GPII 1988 Insegnamenti - Congedo dal Paraguay - Aeroporto di Asuncion (Paraguay)

Congedo dal Paraguay - Aeroporto di Asuncion (Paraguay)

Titolo: "Ho costatato la speranza che vi anima per costruire nell'unità un paese riconciliato e fraterno"

Testo:

Signor Presidente della Repubblica, autorità, fratelli dell'episcopato, amati fratelli e sorelle, amici tutti del Paraguay.


1. Il mio pellegrinaggio apostolico per le strade del Paraguay al servizio di Gesù e del suo Vangelo è giunto al termine.

In queste intense giornate, durante le quali ho avuto la gioia di stare in mezzo a voi, ho potuto conoscere qualcosa del vostro nobile Paese, sono entrato in contatto con la sua gente, con la sua storia, fatta si di grandi sacrifici ma anche di significativi successi dal punto di vista umano e cristiano. Ho potuto constatare con compiacimento la speranza che vi anima per costruire "nell'unità un Paraguay riconciliato e fraterno" come avete insistentemente pregato nell'orazione composta proprio in occasione della visita del Papa.

Prima di lasciare la vostra terra benedetta, torno ad invitarvi con insistenza ad impegnarvi come cittadini e come cristiani in questo affascinante ed arduo compito.

Avete voluto che il motto della mia visita fosse "Messaggero d'amore".

Pertanto, in virtù di questo amore che tutto può, torno a dirvi ancora una volta, che la chiave dell'unità, della riconciliazione, della fraternità è nel Vangelo e che, soltanto edificando una nazione cristiana, essendo fedeli alle vostre radici più vere, potrete costruire un nuovo Paraguay.


2. Nella vostra preghiera al Signore avete ripetuto con fiducia tanto in famiglia che in comunità: "Che il santo Padre ci confermi nella fede, nella speranza e nell'amore".

Si. Con la mia parola, con la mia presenza, con la mia preghiera ho voluto confermarvi nella fede, illustrando gli insegnamenti presenti nel Vangelo, predicando la dottrina cristiana, con tutte le sue conseguenze per la vita di ognuno di tutta la società. La fermezza nella fede e la sana dottrina sono, infatti, due condizioni indispensabili e fondamentali per ogni opera evangelizzatrice. Per questo ho voluto presentarvi la insostituibile garanzia che viene unicamente da Cristo e orientarvi con la dottrina sicura che porta alla autentica liberazione: la liberazione dal peccato e dalle ingiustizie che ne derivano.

Ho voluto anche confermarvi nella speranza. Il Paraguay ha bisogno non soltanto della fiducia in se stesso ma anche della speranza cristiana per risolvere i problemi del presente e affrontare con fermezza le decisioni per il futuro. La speranza è il motore alimentato sempre dalla fede e dall'amore che muove le coscienze, i gruppi e la società intera. La speranza vera vi viene dal Vangelo; non cercatela pertanto nelle ideologie che dividono e che sono estranee alla specificità e alle migliori tradizioni del vostro popolo.

Infine ho voluto confermarvi nell'amore affidandomi al motto che avete scelto per la mia visita. Il Papa, pellegrino di evangelizzazione, non può essere altro che seminatore di amore, pace, unità, riconciliazione, fraternità... State celebrando con gioia l'anno eucaristico e sapete molto bene che la fonte dell'amore è l'Eucaristia.


3. Torna alla mia mente il fervoroso incontro che abbiamo celebrato intorno all'altare nel Campo di Nu Guazu, durante il quale, a nome della Chiesa universale, ho avuto la profonda soddisfazione di canonizzare i nuovi santi Roque Gonzàlez de Santa Cruz, Alonso Rodriguez e Juan del Castillo. Sarà senza dubbio questo un fatto che resterà impresso profondamente nella storia del Paraguay e che proietterà la sua luce sul futuro della vostra patria.

I nomi di queste tre anime elette, sacerdoti esemplari della Compagnia di Gesù, sono legate al ricordo della grande opera evangelizzatrice che furono le missioni.

Per quanto desidero anche ricordare nel mio saluto i nativi del Paraguay con i quali ho avuto un incontro indimenticabile di fede e di amore nella Missione di santa Teresita. Mantenete con fedeltà e coraggio le tradizioni cristiane che i missionari impressero nella vostra secolare traiettoria umana e nelle vostre culture autoctone.

Questa sarà un'"opera comune", di tutto il popolo unito, ma soprattutto delle nuove generazioni. Giovani! Soprattutto a voi spetta costruire il futuro. Ho terminato la mia permanenza tra di voi e voglio ripetere che vado via pieno di fiducia in questa gioventù paraguayana che vuole seguire il Maestro impegnandosi nel servizio ai fratelli.


4. Infine desidero esprimere il mio sincero apprezzamento a tutte le persone e alle istituzioni che con dedizione e spirito di sacrificio hanno collaborato all'ordinato procedere dei diversi incontri dell'amato popolo paraguayano con il successore dell'apostolo Pietro.

In primo luogo, al signor Presidente della Repubblica, al quale esprimo anche il mio apprezzamento per le amabili parole che mi ha rivolto. Allo stesso modo ringrazio tutte le autorità della nazione, per le molte attenzioni che hanno avuto nei miei confronti. Che il Signore ricompensi gli sforzi che essi fanno per assicurare al loro paese un avvenire di pace, di giustizia e di benessere.

Un grazie particolare ai Vescovi del Paraguay con i quali mi sento sempre fraternamente unito e le cui diocesi avrei voluto visitare una per una.

Chiedo fiduciosamente al Pastore dei pastori che vi mantenga uniti, fedeli al vostro ministero pastorale e completamente dediti ai vostri sacerdoti, religiosi, religiose, operatori della pastorale e a tutti i fedeli in ognuna delle vostre Chiese locali.


5. Il mio ultimo sguardo in questa capitale si rivolge alla Vergine dei Miracoli di Caacupé, nel cui Santuario ho meditato insieme a tutto il Popolo di Dio sui misteri di Maria contenuti nel Vangelo: la sua Immacolata Concezione, l'incarnazione, la sua gloriosa Assunzione.

A lei affido tutti i paraguayani perché conservino la fede cristiana che è parte dell'anima nazionale, tesoro della sua cultura, alimento e forza per costruire un futuro migliore nella libertà, nella giustizia e nella pace.

Carissimi figli del Paraguay! Il Papa se ne va ma vi porta nel suo cuore.

Per sempre! Sia lodato Gesù Cristo.


Data: 1988-05-18 Data estesa: Mercoledi 18 Maggio 1988




Al seguito e ai giornalisti durante il volo di ritorno a Roma

Titolo: La portata pastorale e apostolica della casa "itinerante" del Papa

Testo:

Certamente, tornando a Roma ci avviciniamo alla nostra casa. In un certo senso, durante questi dieci o undici giorni la nostra casa si trovava in diversi posti, in diversi luoghi del continente latinoamericano: in Uruguay, in Bolivia, a Lima, in Paraguay. Adesso questa nostra casa è diventata l'aereo dell'Alitalia; ma torniamo a Roma come a casa nostra nel senso permanente, e teologicamente ancora più giustificato.

Io voglio ringraziare tutti quelli che assieme a me tornano a questa casa, cominciando dal Cardinale Segretario di Stato. Debbo confessare che ammiro vostra eminenza per la sua disponibilità e la sua resistenza, durante questo viaggio come anche negli altri viaggi.

Vorrei ringraziare, nello stesso tempo, gli altri membri della casa pontificia, incominciando da monsignor sostituto, dal prefetto della casa, e poi tutti i componenti del seguito, sia ecclesiastici che laici. Non posso non ringraziare quelli che appartengono alla vigilanza, alla guardia svizzera; a tutti voglio dire un grazie sentito e cordiale.

Ma quando si parla di quelli che tornano alla casa del Vaticano, non possiamo, tutti noi insieme, non ringraziare gli organizzatori, cominciando dal principale organizzatore, che è, in un certo senso, l'ideatore e il realizzatore delle idee che porta nel mondo, per poi concretizzarle con la presenza, con la visita del Papa: penso a padre Roberto Tucci e ai suoi collaboratori più diretti.

Naturalmente ci sono ancora altre persone che appartengono alla parte organizzativa; in un certo senso tutti apparteniamo alla parte organizzativa, questa grande organizzazione della "Casa itinerante" del Papa. Ma ci sono alcuni che strutturano, nel senso più diretto e con grande responsabilità e con grandissimo impegno, gli spostamenti che permettono a questa casa di essere una casa "itinerante". "Itinerante" nel senso pastorale e apostolico.

Poi, naturalmente, vorrei ringraziare le persone che ci accompagnano in questo volo: penso innanzitutto ai signori ambasciatori, a tutti e quattro, ma soprattutto ai tre presenti, quelli della Bolivia, del Paraguay, ed anche del Perù. Siamo molto grati per la loro presenza durante il viaggio nei rispettivi Paesi, e siamo anche grati che ritornano con noi alla nostra casa che è la Santa Sede a Roma.

C'è un proverbio, almeno in polacco, che dice: "Un cavallo, quando deve tornare a casa, cammina sempre più svelto". E questo si è verificato anche con il nostro volo.

Perché la giornata di ieri è stata più breve. Sono mancate, alla fine, sei ore della giornata 18 maggio. Già siamo nel giorno 19. Allora, il nostro ritorno a casa si vede che corrisponde ai principi anche della psicologia, non solamente umana.

Sembra anche che l'aereo sia simile ad un cavallo che cerca di tornare a casa al più presto...

Così io voglio ringraziare coloro che ci portano casa; anche loro naturalmente sono tra gli organizzatori di questo viaggio, dal punto di vista soprattutto tecnico, ma, allo stesso tempo, molto esecutivo: voglio ringraziare l'Alitalia, per la sua benevolenza verso il Papa. Non direi troppo se dico che i suoi membri sono i benefattori del Papa, almeno del Papa "itinerante". Ringrazio tutte le autorità della Compagnia Alitalia e tutti quelli che hanno diversi compiti, soprattutto i nostri carissimi piloti e i singoli membri dell'equipaggio.

Ho cercato di salutare ciascuno, e di augurare a ciascuno ogni bene, per lui e la sua famiglia, per lui e per lei, perché il personale è femminile e maschile.

Non posso non ricordare il dono che appartiene ancora a ieri, al 18 maggio, soprattutto il dono dell'Alitalia, il grande dono della torta. Non ho potuto fare altro che compiere il primo taglio, e poi spero che questo grande dono non sia andato perduto, ma abbia trovato una sua propria destinazione fra i presenti. Certamente, era un dono significativo, a motivo del mio compleanno; e così voglio ringraziare ancora una volta quelli che mi hanno offerto, ieri, le espressioni della loro simpatia ed i loro auguri. Lo stesso vorrei dire alla comunità dei nostri giornalisti che viaggiano con noi. Vorrei ringraziare per questo dono significativo, per questa penna che mi hanno offerto, ma nello stesso tempo voglio ringraziare per le loro penne, con cui cercano di descrivere i contenuti del viaggio, le problematiche del viaggio nelle comunicazioni sociali.

Grazie ancora una volta ai signori e signore giornalisti. Lo stesso vorrei ripetere per i signori e signore fotografi; anche loro mi hanno offerto un dono significativo per il mio compleanno: un apparecchio fotografico. Io non sono in grado di utilizzarlo bene, ma apprezzo molto questo dono così significativo in queste circostanze.

Debbo terminare questo mio "discorso" fuori carta e anche fuori programma; d'altra parte è un "discorso", che non poteva mancare in questo momento in cui ci avviciniamo a casa.

Ancora una volta ringrazio tutti, cordialmente, e con tutti voi ringrazio anche nostro Signore che ci ha portato verso questi Paesi e queste Chiese, lontani geograficamente, ma vicini a noi spiritualmente.

E' anche significativo che il viaggio sia stato realizzato in questo periodo dell'Ascensione, quando la Chiesa, come per la prima volta dopo l'Ascensione di Gesù, così ogni anno in questo periodo, si prepara alla discesa dello Spirito Santo, alla Pentecoste.

Auguro a tutti i doni dello Spirito Santo e tutto quello che viene da lui, tutti quei doni perfetti, come dice la Sacra Scrittura, secondo i bisogni e secondo anche le vocazioni e gli impegni diversi di ciascuno di noi.

Sia lodato Gesù Cristo.


Data: 1988-05-19 Data estesa: Giovedi 19 Maggio 1988




Al Movimento Apostolico Ciechi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Con generosità cristiana al servizio dei non-vedenti

Testo:

Carissimi fratelli!


1. Ben volentieri ho accolto il vostro desiderio per questo incontro, in occasione del convegno col quale celebrate il 60° anniversario della fondazione del vostro movimento e il 20° dell'inizio della sua attività missionaria, in risposta ai suggerimenti che avete trovato nell'enciclica "Populorum Progressio" del mio predecessore Paolo VI.

Il successo della vostra iniziativa missionaria è testimoniato dalla presenza del movimento in ben 500 centri missionari appartenenti ad una cinquantina di nazioni dell'Asia, Africa ed America Latina, ed un segno tangibile di ciò è dato dalla presenza, qui tra noi, di delegati provenienti da quei Paesi.

L'impegno che vi siete assunto in tal senso è molto encomiabile, perché risponde con generosità cristiana ed aderenza alle attuali esortazioni del Magistero ecclesiastico a quel grave ed urgente problema sociale ed umano, che è dato dall'esistenza, oggi nel mondo, di ben più di quaranta milioni di non-vedenti, spesso in condizioni di miseria e di penosa emarginazione.

Il vostro lavoro rappresenta un importante aspetto di quella "opzione preferenziale per i poveri", alla quale ho più volte richiamato, e che ho ricordato ancora di recente nella enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" (cfr. SRS 42).


2. Nella consapevolezza dei valori dell'"interdipendenza" e della "solidarietà" internazionali, sui quali pure mi sono fermato nella mia enciclica, i vostri intenti e le vostre realizzazioni non si limitano ad ua semplice assistenza materiale, che talvolta è la più urgente, ma mirano ad un'elevazione integrale della personalità del non-vedente, al fine di liberarla da ogni condizione di inferiorità o di emarginazione, e di condurla a sentirsi, a pieno titolo, parte attiva del gruppo o della società, nella quale vive.

La vostra attività, pertanto, è particolarmente orientata a favorire e ad organizzare l'edificazione o il potenziamento delle strutture scolastico-educative, offrendo così un esempio di dedizione alla vera promozione umana, e costituendo uno stimolo ed un incoraggiamento per le altre realtà ecclesiali o civili che operano nel medesimo settore.

Per questi motivi colgo quest'occasione per esprimervi le mie felicitazioni per il vostro apostolato, il quale, manifestandosi in varie opere attraverso la testimonianza di un amore sincero e disinteressato per i sofferenti, ha tutti i titoli della più convincente credibilità.

Perché in fondo, il senso ultimo del vostro agire e del vostro offrirvi sta proprio qui: non solo nell'elevare fisicamente e culturalmente la persona umana, ma come discepoli di Cristo, nel dare una testimonianza di fede al fine di aiutare gli uomini ad entrare nel Regno di Dio. Voi promuovete la dignità umana per condurre gli uomini alla condizione di figli di Dio.


3. Quello che io mi auguro, è che il vostro movimento, con l'aiuto del Signore e l'intercessione della Madonna, che invochiamo in modo speciale in quest'anno a lei dedicato, possa continuare su questa linea, arricchirsi di nuove forze e nuovi collaboratori, così da poter estendere ancor più la sua azione benefica e la sua testimonianza cristiana.

Possa la vostra voce - alla quale unisco la mia - far sentire con ancor maggiore autorevolezza ed efficacia all'opinione pubblica e soprattutto alla politica mondiale l'urgenza del problema di tanti milioni di nostri fratelli privi di un bene così prezioso, e che pure possono e devono - se opportunamente aiutati - mettere a servizio del bene comune le ben più preziose qualità morali e spirituali, che hanno ricevuto da Dio. Possano - soprattutto molti giovani, vedenti o non-vedenti - sentirsi interpellati dalla vostra testimonianza a cooperare con generosità ed entusiasmo col vostro Movimento, nella gioiosa certezza di trovare così una singolare opportunità di dare pienamente senso alla loro vita.

Auguro inoltre, in particolare, un buon successo ai lavori del presente convegno: nel clima dell'amicizia fraterna si consolidi la vostra collaborazione reciproca, si rafforzi la vostra comunione ecclesiale, aumenti la vostra generosità ispirata all'esempio del Redentore.

Con tali sentimenti ed auspici, vi benedico tutti, dirigenti e soci, insieme con le vostre famiglie, i vostri cari e tutti coloro ai quali portate il segno della vostra carità cristiana.


Data: 1988-05-21 Data estesa: Sabato 21 Maggio 1988




Inaugurata la casa di accoglienza in Vaticano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Una luce d'amore e di carità nel nome della Vergine

Testo:

Signori Cardinali e venerati fratelli nell'episcopato, illustri autorità, fratelli e sorelle carissime!


1. Voi potete comprendere la gioia e l'emozione che provo in questo momento, nel vedere finalmente divenuto realtà un progetto che da tempo mi stava a cuore: una "Casa di accoglienza per i più poveri", qui, entro le mura di quella città ov'è il centro stesso della Chiesa.

Benedicevo la prima pietra di questo edificio il 17 giugno dello scorso anno; ed eccolo ormai aperto e pronto. Esso darà accoglienza, nei limiti del possibile, a quanti, in questa Roma, non hanno un posto ove rifugiarsi la notte, e soprattutto sono privi di un minimo di calore familiare e umano che li circondi e sostenga nella dura lotta per la vita.

Ringrazio il Signore e la Vergine santa per averci così visibilmente aiutato, da veder compiuta in così breve tempo un' opera tanto necessaria e significativa. Essa rientra, sia pure parzialmente, nel mio desiderio di dare una qualche risposta, una qualche soluzione - come accennavo il 3 gennaio di quest'anno nell'incontro a tavola con gli assistiti del Circolo San Pietro - ad un problema tanto grave come quello dei senza tetto a Roma. Dicevo allora: "Incontrando queste persone senza lavoro e molte volte senza casa, ho fatto una breve indagine e sono uscite le cose più fondamentali dell'esistenza umana".

("Allocutio ad pauperes in Civitate Vaticana admissos", die 3 ian. 1988: , XI, 1 [1988] 16).


2. Ora, qualcosa è stato fatto. La casa c'è.

Affido perciò al Signore, fin da questo suo primo sorgere, l'iniziativa voluta nel suo nome e per suo amore: poiché l'amore a Cristo non può non coinvolgerci a fondo, tutti nell'amore ai fratelli. Il Vangelo sta tutto e solo qui. Non parole, ma fatti.

"Cristo stesso, nei poveri - ha detto il Concilio Vaticano II -, reclama quasi ad alta voce la carità dei suoi discepoli" (GS 88). Questo ci deve spingere a seguire ed imitare l'esempio di lui, che, "da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua poverà" (cfr. 2Co 8,9). Ricordiamo appunto che tutta la vita di Gesù si è svolta nel segno di questa povertà - dalla stalla di Betlemme alla nudità della croce; affermavo nell'occasione già ricordata: "Possiamo dire che ci troviamo nella stessa linea o piuttosto, lui, Gesù, si è trovato nella stessa linea di tutti quelli che sono senza casa e senza altri mezzi per vivere". ("Allocutio ad pauperes in Civitate Vaticana admissos", die 3 ian. 1988: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XI, 1 [1988] 17).


3. E, in quest'anno mariano, affido la casa di accoglienza ancora a lei, alla Vergine Maria, che ha condiviso in tutto la povertà del Figlio di Dio in lei fattosi uomo, e la precarietà della Chiesa nascente. E' molto bello che questa casa si chiami "Dono di Maria": non solo a perenne ricordo dell'anno che stiamo celebrando; ma perché, in questi ambienti, gli ospiti troveranno soprattutto il cuore di lei, la cui vita è stata tutto un dono di amore, una luce di carità dolce e discreta.


4. Ringrazio doverosamente, ora, quanti hanno collaborato affinché questa iniziativa diventasse realtà.

I benefattori, anzitutto, che con il loro aiuto sono venuti incontro alla carità del Papa.

Ringrazio, poi, i responsabili dell' amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e le capaci maestranze, che hanno reso possibile, nell'arco di nemmeno un anno, una costruzione così solida e ben fatta.

Una parola di particolare gratitudine rivolgo infine a Madre Teresa di Calcutta che, fin dall'inizio, ha seguito con interesse e dedizione l'intera fase di realizzazione del progetto; alle sue figlie sono affidate le mansioni di guida e di assistenza, connesse con l'attività dell'opera: la loro ben nota sollecitudine per i più poveri tra i poveri assicura le più liete speranze per l'inizio di questa nuova attività.

Rinnovando il mio cordiale saluto a tutti gli intervenuti, mi è gradito impartire una particolare benedizione.


Data: 1988-05-21 Data estesa: Sabato 21 Maggio 1988




Lettera apostolica ai religiosi in occasione dell'anno mariano - Città del Vaticano (Roma)

"La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3).


Cari fratelli e sorelle in Cristo!

I Introduzione


1. L'enciclica "Redemptoris Mater" spiega il significato dell'anno mariano, che stiamo vivendo insieme con tutta la Chiesa, dalla scorsa Pentecoste alla prossima solennità dell'Assunzione. In tale periodo noi cerchiamo di seguire l'insegnamento del Concilio Vaticano II, il quale nella costituzione dogmatica sulla Chiesa ha indicato la Madre di Dio come colei che "precede" tutto il Popolo di Dio nel pellegrinaggio della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo (LG 58 LG 63). Grazie a questo fatto, tutta la Chiesa vede in Maria la sua perfetta "figura". Occorre che quanto il Concilio, seguendo la Tradizione dei Padri, afferma della Chiesa, quale comunità universale del Popolo di Dio, sia meditato - in rapporto alla propria vocazione - da coloro che insieme formano questa stessa comunità.

Certamente molti di voi, cari fratelli e sorelle, cercano in quest'anno di rinnovare la consapevolezza del legame esistente tra la Madre di Dio e la propria specifica vocazione nella Chiesa. La presente lettera, che a voi indirizzo nell'anno mariano, vuole offrire un aiuto per le vostre meditazioni intorno a questo tema, e ciò faccio riferendomi anche alle considerazioni già preparate dalla Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari (cfr. "I religiosi sulle orme di Maria", 1987). Nel redigerla, io desidero al tempo stesso esprimere l'amore che la Chiesa nutre per voi, per la vostra vocazione, per la missione che svolgete in mezzo al Popolo di Dio, in tanti luoghi e in tanti modi. Tutto questo è un grande dono per la Chiesa. E poiché la Madre di Dio, per la parte che ha nel mistero di Cristo, è pure costantemente presente nella vita della Chiesa, la vostra vocazione e il vostro servizio sono come un riflesso di tale sua presenza.

Occorre, dunque, domandarsi quale relazione esista tra questa "figura" e la vocazione delle persone consacrate, che nei vari ordini, congregazioni e istituti si sforzano di vivere la loro donazione a Cristo.

II Meditiamo insieme con Maria il mistero della nostra vocazione


Durante la visitazione Elisabetta, la parente di Maria, la chiamo beata a motivo della sua fede: "E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45).

Davvero tali parole, rivolte a Maria nell'annunciazione, erano state insolite. La lettura attenta del testo di Luca mostra che in esse è contenuta la verità su Dio, già del tutto in linea col Vangelo e con la nuova alleanza. La Vergine di Nazaret è stata introdotta nel mistero imperscrutabile, che è il Dio vivente, il Dio Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. In tale contesto è stata rivelata alla Vergine la vocazione ad essere madre del Messia, vocazione alla quale ella rispose col suo fiat: "Avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

Meditando sull'evento dell'annunciazione, noi pensiamo anche alla nostra vocazione. Questa segna sempre come una svolta nel cammino della nostra relazione col Dio vivente. Davanti a ciascuno e a ciascuna di voi si è aperta una nuova prospettiva, e sono stati dati un nuovo senso e una nuova dimensione alla vostra esistenza cristiana.

Questo si attua in vista del futuro, della vita che vivrà poi la persona concreta, della sua scelta e matura decisione. Il momento della vocazione riguarda sempre direttamente una persona, ma - così come a Nazaret durante l'annunciazione - esso significa, nello stesso tempo, un certo "disvelarsi" del mistero di Dio. La vocazione - prima di diventare un fatto interiore nella persona, prima di rivestire la forma di una scelta e di una decisione personale - rimanda ad un'altra scelta che ha preceduto, da parte di Dio, la scelta e la decisione umana.

Cristo parlo di questo agli apostoli durante il discorso d'addio: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Jn 15,16).

Questa scelta ci sollecita - così come è stato per Maria nell'annunciazione - a ritrovare nel profondo dell'eterno mistero di Dio che è amore. Ecco, quando Cristo ci sceglie, quando ci dice "Seguimi", allora - come proclama la lettera agli Efesini - "Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo", ci sceglie in lui: "In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo ..., predestinandoci a essere suoi figli adottivi ... E questo a lode e gloria della grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto". Infine, "ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito" (Ep 1,4-6 Ep 1,9).

Queste parole hanno un'estensione universale, parlano dell'eterna scelta di tutti e di ciascuno in Cristo, della vocazione alla santità che è propria dei figli adottivi di Dio. Nello stesso tempo, esse ci permettono di approfondire il mistero di ogni vocazione, in particolare di quella che è propria delle persone consacrate. In questo modo ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, può prender coscienza di come sia profonda e soprannaturale la realtà che si sperimenta, quando si segue Cristo che invita dicendo: "Seguimi". Allora la verità delle parole di Paolo: "La vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3) diventa per noi vicina e limpida. La nostra vocazione è nascosta nel mistero eterno di Dio prima di diventare in noi un fatto interiore, un nostro umano "si", una nostra scelta e decisione.

Insieme con la Vergine, nell'evento dell'annunciazione a Nazaret, meditiamo il mistero della vocazione, che è diventata la nostra "parte" in Cristo e nella Chiesa.

III Meditiamo insieme con Maria il mistero della nostra consacrazione


L'Apostolo scrive: "Voi infatti siete morti, e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3). Passiamo dall'annunciazione al mistero pasquale. L'espressione paolina "siete morti" racchiude lo stesso contenuto che l'Apostolo esprime nella lettera ai Romani, quando scrive sul significato del sacramento che ci inserisce nella vita di Cristo: "Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?" (Rm 6,3). così la citata espressione della lettera ai Colossesi "siete morti ..." significa: "Per mezzo del Battesimo siamo ... stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in novità di vita" (Rm 6,4).

Dio ci ha scelto eternamente nel suo diletto Figlio, redentore del mondo. La nostra vocazione alla grazia dell'adozione a figli di Dio viene a corrispondere all'eterna verità di questo "esser nascosti con Cristo in Dio".

Questa vocazione per tutti i cristiani si realizza nel tempo per mezzo del Battesimo, che ci seppellisce nella morte di Cristo. In questo sacramento ha anche inizio il nostro "esser nascosti con Cristo in Dio", ed un tal fatto si inscrive nella storia di una concreta persona battezzata. Partecipando sacramentalmente alla morte redentrice di Cristo, veniamo uniti a lui anche nella sua risurrezione (cfr. Rm 6,5); condividiamo quell'assoluta "novità di vita" (cfr. Rm 6,4), iniziata da Cristo - proprio mediante la risurrezione - nella storia umana. Questa "novità di vita" significa in primo luogo la liberazione dall'eredità del peccato, dalla schiavitù del peccato (cfr. Rm 6,1-11).

Al tempo stesso - e soprattutto - essa significa "la consacrazione nella verità" (cfr. Jn 17,17), nella quale si svela pienamente la prospettiva dell'unione con Dio, della vita in Dio. E' così che la nostra vita umana "è nascosta con Cristo in Dio" in modo sacramentale ed insieme reale. Al sacramento corrisponde la viva realtà della grazia santificante, che permea la nostra vita umana mediante la partecipazione alla vita trinitaria di Dio.

Le parole di Paolo, in particolare quelle della lettera ai Romani, indicano che tutta questa "novità di vita", che viene partecipata in primo luogo mediante il Battesimo, racchiude in sè l'inizio di tutte le vocazioni che, nel corso della vita di un cristiano o di una cristiana, solleciteranno una sua scelta e una sua consapevole decisione nella Chiesa. Infatti, in ogni vocazione di una persona battezzata si riflette un aspetto di quella "consacrazione nella verità", che Cristo ha compiuto con la sua morte e risurrezione ed ha racchiuso nel suo mistero pasquale: "Per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità" (Jn 17,19).

La vocazione di una persona a consacrare tutta la sua vita si pone in uno speciale rapporto con la consacrazione di Cristo stesso per gli uomini. Essa nasce dalla radice sacramentale del Battesimo, che racchiude in sè la prima e fondamentale consacrazione della persona a Dio. La consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici - cioè mediante i voti o le promesse - è lo sviluppo organico di quell'inizio che è il Battesimo. Nella consacrazione è racchiusa la scelta matura che si fa di Dio stesso, la risposta sponsale all'amore di Cristo. Quando diamo a lui noi stessi in modo totale e indiviso, desideriamo "seguirlo", prendendo la decisione di osservare la castità, la povertà e l'obbedienza nello spirito dei consigli evangelici. Desideriamo essere simili a Cristo il più possibile, conformando la nostra propria vita secondo lo spirito delle beatitudini del discorso della montagna. Ma soprattutto desideriamo avere la carità, che compenetra tutti gli elementi della vita consacrata e li unisce come un vero "vincolo di perfezione" (cfr. Col 3,14 cfr. LG 44 PC 1 PC 6; CIC 573,1 CIC 607,1 CIC 710).

Tutto questo è racchiuso nel significato di quel "morire" paolino, che inizia sacramentalmente nel Battesimo. Un morire con Cristo, che ci fa partecipare ai frutti della sua risurrezione, a somiglianza del chicco di grano che, caduto in terra, "muore" per una vita nuova (cfr. Jn 12,24). La consacrazione di una persona con i vincoli sacri decide di una tale "novità di vita", che può realizzarsi soltanto in base al "nascondersi" di tutto ciò che costituisce la nostra vita umana in Cristo: la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio. (cfr. Col 3,3).

Se la consacrazione di una persona può essere paragonata, dal punto di vista umano, al "perdere la vita", tuttavia essa è insieme la via più diretta per "ritrovarla". Cristo infatti dice: "Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà" (Mt 10,39). Queste parole sono certamente espressione della radicalità del Vangelo. Nello stesso tempo, è difficile non scorgere quanto esse si riferiscano all'uomo, quanto sia singolare la loro dimensione antropologica. Che cosa è più fondamentale per un essere umano - uomo o donna - se non proprio questo: il ritrovamento di sè, il ritrovamento di se stesso in Cristo, poiché Cristo è "tutta la pienezza" (cfr. Col 2,9)? Questi pensieri relativi al tema della consacrazione di una persona, mediante la professione dei consigli evangelici, ci fanno rimanere costantemente nell'ambito del mistero pasquale. Insieme con Maria cerchiamo di essere partecipi di questa morte, che ha portato frutti di "vita nuova" nella risurrezione: tale morte sulla croce fu infamante, e fu la morte del suo proprio Figlio! Ma appunto li, sotto la croce, "dove, non senza un disegno divino, se ne stette" (LG 58), Maria non comprese forse, in un modo nuovo, tutto ciò che aveva già ascoltato il giorno dell'annunciazione? Appunto li, proprio mediante la "spada che trafisse la sua anima" (cfr. Lc 2,35), mediante l'incomparabile ""kenosis" della fede" (RMA 18), Maria non intravede forse fino in fondo la piena verità sulla sua maternità? Appunto li, non si identifico forse in modo definitivo con tale verità "ritrovando" l'anima che, nell'esperienza del Golgota, doveva "perdere" nel modo più doloroso per Cristo e per il Vangelo? E proprio in questo pieno "ritrovamento" della verità sulla maternità divina, che divenne la "parte" di Maria sin dal momento dell'annunciazione, s'inscrivono le parole di Cristo pronunciate dall'alto della croce, le quali indicano l'apostolo Giovanni, indicano un uomo: "Ecco il tuo figlio!" (Jn 19,26).

Cari fratelli e sorelle! Ritorniamo costantemente, con la nostra vocazione, con la nostra consacrazione, nel profondo del mistero pasquale.

Presentiamoci presso la croce di Cristo accanto a sua Madre. Impariamo da lei la nostra vocazione. Cristo stesso non ha forse detto: "Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre" (Mt 12,50)?


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