo non avrebbe senso se non si pervenisse ad un più alto grado di cooperazione economica a beneficio delle regioni più bisognose.

Sembra dunque logico che le immense risorse investite nella costituzione di arsenali atomici o nell'acquisizione di armi dette convenzionali siano destinate in massa allo sviluppo dei paesi più poveri.

Quanto ho detto recentemente al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, vorrei qui riaffermarlo: il processo di pace e di distensione internazionale richiede la giustizia, la salvaguardia dei diritti delle persone e dei popoli, lo sviluppo. Per questo resta valido lo slogan lanciato vent'anni fa da Paolo VI: "Lo sviluppo è il nuovo nome della pace". Mostra in quale direzione devono muoversi gli sforzi di tutti nel corso degli anni a venire.

Da questa tribuna, in presenza dei rappresentanti illustri di numerosi stati membri del Fondo, vorrei rivolgere un appello a tutti i governi, affinché ciascuno, secondo le sue possibilità politiche ed economiche, collabori a questa grande opera: dare alla pace il nome di sviluppo. Uno sviluppo che rispetti i ritmi di crescita e i valori di ogni popolo e di ogni cultura. Uno sviluppo che significhi la vittoria sui mali endemici, la vittoria sulle forme di povertà che colpiscono l'umanità, la vittoria sulla fame, "urgenza delle urgenze". ("Allocutio ad Nationum Legatos", die 9 ian. 1988).

Uno sviluppo che sia veramente a misura d'uomo e della sua dignità.

Non vedere più intere popolazioni morire perché mancano del necessario: non è un'utopia, ma una speranza. Siamo responsabili di questa realizzazione.

Bisogna avere il coraggio di rinunciare ad eccessive spese militari per consegnare il massimo delle risorse alla cooperazione economica, sociale, agricola, sanitaria, culturale, scientifica. Lo sviluppo dipende dalla possibilità che avranno i lavoratori, soprattutto i più emarginati, di unirsi in una cooperazione produttiva, per commercializzare il frutto della loro fatica. Dipende dal modo in cui anteporremo alla ricerca del profitto il rispetto dell'uguale dignità di tutta la famiglia umana, affinché l'uomo non sia considerato come uno strumento e i popoli più poveri come semplici fornitori di materie prime. Il rispetto che avremo per l'umanità, oggi umiliata dai bisogni e la miseria, non sarà sincero se le società sviluppate non aiuteranno concretamente lo sviluppo dei più diseredati.

E' pertanto necessario che la generosità dei paesi più ricchi non diminuisca; che una nuova fiducia nasca tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo; che si rinunci alle tentazioni egemoniche; che le amministrazioni interessate diano prova di rigore nell'uso dei finanziamenti e dei crediti; che ci sia la volontà reale di ottenere uno sviluppo sociale e umano dei popoli.


8. In questa prospettiva, la Chiesa desidera portare il suo sostegno e il suo contributo a quanti si fanno promotori del progresso della giustizia sociale e del miglioramento della situazione economica internazionale. La Chiesa, in questo campo, non propone delle soluzioni teoriche o tecniche. Ciononostante essa desidera ricordare che tutte le soluzioni devono essere bene adattate alle situazioni concrete. Proprio per tener fede a questo criterio, nel 1984, alla creazione della Fondazione per il Sahel, ho stimato essenziale che le Chiese locali studino e amministrino i progetti di sviluppo previsti in una regione così duramente provata dalle calamità naturali. Esse partecipino anche, in modo complementare, agli sforzi delle popolazioni, dando la priorità alla formazione degli africani, al fine di renderli in grado di lottare contro la siccità e la progressiva desertificazione. Per quanto piccola e recente, l'iniziativa comincia a portare frutto; si ridona la speranza a delle comunità che tornano ad essere responsabili dell'avvenire delle loro terre. Mi auguro che la vostra Organizzazione, il cui scopo è di favorire lo sviluppo internazionale, non si accontenti di assegnare le risorse finanziarie di cui è dotata, ma nello stesso tempo dia fiducia a tutte le popolazioni provate da sofferenze interminabili.


9. Signor presidente, nel mio intervento ho voluto richiamare gli obiettivi e lo spirito dell'attività portata avanti dall'Organizzazione da lei presieduta, e proporre alcuni criteri essenziali per il lavoro importante che il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo deve compiere.

Sono sicuro che, grazie all'esperienza decennale, la FIDA non mancherà di dare un nuovo impulso alla sua attività, nella chiara consapevolezza degli obiettivi umanitari e sociali implicati dalle sue stesse finalità. E questa attività sarà impossibile senza i contributi finanziari e tecnici dei Paesi che vi partecipano.

Vorrei pertanto cogliere questa occasione per esprimere la mia profonda stima ai governi che non mancano ora, e anche in futuro, di dare il loro contributo generoso.

La responsabilità dello sviluppo umano delle aree più deboli, in particolare di quelle che cercano di giungere a una capacità sufficiente di produzione alimentare, è responsabilità di tutti. Nessuno tra noi può sentirsi la coscienza a posto finché esistono uomini e donne che mancano del necessario. La FIDA, in queste condizioni, potrà essere realmente un segno vivo della volontà comune di dare alla convivenza umana un avvenire e una speranza più sicuri.

Mi auguro, signor presidente, che l'attività portata avanti dalla sua Organizzazione in questo spirito abbia esiti positivi nel corso degli anni a venire. E chiedo all'Altissimo di benedire i vostri sforzi a servizio dell'uomo.


Data: 1988-01-26 Data estesa: Martedi 26 Gennaio 1988










GPII 1988 Insegnamenti - V L'unità della Chiesa e l'unità del continente europeo