GPII 1988 Insegnamenti - Agli ufficiali superiori dell'Esercito italiano - Città del Vaticano (Roma)


1. Sono lieto d'incontrarmi con voi, signori ufficiali dell'Esercito italiano, in occasione della vostra partecipazione al corso di "Scienze umanistiche ad indirizzo cristiano", organizzato presso l'Accademia Agostiniana.

Desidero porgere a tutti ed a ciascuno il mio cordiale saluto. In particolare saluto l'Ordinario Militare monsignor Gaetano Bonicelli ed il Capo di Stato Maggiore, Generale di Corpo d'Armata Ciro De Martino, grato per le gentili parole rivoltemi. Con loro saluto pure i responsabili del corso e i docenti in esso impegnati.

L'iniziativa di inserire un tale momento di studio e di riflessione, signori ufficiali, nel contesto delle molteplici occupazioni che vi sono richieste; per la preparazione tecnica e scientifica alle future responsabilità, incontra il mio convinto apprezzamento. Vi incoraggio pertanto ad approfondire con investigazione attenta, nella prospettiva della fede cristiana, i temi fondamentali della cultura sull'uomo. Ciò contribuirà ad affinare la vostra sensibilità, disponendovi a svolgere i vostri incarichi con maggiore profitto grazie alla luce che le scienze umanistiche proiettano sui perenni valori della persona e della vita sociale.


2. Il servizio militare comporta momenti di forte responsabilità verso la comunità. A voi infatti è affidato l'uso di strumenti e di strutture difensive di grande rilievo per la nazione; al tempo stesso, il vostro ruolo di ufficiali vi pone costantemente a contatto con giovani, ai quali il servizio di leva offre una interessante e spesso determinante esperienza di vita.

Nell'una e nell'altra circostanza siete tenuti a comportarvi con coscienza illuminata da una viva esperienza dei valori umani, operando scelte consapevoli ed orientate al bene.

E' vostro compito formare le giovani generazioni, aiutandole a costruire in se stesse una personalità fondata sui sani principi, che rispecchiano la verità circa l'uomo, il suo destino, la sua missione.


3. La Chiesa vi è vicina in tali responsabilità. Gli studi che state facendo, sotto l'esperta guida dei docenti dell'"Augustinianum", corrispondono ad una missione che la Chiesa ha sempre ritenuta doverosa ed urgente. Essa, "che è insieme società visibile e comunità spirituale, cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio" (GS 40). La Chiesa, in particolare, desidera oggi condividere con voi la preoccupazione circa alcune tipiche situazioni della cultura del nostro tempo che suscitano perplessità. Essa vi invita a guardarle con obiettività, per cogliere, nelle luci e nelle ombre, le istanze che sfidano l'uomo moderno ed il credente. E' questo uno degli scopi della vostra iniziativa.


4. Là dove persiste il tentativo di negare Dio, là dove emergono atteggiamenti di irreligiosità, di incredulità, di disinteresse per la trascendenza, l'uomo corre dei rischi. Essi si raccolgono nella tentazione, prodotta dal fascino della potenza e della novità, di negare che principi morali oggettivi siano sottesi ad ogni azione umana, per regolarla secondo una chiara scala di valori.

Occorre affermare, invece, che i valori morali non possono essere rimossi, senza fare con ciò violenza allo stesso essere umano, nella cui struttura ontologica essi sono stati iscritti dal Creatore. Solo l'accettazione di tali valori consente di sperare che lo sviluppo tecnico sia rivolto al bene di tutti, e non invece alla produzione di situazioni invivibili.

La tecnica, com'è noto, ha sempre e solo un valore strumentale. Usata in modo irresponsabile diventa un'arma rischiosa, che può esporre a violazioni anche gravissime dei diritti della persona.


5. Mi è caro auspicare che, avendo voi stessi approfondito l'incomparabile dignità dell'essere umano, nella sua dimensione terrena e trascendente, possiate rendervi sempre più idonei al compito di promuovere i valori della giustizia e della libertà, in una nazione come l'Italia che in essi trova la sintesi più alta dell'intera sua storia.

Con tali sentimenti, volentieri imparto a tutti voi, ai vostri collaboratori ed amici, come anche a tutti i vostri familiari, la mia benedizione.


Data: 1988-03-24 Data estesa: Giovedi 24 Marzo 1988




Le credenziali del nuovo ambasciatore del Kuwait presso la Santa Sede - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Promuovere instancabilmente lo spirito di dialogo per riportare la pace nella vostra tormentata regione

Testo:

Signor Ambasciatore.

La nobile espressione dei sentimenti che la animano, in questo giorno così significativo, ha ricevuto tutta la mia attenzione. La ringrazio di cuore.


1. Agli occhi della pubblica opinione, la cerimonia della presentazione delle lettere di accreditamento di un ambasciatore presso la Santa Sede, può sembrare di carattere puramente protocollare. In realtà si tratta di un incontro tra due persone e, tramite loro, di un incontro tra il potere temporale e il potere spirituale decisi a collaborare, nel rispetto delle loro rispettive competenze, al bene di un popolo particolare e insieme, nella misura del possibile e dell'opportuno, al bene delle altre nazioni.

Vostra eccellenza è stato scelto e accreditato da sua altezza lo Sceicco Jaber Al Ahmed Al Sabah, Emiro dello Stato del Kuwait, per portare avanti e ancora perfezionare le relazioni diplomatiche che l'Emirato ha voluto stabilire da alcuni anni con la Santa Sede. Il ministero ecclesiale che mi compete mi dà gioia di accoglierla nella speranza di un successo della sua alta missione di ambasciatore straordinario e plenipotenziario presso la Santa Sede. Auguriamoci, signor ambasciatore, che queste relazioni diplomatiche contribuiscano al mantenimento e all'applicazione concreta dei principi fondamentali di umanità e civiltà, di cui la religione cattolica, da parte sua, si sforza di essere attenta custode.

Vorrei ricordare che sua altezza l'Emiro dello Stato del Kuwait l'ha incaricata di trasmettermi, per il bene della Sede apostolica oltre che per la mia persona, dei voti deferenti e sinceri. Affido all'eccellenza vostra la cura di esprimere a Sua Altezza la mia viva gratitudine e di aggiungervi i miei migliori auguri per la pace e la prosperità dell'Emirato.


2. Lei ha sottolineato, signor ambasciatore, le buone condizioni delle relazioni tra il Kuwait e la Santa Sede, basate su una volontà comune di libertà, di pace, di giustizia. Già il suo predecessore, sua eccellenza essa Ahmad Al-Hamad, ha lavorato in questo senso per dodici anni. Gli siamo riconoscenti per questo. E anche lei, eccellenza, ha questo solo desiderio: continuare e approfondire il dialogo, leale, fiducioso e costruttivo tra il suo governo da una parte e la Santa Sede dall'altra, desideroso di collaborare al bene dell'umanità, specialmente alla pace. La pace, fondamento della felicità, cui aspira ogni essere umano e ogni nazione! La pace, che la Santa Sede vuol favorire con tutte le sue forze compiendo la sua specifica missione spirituale, che comprende il richiamo degli imperativi etici indispensabili nello svolgimento dei compiti umanitari o socio-politici.

Facendo eco alle sue considerazioni sullo spirito di tolleranza e sull'ideale della pace che vanno ad onore del suo governo, lei comprenderà che mi sta a cuore ricordare la comunità cattolica presente sul territorio dell'Emirato e di cui ha la responsabilità monsignor Francis Micallef, Vicario apostolico.

Questi figli della Chiesa cattolica costituiscono una minoranza. Per di più, vengono da Paesi stranieri: soprattutto dal Medio Oriente, ma anche dall'Occidente e dall'Asia meridionale. Essi hanno certamente il dovere di rispettare le leggi del Paese che li ospita e permette loro di partecipare alla vita economica dell'Emirato. Reciprocamente, il governo del Kuwait, come tutti gli Stati che accettano degli stranieri sul loro territorio, deve rispettare e nel caso proteggere questi lavoratori e le loro scelte di coscienza, morali e religiose.

Nel mio ultimo messaggio per la Giornata mondiale della pace, celebrata il 1°gennaio, ho voluto parlare della libertà religiosa, condizione per vivere in pace. Un aspetto delicato della questione veniva così precisato: "Anche nel caso in cui uno Stato attribuisca una speciale posizione giuridica ad una determinata religione, è doveroso che sia legalmente riconosciuto ed effettivamente rispettato il diritto di libertà di coscienza di tutti i cittadini, come pure degli stranieri che vi risiedono anche temporaneamente, per motivi di lavoro ed altri" ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum, pro a.D. 1988, 1, die 8 dec. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 [1987] 1334). Il suo governo merita stima per il suo atteggiamento di benevolenza nei riguardi della minoranza cattolica, divisa in piccole comunità sparse per tutto il Kuwait.

Queste famiglie o persone sole hanno bisogno di luoghi di culto, vicini alle loro abitazioni e al loro posto di lavoro, e hanno anche bisogno di sentirsi libere di recarvisi. Le famiglie cattoliche straniere che hanno figli in età scolare desiderano dare una formazione umana e religiosa di loro scelta. Per rispondere a questi bisogni, è giusto che delle scuole cattoliche possano portare avanti liberamente la loro attività educativa. Penso infine ai sacerdoti che collaborano con monsignor Vicario apostolico nell'assistenza spirituale ai fedeli.

Essi contano sull'ampiezza di vedute del governo e non possono che apprezzare il suo comportamento, quando questi agevola i loro spostamenti e permette loro di ottenere i testi e il materiale didattico necessari per l'insegnamento e per il culto religioso. In questo, se pur brevemente, tocchiamo il problema serio e delicato dell'assoluto rispetto della coscienza dei credenti.


3. Infine, sono lieto, signor ambasciatore, che lei abbia parlato dell'impegno del suo governo per contribuire, attraverso i mezzi di cui dispone e in particolare per via diplomatica, alla difficile soluzione dei conflitti che perdurano nella vostra regione e, nel mondo, ovunque la pace è minacciata o incrinata. Se è vero che il suo Paese non può realizzare tutto quanto desidererebbe fare a favore della pace, è altrettanto vero che dispone di una reale influenza. Sono lieto di avere l'occasione per incoraggiarlo a distinguersi sempre nella sua volontà perseverante di promuovere lo spirito del dialogo e del negoziato, che è l'unica strada per una pace effettiva. Le posso assicurare, signor ambasciatore, che, secondo i suoi desideri, lei troverà qui sempre ascolto e sostegno per la sua missione e i suoi sforzi di pace e fraternità, per la felicità dell'umanità.

Al termine di questo incontro, faccio voti cordiali perché la sua alta missione, che oggi si inaugura, le porti molta soddisfazione sul piano del lavoro diplomatico, ma anche sia una nuova scoperta della Chiesa cattolica, della sua storia antica e recente, della sua diplomazia, della sua azione al servizio del mondo contemporaneo. Affido all'Onnipotente la sua persona, i suoi cari, e l'Emirato del Kuwait, che lei ha l'onore di rappresentare presso la Santa Sede.


Data: 1988-03-24 Data estesa: Giovedi 24 Marzo 1988




Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedi santo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lettera ai sacerdoti

Testo:

Cari fratelli nel sacerdozio.


1. Oggi tutti torniamo al cenacolo. Raccogliendoci intorno agli altari in tanti luoghi della terra noi celebriamo in maniera speciale il memoriale dell'ultima Cena in mezzo alla comunità del Popolo di Dio che serviamo. Nella liturgia vespertina del giovedi santo le parole di Cristo, pronunciate "la vigilia della sua passione", risuonano sulle nostre labbra così come ogni giorno - e tuttavia in un modo diverso - in rapporto a quella sera unica, che proprio oggi è rievocata dalla Chiesa.

Come nostro Signore - e al tempo stesso "in persona Christi" - noi pronunciamo le parole: "Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo...

Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue". Difatti, il Signore stesso così ci ha raccomandato, quando ha detto agli apostoli: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19).

E nel far questo deve essere vivo nella nostra mente e nel nostro cuore l'intero mistero dell'incarnazione. Cristo, che il giovedi santo annuncia che il suo corpo sarà "dato" e il suo sangue "versato", è il Figlio eterno, il quale "entrando nel mondo", dice al Padre: Ecco "un corpo mi hai preparato..., perché io compia la tua volontà" (cfr. He 10,5-7).

Si avvicina appunto quella Pasqua, in cui il Figlio di Dio, come redentore del mondo, compirà la volontà del Padre mediante l'offerta e l'immolazione del suo corpo e del suo sangue sul Golgota. E' per mezzo di questo sacrificio che egli "entro una volta per sempre nel santuario... con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna" (He 9,12). Infatti, è questo il sacrificio dell'alleanza "nuova ed eterna". Ecco, esso è intimamente connesso col mistero dell'incarnazione: il Verbo, che si è fatto carne (cfr. Jn 1,14), immola la sua umanità, come "homo assumptus" nell'unità della Persona divina.

Conviene che in quest'anno, vissuto da tutta la Chiesa come anno mariano, sia ricordata - a proposito dell'istituzione dell'Eucaristia ed insieme del sacramento del Sacerdozio - la realtà stessa dell'incarnazione. La opero lo Spirito Santo, discendendo sulla Vergine di Nazaret, allorquando questa pronuncio il suo "fiat" in risposta all'annuncio dell'angelo (cfr. Lc 1,38).

"Ave, o vero corpo, nato da Maria Vergine: / davvero hai patito e sei stato immolato / sulla croce per l'uomo". Si, lo stesso corpo! Mentre celebriamo l'Eucaristia, mediante il nostro servizio sacerdotale si rende presente il mistero del Verbo incarnato, Figlio di Maria Vergine.


2. Durante l'ultima Cena la Madre di Cristo non risulta che fosse nel cenacolo.

Era invece presente sul Calvario, ai piedi della croce, "dove - come insegna il Concilio Vaticano II - non senza un disegno divino, se ne stette (cfr. Jn 19,25), profondamente soffri in unione col suo Unigenito e si associo con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consentendo all'immolazione della vittima da lei generata" (LG 58). Tanto lontano si spinse quel "fiat", pronunciato da Maria all'annunciazione.

Quando noi, agendo "in persona Christi", celebriamo il sacramento dello stesso ed unico sacrificio di cui Cristo è e rimane l'unico sacerdote e l'unica vittima, non dobbiamo dimenticare questo compatimento della Madre, nella quale si sono compiute le parole pronunciate da Simeone nel tempio di Gerusalemme: "A te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,35). Erano parole rivolte direttamente a Maria, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù. Sul Golgota, sotto la croce, queste parole si sono compiute fino in fondo. Quando suo Figlio sulla croce si rivelo in tutta la pienezza come "segno di contraddizione", allora tale immolazione, quell'agonia mortale del Figlio raggiunse anche il cuore materno di Maria.

Ecco, l'agonia del cuore della Madre, che soffriva insieme a lui, "consentendo all'immolazione della vittima da lei generata". Si tocca qui l'apice della presenza di Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa sulla terra. Questo apice è sulla via della "peregrinazione della fede", alla quale facciamo speciale riferimento nell'anno mariano (cfr. RMA 30).

Cari fratelli, a chi più che a noi è indispensabile una fede profonda e incrollabile - a noi, che in virtù della successione apostolica iniziata nel cenacolo celebriamo il sacramento del sacrificio di Cristo? Bisogna, dunque, che si approfondisca costantemente il nostro legame spirituale con la Madre di Dio, che nella peregrinazione della fede "va innanzi" all'intero Popolo di Dio.

E in particolare, quando celebrando l'Eucaristia ci troviamo ogni giorno sul Golgota, bisogna che vicino a noi sia colei che mediante la fede eroica ha portato all'apice la sua unione col Figlio, proprio là sul Golgota.


3. Del resto, Cristo non ha forse lasciato per noi una speciale indicazione a questo riguardo? Ecco, durante la sua agonia sulla croce, egli pronuncio le parole che per noi hanno il significato di un testamento. "Gesù allora, vedendo la madre e li accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Jn 19,26-27).

Quel discepolo, l'apostolo Giovanni, si trovava insieme a Cristo durante l'ultima Cena. Era uno di quei "dodici", ai quali il Maestro rivolse, insieme con le parole che istituivano l'Eucaristia, la raccomandazione: "Fate questo in memoria di me". Egli ricevette la potestà di celebrare il sacrificio eucaristico istituito nel cenacolo alla vigilia della passione, come santissimo sacramento della Chiesa.

Al momento della sua morte, Gesù dona la propria Madre a questo discepolo. Giovanni "la prese nella sua casa": la prese come prima testimonianza del mistero dell'incarnazione. Ed egli, come evangelista, espresse appunto nel modo più profondo ed insieme più semplice la verità sul Verbo che "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14): la verità dell'incarnazione e la verità dell'Emmanuele.

E così, prendendo "nella sua casa" la Madre che stava sotto la croce del Figlio, egli accolse al tempo stesso tutto ciò che era in lei sul Golgota: il fatto che ella "profondamente soffri in unione col suo Unigenito e si associo con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consentendo all'immolazione della vittima da lei generata". Tutto ciò - tutta la sovrumana esperienza del sacrificio della nostra redenzione, impressa nel cuore della Madre stessa di Cristo-Rendentore - fu affidato all'uomo, che nel cenacolo ricevette il potere di rendere presente questo sacrificio mediante il ministero sacerdotale dell'Eucaristia.

Non possiede questo un'eloquenza singolare per ciascuno di noi? Se Giovanni sotto la croce rappresenta in un certo senso tutti gli uomini, ciascuno e ciascuna, ai quali viene spiritualmente estesa la maternità della Madre di Dio, quanto maggiormente questo vale per ciascuno di noi, chiamati sacramentalmente al servizio sacerdotale dell'Eucaristia nella Chiesa! Davvero, è sconvolgente la realtà del Golgota, del sacrificio di Cristo per la redenzione del mondo! E' sconvolgente il mistero di Dio, di cui siamo ministri nell'ordine sacramentale (cfr. 1Co 4,1). Non siamo, tuttavia, minacciati dal pericolo di esser dei ministri non abbastanza degni? Dal pericolo di non presentarci con sufficiente fedeltà ai piedi della croce di Cristo, celebrando l'Eucaristia? Cerchiamo di esser vicini a questa Madre, nel cui cuore è inscritto in modo unico ed incomparabile il mistero della redenzione del mondo.


4. "La beata Vergine, per il dono e l'ufficio della divina maternità che la unisce col Figlio redentore... è pure intimamente congiunta con la Chiesa" - proclama il Concilio -. "La Madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant'Ambrogio, nell'ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti, nel mistero della Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine, la beata Vergine Maria è andata innanzi, presentandosi in modo eminente e singolare quale vergine e quale madre" (LG 63).

Più avanti il testo conciliare sviluppa questa analogia tipologica: "Orbene, la Chiesa, la quale contempla l'arcana santità di lei e ne imita la carità e adempie fedelmente la volontà del Padre, per mezzo della parola di Dio fedelmente accolta, diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figlioli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa pure è vergine, che custodisce integra e pura la fede data allo Sposo". La Chiesa, pertanto, "ad imitazione della madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo, conserva verginalmente integra la fede, solida la speranza, sincera la carità" (LG 64).

Ai piedi della croce sul Golgota "il discepolo prese nella sua casa" Maria, indicatagli da Cristo con le parole: "Ecco la tua madre". L'insegnamento del Concilio dimostra quanto la Chiesa intera abbia preso Maria "nella sua casa"; quanto profondamente il mistero di questa Madre-Vergine appartenga al mistero della Chiesa, alla sua intima realtà.

Tutto ciò ha un'importanza fondamentale per tutti i figli e le figlie della Chiesa. Tutto ciò ha un significato speciale per noi, che siamo stati marcati col segno sacramentale del Sacerdozio, il quale, se è "gerarchico", è al tempo stesso "ministeriale" sull'esempio di Cristo: il primo servitore della redenzione del mondo.

Se tutti nella Chiesa - uomini e donne per mezzo del Battesimo partecipano alla funzione di Cristo sacerdote - possiedono il "sacerdozio regale" comune, di cui parla l'apostolo Pietro (cfr. 1P 2,9), tutti devono riferire a sè le parole della Costituzione conciliare riportate poc'anzi; queste parole, tuttavia, si riferiscono in modo speciale a noi.

Il Concilio vede la maternità della Chiesa - sul modello della maternità di Maria - nel fatto che essa "genera a una vita nuova ed immortale i figlioli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio". Avvertiamo qui come un'eco delle parole di san Paolo circa i "figli che egli partorisce nel dolore" (cfr. Ga 4,19), così come partorisce una madre. Quando, nella lettera agli Efesini leggiamo di Cristo-Sposo che "nutre e cura" la Chiesa come suo corpo (cfr. Ep 5,29), non possiamo non collegare tale sollecitudine sponsale di Cristo soprattutto col dono del cibo eucaristico, assimilabile alle tante premure materne nel "nutrire e curare" il bambino.

Vale la pena richiamare alla memoria queste espressioni bibliche, affinché la verità della maternità della Chiesa sull'esempio della Madre di Dio diventi più vicina alla nostra coscienza sacerdotale. E se ciascuno di noi vive tale maternità spirituale piuttosto in modo maschile, quale "paternità nello Spirito" - Maria, come "figura" della Chiesa, ha in questa esperienza la sua parte. E i passi riportati dimostrano quanto profondamente questa parte sia inscritta al centro stesso del nostro servizio sacerdotale e pastorale. L'analogia di Paolo circa il "parto nel dolore" non è forse vicina a tutti noi in molte situazioni, in cui anche noi siamo coinvolti nel processo spirituale della "generazione" e della "rigenerazione" dell'uomo in virtù dello Spirito datore di vita? Le esperienze più forti su questo tema le vivono i confessori nei più svariati luoghi del mondo, e non essi soltanto.

In occasione del Giovedi santo, bisogna approfondire nuovamente questa verità misteriosa della nostra vocazione: questa "paternità nello spirito", che sul piano umano è simile alla maternità. Del resto, Dio creatore e Padre non fa egli stesso il paragone tra il suo amore e quello delle madri umane (cfr. Is 49,15;66,13)? Si tratta, dunque, di una caratteristica della nostra personalità sacerdotale, che ne esprime proprio la maturità apostolica e la fecondità spirituale, Se la Chiesa intera "apprende da Maria la propria maternità" (cfr. RMA 43), non bisogna che lo facciamo anche noi? Occorre, dunque, che ciascuno di noi "la prenda nella propria casa", così come la prese l'apostolo Giovanni sul Golgota, cioè che ciascuno di noi permetta a Maria di prender dimora "nella casa" del proprio Sacerdozio sacramentale, come madre e mediatrice di quel "grande mistero" (cfr. Ep 5,32), che tutti desideriamo servire con la nostra vita.


5. Maria è Madre-Vergine, e la Chiesa, volgendosi a lei come alla propria figura, vi si riconosce perché anche essa è "chiamata madre e vergine". Essa è vergine, perché "custodisce integra e pura la fede data allo Sposo". Cristo, secondo l'insegnamento contenuto nella lettera agli Efesini (cfr. Ep 5,32), è lo sposo della Chiesa. Il significato sponsale della redenzione spinge ciascuno di noi a custodire la fedeltà a questa vocazione, per mezzo della quale siamo resi partecipi della missione salvifica di Cristo, sacerdote, profeta e re.

L'analogia tra la Chiesa e Maria Vergine possiede una speciale eloquenza per noi, che colleghiamo la nostra vocazione sacerdotale al celibato, cioè al "farsi eunuchi per il Regno dei cieli". Ricordiamo il colloquio con gli apostoli, in cui Cristo spiegava loro il significato di questa scelta (cfr. Mt 19,12) e cerchiamo di comprenderne pienamente i motivi. Rinunciamo liberamente al matrimonio, a fondare una nostra famiglia, per poter meglio servire Dio e i fratelli. Si può dire che noi rinunciamo alla paternità "secondo la carne", perché maturi e si sviluppi in noi la paternità "secondo lo spirito", che, come è già stato detto, possiede al tempo stesso caratteristiche materne. La fedeltà verginale allo Sposo, che trova la sua particolare espressione in questa forma di vita, ci permette di partecipare alla vita intima della Chiesa, la quale, sull'esempio della Vergine, cerca di custodire "integra e pura la fede data allo Sposo".

A motivo di questo modello - si, del prototipo che la Chiesa trova in Maria - bisogna che la nostra scelta sacerdotale del celibato per tutta la vita sia depositata anche nel suo cuore. Bisogna ricorrere a questa Madre-Vergine, quando incontriamo delle difficoltà sulla strada prescelta. Bisogna che col suo aiuto cerchiamo una sempre più profonda comprensione di questa strada, l'affermazione sempre più completa di essa nei nostri cuori. Bisogna, infine, che si sviluppi nella nostra vita quella paternità "secondo lo spirito", che è uno dei frutti del "farsi eunuchi per il Regno di Dio".

Da Maria, che rappresenta il singolare "compimento" della "donna" biblica del Protovangelo (cfr. Gn 3,15) e dell'Apocalisse (cfr. Ap 12,1), cerchiamo anche di ottenere la capacità di un giusto rapporto con le donne e l'atteggiamento nei loro riguardi dimostrato dallo stesso Gesù di Nazaret. Ne troviamo l'espressione in tanti passi del Vangelo. E' questo un tema importante nella vita di ogni sacerdote, e l'anno mariano induce a riprenderlo e ad approfondirlo in modo speciale. Il sacerdote, in ragione della sua vocazione e del suo servizio, deve scoprire in un modo nuovo il problema della dignità e della vocazione della donna, sia nella Chiesa sia nel mondo d'oggi. Egli deve comprendere fino in fondo che cosa intendeva dire a noi tutti il Cristo parlando con la samaritana (cfr. Jn 4,1-42), difendendo l'adultera minacciata di lapidazione (cfr. Jn 8,1-11), rendendo testimonianza a colei alla quale furono perdonati i molti peccati, poiché aveva molto amato (cfr. Lc 7,36-50), conversando con Maria a Betania (cfr. Lc 10,38-42 Jn 11,1-44) e, infine, trasmettendo alle donne, prima che ad altri, "la buona novella" pasquale della sua risurrezione (cfr. Mt 28,1-10).

La missione della Chiesa, sin dai tempi apostolici, fu assunta in varia misura dagli uomini e dalle donne. Ai nostri tempi, dopo il Concilio Vaticano II, questo fatto comporta una nuova chiamata indirizzata a ciascuno di noi, se il Sacerdozio, che esercitiamo nelle varie comunità della Chiesa, vuole essere veramente ministeriale, e per ciò stesso apostolicamente efficace e fruttuoso.


6. Incontrandoci oggi, Giovedi santo, presso il luogo di nascita del nostro Sacerdozio, desideriamo rileggerne fino in fondo il significato attraverso il prisma della dottrina conciliare sulla Chiesa e la sua missione. La figura della Madre di Dio appartiene a questa dottrina nel suo insieme. Di qui anche le riflessioni della presente meditazione.

Parlando dall'alto della croce sul Golgota, Cristo disse al discepolo: "Ecco la tua madre". E il discepolo "la prese nella sua casa" come Madre.

Introduciamo anche noi Maria come Madre nella "casa"interiore del nostro Sacerdozio. Anche noi, infatti, apparteniamo ai "fedeli alla cui rigenerazione e formazione" la Madre di Dio "coopera con amore di madre" (cfr. LG 63). Si, noi abbiamo, in un certo senso, uno speciale "diritto" a questo amore in considerazione del mistero del cenacolo. Cristo diceva: "Non vi chiamo più servi..., ma vi ho chiamati amici" (Jn 15,15). Senza questa "amicizia" sarebbe difficile pensare che egli abbia affidato a noi, dopo gli apostoli, il sacramento del suo corpo e sangue, il sacramento della sua morte redentrice e della sua risurrezione, perché noi celebrassimo questo ineffabile sacramento in suo nome, anzi "in persona Christi". Senza questa speciale "amicizia" sarebbe anche difficile pensare alla sera di Pasqua, quando il Risorto si presento in mezzo agli apostoli, dicendo loro: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Jn 20,22-23).

Una tale amicizia impegna. Una tale amicizia dovrebbe infondere un santo timore, un ben maggiore senso di responsabilità, una ben maggiore disponibilità nel dare di sè tutto ciò di cui si è capaci, con l'aiuto di Dio. Nel cenacolo una tale amicizia è stata profondamente consolidata con la promessa del Paraclito: "Egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto... Egli mi renderà testimonianza, ed anche voi mi renderete testimonianza" (Jn 14,26 Jn 15,26-27).

Ci sentiamo sempre indegni dell'amicizia di Cristo. Ma è bene che abbiamo il santo timore di non rimanere ad essa fedeli.

La Madre di Cristo sa tutto questo. Ella stessa ha compreso pienamente che cosa significavano le parole pronunciate dal Figlio al momento dell'agonia sulla croce: "Donna, ecco il tuo figlio... Ecco la tua madre". Esse si riferivano a lei e al discepolo, uno di coloro ai quali Cristo disse nel cenacolo: "Voi siete miei amici" (Jn 15,14): a Giovanni e a tutti coloro che, mediante il mistero dell'ultima Cena, partecipano alla stessa "amicizia". La Madre di Dio, la quale (come insegna il Concilio) coopera con amore di madre alla rigenerazione e alla formazione di tutti coloro che diventano fratelli del suo Figlio - che sono diventati i suoi amici - farà di tutto perché essi possano non deludere questa santa amicizia. Perché possano essere all'altezza di essa.


7. Insieme a Giovanni apostolo ed evangelista, volgiamo ancora lo sguardo del nostro animo verso quella "donna vestita di sole", che appare sull'orizzonte escatologico della Chiesa e del mondo nel libro dell'Apocalisse (cfr. Ap 12,1s.).

Non è difficile riconoscere in lei la stessa figura che, all'inizio della storia dell'uomo, dopo il peccato originale, fu annunciata come Madre del Redentore (cfr. Gn 3,15). Nell'Apocalisse la vediamo, da un lato, come donna eccelsa in mezzo alla creazione visibile, e, dall'altro, come colei che continua a prendere parte alla lotta spirituale per la vittoria del bene sul male. Questo è il combattimento condotto dalla Chiesa unita alla Madre di Dio, come a suo "modello", "contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male", come leggiamo nella lettera agli Efesini (Ep 6,12). L'inizio di questa lotta spirituale risale al momento in cui l'uomo "tentato dal maligno, erigendosi contro Dio, abuso della sua libertà, bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui" (cfr. GS 13). Si può dire che l'uomo, accecato dalla prospettiva di essere elevato oltre la misura di creatura quale era (secondo le parole del tentatore: "Diventerete come Dio" (cfr. Gn 3,5), ha cessato di cercare la verità della propria esistenza e del proprio progresso in colui che è "generato prima di ogni creatura" (Col 1,15), e ha cessato di donare questa creazione e se stesso in Cristo a Dio, da cui ogni cosa prende inizio. L'uomo ha smarrito la coscienza di essere il sacerdote di tutto il mondo visibile, volgendo questo esclusivamente verso se stesso.

Le parole del Protovangelo all'inizio della Sacra Scrittura e quelle dell'Apocalisse al termine si riferiscono alla stessa lotta, nella quale è implicato l'uomo. Nella prospettiva di questa lotta spirituale, che si svolge durante la storia, il Figlio della donna è il Redentore del mondo. La redenzione si compie mediante il sacrificio, in cui Cristo - il mediatore della nuova ed eterna alleanza - "entro una volta per sempre nel santuario... col proprio sangue", schiudendo nella casa del Padre - nel seno della Santissima Trinità - lo spazio per tutti i "chiamati all'eredità eterna" (cfr. He 9,12 He 9,15). Proprio per questo, Cristo crocifisso e risorto è "il sommo sacerdote dei beni futuri" (He 9,11) e il suo sacrificio significa un nuovo orientamento della storia spirituale dell'uomo verso Dio - creatore e padre, verso il quale il primogenito di tutta la creazione conduce tutti nello Spirito Santo.

Il Sacerdozio, che ha il suo inizio nell'ultima Cena, ci permette di partecipare a questa essenziale trasformazione della storia spirituale dell'uomo.

Nell'Eucaristia, infatti, noi presentiamo il sacrificio della redenzione, lo stesso che Cristo offri sulla croce "col proprio sangue". Mediante questo sacrificio anche noi, suoi dispensatori sacramentali, insieme con tutti coloro che serviamo per mezzo della sua celebrazione, tocchiamo continuamente il momento decisivo di quel combattimento spirituale, il quale secondo il libro della Genesi e l'Apocalisse, è collegato alla "donna". In questa lotta ella è interamente unita al Redentore. E perciò anche il nostro servizio sacerdotale ci unisce a lei: a lei che è la Madre del Redentore e il "modello" della Chiesa. In tal modo tutti rimangono uniti a lei in questa lotta spirituale, che si svolge nel corso di tutta la storia dell'uomo. In questa lotta noi abbiamo una parte speciale in virtù del nostro Sacerdozio sacramentale. Noi adempiamo uno speciale servizio nell'opera della redenzione del mondo.

Il Concilio insegna che Maria, avanzando nella peregrinazione della fede mediante la sua perfetta unione col Figlio sino alla croce, va innanzi presentandosi in modo eminente e singolare a tutto il Popolo di Dio, che procede lungo la stessa via, seguendo il Cristo nello Spirito Santo. Non dovremmo unirci in modo speciale a lei noi sacerdoti, che, come pastori della Chiesa, dobbiamo anche condurre le comunità a noi affidate, sulla via che dal cenacolo della Pentecoste segue il Cristo lungo tutta la storia dell'uomo? 8. Mentre oggi, cari fratelli nel sacerdozio, ci riuniamo insieme ai Vescovi in tanti luoghi della terra, ho desiderato sviluppare in questa lettera annuale proprio tale motivo, che mi sembra, altresi, singolarmente collegato al contenuto dell'anno mariano.

Celebrando l'Eucaristia presso i tanti altari sparsi in tutto il mondo, ringraziamo l'eterno Sacerdote per il dono che ha elargito a noi nel sacramento del Sacerdozio. E che in questo ringraziamento si facciano sentire le parole che l'evangelista pone sulle labbra di Maria in occasione della sua visita alla cugina Elisabetta: "Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, e santo è il suo nome" (Lc 1,49). Ringraziamo anche Maria per l'ineffabile dono del Sacerdozio, per il quale possiamo servire nella Chiesa ogni uomo. Che la gratitudine risvegli anche il nostro zelo! Non si compie forse, mediante il nostro servizio sacerdotale, ciò di cui parlano i successivi versetti del Magnificat di Maria? Ecco, il Redentore, il Dio della croce e dell'Eucaristia, davvero "innalza gli umili" e "ricolma di beni gli affamati". Egli, che "da ricco che era, si è fatto povero per noi per farci diventare ricchi per mezzo della sua povertà" (cfr. 2Co 8,9), ha affidato all'umile Vergine di Nazaret il mirabile mistero della sua povertà che fa diventare ricchi. Ed affida lo stesso mistero anche a noi mediante il sacramento del Sacerdozio.

Ringraziamo incessantemente per questo. Ringraziamo con tutta la nostra vita. Ringraziamo con tutto ciò di cui siamo capaci. Ringraziamo insieme a Maria, Madre dei sacerdoti. "Che cosa rendero al Signore per quanto mi ha dato? Alzero il calice della salvezza e invochero il nome del Signore" (Ps 116,[115], 12-13). A tutti i miei fratelli nel sacerdozio e nell'episcopato invio, con fraterna carità, per il giorno della comune nostra festa, il cordiale saluto e la benedizione apostolica.

Dal Vaticano, il 25 Marzo, solennità dell'Annunciazione del Signore, dell'anno 1988, decimo di Pontificato.


Data: 1988-03-25 Data estesa: Venerdi 25 Marzo 1988





GPII 1988 Insegnamenti - Agli ufficiali superiori dell'Esercito italiano - Città del Vaticano (Roma)