GPII 1980 Insegnamenti - Incontro con i professori di teologia - Altötting (Germania)


2. Ogni teologia è fondata sulla Sacra Scrittura, basa ogni tradizione teologica sulla Sacra Scrittura e su questa si fonda sempre di nuovo. Rimanete perciò sempre fedeli al duplice compito di ogni interpretazione biblica: conservate l'incomparabile Vangelo di Dio, che non è fatto dagli uomini, e abbiate nello stesso tempo il coraggio di trasmetterlo di nuovo al mondo in questa purezza. Lo studio della Sacra Scrittura resta, perciò, come dice la costituzione del Vaticano II sulla divina rivelazione, "l'anima della teologia" (DV 24). Essa nutre e ringiovanisce sempre di nuovo la nostra ricerca teologica. Se viviamo della Scrittura, allora ci avvicineremo sempre di più ai nostri fratelli non ancora in piena unione con noi nella fede, nonostante tutte le differenze che possano permanere.

Il collegamento della Scrittura con le preoccupazioni del nostro presente non avviene per i teologi cattolici senza il tramite della "tradizione".

Questa non sostituisce la parola di Dio contenuta nella Bibbia, ma piuttosto le rende testimonianza nel corso dei tempi mediante una eventuale nuova spiegazione.

Rimanete sempre in dialogo con la tradizione viva della Chiesa, attingete da essa tesori spesso ancora non scoperti. Additate ai membri della Chiesa che voi non fate assegnamento sui relitti del passato e che la nostra grande eredità ricevuta dagli apostoli sino ad oggi cela in sé un potenziale vigoroso per rispondere in maniera significativa ai problemi di oggi. Possiamo trasmettere meglio il Vangelo di Dio, quando prestiamo attenzione alla Sacra Scrittura e alla sua eco nella tradizione viva della Chiesa. Allora diventiamo anche più critici e sensibili verso il nostro presente. Esso non è l'unico e neppure l'ultimo criterio della conoscenza teologica. Lo studio della grande tradizione della nostra fede non è semplice. Per la sua comprensione si ha bisogno di lingue antiche, la cui conoscenza oggi è in declino. Tutto sta nel non interpretare le fonti solo storicamente, ma nel lasciarle parlare col loro contenuto oggettivo al nostro tempo. La Chiesa cattolica, che abbraccia tutti i tempi della cultura, è persuasa che ogni tempo ha acquisito una conoscenza della verità, che è utile anche per noi. E' proprio della teologia il rinnovamento profetico in base a quelle fonti, che significano insieme rottura e continuità. Abbiate il coraggio di portare a questi tesori della nostra fede i giovani a voi affidati per lo studio della filosofia e della teologia.


3. La teologia è una scienza con tutte le possibilità di conoscenza umana. Essa è libera nell'applicazione dei suoi metodi e analisi. Tuttavia la teologia deve badare al rapporto in cui sta con la Chiesa. Non dobbiamo a noi stessi la fede; essa è "fondata sugli apostoli, mentre Cristo stesso ne è la pietra angolare" (cfr. Ep 2,20). Anche la teologia deve presupporre la fede. Essa la può chiarire e promuovere, ma non la può produrre. Anche la teologia sta sempre sulle spalle dei padri nella fede. Sa che il suo ambito specifico non sono dati o oggetti storici in un lambicco artificiale, ma la fede vissuta dalla Chiesa. Perciò il teologo insegna nel nome e per mandato della Chiesa, che è comunione di fede. Egli può e deve avanzare proposte nuove per la comprensione della fede, ma queste sono solo offerte a tutta la Chiesa. C'è bisogno di molte correzioni e integrazioni sino a quando tutta la Chiesa le possa accettare.

La teologia è nella maniera più profonda un servizio molto disinteressato alla comunità dei credenti, il quale comporta essenzialmente disputa oggettiva, dialogo fraterno, apertura e disponibilità al mutamento della propria opinione.

Il credente ha diritto di sapere sino a che punto può fare assegnamento sulla fede. La teologia deve mostrare all'uomo dove in definitiva deve fermarsi.

Il magistero interviene solo per constatare la verità della parola di Dio, soprattutto quando questa è minacciata da deformazioni e false interpretazioni. In questo contesto è anche da vedersi l'infallibilità del magistero ecclesiastico.

Vorrei ripetere ciò che scrissi nella mia lettera del 15 maggio di quest'anno ai membri della conferenza episcopale della Germania: "La Chiesa deve essere... molto umile e insieme sicura di rimanere nella stessa verità, nella stessa dottrina della fede e della morale che ha ricevuto da Cristo, il quale in questa sfera l'ha dotata del dono di una specifica "infallibilità". Sebbene l'infallibilità occupa certamente un posto meno centrale nella gerarchia delle verità, essa è "in un certo modo, la chiave per la stessa certezza di professare e proclamare la fede, per la vita e il comportamento dei credenti. Indebolendo e distruggendo questa base fondamentale cominciano subito a crollare anche le più elementari verità della nostra fede"". L'amore alla Chiesa concreta, che implica anche la fedeltà alla testimonianza della fede e al magistero ecclesiastico, non distoglie il teologo dal suo lavoro e non toglie nulla a questa autonomia irrinunciabile. Il magistero e la teologia hanno ambedue un compito diverso. Perciò non si possono ridurre l'un l'altra. Tuttavia sono al servizio della stessa causa. Proprio per questa struttura devono rimanere in costante dialogo tra loro. Ci sono stati negli anni dopo il Concilio molti esempi di buona collaborazione tra teologia e magistero. Approfondite questa base e, anche se dovessero sorgere nuovi conflitti, continuate il vostro comune lavoro nello spirito della comune fede, della stessa speranza e dell'amore che unisce tutti.

Ho voluto incontrarvi questa sera per confermarvi nel lavoro da voi svolto finora e incoraggiarvi a portare ulteriori contributi. Lavorate accuratamente e instancabilmente. Fate con ogni accuratezza una teologia non solo dell'intelletto ma anche del cuore. Proprio sant'Alberto Magno, per il cui 700° anniversario della morte sono venuto in Germania, ha sempre insegnato a porre in armonia scienza e pietà, intuizione spirituale e tutto l'uomo. Siate proprio oggi anche modelli di fede vissuta per i molti studenti di teologia del vostro paese.

Siate creativi nella fede, affinché tutti noi possiamo insieme riportare con un linguaggio nuovo Cristo e la sua Chiesa più vicino ai molti uomini, che non prendono parte alla vita della Chiesa. Non vi dimenticate mai della vostra responsabilità per tutti i membri della Chiesa; pensate, in modo particolare, all'importante compito della proclamazione della fede assolto dai missionari in tutto il mondo.

Prima di potervi conoscere personalmente vi prego di portare i miei fraterni saluti e la benedizione di Dio a tutti i vostri colleghi, collaboratori, studentesse e studenti: "La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi" (2Co 13,13).

Data: 1980-11-18 Data estesa: Martedi 18 Novembre 1980.


Preghiera alla Vergine di Altötting - Altötting (Germania)

Titolo: Preghiera

Ti saluto, madre di misericordia di Altötting! 1. Da alcuni giorni, il mio cammino come pellegrino, mi ha portato in Germania, paese ricco di storia, a ripercorrere le orme del cristianesimo, che era già giunto qui al tempo dei romani. San Bonifacio, l'apostolo dei tedeschi, ha diffuso con successo la fede cristiana fra le giovani popolazioni ed ha suggellato la propria opera missionaria con il martirio.

Il mio passo è rapido, il programma del pellegrinaggio è limitato, e così non ho potuto visitare tutti quei luoghi, nei quali avrei voluto recarmi per la loro importanza e per il desiderio del mio cuore. Ci sono luoghi così importanti ed elevati! Oggi, che mi è concesso di fermarmi per poche ore qui, ad Altötting, riconosco nuovamente, che le vie del mio pellegrinaggio attuale si collegano al "credo", che è il compito principale di Pietro e dei suoi successori. Quando io annuncio Cristo, il figlio del Dio vivente, "Dio da Dio", "luce da luce", "della stessa sostanza del Padre", in quel momento io dichiaro con tutta la Chiesa che egli si è fatto uomo attraverso lo Spirito Santo ed è nato dalla Vergine Maria. Il tuo nome, Maria, è indissolubilmente legato al suo nome. La tua chiamata ed il tuo "si" appartengono quindi, da allora in poi, al mistero della incarnazione.


2. Con tutta la Chiesa io dichiaro ed annuncio, che Gesù Cristo in questo mistero è l'unico tramite fra Dio e l'uomo: poiché la sua incarnazione ha portato ai figli di Adamo, che sono succubi della forza del peccato e della morte, la salvezza e la giustificazione. Allo stesso tempo sono profondamente convinto che nessuno, come te, la madre del Salvatore, è stato chiamato a partecipare a questo immenso e straordinario mistero; e nessuno è in grado come te sola, Maria, di farci penetrare in questo mistero in modo chiaro ed evidente, a noi, che lo annunciamo e del quale facciamo parte.

In questa certezza della fede io vivo da lungo tempo. Con questa convinzione io mi sono messo in viaggio dall'inizio come Vescovo di quella Chiesa locale che l'apostolo Pietro ha fondato a Roma, ed il cui mandato particolare è sempre stato ed è ancor oggi, quello di servire la "communio", vale a dire l'unità nell'amore delle singole Chiese locali e di tutti i fratelli e le sorelle in Cristo.

Con la stessa certezza oggi io sono venuto qui, dinnanzi alla tua immagine miracolosa di Altötting, madre di misericordia, circondato dalla venerazione e dall'amore di credenti della Germania e dell'Austria, come pure di altri paesi di lingua tedesca. Permettimi di rafforzare nuovamente questa convinzione e di recitare dinnanzi a te questa preghiera.


3. Anche qui, o madre nostra, desidero affidarti la Chiesa, perché tu eri presente nel cenacolo, come la Chiesa ha apertamente proclamato, quando lo Spirito Santo è disceso sopra gli apostoli. Io affido a te oggi soprattutto la Chiesa, che esiste da molti secoli in questo paese e che rappresenta una grande comunità di credenti fra i popoli che parlano la medesima lingua. A te, madre, raccomando tutta la storia di questa Chiesa ed i suoi compiti nel mondo di oggi: le sue numerose iniziative ed il suo instancabile servizio nei confronti di tutti gli abitanti del paese come pure per tutte le numerose comunità e chiese del mondo, alle quali i cristiani di Germania forniscono aiuti con tanta disponibilità e magnanimità.

Maria, poiché tu sei beata, poiché hai creduto (cfr. Lc 1,45), a te affido ciò che sembra essere la cosa più importante nel servizio della Chiesa in questo paese: la sua potente testimonianza di fede nei confronti della nuova generazione di uomini e donne di questo popolo di fronte ad un crescente materialismo e all'indifferenza religiosa. Questa testimonianza possa parlare con le chiare parole del Vangelo e trovare così accesso ai cuori, soprattutto a quelli delle giovani generazioni. Che i giovani possano tendere ed entusiasmarsi ad una vita secondo l'immagine dell'"uomo nuovo" e per le diverse opere nella vigna del Signore.


4. Madre del Cristo, che prima della sua passione ha pregato: "Padre... tutti siano una sola cosa" (Jn 17,11 Jn 17,21), come è profondo il legame che unisce il mio cammino in terra tedesca, proprio quest'anno, con il desiderio profondo ed incessante dell'unità fra i cristiani, che sono divisi dal XVI secolo! Non vi è alcuno che più di te desideri profondamente che la preghiera di Cristo nel cenacolo si compia. E dal momento che noi stessi dobbiamo riconoscere di essere giunti alla divisione corresponsabilmente, ed oggi preghiamo per una nuova unità nell'amore e nella verità, non potremmo sperare, che tu, madre di Cristo, preghi insieme a noi? Non potremmo sperare che il frutto di questa preghiera ad un certo momento sarà il dono di quella "comunione dello Spirito Santo" (2Co 13,13), che è essenziale, "perché il mondo creda" (Jn 17,21)? A te, madre, io affido il futuro della fede in questo antico paese cristiano; e memore delle afflizioni dell'ultima terribile guerra, che ha inferto ferite tanto profonde soprattutto ai popoli dell'Europa, ti affido la pace del mondo. Possa fra questi popoli nascere un nuovo ordine, che si fondi sul pieno rispetto del diritto di ogni singola nazione e di ogni singolo uomo nella sua nazione, un ordine veramente morale, nel quale i popoli possano vivere insieme come in una famiglia attraverso il dovuto equilibrio di giustizia e libertà.

Questa preghiera io rivolgo a te, regina della pace e specchio della giustizia, io, Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma e successore di san Pietro e la lascio in eredità al tuo santuario di Altötting a ricordo perenne. Amen. Data: 1980-11-18 Data estesa: Martedi 18 Novembre 1980.


Omelia della messa ai giovani - Monaco (Germania)

Titolo: Cristo accompagna l'uomo nella maturazione all'umanità

Cari fratelli e sorelle, cari giovani!

1. Quando Cristo parla del regno di Dio si serve spesso di immagini e di parabole.

La sua immagine della "mietitura", della "grande mietitura", doveva ricordare a chi lo ascoltava un avvenimento che si ripeteva ogni anno, atteso con tanta ansia, col quale ci si poteva accingere a raccogliere, con il duro lavoro di molti uomini e con fatica, i frutti che la terra aveva prodotto.

Questa parola: "mietitura", ancora oggi fa prendere al nostro pensiero la medesima direzione, anche se noi, abitanti di paesi altamente industrializzati, abbiamo davanti a noi un'immagine poco chiara di ciò che il raccolto dei frutti della terra significa per l'agricoltore e soprattutto per gli uomini.

Con l'immagine del frumento, che viene raccolto, Cristo vuole riferirsi alla crescita e alla maturazione interiore dell'uomo.

L'uomo è legato alla sua natura e non se ne può staccare. Allo stesso tempo egli la domina con tutto l'orientamento intimo del proprio essere personale.

Perciò la maturazione umana è qualcosa di diverso dalla maturazione dei prodotti della natura. Per l'uomo non parliamo soltanto di una crescita corporea e spirituale. Perché l'uomo maturi è necessario che maturi insieme a lui soprattutto la dimensione spirituale e religiosa del suo essere. Quando Cristo parla della "mietitura", vuole dire che l'uomo deve maturare in Dio e che quindi in Dio stesso, nel suo regno, egli raccoglie i frutti delle sue lotte e della sua maturazione.

Ora vorrei parlare a voi, giovani uomini di oggi, con grande serietà, ma, allo stesso tempo, con lieta speranza, di questa verità del Vangelo. Voi state attraversando un periodo particolarmente importante e critico della vostra vita, nel quale si può decidere molto, o quasi tutto per il vostro ulteriore sviluppo, per il vostro futuro.

Per la formazione della propria personalità, per la costruzione dell'uomo interiore, la conoscenza della verità riveste un'importanza determinante. L'uomo può maturare veramente soltanto alla luce della verità e nella verità. Qui sta il significato profondo di una educazione tanto importante, che deve accompagnare tutto il sistema scolastico fino all'università. Questa educazione, questa formazione deve aiutare il giovane ad imparare a conoscere e a comprendere il mondo e se stesso; deve aiutarlo a far si che egli impari tutto ciò per mezzo del quale l'esistenza e l'agire dell'uomo nel mondo raggiungono il loro pieno significato. Per questo deve anche aiutarlo ad imparare a conoscere Dio.

L'uomo non può vivere, senza conoscere il significato della propria esistenza.


2. Questa ricerca, questo auto-orientamento e questa maturazione verso la verità piena e fondamentale della realtà non è certamente facile. Da sempre si sono dovute affrontare molte difficoltà. E proprio a questo problema sembra volersi riferire san Paolo, quando scrive, nella seconda lettera ai tessalonicesi: "Non lasciatevi così facilmente confondere e turbare... Nessuno vi inganni in alcun modo!" (2Th 2,2-3). Queste parole, dirette ad una giovane comunità dei primi cristiani, debbono essere oggi rilette alla luce delle differenti condizioni della nostra civilizzazione e cultura moderna. così desidererei dire a voi, giovani uomini di oggi: Non vi lasciate scoraggiare! Non vi fate ingannare! Siate riconoscenti quando avete dei buoni genitori, che vi incoraggiano e vi indicano la giusta via. Forse essi sono molto di più, di quanto voi a prima vista potete riconoscere. Ma vi sono molti che soffrono a causa dei propri genitori, che non si sentono capiti, o addirittura sono abbandonati. Altri devono trovare la strada della fede senza o addirittura contro i propri genitori. Molti a scuola soffrono per la "esigenza di rendimento", come voi dite, molti soffrono per i rapporti con gli altri e le costrizioni nel campo del lavoro, altri per l'insicurezza della prospettiva futura di un'occupazione. Non fa quindi paura il fatto che lo sviluppo tecnico distrugga le condizioni naturali di vita dell'uomo? E soprattutto: dove finirà questo mondo, che è diviso in blocchi militarizzati, in popoli ricchi e poveri, in stati liberi e totalitari? In questo o in quel luogo della terra continuano a scoppiare guerre, che portano morte e distruzione fra gli uomini. E ancora in molte parti della terra, vicini e lontani, ci sono atti di dure repressioni e di sanguinoso terrorismo. Perfino nel luogo dove ora celebriamo l'eucaristia, dobbiamo ricordare davanti a Dio le vittime, che recentemente, vicino a questa grande piazza, sono state uccise o ferite dallo scoppio di un ordigno. E' difficile rendersi conto di cosa sia capace l'uomo che vive l'aberrazione dello spirito e del cuore.

E' su questi presupposti che noi basiamo il nostro richiamo al messaggio della pace: "Non lasciatevi scoraggiare facilmente!". Tutte queste miserie e queste difficoltà fanno parte di quelle resistenze, alle quali dobbiamo accostarci per provare la nostra maturazione alla luce della verità fondamentale. Da qui noi troviamo anche la forza di lavorare insieme alla costruzione di un mondo giusto ed umano, da ciò ci deriva la prontezza ed il coraggio ed in misura notevole anche la responsabilità di occuparci nella vita della società, dello stato e della Chiesa.

In verità dobbiamo anche dire che ci consola molto il fatto che, malgrado le tante ombre e le difficoltà, esiste ancora tanto, tanto bene. E non vuol dire che manca, soltanto perché l'uomo ne parla poco. Spesso è necessario scoprire e riconoscere tutto il bene che opera silenziosamente e che forse domani sarà riconosciuto nella sua pienezza. Cosa ha dovuto fare, ad esempio, madre Teresa di Calcutta, nel silenzio e nella discrezione, prima che il mondo, sorpreso, si accorgesse di lei e della sua opera? Perciò non lasciatevi scoraggiare tanto facilmente! 3. Non vi accade di vedere che, nella vostra società, intorno a voi, molti, che si riconoscono cristiani, sono diventati incerti o hanno addirittura perso l'orientamento? E questo stato di cose non agisce forse negativamente soprattutto sui giovani? Non è evidente la grande tentazione dell'abbandono della fede, della quale parla l'apostolo nella sua lettera? La parola di Dio nella liturgia odierna ci dà il presentimento dell'ampiezza di orizzonte di un tale abbandono della fede, così come si manifesta in questo secolo, e ne chiarisce la dimensione.

San Paolo scrive: "Il mistero dell'iniquità è già in atto..." (2Th 2,7).

Non possiamo dire lo stesso del nostro tempo? Il mistero dell'iniquità, l'abbandono di Dio, secondo le parole della lettera di Paolo, ha una struttura interiore ed una sequenza dinamica ben definita: "...dovrà esser rivelato l'uomo iniquo... colui che si contrappone e si innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio" (2Th 2,3-4). Qui troviamo anche una struttura interna della negazione, dello sradicamento di Dio dal cuore degli uomini e dell'abbandono di Dio da parte della società umana, e ciò allo scopo, come si dice, di una piena "umanizzazione" dell'uomo, vale a dire rendere l'uomo umano in senso pieno e, in certo modo, metterlo al posto di Dio, quindi "deificarlo". Questa struttura, come si vede, è molto antica ed è nota già dalle origini, dal primo capitolo della Genesi: vale a dire la tentazione di conferire all'uomo la "divinità" (dell'immagine e somiglianza di Dio) del Creatore, di prendere il posto di Dio, con la "divinizzazione" dell'uomo, contro Dio - o senza Dio, come è evidente dalle affermazioni ateistiche di molti sistemi odierni.

Chi rifiuta la verità fondamentale della realtà, chi pone se stesso come misura di ogni cosa e in tal modo si pone al posto di Dio, chi, più o meno consapevolmente, ritiene di poter fare a meno di Dio, il Creatore del mondo, o di Cristo, il redentore dell'umanità, chi, invece di cercare Dio, corre dietro agli idoli, volgerà sempre le spalle all'unica verità suprema e fondamentale.

Questa è la fuga dall'interiorità. può portare ad arrendersi. "E tutto senza senso". Se i giovani avessero verso Gesù un tale atteggiamento, il mondo non avrebbe mai nulla da imparare dal messaggio salvifico di Cristo. Questa fuga dall'interiorità può assumere la forma di una esasperata estensione della conoscenza. Vi sono molti giovani anche fra di voi che cercano di distruggere la propria umanità con la fuga nell'alcool e nelle droghe. Spesso si trincerano dietro la paura o la disperazione, spesso pero anche dietro la ricerca del piacere, la mancanza di forza interiore o dietro l'irresistibile curiosità di "provare" tutto. Oppure la fuga dall'interiorità porta ad associarsi in sette religiose, che si servono del vostro idealismo e della vostra ingenuità e vi tolgono la libertà del pensiero e della coscienza. Mi riferisco anche alla fuga verso le "isole di felicità" che, attraverso determinate pratiche esteriori garantiscono il raggiungimento della vera fortuna, e che alla fine abbandonano chi vi fa ricorso, a se stesso e alla propria irrisolta solitudine.

E poi esiste anche una fuga dalla verità fondamentale verso l'esterno, vale a dire verso utopie politiche e sociali, verso qualche visione ideale della società. Gli ideali e la necessità di una meta sono talmente necessari - che le "formule miracolose" utopistiche non aiutano più, tanto che spesso si traducono in regimi totalitari o nell'applicazione di un potere distruttivo.


4. Voi vedete tutto questo, tutte le fughe dalla verità, la forza nascosta e piena di pericoli della resistenza alla legge, e della cattiveria, che è all'opera. Non vi riesce di resistere alla tentazione della solitudine e dell'abbandono? Allora la lettura di oggi del profeta Ezechiele vi dà la risposta. Sono le parole di un pastore, che cerca le pecore smarrite e abbandonate, per poterle radunare "da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine" (Ez 34,12).

Questo pastore, che cerca l'uomo nella strada buia della sua solitudine e del suo abbandono per poterlo portare nuovamente verso la luce, è Cristo. Egli è il buon pastore. Egli è anche costantemente presente nel punto più nascosto del "mistero del malvagio" e prende su di sé perfino l'esistenza umana su questa terra. Egli agisce nella verità, quando libera il cuore dell'uomo dalla fondamentale resistenza che vi alberga, e che è quella della divinizzazione dell'uomo senza o contro Dio, la quale crea un clima di solitudine e di abbandono.

Sulla strada che porta dalla buia solitudine alla autentica umanità, Cristo, il buon pastore si fa carico, con profonda partecipazione ed accompagnandoci col suo amore, di ogni singolo uomo, soprattutto dei giovani che crescono.

Il profeta Ezechiele dice ancora di questo pastore: "Le ritirero dai popoli e le radunero da tutte le regioni. Le ricondurro nella loro terra e le faro pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutte le praterie della regione" (Ez 34,13). "Andro in cerca della pecora perduta e ricondurro all'ovile quella smarrita; fascero quella ferita e curero quella malata, avro cura della grassa e della forte; le pascero con giustizia" (Ez 34,16).

Così Cristo accompagnerà la maturazione dell'uomo verso la sua umanità.

Egli ci accompagna, ci nutre e ci incoraggia nella vita della sua Chiesa, con la sua parola ed i suoi sacramenti, con il corpo e il sangue della sua celebrazione pasquale. Egli ci nutre come eterno figlio di Dio, fa si che l'uomo partecipi alla sua filiazione divina, lo "divinizza" interiormente, perché egli sia "uomo" in tutta le pienezza del suo significato, perché l'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio raggiunga la sua maturità in Dio.


5. E' proprio alla luce di quanto sopra che Cristo dice: la messe sia "grande". La messe è grande perché il destino dell'uomo è fuori da ogni misura. E' grande per la dignità dell'uomo. E' grande per la forza della sua vocazione. Grande è questo meraviglioso raccolto del regno di Dio nell'umanità, la messe del bene nella storia dell'uomo, dei popoli e delle nazioni. E' veramente grande - "ma gli operai sono pochi" (Mt 9,37).

Che significa questo? Ciò significa, miei cari giovani, che voi siete chiamati, siete chiamati da Dio. La mia vita, la mia vita di uomo ha quindi il suo significato, quando io sono chiamato da Dio, con un richiamo sostanziale, decisivo, definitivo. Soltanto Dio può chiamare così l'uomo, e nessun altro. E questo richiamo di Dio si rivolge incessantemente in Cristo e attraverso Cristo, ad ognuno di voi: siate operai della messe della vostra umanità, operai nella vigna del Signore, per far parte del raccolto messianico dell'umanità.

Gesù ha anche bisogno di giovani uomini che, fra di voi, seguano la sua chiamata e vivano come lui, in povertà e castità, affinché essi siano il segno vivente della realtà di Dio in mezzo ai vostri fratelli e alle vostre sorelle.

Dio ha bisogno di sacerdoti che si lascino guidare dal buon pastore nel servizio della sua parola e dei suoi sacramenti per gli uomini.

Egli ha bisogno di religiosi, uomini e donne, che lascino tutto per seguirlo e per servire l'umanità.

Egli ha bisogno di sposi cristiani, che insieme e con i loro bambini si adoperino per la piena maturazione dell'umanità in Dio.

Dio ha bisogno di uomini che siano pronti ad assistere i poveri, gli ammalati, i reietti, gli emarginati e coloro che soffrono nell'anima.

La storia del cristianesimo del vostro popolo, che conta oltre 1000 anni, è ricca di uomini, la cui figura può essere uno stimolo per la risposta alla vostra grande chiamata. Ne nominero soltanto quattro che mi vengono alla mente oggi, nella città di Monaco. Per rifarci agli inizi della storia della fede nel vostro paese, vorrei ricordare san Korbiniano, la cui opera come Vescovo ha gettato le basi per l'erezione della diocesi di Monaco-Freising. Nella liturgia di oggi celebriamo la sua memoria. Penso al santo Vescovo Benno di Meissen, i cui resti riposano nella Frauenkirche di Monaco. Egli era un uomo di pace e di riconciliazione, che predicava incessantemente, un amico dei poveri e dei bisognosi. E proprio oggi il mio pensiero va alla grande figura di santa Elisabetta, il cui motto era: "Amare - secondo il Vangelo". Era principessa di Wartburg, e come tale godeva di tutti i privilegi del suo stato, eppure visse completamente per i poveri e per gli emarginati. Per concludere, vorrei nominare un uomo, che alcuni di voi, o dei vostri genitori, hanno conosciuto personalmente: il padre gesuita Rupert Mayer, sulla cui tomba, al centro di Monaco, nella cripta del Bürgersaal, tutti i giorni molte centinaia di persone si recano per una breve preghiera. Noncurante delle conseguenze di una grave ferita, che aveva riportato nel corso della prima guerra mondiale, egli si è battuto apertamente e coraggiosamente per i diritti della Chiesa e per la libertà e per questo motivo ha subito le pene del campo di concentramento e l'esilio.

Cari giovani! Siate aperti alla chiamata di Cristo! La vostra vita umana è "un'avventura e un rischio che non si ripetono più", e che può essere "una benedizione o una maledizione". Davanti a voi, giovani, che siete la grande speranza del nostro futuro, vogliamo pregare il "Signore della messe", perché faccia di ognuno di voi, di ogni giovane di questa terra un operaio del suo "grande raccolto", che corrisponda così all'abbondanza delle chiamate e dei doni del suo regno su questa terra.

Desidero infine inviare un particolare pensiero benedicente ai nostri fratelli e alle nostre sorelle di fede evangelica che oggi in questo paese festeggiano il "giorno di penitenza". Essi celebrano questa giornata con la consapevolezza della necessità di una conversione sempre nuova e, secondo il desiderio della Chiesa, per ricordare davanti a Dio nella preghiera anche le comunità dei popoli e degli stati. La Chiesa cattolica romana è unita a voi in questa preghiera. Ricordatevi, nella preghiera di questa giornata, anche dei vostri connazionali cattolici e del vostro fratello Giovanni Paolo e del suo servizio. Amen. Data: 1980-11-19 Data estesa: Mercoledi 19 Novembre 1980.


Incontro con gli artisti e i giornalisti - Monaco (Germania)

Titolo: Mezzi, grandezza, responsabilità dell'arte e del giornalismo

Gentili signore e signori.

Il mio cordiale saluto va agli artisti ed ai pubblicisti che, nel corso della mia visita, sono venuti a Monaco da tutte le parti della repubblica federale tedesca. Mi rallegro di potermi incontrare con voi in questa città, che è stata da sempre il cuore dell'arte e che in quest'ultimo periodo è diventata un importante centro dei mezzi di comunicazione di massa. Questo nostro incontro deve rappresentare un contributo al dialogo tra Chiesa e arte, tra Chiesa e mezzi di comunicazione sociale, un contributo al dialogo, che per lungo tempo e stato incompleto o si è svolto nel segno del contrasto e della opposizione. Vorrei accennare qui di seguito ai legami che esistono fra la Chiesa e l'arte, fra la Chiesa e il giornalismo, e che possono portare ad una migliore comprensione reciproca e ad una fruttuosa collaborazione al servizio dell'uomo.

1. Il rapporto tra la Chiesa e l'arte nell'architettura, nell'arte figurativa, nella letteratura, nel teatro e nella musica ha una storia complessa. Se non fosse stato per gli sforzi compiuti dai monasteri, ad esempio, presumibilmente non sarebbero sopravvissuti i tesori degli autori antichi greci e latini. Con grande schiettezza la Chiesa si è messa in contatto con l'antica letteratura e cultura.

Per un lungo periodo di tempo la Chiesa è stata considerata la madre dell'arte.

Essa agiva come mecenate; i contenuti della fede cristiana fornivano i motivi ed i temi dell'arte. Quanto ciò sia appropriato, lo si può riconoscere con un semplice esperimento mentale: togliamo dalla storia dell'arte europea e tedesca tutto ciò che ha a che fare con l'ispirazione cristiana e religiosa e vedremo quanto poco dell'arte sarà rimasto.

Negli ultimi secoli, soprattutto a partire dal 1800, il legame tra la Chiesa e la cultura, e quindi tra la Chiesa e l'arte, si è allentato. Ciò è avvenuto nel nome dell'autonomia e si è acuito nel nome di una dilagante secolarizzazione. Fra Chiesa ed arte si apri un divario, che divenne sempre più ampio e più profondo. Ciò divenne particolarmente evidente nel campo della letteratura, del teatro e più tardi del cinema. Questo allontanamento reciproco si è accentuato con la critica alla Chiesa e al cristianesimo e soprattutto alla religione. La Chiesa, da parte sua - e ciò in certo qual modo è comprensibile - era diffidente nei confronti dello spirito moderno e delle sue molteplici forme di espressione. Questo spirito era ritenuto nemico della Chiesa e della fede, critico nei confronti della rivelazione e della religione. L'atteggiamento della Chiesa era quello di proteggersi, di prendere le distanze e di opporsi in nome della fede cristiana.


2. Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi di un rapporto sostanzialmente nuovo fra la Chiesa e il mondo, fra la Chiesa e la cultura moderna e con ciò anche fra la Chiesa e l'arte. Si potrebbe definire come rapporto di comprensione, di apertura, di dialogo. A ciò si unisce l'attenzione verso l'oggi, l'"aggiornamento". I padri conciliari dedicano nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes" un intero capitolo (cfr. GS 53-63) alla corretta promozione dei progressi culturali ed affrontano il problema, come nella Chiesa antica, senza limitazioni o timori, con franchezza. Il mondo è una realtà a sé stante, ha la propria legittimità. Qui viene anche trattata l'autonomia della cultura e dell'arte. Questa autonomia, se ben interpretata, non è una protesta contro Dio o contro le testimonianze della fede cristiana; essa è piuttosto la manifestazione che il mondo di Dio è una creazione unica, libera, consegnata ed affidata all'uomo per lo sviluppo della sua cultura e della sua responsabilità.

Con ciò si è gettata la premessa che ha permesso alla Chiesa di entrare in un nuovo rapporto con la cultura e con l'arte, in un rapporto di collaborazione, di libertà e di dialogo. Ciò è più facilmente possibile e può essere assai più fruttuoso, se l'arte nel vostro paese è libera e può realizzarsi e svilupparsi nella libertà. Se voi esercitate la vostra professione nella libertà responsabile, la Chiesa vuole e deve essere sempre al vostro fianco, vicino a voi nella sollecitudine per la dignità dell'uomo in un mondo che è scosso nelle sue fondamenta.


3. La Chiesa vede la professione degli artisti e dei giornalisti in una disposizione d'animo, che definisce allo stesso tempo i mezzi, la grandezza, e la responsabilità dei loro compiti. Secondo la concezione cristiana, ogni uomo è immagine e somiglianza di Dio. Ciò si riferisce in particolar modo all'attività creativa dei giornalisti e degli artisti. La vostra professione è una professione creativa, che corrisponde a quel compito. Voi date forma e sostanza alla realtà e al materiale che il mondo vi offre. Voi non vi fermate alla mera rappresentazione o alla descrizione della superficie. Voi cercate di "concentrare" la realtà dell'uomo e del suo mondo nel senso originario della parola. Voi cercate attraverso la parola, il tono, l'immagine e la rappresentazione, di far immaginare e di rendere comprensibili la verità e la profondità del mondo e dell'uomo, della quale fanno parte anche gli abissi umani. Per così dire, ciò che è importante non è un accordo segreto, cristiano o di Chiesa, dell'arte o degli artisti, dei mezzi di comunicazione o dei giornalisti, ma piuttosto un riconoscimento dal punto di vista della fede cristiana, un riconoscimento che è pieno di positività, di rispetto e di comprensione. Il Cardinale tedesco Nikolaus di Kues ha scritto questa frase: "La creatività e l'arte, che un'anima ha la fortuna di ospitare, non sono creative per se stesse, perché soltanto Dio crea, ma sono da lui trasmesse ed emanate".


4. Chiediamoci ancora: su cosa si basano i legami ed i collegamenti reciproci fra l'arte e la Chiesa, fra la Chiesa e il giornalismo? A ciò possiamo rispondere: il tema della Chiesa ed il tema degli artisti e dei giornalisti è l'uomo, l'immagine dell'uomo, la verità dell'uomo, l'"ecce homo", al quale va riferita la storia, il mondo e l'ambiente, come pure il contesto sociale, economico e politico in un'opera.

La Chiesa, come tramite del messaggio della fede cristiana, ricorderà sempre che la realtà dell'uomo non può essere descritta adeguatamente, prescindendo dalla dimensione teologica; che non deve mai essere dimenticata, che l'uomo è una creatura limitata nel tempo e nello spazio, che ha bisogno di aiuto e di completamento. Che la vita umana è dono e accettazione, che l'uomo è alla ricerca di significato, di salvezza e di liberazione, perché è limitato in molti modi dalle costrizioni e dalla colpa. La Chiesa ricorderà sempre che in Cristo si trova la vera ed unica immagine dell'uomo e dell'umanità. Gesù Cristo rimane, come dice il filosofo tedesco Karl Jaspers, la più autorevole fra le persone più autorevoli della storia. E il Concilio sottolinea: "Cristo, che è il nuovo Adamo... svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (GS 22).

Anche l'arte, in tutte le sue manifestazioni - e a questa si aggiungono le possibilità offerte dal cinema e dalla televisione - ha come tema fondamentale l'uomo, l'immagine dell'uomo, la verità dell'uomo. Pure se l'apparenza spesso dice il contrario, anche l'arte contemporanea è cosciente di queste profonde asserzioni ed istanze. L'origine religiosa e cristiana dell'arte non è del tutto esaurita.

Temi come la colpa e la grazia, l'inganno e la liberazione, l'ingiustizia e la giustizia, la misericordia e la libertà, la solidarietà e l'amore del prossimo, la speranza e la consolazione, si trovano nella letteratura odierna, nei libri di testo e nelle sceneggiature, e trovano ampia risonanza.

La collaborazione fra Chiesa e arte nei confronti dell'uomo si poggia sul fatto che entrambe desiderano liberare l'uomo dalla schiavitù e vogliono che egli prenda coscienza di se stesso. Esse gli aprono la via della libertà - libertà dalle pressioni dei bisogni, della produttività ad ogni costo, dell'efficenza, della programmazione e della funzionalità.


5. Abbiamo detto che la Chiesa e l'arte hanno come oggetto l'uomo, la sua immagine, la sua verità, la rivelazione della sua realtà - e questo lo diciamo adesso, nel momento dell'"aggiornamento", per usare un termine del Concilio Vaticano II.

Questo impegno richiede, da parte della Chiesa e dell'arte, un grande servizio, il servizio alla concretezza. Alla Chiesa è assegnato questo compito; poiché la verità è concretezza. Nelle manifestazioni odierne dell'arte, nella letteratura e nel teatro, nell'arte figurativa, nel cinema ed anche nel giornalismo, l'uomo viene spogliato di tutte le componenti e le sovrastrutture romantiche - egli viene rappresentato, per così dire, in una realistica nudità.

Fanno parte di questa caratteristica dell'arte di oggi anche l'esibizione delle aberrazioni e dei turbamenti, dei timori e della disperazione, dell'assurdità e dell'insensatezza, la rappresentazione di un mondo e di una storia depravati fino alla caricatura. Spesso ciò è giustificato con l'abbattimento di tutti i tabù.

La letteratura, il teatro, il cinema e l'arte figurativa si pongono oggi come critica, come protesta, come opposizione, come accusa contro questo stato di cose. La bellezza sembra appartenere ad una categoria dell'arte che va a vantaggio di una rappresentazione dell'uomo nella sua negatività, nella sua contraddizione, nella sua mancanza di vie d'uscita, nell'assenza di ogni significato. Questo sembra essere l'"ecce homo" di oggi. Il cosiddetto "mondo sano" diventa oggetto di dileggio e di cinismo. Il Concilio Vaticano II si è posto tutti questi quesiti con grande franchezza nel suo decreto sui mezzi di comunicazione sociale ("Inter Mirifica").

Contro la rappresentazione del male, nelle sue forme e nei suoi vari aspetti, anche in nome della fede cristiana e della Chiesa, non vi è nulla da obiettare. Il male è una realtà, la cui dimensione è stata vissuta e sofferta proprio nel nostro secolo, proprio nella nostra patria e nella mia, fino ai confini più estremi. Senza questa realtà del male non sarebbe possibile misurare anche la realtà del bene, della liberazione, della grazia, della salvezza. Questo non è un lasciapassare per il male, ma è l'indicazione della sua ubicazione. E qui dobbiamo riferire uno stato di cose che non è né innocuo né meno importante. Lo specchio della negatività nella varie manifestazioni dell'arte odierna non potrebbe diventare uno scopo? Non potrebbe condurre al piacere del male, al gusto della distruzione e della rovina, al cinismo e al disprezzo per l'uomo? Quando viene rappresentata la realtà del male, si vuole presentare, anche nell'intima logica dell'arte, il terribile come terribile, si vuole sgomentare. In questo modo la rappresentazione non ha come fine di confermare il male; piuttosto si propone come scopo che la situazione non peggiori, anzi, che migliori. Devi cambiare la tua vita, devi tornare indietro per iniziare di nuovo, devi opporti al male, perché non sia il male ad avere l'ultima parola, perché non diventi una concreta realtà. Questo non è soltanto il grido e l'esortazione della Chiesa, è anche l'impegno dell'arte e del giornalismo in tutti i campi - e ciò non comporta un'ulteriore ipoteca moralistica. La forza che aiuta, la forza che salva, la forza liberatrice e purificatrice è stata rappresentata dall'arte fin dal tempo dei greci; da ciò ci viene l'incoraggiamento alla speranza e alla ricerca di un'interpretazione, anche se tutte le domande sul "perché" non possono essere risolte. Tutto ciò non deve andare perso nell'arte di oggi, per l'arte stessa e per l'uomo. In questo servizio si può e si deve giungere ad un'unione dell'arte e della Chiesa, senza che ciò ne cancelli le rispettive originalità.


6. Quando la Chiesa si è occupata dell'"aggiornamento", dell'aggiornamento della fede cristiana, delle sue direttive e delle sue promesse, dobbiamo dire: mai la situazione dell'uomo di oggi, la sua sensibilità, ma anche i limiti delle sue possibilità sono state rappresentate in modo tanto efficace come dall'arte e dal giornalismo di oggi. La Chiesa è obbligata e indirizzata a seguire questa direzione. Quando la fede cristiana deve essere trasmessa come parola e risposta all'uomo, le domande devono essere poste consapevolmente.

La Chiesa ha bisogno dell'arte. Ne ha bisogno per trasmettere il suo messaggio. La Chiesa ha bisogno della parola, che sia testimonianza e trasmissione della parola di Dio e allo stesso tempo sia una parola umana, che faccia parte del patrimonio linguistico dell'uomo d'oggi, così come viene espressa dall'arte e dal giornalismo contemporaneo. Solo in questo modo la parola può rimanere viva e, allo stesso tempo, commuovere l'uomo.

La Chiesa ha bisogno dell'immagine. Il Vangelo viene narrato in immagini e parabole; deve e può essere reso visibile attraverso l'immagine. Nel nuovo testamento Cristo diventa l'immagine, l'icona di Dio invisibile. La Chiesa non è soltanto la Chiesa della parola, ma anche dei sacramenti, dei simboli santi. Per lungo tempo, oltre alla parola, sono state rappresentate le immagini del messaggio di salvezza, e ciò accade anche oggi. Ed è un bene. La fede non si rivolge soltanto all'udito, ma anche alla vista, ad entrambe le facoltà fondamentali dell'uomo.

Al servizio della fede, come viene manifestata nel servizio divino, si pone anche la musica. Tutti sanno che molte grandi composizioni ed opere musicali devono la loro creazione all'invito alla fede viva della Chiesa e al suo servizio divino. La fede non ha soltanto bisogno di conoscenza e di parole, ma anche di canti. E la musica dimostra che la fede è anche gioia, amore, venerazione ed esuberanza. Queste motivazioni e queste ispirazioni sono vive ancora oggi. Spesso la musica ricerca nuove espressioni nell'ambito della riforma della liturgia. Qui il campo offre ancora vaste possibilità. Il legame fra la Chiesa e l'arte nel campo della musica è vivo e fruttuoso.

Qualcosa di simile si può dire per i rapporti fra la Chiesa e l'architettura e l'arte figurativa. La Chiesa ha bisogno di spazio, per poter celebrare il servizio divino, per riunire il popolo di Dio e per le sue molteplici attività. Dopo le terribili distruzioni dell'ultima guerra mondiale, in tutto il mondo, e soprattutto nella repubblica federale di Germania, è nata un'architettura cristiana, che testimonia la vitalità della Chiesa. L'architettura delle chiese moderne non vuole essere un'imitazione del romanico, del gotico, del rinascimentale, del barocco, le cui splendide creazioni arricchiscono la Baviera; l'architettura dello chiese moderne, con lo spirito e la sensibilità del nostro tempo, e servendosi dei mezzi oggi disponibili, vuole dare forma ed espressione alla fede di oggi e allo stesso tempo vuole darle una dimora dove ritrovarsi. Ve ne sono di eccellenti esempi. A tutti coloro che hanno preso parte a quest'opera grandiosa - gli architetti e gli artisti, i teologi e i costruttori, i parroci ed i laici - va il nostro ringraziamento.


7. La Chiesa ha bisogno dell'arte. E ne ha bisogno in molti modi. Anche l'arte ha bisogno della Chiesa? Finora sembra di no. Ma quando il legame fra religione, Chiesa ed arte è così stretto, come ho cercato di dimostrare, soprattutto nei confronti dell'uomo, dell'immagine dell'uomo e della sua verità - e quando la fede cristiana con i suoi contenuti, trasmessi dalla Chiesa, ha ispirato l'arte nelle epoche del suo maggior splendore ed ha continuato ad ispirarla fino ad oggi, anche e soprattutto in Germania, allora ci si può chiedere: forse non si impoverisce l'arte? E' forse essa in grado di dare contenuti e motivi essenziali, quando abbandona la strada della verità, che viene rappresentata dalla Chiesa? L'incontro di oggi vuole essere un invito sincero per tutti gli artisti ad una nuova collaborazione, ad una nuova cooperazione in piena fiducia con la Chiesa, un invito a riscoprire la profondità della dimensione spirituale e religiosa che ha caratterizzato in ogni tempo l'arte nelle sue forme di espressione più nobili e più alte.


8. Nella riflessione di oggi abbiamo compreso anche i pubblicisti ed i giornalisti, che svolgono la loro opera professionale nella stampa, alla radio e alla televisione.

La visita del Papa nella repubblica federale di Germania è stata accompagnata dai mezzi della comunicazione sociale, vale a dire da voi, pubblicisti e giornalisti; viene continuamente seguita da voi con trasmissioni dal vivo, informazioni e commenti, che esprimono soprattutto benevolenza e approvazione. Per tutto ciò, desidero ringraziarvi di cuore. Grazie al vostro lavoro ciò che avviene in alcune città della repubblica federale, viene divulgato a milioni e milioni di persone. Mai il Vangelo ha avuto nella storia una possibilità di questo genere: di raggiungere tanti uomini. Per questo servizio - che è un servizio alla fede, alla Chiesa, e quindi un servizio all'uomo - desidero ringraziarvi nuovamente.

In quest'occasione tutti hanno modo di vedere quale potere sia stato posto nelle vostre mani, nelle mani dei pubblicisti e dei giornalisti. Avete un enorme influenza sul pubblico, nella formazione delle opinioni e sulla coscienza di milioni di uomini. La parola e l'immagine che voi trasmettete della realtà del mondo, dell'uomo, della società ed anche della fede cristiana, è determinante per il giudizio, il comportamento e l'agire di molti uomini.

In contrapposizione all'unificazione e all'abuso della stampa durante il periodo del nazionalsocialismo, nella repubblica federale di Germania è sorta una stampa pluralistica. A prescindere dalle differenze politiche ed ideologiche, i giornalisti hanno il compito di discutere con gli altri le proprie convinzioni e posizioni, di distinguere e di esporre le proprie tendenze ideologiche e di chiarire e precisare il proprio punto di vista. Questa grande "chance" di libertà racchiude in sé anche una grande responsabilità. L'informazione ed il commento delle notizie di stampa debbono essere caratterizzate dall'obiettività, dalla capacità di giudizio e dal senso di giustizia. Il pericolo di manipolare le notizie secondo le proprie tendenze è simile a quello di dare la precedenza ad avvenimenti sensazionali. Nel campo della stampa scandalistica esistono molti deplorevoli esempi. E' nel campo dell'informazione politica che si manifesta l'etica del giornalista. Il peso della sua responsabilità non sarà mai giustamente apprezzato. In una società libera, il giornalista non può lavorare, senza manifestare chiaramente una chiara, fondamentale certezza morale e senza la consapevolezza della grande importanza della comunicazione di massa.


9. La responsabilità dei pubblicisti diventa manifesta soprattutto quando si prende in considerazione l'effetto dei mezzi di comunicazione. E' responsabilità dei pubblicisti tenere sempre presente i possibili effetti della loro attività. Le indagini sugli effetti dei mezzi di comunicazione, nell'ambito della scienza, è soltanto agli inizi. Vi sono le prime indicazioni sugli effetti che le trasmissioni di violenza hanno sui giovani. E' giusto sottolineare che, per il tipo e il grado di questi effetti, non sono responsabili soltanto i mezzi di comunicazione, ma essi non possono negare il proprio ruolo e respingere le accuse dietro un comodo riparo. I pubblicisti, insieme ai genitori e agli insegnanti, sono chiamati a valutare gli effetti nocivi di queste rappresentazioni di violenza e a dare il proprio contributo per eliminarli.

Lo stesso vale per lo sviluppo della cultura politica. Anche qui i mezzi di comunicazione sono legati da un intreccio di rapporti. Il giornalista responsabile deve avere piena coscienza delle proprie possibilità di contribuire ad un sano sviluppo della cultura politica, della aderenza alla verità, ad una maggiore considerazione del valore personale degli altri.

Una chiara indicazione del ruolo-guida dei mezzi di comunicazione, soprattutto della televisione, è fornita dall'analisi dello sviluppo dei nostri valori morali. Qui i mezzi di comunicazione hanno contribuito al cambiamento dei regolamenti, delle norme e degli obblighi morali degli uomini: nel campo del comportamento sessuale sia dei giovani che degli adulti, della concezione del matrimonio e della famiglia e della sua realtà vissuta, dell'educazione dei bambini. Alcuni mezzi di comunicazione sociale, cambiando in maniera responsabile gli atteggiamenti, hanno dischiuso agli uomini una maggiore libertà nelle reciproche relazioni, e spesso hanno approfondito i rapporti personali fra un uomo e l'altro. Ma oggi è anche chiaro ciò che forse viene tenuto in scarsa considerazione dai mezzi di comunicazione e dai giornalisti che lavorano per essi: il cambiamento repentino di una presunta maggiore libertà è diventato mancanza di freni; l'abbandono degli obblighi morali ha portato a nuove violenze, che non sono degne dell'uomo e della sua dignità globale; la fiducia nei rapporti personali si è indebolita. Certamente i mezzi di comunicazione non sono i soli responsabili di questo stato di cose, ma essi hanno dato inizio a questo processo ed hanno contribuito ad incrementarlo.

Il giornalista ha l'obbligo di prendere sempre più coscienza degli effetti del suo lavoro, e di non chiudere gli occhi davanti a questo problema.

Infatti il potere che gli è stato conferito non rappresenterà mai un pericolo, se egli lo gestirà con scrupolosità e responsabilità. Il criterio dell'opera di un giornalista non deve essere il risultato ad effetto, bensi la verità e l'obiettività. In tal modo voi servite la vostra professione, in tal modo voi servite ed aiutate l'uomo.

Per questo servizio autentico alla verità e all'uomo nell'arte e nel giornalismo, chiedo ed impetro di cuore per voi tutti, che siete qui convenuti, e per tutti i vostri colleghi la luce e l'assistenza di Dio.

Data: 1980-11-19 Data estesa: Mercoledi 19 Novembre 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Incontro con i professori di teologia - Altötting (Germania)