GPII 1988 Insegnamenti - Omelia durante la Messa celebrata nel campo sportivo comunale - Civita Castellana (Roma)

Omelia durante la Messa celebrata nel campo sportivo comunale - Civita Castellana (Roma)

Titolo: "Rimaniamo in Cristo mediante la verità. Rimaniamo in Cristo mediante l'amore"

Testo:


1. "Rimanete in me e io (rimarro) in voi" (Jn 15,4).

Oggi, quinta domenica di Pasqua, la Chiesa rilegge nella sua liturgia la parabola di Cristo sulla vite e sui tralci.

Essa fu raccontata dal Signore Gesù alla vigilia della sua morte, congedandosi dagli apostoli nel cenacolo. Sullo sfondo di tale avvenimento, queste parole rivestono una particolare eloquenza. Diventano particolarmente penetranti.

Ecco, Cristo va verso la passione e la croce. Il giorno successivo gli porterà la sentenza di morte, la più infame, e l'agonia del Golgota.

Per gli apostoli che lo ascoltavano nel cenacolo, questo doveva essere il giorno della prova più grande. A questa prova doveva venire sottoposta la loro fedeltà al Maestro, il loro "perseverate" in lui.

E tuttavia Cristo dice: "Rimanete in me e io (rimarro) in voi". Proprio la prova della croce diventerà il "luogo" nel quale gli apostoli, in definitiva, si radicheranno in Cristo. Identificati nel suo mistero che dà la vita.

E non solo essi. Ma anche noi tutti, ai quali si riferisce la parabola sulla vite e sui tralci.


2. Questa parabola stende dinanzi a noi un vasto quadro dell'economia salvifica di Dio. Al centro di questo quadro è "il padre, il vignaiolo" (cfr. Jn 15,1). Gesù Cristo è "la vite" (cfr. Jn 15,5), mediante la quale tutti ricevono la vita come tralci. Si. La vita di Dio è stata data agli uomini nel Figlio di Dio, che si è fatto uomo. Solo rimanendo in lui, a somiglianza del tralcio che rimane nella vite, possiamo avere in noi questa vita.

Così dunque - questa parabola penetrante, raccontata nella prospettiva ravvicinata della morte di croce - esprime un contenuto pasquale. Essa si riferisce alla piena rivelazione di Cristo come vera vite nella risurrezione.

La risurrezione, in definitiva, rende tutti consapevoli che Cristo è il Signore. Che in lui è la pienezza di quella vita, che non subisce la morte umana.

Se questa vita si è dischiusa all'uomo, ciò è avvenuto a opera della morte di Cristo. La risurrezione del Signore nostro ha rivelato definitivamente che la morte da lui patita è diventata la sorgente della vita per tutti.

E perciò Cristo, alla vigilia della sua morte grida: "Rimanete in me e io (rimarro) in voi".


3. Su questo reciproco rimanere - di Cristo in noi, e di noi in Cristo - poggia tutta l'economia della salvezza, che ha il suo inizio nell'Eterno Padre.

"Il Padre mio è il vignaiolo".

Egli "coltiva" la vigna, dando a noi il Figlio, affinché abbiamo in lui la vita e l'abbiamo in abbondanza.

La "coltiva", cercando in ciascuno di noi i frutti della vite: quei frutti che produce il nostro rimanere nel Figlio di Dio e il suo rimanere in noi.

"Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto" (Jn 15,2).

In questo consiste il lavoro di ogni vignaiolo che coltiva le viti.

Per il Padre, visto sotto l'angolatura del Regno di Dio come colui che coltiva la vigna del cosmo, dell'uomo e della sua storia in terra, il principio della coltivazione, il principio di questa economia salvifica è la vita, che egli offre a tutti gli uomini nel Figlio suo.

"Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me" (Jn 15,4) - dice il Cristo.


4. Rimaniamo in Cristo mediante la verità.

Rimaniamo in Cristo mediante l'amore.

L'apostolo Giovanni - quasi in aggiunta a ciò che è contenuto nella parabola sulla vite e sui tralci (descritta nel suo Vangelo) - scrive nella sua prima lettera: "Non amiamo a parole nè con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore" (1Jn 3,18-19).

E' molto importante. Infatti, le parole sui tralci che saranno staccati se non portano frutto, devono provocare in noi una giusta inquetudine: io porto frutto? Non saro io staccato? Ciò che scrive san Giovanni nella sua prima lettera è molto importante, specie le parole che seguono: "Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa" (cfr. 1Jn 3,20).

E perciò l'apostolo ravviva la speranza: "Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio" (1Jn 3,21).


5. "Dio è più grande del nostro cuore".

E' più grande per il suo amore paterno. E' più grande per il fatto che ha dato "il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). E' più grande, per il suo dono ineffabiile! Più grande per la croce e la risurrezione del Figlio. Per il suo sacrificio per i "peccati del mondo". Più grande, nel mistero pasquale di Cristo.

Così dunque, ogni uomo deve aver cura di portare frutto nella sua vita.

Deve fare tutto ciò che è nelle sue possibilità.

Tutto ciò che gli ordina la sana e retta coscienza.

Ma, soprattutto, deve aver fiducia in Dio.

E chiedere. Pregare. La preghiera è la principale manifestazione della nostra speranza.

Dice Cristo nella sua parabola: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto" (Jn 15,7-8). Vuole che portiamo frutto! Lo desidera! Non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Vuole che portiamo frutto in Cristo- vita. E ne gioisce.


6. Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, si parla della conversione di Paolo di Tarso. I seguaci di Cristo hanno paura ancora di quel loro persecutore. E tuttavia, egli è ormai un altro uomo.

A lui, sulla strada di Damasco, si è rivelato il Signore Gesù. Gli è stata rivelata la vita di Dio che è in lui, la vera vite.

E Paolo si è attaccato a questa vite con tutto l'ardore della sua anima.

Sappiamo quanti frutti abbondanti ha portato! Quale grande gioia per la Chiesa è diventato! Quanto è stato glorificato l'Eterno Padre in questo tralcio abbondante della vite! E proprio lui, Paolo, ha scritto di sè: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Ga 2,20).

E così, mediante il suo ministero apostolico, il Cristo crocifisso e risorto sembra ripetere a tutte le generazioni.

"Rimanete in me e io (rimarro) in voi. / Chi rimane in me, fa molto frutto".


7. A tutti voi, cari Fratelli e Sorelle di Civita Castellana, che siete qui venuti per testimoniare il vostro attaccamento a Cristo ed alla Chiesa, come i tralci alla vite, e per manifestare i frutti della vostra fede, del vostro amore e della vostra speranza al successore di Pietro pellegrino in questa vostra antica terra, porgo il mio saluto ed un rinnovato incoraggiamento a ben continuare sulla scia luminosa delle tradizioni religiose e civili, che hanno così nobilmente segnato la storia dei vostri antenati.

Un saluto va anzitutto al vostro Vescovo, il venerato fratello Marcello Rosina, che da anni non cessa di prodigare le sue generose energie nella guida sapiente di codesta comunità diocesana. Saluto cordialmente le autorità di ogni ordine e grado, in particolare i sindaci dei comuni compresi nella circoscrizione ecclesiastica. La loro presenza esprime la volontà di collaborare con la Chiesa per conseguire quei fini di progresso civile e sociale, a cui aspirano tutti coloro che sono pensosi del vero bene. Saluto con speciale affetto tutti voi sacerdoti, religiosi e religiose, che dedicate la vita alla cura delle anime ed alla dilatazione del Regno di Dio. Conosco lo zelo, col quale voi compite il vostro ministero pastorale. Vi sono grato per la vostra fedeltà; per il vostro premuroso servizio verso tutte le persone, specialmente quelle in difficoltà; per la vostra attiva partecipazione alle gioie ed ai dolori del popolo cristiano; per la costanza e disponibilità con cui restate al vostro posto di lavoro e per la dedizione con cui vi preoccupate di far progredire i fedeli nel loro cammino di fede, di illuminarli con la parola di vita eterna e di fortificarli con la grazia dei sacramenti della salvezza.

L'immagine del "vignaiolo" che "pota il tralcio" perché "porti frutto" e che "toglie" quello sterile, richiama la figura del coltivatore, del contadino, dell'operaio e del lavoratore in genere, che spende le proprie energie per sostenere la propria famiglia col lavoro delle mani e col sudore della fronte. A questi ammirevoli e tenaci uomini dei campi e delle fabbriche, degli uffici e del commercio, desidero rivolgere il mio pensiero riconoscente: ad essi addito l'esempio di san Giuseppe, che oggi la Chiesa ricorda come artigiano e come protettore dei lavoratori. Mettetevi alla sua scuola - alla scuola cioè di un uomo giusto, come lo definisce il Vangelo - che seppe armonizzare nella sua vita le esigenze del lavoro quotidiano nella sua operosa bottega di falegname con le esigenze dello spirito, della elevazione dell'animo a Dio. Abbiate anche voi una concezione alta e nobile del lavoro, inteso come collaborazione all'opera creatrice e redentrice di Dio. Un lavoro che non sia alienante e spersonalizzante e che non porti alla disgregazione della famiglia. Guardate alla vita di Nazaret, nella quale il bambino Gesù si esercito nel lavoro umano sotto la guida vigile ed amorosa di san Giuseppe, che fungeva da padre, e di Maria Vergine, la Madre di Dio, impegnata nelle umili incombenze della vita domestica. Guardate a quella santa Famiglia, nella quale la Chiesa vede il modello di tutte le famiglie del mondo, specialmente di quelle più umili che guadagnano nel sudore e nella fatica il pane quotidiano.

La vostra famiglia sia il "santuario domestico", una fucina di virtù, un luogo dove si impara ad amare Dio e a conoscere il Cristo, un riparo contro le ricorrenti tentazioni dell'edonismo e dell'individualismo. Non temete di porre le vostre famiglie sotto la protezione di Gesù, di Maria e di Giuseppe, affinché col loro aiuto possiate custodire sempre quei valori che hanno reso stabili i vostri focolari e ne hanno assicurato l'armoniosa crescita.

Anche a voi giovani, ragazzi e ragazze, appartenenti alle associazioni cattoliche ed ai vari movimenti ecclesiali, addito la figura silenziosa, ma eloquente di san Giuseppe, che seppe conservare durante tutta la sua vita una rettitudine ed una semplicità davvero esemplari. Siate come lui generosi e buoni.

Impegnatevi seriamente! La Chiesa e la società attendono da voi una risposta concreta.

Le opere di animazione missionaria e culturale, quelle sociali ed umanitarie attendono il vostro contributo. Non deludete questa fiducia e questa attesa! Un pensiero ancora a quanti tra voi presenti sono ammalati, ed a quanti sono degenti negli ospedali o nelle case di cura. Carissimi fratelli, che soffrite nel corpo e nello spirito, sappiate che voi siete sempre vicini al mio cuore e che vi ricordo nella preghiera. Voi, che siete segnati dalle stigmate dell'infermità, unite le vostre sofferenze a quelle di Gesù crocifisso e risorto; offritele come sacrificio puro alla Trinità Santissima per il bene della Chiesa e dell'umanità.

Darete così il vostro contributo all'opera di Cristo per la salvezza delle anime e per la conversione dei peccatori. Darete gloria a Dio e sarete stimati degni della gloria futura del paradiso.


8. Con la similitudine della vite e dei tralci il Signore vuole istruirci anche sulla viva realtà della Chiesa come comunione di fede e di amore: "Rimanete nel mio amore", continua Gesù sviluppando ed applicando la parabola vuole cioè presentarci la Chiesa come corpo mistico, di cui egli è il capo e noi siamo le membra.

In questa misteriosa realtà la Vergine santa non è assente, anzi vi occupa un posto privilegiato e vi esercita una funzione unica, come Madre di Gesù e madre spirituale della Chiesa. La sua presenza nel cenacolo tra i discepoli del suo Figlio risorto fu sicuro punto di riferimento; e nelle prime comunità cristiane contribui a rafforzare lo spirito di unità e di solidarietà.

La figura di Maria si inserisce perciò spontaneamente in questa liturgia, con la quale si conclude la "Peregrinatio" della sacra immagine della Madonna "ad Rupes" che in questi mesi ha richiamato innumerevoli folle al suo passaggio nelle varie parrocchie di, questa diocesi di Civita Castellana. E stata, questa, una iniziativa veramente provvidenziale nel contesto dell'anno mariano, in cui tutti i cristiani sono stati invitati a venerare e ad invocare la Madre di Gesù, la piena di grazia, la benedetta fra tutte le donne, la elettissima fra tutte le creature. E' stato un momento forte per l'intera comunità diocesana, che ha aperto i cuori al dialogo con Dio e con i fratelli, al perdono e alla riconciliazione. E stato un momento di grazia che ha fatto vivere la realtà della parabola evangelica della vite e dei tralci, la quale si attua soprattutto nei sacramenti della Confessione e della Eucaristia: di quei sacramenti, cioè, che fanno si che noi viviamo in Cristo e Cristo viva in noi in un meraviglioso scambio di doni spirituali da farci esclamare con l'apostolo Paolo: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Ga 2,20); e ancora: "Per me vivere è Cristo" (Ph 1,21).

In questa ineffabile realtà Maria santissima risplende di luce limpidissima: viviamo in comunione con lei per giungere alla piena comunione con Cristo, il frutto benedetto del suo seno. Se finisce la "Peregrinatio", non finisce certo la tenera devozione alla Madre di Dio, a colei che ha vissuto in sommo grado la fede, la speranza e la carità: le virtù teologali che ci uniscono a Dio e ci fanno rimanere nell'amore di Cristo. Come Maria, anche noi rimaniamo nell'amore di Cristo: "Rimanete in me ed io (rimarro) in voi". Amen! [Al termine il Santo Padre ha affidato la diocesi a Maria santissima con queste parole:] Prima che questa assemblea eucaristica si sciolga, elevo a te il mio pensiero, o Madre del Verbo Incarnato, per affidare alla tua protezione questa Chiesa di Civita Castellana, che oggi ho avuto la gioia di visitare, per confermarla nei vincoli di comunione che da sempre la legano alla Sede di Pietro.

Tu conosci le antiche origini della sua fede, il vigore tante volte provato della sua speranza, le molteplici manifestazioni della sua operosa carità. Tu sai quanto profonda e sentita sia tra i suoi fedeli la devozione verso di te, la cui immagine, venerata nei templi, ha un posto d'onore in ogni casa.

A te affido, o Vergine santa, questa eletta porzione del gregge del tuo Figlio Gesù. Proteggi, o pia, il suo pastore e l'intero presbiterio, che con lui divide fatiche e gioie del sacro ministero. Sostieni religiosi e religiose nel cammino di perfezione, che hanno un giorno intrapreso aderendo all'interiore suggerimento dello Spirito e contando sul tuo materno sostegno. Suscita anche oggi nel cuore di giovani e ragazze il coraggio di osare questa scelta non comune, che, se esige sacrifici e rinunce, è anche fonte di gioia incomparabile.

Stendi il tuo manto sulle famiglie, perché non avvenga che il gelo dell'egoismo, dell'indifferenza, dell'infedeltà abbia a spegnere in esse la fiamma dell'amore, privando i figli dell'ambiente adatto per uno sviluppo sereno ed armonioso.

Con la potenza della tua intercessione, o celeste aiuto dei cristiani, ottieni che la pianta annosa di questa Chiesa, le cui radici affondano nei tempi apostolici, conosca, alle soglie del terzo millennio cristiano, una nuova rigogliosa fioritura. Il Cristo, entrato per tuo mezzo nella storia dell'umanità e fattosi nostro fratello, sia accolto, ascoltato, seguito da quanti popolano questa terra generosa. In Lui ciascuno trovi la risposta che conferma i propositi virtuosi, dà pace al cuore inquieto nei momenti difficili ed offre il sostegno per l'ultimo passo, così che ogni fedele, lasciatosi alle spalle le traversie di questa vita terrena, possa entrare, da te condotto per mano, nella gioia senza fine del cielo. Amen.


Data: 1988-05-01 Data estesa: Domenica 1 Maggio 1988




Il saluto alle autorità e alla popolazione di Nepi - Civita Castellana (Roma)

Titolo: "L'amore alla Chiesa e a Maria: due costanti della vostra storia"

Testo:


1. E' con vera letizia che mi incontro con voi oggi, in questo giorno, che la festa del lavoro e l'inizio del mese dedicato dalla pietà cristiana alla Vergine Maria, rende particolarmente gioioso. Voi, che vivete così vicini al caratteristico Santuario scavato nella roccia, non avete mancato di onorare la Vergine santa, in questo anno mariano, con degne manifestazioni di popolo. perciò, nel mio breve e rapido pellegrinaggio nella diocesi, non potevo omettere la tappa di Nepi.

Ringrazio sentitamente il signor sindaco per le nobili e significative parole di omaggio, a me rivolte anche a nome della civica amministrazione e di tutta la cittadinanza. Ringrazio di cuore voi, fratelli e sorelle, per il calore della vostra accoglienza, che ricambio con l'augurio di ogni bene nel Signore! 2. Abbiamo sentito or ora il richiamo alle vostre antiche e salde tradizioni cattoliche, risalenti alla storia della Tuscia, e abbiamo riascoltato i nomi illustri dei vostri martiri, dei vostri Vescovi, dei vostri santi, come anche dei romani Pontefici che son venuti qui periodicamente, testimoniando in tal modo la loro affezione per questa terra.

La vostra è una terra di fede e di fervore.

Lo stesso nome del Santuario mariano "ad Rupes" riecheggia l'epoca delle grotte che, trasformate in "laure", ospitarono per molti anni gruppi di monaci, dedicati esclusivamente alla contemplazione e alla preghiera.

Mi piace, allora, mettere in rilievo due caratteristiche, a voi lasciate in eredità dagli antenati, che costituiscono come le costanti della vostra storia: la fedeltà alla Chiesa e l'amore a Maria.

Il vostro popolo è stato sempre vicino alla cattedra di Pietro con sincerità di ossequio e con genuinità di fede. Ebbene, desidero aggiungere che anche il successore di Pietro rimane vicino a voi, e nell'adempimento dei suoi difficili compiti conta pure sul sostegno della vostra preghiera.


3. Ieri sera voi avete concluso il cammino della "Peregrinatio Mariae" con un atto solenne di affidamento, che vuole essere un impegno per il futuro.

Maria, Madre di Dio e degli uomini, ha disseminato i suoi Santuari in ogni angolo del mondo come testimonianza visibile della sua volontà di rimanere sempre accanto a ciascuno di noi, attenta alle nostre necessità, pronta all'aiuto.

I figli considerano il Santuario mariano come la propria casa, perché casa della madre, e si muovono, anche da luoghi distanti, per andare a farLe visita. In questo periodo, con la "Peregrinatio", è stata lei stessa a mettersi in movimento, come già fece nel corso della sua vita terrena, per restituire la visita, per sottolineare che anch'ella considera la casa di ciascuno dei figli come casa propria.

Sta qui il significato profondo del vostro affidamento mariano. Beate le famiglie che ricevono la visita della Madre di Dio. Beati coloro che fanno della propria casa una residenza stabile di Maria. Benedetta fra tutte le donne, colma della pienezza della grazia divina, ella non arriva mai a mani vuote; viene a portare Gesù: il dono più grande. Viene ad assicurare la comunione col Padre celeste, fonte di ogni bene, a formare nel cuore dei figli la docilità allo Spirito Santo, a sviluppare il senso dell'autentico amore e del reciproco rispetto, a portare forza, serenità e pace all'interno delle famiglie, a creare una società di fratelli, a dare coraggio agli ammalati, fiducia ai giovani, perdono ai peccatori.

Sta qui, anche, il senso vero dell'anno mariano, mediante il quale la Chiesa vuole riaffermare che la devozione a Maria garantisce l'autenticità della vita cristiana e favorisce la crescita nel cammino della fede.


4. Cari fratelli e sorelle, questo nostro incontro corona un periodo molto intenso della vostra vita religiosa. Esprimo l'auspicio che esso ne apra un altro altrettanto intenso, contrassegnato dalla determinazione di vivere il Vangelo, nel contesto della società contemporanea, pienamente, con rinnovato fervore, sotto la protezione materna della Madre di Gesù e madre nostra. Il vostro impegno sarà un contributo sicuro alla preparazione del nuovo millennio.

Vi aiuti in questo cammino anche la mia speciale benedizione.


Data: 1988-05-01 Data estesa: Domenica 1 Maggio 1988




L'incontro con il clero nel seminario di Nepi - Civita Castellana (Roma)

Titolo: "Fedeli alla nostra identità sacerdotale amiamo il mondo nella luce di Dio"

Testo:

Venerato fratello nell'episcopato, carissimi fratelli sacerdoti.


1. Mentre ringrazio vivamente il pastore della diocesi per le parole che ha voluto rivolgermi presentandomi il presbiterio di questa cara Chiesa locale, sorge più che mai spontaneo nel mio cuore un sentimento di gioia per questo incontro con voi, fratelli nel sacerdozio.

Dopo una giornata memorabile per questa diocesi, ci ritroviamo insieme qui nel vostro seminario "con Maria, la madre di Gesù", per attingere dal sommo sacerdote, Cristo Signore, motivi di conforto e di incoraggiamento per il nostro ministero sacerdotale.

Nell'incontro a Roma con il vostro Vescovo ho avuto modo di conoscere lo zelo pastorale che vi distingue e che vi fa desiderare il bene delle popolazioni a voi affidate. So del vostro attaccamento alla Sede apostolica e della fedeltà al Magistero della Chiesa. E di questo, insieme, rendiamo grazie a Dio.


2. "Venite in disparte", disse un giorno Gesù ai suoi (Mc 6,31). Quelle parole avevano un significato profondo. Il sacerdote è invitato ad appartarsi periodicamente dall'effimero del mondo, per ristorarsi in compagnia del Signore, e per essere poi di nuovo da lui inviato nel mondo a spendere le proprie energie nell'impegno di ricuperarlo al disegno divino della salvezza.

Per far ciò, è necessario che il sacerdote sappia apprezzare il mondo nella sua originaria bellezza, così come è stato creato e redento da Dio cogliendone nel contempo i limiti, e sapendone fuggire le seduzioni ed i pericoli.

Questo atteggiamento equilibrato e saggio è chiesto, in modo speciale al sacerdote, perché a sua volta egli deve insegnarlo ai fedeli. Nei confronti del mondo, occorre evitare tanto l'esaltazione secolaristica, quanto il disprezzo manicheo. Amarlo nella luce di Dio, ecco il segreto. E per ottenere questo, è necessaria la fedeltà alla nostra identità sacerdotale.

L'identità del sacerdote è Cristo. Riprodurre Cristo, permettere a Cristo di vivere e di operare in lui ed attraverso di lui, questo è ciò che qualifica il sacerdote! Se ogni battezzato è un "alter Christus", il sacerdote lo è ad un titolo ulteriore, in quanto ha il potere "in persona Christi capitis" di consacrare e di offrire nel sacrificio eucaristico il pane e l vino, divenuti corpo e sangue del Signore, e di rimettere i peccati nel sacramento del perdono.

L'identità sacerdotale nasce anche dalla chiamata ad una più profonda amicizia con Cristo, con la Chiesa, tra di noi. Il sacerdote dev'essere un cultore ed un maestro dell'amicizia più bella e più santa. Egli infatti, in modo speciale, deve sentirsi ed essere della cerchia di coloro che Gesù ha voluto chiamare "amici" (Jn 15,15).


3. Intimi di Cristo come dovete essere, partecipi dei suoi segreti, non potete non amare intensamente la sua sposa dilettissima, la Chiesa e, in modo particolare, la vostra diocesi. E' Cristo che ci fa amare la Chiesa; ricordate che tanto più amerete Cristo quanto più amerete la Chiesa: è amando la Chiesa che voi date prova di amare Cristo. Sia il vostro amore per lei santo. Sia generoso. Sia tale da riempire tutta la vostra vita. Come dovete essere tutti di Cristo, così dovete essere tutti della Chiesa. I vostri interessi, le vostre gioie, le vostre sofferenze siano quelli di Cristo e della Chiesa. Ii sacerdote è un uomo che non si appartiene.

Amate la vostra diocesi. La recente unificazione di alcune antiche ma piccole diocesi attorno a quella di Civita Castellana costituisce certamente una data storica per le popolazioni ed il clero di questi luoghi, che deve fornire l'approfondimento del significato teologico della realtà diocesana. E' una vita nuova, a livello diocesano, che occorre intraprendere, con viva speranza e con quella sicurezza che viene dalla coscienza di operare "cum Ecclesia".


4. Nella prospettiva del servizio alla vostra Chiesa particolare, desidero richiamare la vostra attenzione sul problema grave ed urgente delle vocazioni.

Voi ricordate quanto dice, al riguardo, il recente Concilio: "Tutti i sacerdoti dimostrino il loro zelo apostolico massimamente nel favorire le vocazioni e, con la loro vita umile, operosa, vissuta con interiore gioia, come pure con l'esempio della loro scambievole carità sacerdotale e della loro fraterna collaborazione, attirino verso il sacerdozio l'animo degli adolescenti" (OT 2).

Nessun sacerdote si ritenga dispensato o inabilitato nei confronti di questo grave dovere, che, al contempo, dev'essere sentito anche come un bisogno profondo dell'animo ed un'intima gioia. Anche noi, come lo stesso divino Maestro, dobbiamo cercare con fiducia e perseveranza i nostri futuri collaboratori, coloro ai quali consegnare - tradere - il deposito che ci è stato affidato. E' un diritto.

E' un dovere. E' un onore. Anche se ci pare di gettare la rete invano, non dobbiamo disperare, ma confidare nel Signore: E' lui che ci dice di gettare la rete. Questo nostro incontro, proprio in seminario, ci faccia riflettere seriamente su queste cose e ci induca a ravvivare la speranza.


5. Dove sta la felicità del sacerdote? Ce lo dice Gesù stesso, allorché, dopo aver lavato i piedi agli apostoli, così spiega il suo comportamento: "Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (Jn 13,15). Ed aggiunge: "Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica" (Jn 13,17). La nostra felicità sta nel servire i fratelli come ha fatto Cristo.

Potremmo ugualmente portare l'esempio della Madonna. A lei vi affido, alla Madonna "ad Rupes", come pure ai vostri celesti patroni.

Il candore di grazia di Maria sia luce della vostra vita; la sua obbedienza a Nazaret incoraggi il vostro assenso alla continua presenza di Dio che "bussa" nella vostra vita; il suo "Magnificat" vi ispiri a rendere tutte le vostre giornate motivo di lode e di ringraziamento a colui che dal nulla umano ricava grandi cose.

Ad uno ad uno, fratelli carissimi, vi abbraccio e vi benedico in Cristo Gesù nostro Signore.


Data: 1988-05-01 Data estesa: Domenica 1 Maggio 1988




Nella solennità di Maria Regina della Polonia - Città del Vaticano (Roma

Titolo: Maria, Regina della Polonia

Testo:

Il giorno 3 maggio la Chiesa in Polonia ricorda, nella Liturgia delle Ore, i voti del re Giovanni Casimiro pronunciati il 2 aprile 1656 nella Cattedrale di Leopoli. Ecco alcuni brani del

Testo:

"O grande Madre del Dio-uomo, Vergine santissima, io, Giovanni Casimiro, re per la volontà del tuo Figlio, Re dei re, mio Signore, e per la tua misericordia, oggi, prostrandomi ai tuoi piedi, ti dichiaro mia patrona e Regina delle mie terre. Affido me stesso e il mio regno di Polonia, i principati di Lituania, Russia, Prussia, Masovia, Zmudz, Infianty, Smolen, Czernichow, l'esercito delle due nazioni e tutti i miei popoli, alla tua particolare protezione ed assistenza. Chiedo umilmente il tuo aiuto e la tua misericordia per il mio regno colpito da tante sconfitte e disgrazie, contro i nemici della Chiesa romana".

Sappiamo che queste parole furono pronunciate nel contesto della cosiddetta "invasione svedese", sappiamo che furono pronunciate alcuni mesi dopo la difesa di Jasna Gora. Affidando alla Vergine Maria, quale Regina di Polonia, la sua nazione, patria nostra e dei nostri fratelli, repubblica di molti popoli, Giovanni Casimiro assume diversi impegni di carattere religioso, di carattere sociale e morale. Particolare significato hanno le seguenti parole dei voti di Giovanni Casimiro.

"E poiché vedo con estrema chiarezza e con un dolore profondo che in questi sette anni i lamenti dei contadini oppressi hanno indotto tuo Figlio, giudice imparziale, a colpire il mio regno con le piaghe dell'aria, della guerra e con altre disgrazie, prometto e giuro che non appena raggiunta la pace utilizzero tutti i mezzi possibili, con aiuto di tutti gli Stati, per liberare il popolo del mio regno da ingiustizie ed oppressioni".

E' un documento di massima importanza nella storia della Chiesa e della nostra nazione. I due filoni, storia della Chiesa e della nazione, che dal principio, dal Battesimo della Polonia, dal Convegno di Gniezno (anno 1000) si sono intrecciati in diversi modi, qui ancora una volta sono apparsi profondamente uniti. La ragione di tale unione è profondamente radicata sia nella natura della vita sociale, sia nella missione della Chiesa. Infatti la Chiesa deve, nell'ambito della sua missione, predicare la legge dell'ordine, predicare l'ordine in vari settori e in vari campi della vita umana; ed anche la legge morale sul piano sociale, sul piano della vita sociale.

I voti di Giovanni Casimiro esprimono tale consapevolezza dal punto di vista dell'uomo che a quell'epoca deteneva il potere politico nello Stato.

Esprimono la consapevolezza che l'ordine politico-sociale, possiamo dire, politico-sociale-economico non può essere introdotto senza il massimo rispetto per i principi morali, principi della moralità sociale. Difatti i voti di Giovanni Casimiro costituiscono anche un importante anello nella storia della dottrina sociale della Chiesa, nella nostra storia nazionale, e non solo nella nostra, ma altrettanto nella storia universale della dottrina sociale della Chiesa.

Oggi 3 maggio, la Chiesa onora la Regina di Polonia, Genitrice di Dio, ricordando i voti di Giovanni Casimiro; ma nello stesso tempo il nostro popolo ricorda un altro importante evento della sua storia, un evento significativo e nel contempo drammatico poiché la costituzione del 3 maggio fu, come sappiamo, un grande slancio verso il rinnovamento sociale e politico della repubblica polacca.

Purtroppo questo grande slancio avvenne nel momento di agonia della società e fu distrutto principalmente dagli avversari ma anche dai nostri compatrioti accecati.

L'odierna solennità della Regina di Polonia non è solo un ricordo di quei gesti significativi, di quei fatti della storia della Chiesa e della nazione, della nazione e della Chiesa che proprio nella nazione ha sempre svolto e continua a svolgere il suo servizio, la sua missione. L'odierna solennità è degna di essere riletta anno dopo anno nel contesto degli avvenimenti attuali. Il nostro incontro davanti a questo altare significa che vogliamo rileggere proprio in questa chiave l'eloquenza liturgica, l'eloquenza storica di questa giornata, e su questo punto concentrare le nostre preghiere; perché il problema della sovranità ossia dell'indipendenza della nostra patria, affonda sempre le sue radici più profonde in un altro problema, problema della sovranità della società e del popolo nella Polonia di oggi. Ne ho parlato più volte durante i miei viaggi, i miei pellegrinaggi in patria, compreso l'ultimo, in termini molto chiari: si può parlare della sovranità, dell'indipendenza di una nazione solo quando nell'ambito di questa nazione vive un popolo sovrano e indipendente che può, di norma e di fatto, decidere della sua vita comune.

Ritroviamo qui dunque una continuità, continuità storica. Possono cambiare i tempi, le condizioni storiche, le situazioni, ma questi principi conservano sempre la loro identità: sono semplicemente leggi di Dio, leggi iscritte nel cuore umano, nella natura dell'uomo. Dal rispetto di queste leggi divine dipende il bene dell'uomo, soprattutto il bene eterno, la salvezza della sua anima. Giovanni Casimiro è pienamente consapevole, come leggiamo, come ci dicono i suoi voti, di questa prospettiva ultima della sua responsabilità di sovrano. Ma dal rispetto di queste leggi divine dipende anche il bene dell'uomo nella sua dimensione temporale che abbraccia i vari piani della sua esistenza personale, comunitaria, sociale, sociale-economica, statale e politica, tutti collegati tra di loro.

Per questo noi, che oggi, nella solennità di Maria, Regina di Polonia, ci siamo riuniti qui, nella Basilica di san Pietro per pregare insieme e partecipare all'Eucaristia, non cessiamo di supplicarla, così come lo fece un tempo il re Giovanni Casimiro, e dopo di lui molte generazioni dei nostri avi, talvolta in tempi estremamente difficili, nei momenti di crisi. Non cessiamo di supplicarla, affinché questo ordine morale, ordine della giustizia sociale si sviluppi e maturi continuamente nella nostra società che è umilmente fiera di avere Maria per sua regina. "Dagli inizi della Polonia tu, o Maria, sei la regina...".


Data: 1988-05-03 Data estesa: Martedi 3 Maggio 1988




All'assemblea dei Vescovi italiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Testimoniare con chiarezza e integrità la parole e le esigenze etiche che ne derivano

Testo:


GPII 1988 Insegnamenti - Omelia durante la Messa celebrata nel campo sportivo comunale - Civita Castellana (Roma)