GPII 1988 Insegnamenti - Messaggio pontificio all'assemblea generale del MIASMI - Città del Vaticano (Roma)

Messaggio pontificio all'assemblea generale del MIASMI - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Più che mai si chiede oggi ai cristiani di essere pieni di slancio missionario

Testo:

Gentile signora.

Il Santo Padre ha appreso con compiacimento che dal 2 al 10 luglio prossimo si terrà a Baltimore (USA) la VII Assemblea Generale del MIASMI, a cui prenderanno parte delegati provenienti dai cinque continenti.

Sua Santità desidera far giungere a tutti i convenuti il suo saluto ed esprime la speranza che l'incontro valga a ridare al movimento nuovo slancio missionario per annunciare la salvezza di Cristo negli ambienti sociali in cui ciascuno è chiamato ad operare. Tempo propizio, questo, sulla scia ed alla luce della grande consultazione e mobilitazione suscitate dal Sinodo dei Vescovi sulla "vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, a venti anni dal Concilio Vaticano II", i cui frutti il sommo Pontefice presenterà presto a tutta la Chiesa in un apposito documento.

"Au coeur de l'insécurité contemporaine, quelle Bonne Nouvelle annonçons-nous?" è il tema che avete scelto per le vostre riflessioni. Il nostro tempo è segnato da profondi turbamenti che causano spesso nei cittadini un senso di profonda insicurezza. L'uomo di oggi è sottoposto ad un processo di continue e complesse trasformazioni, non riesce a controllare ed orientare strumenti e meccanismi che incidono sulla sua vita, avverte più o meno chiaramente le minacce che pesano sulla sua dignità e libertà, assiste al dramma della fame di popoli interi e allo scempio di violenze e di guerre senza fine. Come superare questa situazione di confusione e di smarrimento? Ciò non sarà certo possibile finché non si darà senso e unità alla propria vita personale, finché si subirà passivamente l'influsso di stimoli di ogni sorta e ci si mostrerà incapaci di un maturo giudizio critico nei confronti della cultura odierna.

L'insicurezza della persona umana nasce da un cuore diviso e alienato, nel quale sta la sorgente del mistero di iniquità, da cui prendono inizio i "muri" che separano e contrappongono gli uomini per motivi razziali o sociali, per ragioni ideologiche o di potere.

Quando il cuore non viene sanato, si cerca la sicurezza negli idoli del denaro-consumo, del potere, del piacere effimero, narcotizzando esigenze radicali quali il senso religioso dell'uomo, la sua ansia e nostalgia di Dio, la consapevolezza della propria originaria dignità, la spinta verso la fratellanza e la solidarietà, verso la comunione. E' significativo che una certa censura dei mezzi dell'industria, della cultura e della comunicazione provveda a rimuovere dalla coscienza dell'uomo gli interrogativi più importanti ed inquietanti circa la sua origine, il senso della sofferenza, l'apparente tragica sconfitta della morte, le motivazioni fondamentali di una vita vissuta in pienezza di umanità, nella vera felicità...

Sicurezza falsa, parziale, insoddisfacente, può essere anche quella di una pratica religiosa limitata ai momenti rituali, come unico complemento "spirituale" di una esistenza vissuta all'insegna della logica mondana.

Più che mai si chiede oggi ai cristiani, a tutta la Chiesa, ai suoi movimenti, associazioni, comunità, di essere pieni di quello slancio missionario, che va incontro agli uomini - là dove essi vivono, lavorano, passano il tempo libero, si confrontano e si scontrano... - per testimoniare ed annunziare che, in Cristo redentore, è possibile vivere in una vita nuova e giusta, è possibile ricostruire l'umanità dell'uomo e coltivare la sete di bellezza, bontà, verità che è nel suo cuore. E' urgente che egli si riappropri della sua libertà e dignità, per essere protagonista della costruzione di un mondo a misura d'uomo e di tutti gli uomini. Ma, per far ciò, è necessario che l'impegno nei suoi confronti parta dall'annuncio di Cristo, forza e sapienza di Dio, morto e risorto per la nostra salvezza. In lui c'è la sola risposta certa, piena, ultima alle domande che toccano il bene dell'uomo.

Per questo motivo il Santo Padre esorta ciascuno a continuare con rinnovato entusiasmo, nel cuore della convivenza umana, il suo compito di testimonianza annunciando "il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio" (Pauli IV "Evangeli Nuntiandi", 22).

In tale prospettiva sua Santità augura a quanti partecipano alla Assemblea di "crescere nelle grazie e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo" (2P 3,18), affinché egli diventi sempre più "pietra angolare" della loro vita, compagnia sicura nel cammino del movimento, forza di salvezza per quanti sono raggiunti dalla sua azione. La presenza di Gesù risplenda nel movimento, perché esso sia segno visibile e fecondo di comunione con l'intero corpo di Cristo che è la Chiesa. E' questa la forza che ogni fedele ha nella sua debolezza, la certezza che sostiene la sua ricerca. Occorre non essere mai insicuri nel proclamare questa buona novella. Per grazia di Dio e nella comunione della Chiesa, ciascuno confessi la verità rivelata da Cristo e da lui affidata agli apostoli ed ai loro successori perché la custodiscano e la comunichino a tutti gli uomini. Non "conquista" dell'uomo, quindi, ma dono misericordioso; non sicurezza mondana, ma certezza ricevuta. Di questo dono e di questa certezza ogni cristiano deve sentirsi debitore verso i fratelli.

Solo il mistero insondabile della comunione, che si costruisce intorno al proprio Vescovo unito al successore di Pietro, fa si che la fede non si indebolisca e non si disperda in un mare di interpretazioni e di opinioni soggettive, ma si affermi e cresca sicura, a vantaggio di chi la possiede e di quanti sono raggiunti dalla sua testimonianza. Nell'anno dedicato a Maria santissima il sommo Pontefice affida a lei il movimento e prega perché ogni suo membro cresca nella conoscenza di Cristo, nell'ascolto della sua parola, nella frazione del pane, nella fedeltà alla testimonianza degli apostoli e dei loro successori, nell'annuncio delle meraviglie che lo Spirito opera nel mondo di oggi e che è compito del cristiano riconoscere e proclamare.

Con questi sentimenti il Vicario di Cristo imparte a lei, signora presidente, ed a tutti i convenuti la sua benedizione, pegno del suo affetto ed auspicio di copiosi favori celesti.


Data: 1988-06-30 Data estesa: Giovedi 30 Giugno 1988




Lettera apostolica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Ecclesia Dei"

Testo:


1. Con grande afflizione la Chiesa ha preso atto dell'illegittima ordinazione episcopale conferita lo scorso 30 giugno dall'Arcivescovo Marcel Lefebvre, che ha vanificato tutti gli sforzi da anni compiuti per assicurare la piena comunione con la Chiesa alla Fraternità Sacerdotale di san Pio X, fondata dallo stesso monsignor Lefebvre. A nulla infatti sono serviti tali sforzi, specialmente intensi negli ultimi mesi, nei quali la Sede apostolica ha usato comprensione fino al limite del possibile.


2. Questa afflizione è particolarmente sentita dal successore di Pietro, al quale spetta per primo la custodia dell'unità della Chiesa anche se fosse piccolo il numero delle persone direttamente coinvolte in questi eventi, poiché ogni persona è amata da Dio per se stessa ed è stata riscattata dal sangue di Cristo, versato sulla croce per la salvezza di tutti.

Le particolari circostanze, oggettive e soggettive, nelle quali l'atto dell'Arcivescovo Lefebvre è stato compiuto, offrono a tutti l'occasione per una profonda riflessione e per un rinnovato impegno di fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa.


3. In se stesso, tale atto è stato una disobbedienza al romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa, quale è l'ordinazione dei vescovi mediante la quale si attua sacramentalmente la successione apostolica. perciò, tale disobbedienza - che porta con sè un rifiuto pratico del Primato romano - costituisce un atto scismatico. Compiendo tale atto, nonostante il formale monitum inviato loro dal Cardinale prefetto della congregazione per i Vescovi lo scorso 17 giugno, monsignor Lefebvre ed i sacerdoti Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta, sono incorsi nella grave pena della scomunica prevista dalla disciplina ecclesiastica.


4. La radice di questo atto scismatico è individuabile in una incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione. Incompleta, perché non tiene sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione, "che - come ha insegnato chiaramente il Concilio Vaticano II - trae origine dagli apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l'assistenza dello Spirito Santo: infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali la meditano in cuor loro, sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità".

Ma è soprattutto contraddittoria una nozione di Tradizione che si oppone al Magistero universale della Chiesa, di cui è dententore il Vescovo di Roma e il corpo dei Vescovi. Non si può rimanere fedeli alla Tradizione rompendo il legame ecclesiale con colui al quale Cristo stesso, nella persona dell'apostolo Pietro, ha affidato il ministero dell'unità nella sua Chiesa.


5. Dinanzi alla situazione verificatasi, sento il dovere di rendere consapevoli tutti i fedeli cattolici di alcuni aspetti che questa triste circostanza pone in particolare evidenza.

a) L'esito a cui è approdato il movimento promosso da monsignor Lefebvre può e deve essere motivo, per tutti i fedeli cattolici, di una sincera riflessione circa la propria fedeltà alla Tradizione della Chiesa, autenticamente interpretata dal Magistero ecclesiastico, ordinario e straordinario, specialmente nei Concili ecumenici da Nicea al Vaticano II. Da questa riflessione, tutti devono trarre un rinnovato ed efficace convincimento della necessità di migliorare ancora tale fedeltà, rifiutando interpretazioni erronee ed applicazioni arbitrarie ed abusive, in materia dottrinale, liturgica e disciplinare.

Soprattutto ai Vescovi spetta, per propria missione pastorale, il grave dovere di esercitare una chiaroveggente vigilanza piena di carità e di fortezza, affinché tale fedeltà sia salvaguardata ovunque.

Tuttavia, occorre che tutti i pastori e gli altri fedeli prendano nuova consapevolezza, non solo della legittimità ma anche della ricchezza che rappresenta per la Chiesa la diversità di carismi, tradizioni di spiritualità e di apostolato, che costituisce anche la bellezza dell'unità nella varietà: di quella "sintonia" che, sotto l'impulso dello Spirito santo, la Chiesa terrestre eleva verso il cielo.

b) Vorrei, inoltre, richiamare l'attenzione dei teologi e degli altri esperti nelle scienze ecclesiastiche, affinché anch'essi si sentano interpellati dalle presenti circostanze. Infatti, l'ampiezza e la profondità degli insegnamenti del Concilio Vaticano II richiedono un rinnovato impegno di approfondimento nel quale si metta in luce la continuità del Concilio con la Tradizione, specialmente nei punti di dottrina che, forse per la loro novità, non sono stati ancora ben compresi da alcuni settori della Chiesa.

c) Nelle presenti circostanze, desidero soprattutto rivolgere un appello allo stesso tempo solenne e commosso, paterno e fraterno, a tutti coloro che finora sono stati in diversi modi legati al movimento dell'Arcivescovo Lefebvre, affinché compiano il grave dovere di rimanere uniti al Vicario di Cristo nell'unità della Chiesa cattolica e di non continuare a sostenere in alcun modo quel movimento. Nessuno deve ignorare che l'adesione formale allo scisma costituisce una grave offesa a Dio e comporta la scomunica stabilita dal diritto della Chiesa.

A tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della Tradizione latina, desidero manifestare anche la mia volontà - alla quale chiedo che si associno quelle dei Vescovi e di tutti coloro che svolgono nella Chiesa il ministero pastorale - di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni.


6. Tenuto conto dell'importanza e complessità dei problemi accennati in questo documento, in virtù della mia autorità apostolica, stabilisco quanto segue: a) Viene istituita una Commissione, con il compito di collaborare con i Vescovi, con i Dicasteri della Curia romana e con gli ambienti interessati, allo scopo di facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti, seminaristi, comunità o singoli religiosi e religiose finora in vario modo legati alla Fraternità fondata da monsignor Lefebvre, che desiderino rimanere uniti al successore di Pietro nella Chiesa cattolica, conservando le loro tradizioni spirituali e liturgiche, alla luce del Protocollo firmato lo scorso 5 maggio dal Cardinale Ratzinger e da monsignor Lefebvre; b) questa Commissione è composta da un Cardinale Presidente e da altri membri della Curia romana, nel numero che si riterrà opportuno secondo le circostanze; c) inoltre, dovrà essere ovunque rispettato l'animo di tutti coloro che si sentono legati alla Tradizione liturgica latina, mediante un'ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede apostolica, per l'uso del Messale Romano secondo l'edizione tipica del 1962.


7. Mentre si avvicina ormai la fine di questo anno specialmente dedicato alla santissima Vergine, desidero esortare tutti a unirsi alla preghiera incessante che il Vicario di Cristo, per l'intercessione della Madre della Chiesa, rivolge al Padre con le stesse parole del Figlio: "Ut omnes unum sint"! Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 2 del mese di luglio dell'anno 1988, decimo di Pontificato.


Data: 1988-07-02 Data estesa: Sabato 2 Luglio 1988




Ai Vescovi dello Zimbabwe in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'ecclesiologia di comunione, rivitalizzata dal Concilio fornisce la struttura teologica e pastorale alla vita della Chiesa

Testo:

Cari fratelli Vescovi.


1. E' per me una grande gioia ricevervi oggi, nel corso della vostra visita "ad limina". La vostra presenza qui nella città del martirio degli apostoli Pietro e Paolo è una espressione tangibile della fede delle vostre Chiese locali. Essa manifesta il senso di comunione ecclesiale che unisce voi e i vostri preti, i religiosi e i laici nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, che il Signore stesso ricolma dei suoi doni divini (cfr. Ep 1,22-23) così che essa possa crescere e raggiungere tutta la pienezza di Dio (Ep 3,19).

Con voi abbraccio tutta la Chiesa dello Zimbabwe: la casa di Dio di Harare, Bulawayo, Chinhoyi, Gweru, Mutare e Wankie. "Rendo sempre grazie a Dio ricordandomi di te nelle mie preghiere, perché sento parlare della tua carità per gli altri e della fede che hai nel Signore Gesù e verso tutti i santi" (Fm 1,4-5). Ci incontreremo tra qualche settimana nella mia prossima visita nel vostro Paese. Attendo con grande desiderio questa occasione che Cristo, Buon Pastore, mi dà di avere una esperienza di prima mano della vitalità e risolutezza delle vostre Chiese locali. Sarà anche un'occasione per riaffermare il desiderio della Chiesa cattolica di incrementare la comprensione e collaborazione con i fratelli e le sorelle cristiani non cattolici e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Nello stesso tempo darà concreta espressione dell'interesse e del sostegno della Chiesa alla crescita e allo sviluppo della Zimbabwe, in questi primi momenti della sua indipendenza e consolidamento nazionale. Sono lieto che la preparazione spirituale per la mia visita abbia coinvolto le vostre comunità locali in molte iniziative tese al rinnovamento della vita e del servizio cristiano.

La mia visita sarà anzitutto la proclamazione e celebrazione della nostra fede in Gesù Cristo, nostro Signore e redentore. Ad Harare e Bulawayo, nel corso di incontri con i fedeli e con gruppi particolari, affrontero alcuni temi di rilievo per il vostro ministero. Oggi desidero esortarvi e incoraggiarvi, in quanto uomini di Dio, a riporre la vostra fiducia nella potenza del Signore Gesù, Pastore supremo dei vostri greggi. Davvero, secondo le parole della prima lettera di Pietro, vi esorto a "gettare in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi" (1P 5,7).


2. La Chiesa, dopo una sporadica presenza nei secoli precedenti, si è stabilita permanentemente nello Zimbabwe dal 1879, quando i missionari gesuiti, sotto la guida di padre Henry Delpechin, arrivarono. Fin dall'inizio essa ha cercato di manifestare e compiere il mistero dell'amore eterno di Dio e il suo disegno di riunire l'intera famiglia umana in un "popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo) (cfr. LG 4). Questo essa compie introducendo i battezzati nella comunione: comunione con Dio, nella partecipazione alla vita dello Spirito che Cristo immette nei nostri cuori, e comunione nel corpo ecclesiale, il sacramento dell'unità e della riconciliazione degli uomini con Dio e gli uni con gli altri.

L'ecclesiologia di comunione, rivitalizzata dal Concilio, fornisce la struttura teologica e pastorale alla vita della Chiesa e alla sua azione ad ogni livello. E' necessaria molta seria riflessione, soprattutto da parte dei pastori della Chiesa, per assicurare che la realtà della comunione penetri sempre più profondamente nell'esperienza viva del Popolo di Dio. Nel suo senso più profondo, questa comunione è partecipazione all'elezione, la misericordia, la carità di Dio, manifestata nella storia della salvezza attraverso Gesù Cristo, il redentore (cfr. Synodi Extr. Episcoporum 1985 "Relatio finalis", II, A, 2). Il suo più alto significato ed espressione si ha quando la comunità cristiana è raccolta attorno al Vescovo nel sacrificio eucaristico, partecipando al mistero della fede consapevolmente e con speranza: "La comunione col corpo eucaristico di Cristo significa e produce, dunque, edifica l'intima comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa" (cfr. Synodi Extr. Episcoporum 1985 "Relatio finalis", II, C, 1; cfr. 1Co 10,16).


3. La comunione nella Chiesa significa partecipare della vita divina attraverso la grazia e darne testimonianza nella vita personale e comunitaria. Ogni aspetto della vita della Chiesa deve essere compreso in rapporto con la profonda e misteriosa comunione che anima e sostiene il corpo ecclesiale. Lo "spirito collegiale" che è l'anima della collaborazione tra i Vescovi a livello regionale, nazionale ed internazionale, e l'anima della loro unità con il successore di Pietro, promana direttamente dalla volontà di ogni Vescovo di rispondere alle esigenze della comunione. L'unità del presbiterio, la reciproca stima, sostegno e collaborazione tra sacerdoti, religiosi e laici, dà testimonianza della vitalità di questa comunione nella Chiesa locale. Vivere in comunione significa dare priorità, nei nostri pensieri e nelle nostre azioni, a quell'amore che Cristo ci ha dato come comandamento (cfr. Jn 13,34) e che costituisce la testimonianza più autentica della nostra fedeltà al Signore: "Ogni volta che avrete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccolo, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Cari fratelli: vi incoraggio vivamente nei vostri sforzi continui per promuovere un attivo senso di partecipazione e corresponsabilità a tutti i livelli della Chiesa nello Zimbabwe. Un tale spirito richiede una maggiore maturità personale e collettiva da parte di tutte le persone impegnate. Senza indebolire la corretta applicazione del principio di autorità, richiede un lavoro di gruppo che comporti una collaborazione gioiosa e piena di dedizione nel rispondere alle urgenti sfide dell'evangelizzazione. Mai deve essere usata per giustificare l'individualismo o la mancanza di disciplina o di coordinamento nelle attività pastorali.


4. Nel vostro ministero quotidiano, voi vi accorgete che molto di più si potrebbe fare se soltanto ci fossero molte più persone disponibili alla missione della Chiesa di evangelizzare ed edificare il Regno di Cristo. La promozione di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa è responsabilità di tutta la comunità cristiana, e soprattutto delle famiglie. Dopo gli anni difficili della lotta per l'indipendenza, il numero di coloro che seguono la chiamata di Cristo è continuamente in aumento. Mi conforta molto la notizia che il numero dei seminaristi maggiori è quasi raddoppiato negli ultimi tre anni. Dovete provvedere nel miglior modo possibile alla appropriata formazione di questi giovani generosi e dei candidati che entrano nei seminari minori. Comunque, anche pressati da urgenti necessità, quel che conta è la qualità e l'impegno dei vostri sacerdoti.

Pertanto, come ricorda il Concilio, la legge suprema in tale questione è la solida formazione dei seminaristi (cfr. OT 7).

Allo stesso modo, i vostri sforzi generosi per suscitare vocazioni alla vita religiosa e consacrata sono un modo eccellente per servire la Chiesa nel vostro Paese. I religiosi, uomini e donne, non solo danno un aiuto valido e assolutamente necessario all'attività missionaria, ma attraverso la loro interiore consacrazione a Dio nella Chiesa essi mostrano con chiarezza e manifestano la più profonda natura della vocazione cristiana (cfr. AGD 18). Essi danno uno specifico ed essenziale contributo alla crescita e al conolidamento delle vostre Chiese locali, contributo che va sempre riconosciuto e rispettato. Che Dio onnipotente continui a far nascere numerose vocazioni tra di voi come pegno del suo amore e della sua protezione.


5. Voi siete vivamente consapevoli delle vostre responsabilità in un altro campo dell'attività pastorale: l'evangelizzazione e la cura pastorale dei giovani, in un Paese in cui la maggior parte della popolazione è sotto i vent'anni di età. Ho grande desiderio di incontrare rappresentanti dei giovani dello Zimbabwe nel corso della mia visita. Desidero ricordare loro che Gesù Cristo offre loro la libertà che li farà liberi davvero (cfr. Jn 8,36) e la vita che è più del cibo e dei vestiti (cfr. Mt 6,25-33). I giovani sono il futuro della Chiesa e della società civile. Purtroppo molti dei vostri giovani sono oppressi dai gravi problemi morali e sociali legati alla diffusa disoccupazione. E molti si sono allontanati dalla fede a causa di esperienze di guerra e di indottrinamento politico e ideologico, o a causa dell'attrattiva sempre crescente di un approccio materialistico della vita che è totalmente estraneo ad una autentica cultura africana. Dall'altra parte, mi consola la notizia che il convegno nazionale cattolico dei giovani è impegnato per rispondere a queste provocazioni. Posso solo incoraggiare la comunità cattolica nello Zimbabwe a continuare ed ampliare il suo impegno e a cercare una migliore comprensione e collaborazione con i funzionari governativi e i rappresentanti di altre religioni che si occupano di questi problemi.


6. Parlare dei giovani è anche pensare al ruolo della Chiesa nello sviluppo attuale e futuro del vostro Paese. Per sua propria natura, la comunità di fede e di amore si apre al mondo nella missione e nel servizio. Voi avete manifestato con chiarezza che nello Zimbabwe indipendente la comunità cattolica è totalmente impegnata a costruire la comunità nazionale nella verità e nella giustizia, e avete una particolare attenzione per i più poveri e più deboli. Le vostre prese di posizione su aspetti della vita nazionale testimoniano della riflessione alla luce della parola di Dio che guida la vostra azione e il vostro contributo alla riconciliazione nazionale e al miglioramento delle condizioni di vita. Voi siete felici del progresso compiuto dall'indipendenza e della fine delle ostilità; siete anche convinti che solo in un clima di comprensione e cooperazione tra lo Stato e le diverse realtà religiose si può trovare una giusta soluzione alle diverse povertà morali e materiali che ostacolano il corso del progresso e della pace.

La Chiesa è stata molto vicina al popolo nelle sue aspirazioni alla libertà, alla dignità e al progresso. Essa desidera servire il reale benessere di tutti, attraverso la sua missione religiosa, l'attività educativa, sanitaria e sociale. Per essere efficace, deve godere della libertà di svolgere questi servizi conforme alla sua specifica vocazione e fedele alla sua dottrina.


7. Un'ultima parola sull'evangelizzazione e l'inculturazione. Recentemente, il Segretariato per i Non-cristiani ha richiamato l'attenzione delle Conferenze Episcopali dell'Africa e del Madagascar sull'importanza di adottare un appropriato approccio pastorale alla religione tradizionale africana, cui aderisce ancora la maggior parte della popolazione dello Zimbabwe. Per la vostra esperienza pastorale, voi siete consapevoli della delicatezza di questo aspetto dell'apostolato della Chiesa. Evangelizzazione e inculturazione sono strettamente collegati. E' necessaria una grande riflessione teologica per determinare quali valori e fattori di una cultura particolare siano compatibili con la vita nel nuovo regno, il regno instaurato da Cristo e guidato dallo Spirito di verità al pieno compimento, quando Cristo, nostra vita, si manifesterà nella gloria (cfr. Col 3,4). A livello pratico, l'adattamento dei riti di sepoltura e di matrimonio, in uso nelle vostre Chiese locali, per esempio, mostra come la fede cristiana possa essere davvero universale e insieme vicina alla cultura e al modo di vita di ogni gruppo.

Sarebbe difficile trovare parole migliori per descrivere le relazioni dinamiche tra il messaggio evangelico di salvezza in Gesù Cristo e le diverse espressioni della cultura umana, di quelle della conciliare costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: "Il Vangelo di Cristo... continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale feconda dall'interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità spirituali e le doti di ciascun popolo" (GS 58). Una vera inculturazione della fede non può ridursi ad adottare gli elementi esterni di una certa cultura. La vera inculturazione è dall'interno: consiste, in ultima analisi, in un rinnovamento della vita sotto l'influsso della grazia.

L'evangelizzazione della vostra cultura è uno dei grandi compiti che vi attendono nel vostro ministero. Prego che l'anno mariano, per l'intercessione della Madre del Redentore, porti a voi Vescovi e a tutti i sacerdoti religiosi e laici della Chiesa dello Zimbabwe la conferma nella fede e nella carità, e una nuova effusione dei doni dello Spirito Santo, da cui proviene tutto il lavoro di evangelizzazione (cfr. Lc 24,49). Nell'attesa di incontrarci nella vostra patria, vi prego di portare il mio saluto a tutti i fratelli e sorelle della casa di Dio nello Spirito (cfr. Ep 2,19-22). La pace di Dio sia con voi!


Data: 1988-07-02 Data estesa: Sabato 2 Luglio 1988




Per la proclamazione di due nuovi santi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Servire Cristo negli emarginati e nei dimenticati: ecco il "paradigma" evangelico della santità

Testo:


1. "Lo spirito del Signore è su di me" (Is 61,1).

Torniamo a queste parole di Isaia, che parlano della missione del Messia.

Proprio a queste parole Gesù fece riferimento a Nazaret il giorno in cui, compiuti i trent'anni, iniziava il suo servizio messianico in Israele. "Il Padre l'ha mandato" a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio (questo giorno sarà il giorno del sacrificio per i peccati di tutto il mondo) - per consolare tutti gli afflitti (Is 61,1-2).

Tutto questo Gesù ha cominciato a "fare" e ad "insegnare" (cfr. Ac 1,1), annunciando la buona novella, e preparando al tempo stesso i discepoli al giorno del suo sacrificio pasquale.

E' venuto pieno di potenza da Dio. Dio l'ha unto con il suo Spirito. La profezia messianica di Isaia si è compiuta agli occhi di quella generazione, alla quale fu dato di vedere le opere e di ascoltare le parole di Gesù di Nazaret.


2. E perciò la gente correva a lui. Correvano non soltanto i figli e le figlie di Israele, ma anche gli stranieri, come per esempio i greci, di cui parla il Vangelo di oggi.

"Vogliamo vedere Gesù" (Jn 12,21).

Essi sollecitano la mediazione degli apostoli per poter vedere Gesù. E allora Gesù dà agli apostoli una risposta, a primo aspetto, strana. Dice: "E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo" (Jn 12,33). Si potrebbe pensare che quella "glorificazione" si riferisca alla fama umana, di cui Cristo cominciava a essere circondato tra i suoi anche tra i forestieri. Tuttavia Gesù, continuando a parlare fa capire che intende riferirsi non a una fama umana, ma alla morte. Gesù parla della sua morte, utilizzando la parabola del grano: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Jn 12,24).

L'esaltazione di Cristo messia di Dio, avviene proprio in questa morte che porta frutto: nella morte vivificante. Quest'esaltazione appartiene al mistero pasquale, che a tempo opportuno si compirà su Cristo, in Cristo e per mezzo di Cristo.


3. Il mistero pasquale, che costituisce lo zenit della missione messianica di Gesù di Nazaret, rimane il "paradigma" centrale del messaggio evangelico.

Gesù dice: "Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna" (Jn 12,25).

E continua: "Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà" (Jn 12,26).

Ecco il "paradigma" evangelico della vocazione alla santità.

L'odierna liturgia ci ricorda queste parole perché alla loro luce possiamo guardare i due candidati, che oggi vengono elevati agli onori degli altari, mediante la canonizzazione: Simon de Rojas e Rose Philippine Duchesne.

"Se uno mi serve, il Padre lo onorerà".

La Chiesa nell'atto odierno, come in ogni atto di canonizzazione, vuole che rimanga un'eco fedele e sensibile di quell'amore che i servi e imitatori di Cristo ricevono in Dio.


4. Il mistero pasquale, paradigma della vocazione alla santità, ha costituito il centro della vita di fra Simon de Rojas, illustre religioso dell'Ordine della Santissima Trinità, che oggi viene elevato all'onore degli altari. Egli fece sue le parole di Cristo che abbiamo ascoltato nella lettura evangelica: "Chi ama la sua vita la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna" (Jn 12,25).

San Simon de Rojas diede pieno senso alla sua vita, come cristiano e come sacerdote, nella contemplazione del mistero di Dio amore.

Fedele al carisma redentore e misericordioso del suo ordine, il "Padre Rojas" - come veniva chiamato familiarmente dal popolo - fu molto sensibile alle necessità del prossimo, specialmente dei più poveri ed emarginati, come anche dei cristiani imprigionati a causa della loro fede. I poveri, da parte loro, vedevano in lui il protettore, difensore e padre. Vedevano in lui una così visibile e concreta testimonianza di povertà, che lo consideravano come uno di loro, totalmente assimilato alle loro sofferenze e necessità.

Lavoro instancabilmente perché la Congregazione dei Servi del dolcissimo Nome di Maria, da lui fondata, intensificasse sempre più la sua attività socio-caritativa. I suoi membri, in maggioranza secolari, si impegnavano a dividere i beni e aiutare i poveri.

Degno di nota era l'infaticabile zelo sacerdotale del nuovo santo. Ma la sua energica e continua attività apostolica non ostacolo mai la sua vita di preghiera contemplativa, cui dedicava "ampi spazi di tempo durante la giornata e anche durante la notte, dopo l'ufficio comune della metà della notte".


5. Un aspetto che è necessario sottolineare nel nostro santo è, senza dubbio, il singolarissimo e fiducioso amore nutrito fin dall'infanzia per la Vergine Maria.

La sua intensa devozione mariana fu sempre in costante aumento. Ormai religioso e sacerdote continuava a diffonderla con ogni mezzo tra quelli che aveva accanto e tutte le persone con cui era in rapporto. Un modo molto personale di vivere e diffondere questa devozione era la "schiavitù" o rapporto filiale del santo con la Madre di Dio. Senza interruzione ripeteva l'invocazione e saluto "Ave Maria" tanto che, di frequente, veniva chiamato simpaticamente il "Padre Ave Maria". Fece molto conoscere la preghiera del santo Rosario.

Il nuovo santo è davvero per noi un modello vicino e provvidenziale di vita mariana. Egli esprimeva la sua volontà di appartenere a Maria con una delle sue giaculatorie preferite: "Che io sia, Signora, tutto vostro, e niente dovro temere". La provvidenza ha disposto che la sua canonizzazione sia l'ultima di questo anno mariano. E come se insistesse perché accogliamo con riconoscenza il messaggio tante volte ripetuto dal nuovo santo: "Non cercare, fare o pensare nulla che non sia in ossequio a nostra Signora".

San Simon de Rojas apparve davanti alla società del suo tempo come un uomo pieno di Spirito Santo, docile ai suoi suggerimenti e profondamente evangelico in tutti i momenti della sua esistenza: come un altro Cristo! 6. E che dire dell'altra santa oggi canonizzata, Rose-Philippine Duchesne, che ha vissuto nella missione la sua consacrazione? Fedele a una visione avuta da giovane, Rose Philippine abbandono la sicurezza della sua cultura e lingua e si mise a servire la Chiesa di Cristo nel nuovo mondo. Non penso a quanto lasciava ma a coloro cui era mandata, e soprattutto da chi era mandata.

Tutta la vita di Rose-Philippine fu trasformata e illuminata dall'amore per Cristo nell'Eucaristia. Durante le lunghe ore trascorse davanti al santissimo, ella imparo a vivere sempre alla presenza di Dio. In lui pose le sue speranze e desideri. Le parole dell'odierno salmo responsoriale bene esprimono l'intensità del suo amore per Cristo: "Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita" (Ps 16[15],15).

Con coraggio missionario, questa pioniera guardava al futuro con gli occhi del cuore, un cuore ardente d'amore di Dio. Ella seppe vedere, al di là delle necessità della Francia post-rivoluzionaria, le necessità del nuovo mondo del suo tempo. Prese su di sè l'invito del Vangelo "andate ed ammaestrate tutte le nazioni", ricordando che la chiamata alla santità è universale e non conosce confini di nazioni, sistemi politici, culture o razze.


7. Sempre più ricolma dell'amore stesso di Dio. alimentato nel culto ardente della santa Eucaristia, Rose-Philippine Duchesne si senti spinta in modo irresistibile verso i bambini poveri, le famiglie indigenti. Per aiutarle ed educarli spese generosamente gli ultimi trentaquattro anni della sua vita, in quella regione del Middle West. Fece anche un fecondo tentativo di apostolato tra gli indiani.

Ostacolata dalla barriera della lingua, riusci tuttavia a portare a quelle povere popolazioni qualcosa della tenerezza di Dio, con il suo essere e il suo comportamento. I beni materiali, pure insufficienti, da lei raccolti, furono sempre distribuiti. Avrebbe tanto desiderato che il cuore dei ricchi si aprisse con più larghezza, perché loro stessi vivessero più semplicemente.

L'impegno radicale di madre Duchesne per i poveri e gli emarginati è una fonte viva di ispirazione per la sua Congregazione, come per tutte le religiose di oggi. Il suo esempio, assolutamente fuori dal comune, vale per tutti i discepoli di Cristo, specialmente quelli che abitano le regioni ricche del mondo. Oh si, siano più numerosi i cristiani che si lasciano riempire e infiammare per il servizio ai poveri, quelli del quarto mondo! Discepoli di Cristo che si impegnano a tempo pieno. Più numerosi sono quelli che hanno la possibilità e il dovere di partecipare alle attività socio-caritative locali, parrocchiali o diocesane. Esse attendono spesso l'apporto generoso di tanti.


8. Rose-Philippine Duchesne e Simon de Rojas!... Guardando il loro profilo spirituale, troviamo una conferma delle parole di Paolo sull'"amore del Cristo" che "ci spinge" (cfr. 2Co 5,14).

L'amore del Cristo spinge la nuova santa e il nuovo santo: poiché egli "è morto per tutti" (cfr. 2Co 5,14), allora in lui tutti debbono scoprire quella parte del mistero del grano evangelico che spetta a ciascuno: del grano che muore per portare frutto.

Scrive l'Apostolo: Cristo "è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro" (cfr. 2Co 5,15).

Non per se stessi, ma per gli "altri", per i "fratelli e sorelle", per i vicini e lontani, per tutti. Tale è il "paradigma" evangelico della santità.

E perciò: "se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove" (cfr. 2Co 5,17).

La Chiesa saluta oggi nel contesto della comunione dei santi il mistero della "creatura nuova". Grazie a coloro che hanno realizzato la vocazione evangelica alla santità, noi viviamo nella speranza. E la nostra "speranza è piena di immortalità" (Sg 3,4).


Data: 1988-07-03 Data estesa: Domenica 3 Luglio 1988





GPII 1988 Insegnamenti - Messaggio pontificio all'assemblea generale del MIASMI - Città del Vaticano (Roma)