GPII 1980 Insegnamenti - Ad un gruppo di minatori - Città del Vaticano (Roma)


Ai membri della Commissione mista del Consiglio Mondiale Metodista e della Chiesa cattolica - Città del Vaticano (Roma)

Cari fratelli in Cristo, E' sempre una gioia ed una consolazione ricevere gruppi come il vostro, intensi punti focali di un'attività che è una grande benedizione per la nostra epoca: la ricerca della riconciliazione fra i seguaci di Cristo. L'epoca del Concilio Vaticano II, quando i Vescovi della Chiesa Cattolica si impegnarono profondamente in questa attività con il Decreto sull'Ecumenismo, fu un epoca nella quale lo Spirito Santo spinse anche molti cristiani di diverse tradizioni ad un simile impegno, e nella quale molti dialoghi furono stabiliti a livello mondiale, fra i quali quello che vi vede oggi impegnati. Per quattordici anni studiosi e pastori Metodisti e Cattolici hanno aggiunto questa attività al loro lavoro quotidiano.

Alcuni di voi facevano parte di quel gruppo di osservatori che la Chiesa Metodista invio al Concilio. Avete spesso notato nelle vostre relazioni lo stupore per le profonde affinità fra la tradizione e gli ideali metodisti e cattolici: fra la fervente predicazione alla santità personale dei Wesleyani e dei successivi leader metodisti, e l'opera dei giganti spirituali della storia cattolica. Avete agito saggiamente scegliendo queste affinità come ancora per il dialogo; la vostra è stata una vera santa conversione, centrata sull'amore condiviso di Cristo, affinché le spinose questioni che sono l'eredità della triste storia dell'attuale divisione fra i cristiani (questioni che non avete evitato) fossero affrontate con serenità, buona volontà e carità. Nessuno più dell'ecumenista ha bisogno di ricordare le parole di San Paolo: "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna" (1Co 13,1).

Il vostro dialogo ha toccato molti aspetti. Oltre alle discussioni sulle differenze dottrinali, è stato posto l'accento sulle sfide positive che tutti i testimoni di Cristo devono affrontare oggi; non solo in campo sociale, cercando di affermare il messaggio cristiano in un mondo sconvolto dai cambiamenti, ma ancor più nel più delicato ambito personale della coscienza cristiana dove nessuno sfugge le scelte difficili, gli inevitabili sacrifici che derivano dalla fedeltà a Cristo.

Che la benedizione di Dio ricada abbondante sul vostro lavoro. Non lasciatevi toccare dalle parole degli impazienti e degli scettici, ma fate tutto quello che è in vostro potere perché la vostra ricerca della riconciliazione sia riecheggiata e riflessa ovunque i Metodisti e i Cattolici si incontrino. Che lo Spirito Santo, la cui misteriosa azione sulla Chiesa avete recentemente riflesso in modo fruttuoso, effonda i suoi doni sui tutti noi: la saggezza, il consiglio e la fermezza di cui abbiamo bisogno per cooperare con gli altri e con lui per compiere la volontà di Dio, al quale "la gloria nei secoli dei secoli. Amen" (Rm 16,27).

[Traduzione dall'inglese]

Data: 1980-12-05 Data estesa: Venerdi 5 Dicembre 1980.


Ai missionari oblati di Maria Immacolata - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La maggiore credibilità dei sacerdoti è nella loro testimonianza evangelica

Con molto piacere, carissimi figli, ho accolto il vostro desiderio di ricevervi durante il capitolo generale del vostro tanto benemerito istituto; e la mia soddisfazione è ancor più viva perché questo incontro avviene nell'imminenza della festa dell'Immacolata, celeste patrona della vostra congregazione. Nel ringraziarvi cordialmente per l'attestato di bontà che la vostra presenza manifesta in una forma così gentile, porgo i miei affettuosi auguri di un sempre più fruttuoso lavoro al padre generale ed al consiglio generalizio: auguri che estendo volentieri a tutti i capitolari per gli incarichi che saranno loro assegnati dall'ubbidienza.

1. Un semplice sguardo alla vostra grande famiglia riempie il mio animo di ammirazione: voi siete missionari del Signore e oblati della Madonna; nel nome di Cristo Gesù e della santissima Vergine vi dedicate all'opera di evangelizzazione tra quanti ancora non conoscono Cristo, come pure a far radicare sempre più tra varie popolazioni l'adesione aperta e generosa al Vangelo; inoltre vi occupate della formazione dei chiamati al sacerdozio e dell'educazione della gioventù. Un apostolato, pertanto, vario e non sempre facile che rende gloria a Dio attraverso l'offerta del vostro cuore e di tutta la vostra attività alla Madre di Dio.

L'assemblea capitolare è stimolata in questi giorni dall'ansia di rinnovamento e d'incremento, come è stato auspicato dal Concilio Vaticano II ed è nei voti di tutti i membri dell'istituto.


2. In questa prospettiva, è necessario che ciascuno si riporti con atteggiamento di fede e di umile disponibilità agli esempi ed agli insegnamenti del divino maestro. Ciò comporta l'impegno di essere sempre più e sempre meglio anime sacerdotali e religiose in una vita dedita al generoso esercizio della giustizia, dell'amore e della pace tra gli uomini, privilegiando gli umili, i poveri, i sofferenti. Lo ricorda anche il Concilio Vaticano II: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo" (GS 1).

Quanto più si è capaci di dimostrare in forma concreta la giustizia e la carità nell'esercizio del ministero sacerdotale e nella vita comunitaria, tanto maggiore sarà la credibilità dei sacerdoti e dei misisonari presso il Popolo di Dio e i fratelli da evangelizzare.

Ed ancora: in proporzione del carattere evangelico della vita religiosa, della fraternità che la distingue, della coesione dell'istituto che ne è la salvaguardia, crescerà l'incidenza dell'azione apostolica sulle persone e sugli ambienti a cui ci si rivolge nell'annunciare il Vangelo.


3. Tutto questo suppone intensa preghiera e profonda vita interiore per cui è possibile continuare, pur nelle occupazioni dell'apostolato, il colloquio col Padre celeste dal quale s'implora e si riceve la forza liberatrice che consente di vincere in noi tutto ciò che possa ostacolare la missione verso il prossimo, e di dare valore alla predicazione e alla testimonianza evangelica.

In voi, carissimi figli, questo continuo incontro con Dio è ancor più facilitato dall'esempio e dalla potente intercessione della beata Vergine a cui siete consacrati. La Madonna ha vissuto profondamente, animata dallo Spirito Santo e dalla fede senza limiti, la verità che Dio è con gli uomini e che tutta l'umana esistenza ed attività hanno il loro principio ed il loro fine in Dio.

Con questi voti, invoco su di voi, sui lavori dei capitolo generale e sull'intera congregazione dei missionari oblati dell'Immacolata, una rinnovata effusione di grazie celesti ed in pegno di particolare affetto imparto, auspice la Madre di Dio, la speciale confortatrice benedizione apostolica.

Data: 1980-12-05 Data estesa: Venerdi 5 Dicembre 1980.


All'Organizzazione Mondiale Ex Alunni cattolici

Titolo: Affermate e coltivate la vostra identità culturale e religiosa

Signore, Signori, Sono particolarmente felice di accogliere i membri del nuovo Comitato Direttivo dell'Organizzazione Mondiale Ex Alunni dell'Insegnamento Cattolico.

Augurandovi il benvenuto questa mattina, desidero incoraggiarvi nel perseguimento degli obiettivi che hanno motivato la fondazione della vostra Organizzazione.

Quest'ultima, ancora relativamente giovane, è nata da una viva coscienza dei valori ricevuti nella "primavera della vita" nelle istituzioni cattoliche. E' un riconoscimento, a giusto titolo, del valore del sistema educativo che vi ha formati, e dei suoi principi fondamentali. L'insegnamento cattolico, infatti, cerca sempre di unire al sapere, la formazione morale e l'iniziazione religiosa.

Per quelli che ne hanno approfittato, questa educazione cristiana è la fonte di un impegno, poiché non è un patrimonio inerte, ma una concezione dinamica dell'esistenza. E' questa che voi volete sviluppare in voi stessi e nel vostro ambiente, ed assicurare alla gioventù attuale.

Come dunque non riaffermare ancora una volta il diritto delle famiglie cattoliche di educare i propri figli nelle scuole e nelle istituzioni che corrispondono alla loro concezione della vita? Nel nostro mondo pluralista, dovete affermare e coltivare la vostra identità culturale e religiosa, fondata su una concezione dell'uomo e del suo rapporto con la verità che trova la sua pienezza nella conoscenza del Verbo di Dio, Saggezza eterna, che rivela il senso ultimo della realtà. Sappiate sempre più situarvi in questa verità totale che vi permetterà nello stesso tempo di essere aperti ai diversi valori culturali del nostro mondo, e di contribuirvi in modo conforme a quello che voi siete.

In particolare, avete preso l'iniziativa di studiare un certo numero di problemi importanti riguardanti l'educazione e la famiglia. Vi auguro di aiutare in questo modo la riflessione e la testimonianza di molti genitori ed educatori, e di avere una felice influenza su numerose istanze che li riguardano sul piano nazionale ed internazionale. E' un contributo apprezzabile all'opera immensa ed esaltante che si offre alla Chiesa in questi aspetti cruciali. Vi incoraggio di tutto cuore.

Che la preghiera al Signore, Maestro interiore, e alla Vergine, modello delle educatrici, vi sostenga nei vostri sforzi, così come la mia Benedizione Apostolica per voi stessi, per tutti quelli che rappresentate e per tutte le vostre famiglie.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-12-06 Data estesa: Sabato 6 Dicembre 1980.


Ai partecipanti al congresso del movimento lavoratori cristiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Presenza di Cristo nel mondo del lavoro

1. Sono lieto d'incontrarmi con voi, dirigenti e membri del movimento cristiano lavoratori, convenuti a Roma in occasione del vostro III congresso nazionale, per approfondire con concreta determinazione i compiti spettanti ad un gruppo cattolico come il vostro, sia nell'ambito della comunità ecclesiale, sia in quello vastissimo del mondo del lavoro.

Voi, attendendo con responsabile impegno alla riflessione e allo studio dei temi del congresso, non avete voluto tralasciare di fare visita al Papa per manifestare a lui, vicario di Cristo, la vostra sincera devozione, rinnovando al tempo stesso il proposito di una qualificata, specifica testimonianza, che sia coerente col Vangelo e fedele agli orientamenti del magistero della Chiesa. Per questo, voi desiderate anche una parola di incoraggiamento che sostenga la vostra fatica e la vostra attività.


2. Avete assunto compiti di larga portata e spesso non privi di gravi difficoltà, per la vastità dei problemi che coinvolgono e soprattutto per la ricorrente debolezza morale dell'uomo nell'affrontarli. In una società attraversata da profonda ambiguità, protesa, da una parte verso migliori condizioni di convivenza civile, ma sottoposta, dall'altra, ad uno sforzo produttivo che rischia di essere interamente rivolto ad un ideale di mero benessere materiale, con preclusione delle prospettive e delle esigenze di un ordine umano, spirituale e soprannaturale, il vostro movimento vuole affermare, in seno al mondo del lavoro, la presenza di Cristo, la vitalità di Cristo. Egli, infatti, "opera ormai nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi, con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra" (GS 38).

Tale presenza redentrice, rivoluzionaria e pacifica insieme, voi desiderate testimoniarla e viverla anzitutto in voi, compiendo un puntuale sforzo di riflessione sulla realtà che vi circonda, sulle sue esigenze, per una sua comprensione ed interpretazione evangelica, anche nel confronto e nel dialogo, esercitati con lucida coscienza della propria fede, con altri gruppi organizzati.

Il vostro compito, dunque, si configura come animazione cristiana del mondo del lavoro e come azione evangelizzatrice all'interno delle forze che determinano, nel momento storico presente, la composizione e l'incremento del movimento operaio.


3. Il Papa vi incoraggia in questo vostro arduo ma anche esaltante servizio di credenti, indirizzato essenzialmente a far comprendere come il lavoro umano, quale espressione delle capacità creative dell'uomo, al di là del suo evidente aspetto produttivo, si colloca nella prospettiva del primigenio patto di alleanza tra Dio e l'uomo stesso, patto definitivamente rinnovato in Gesù Cristo. Il lavoro, cioè, in questa luce suprema, mentre è mezzo di perfezionamento del mondo e collaborazione all'opera creatrice di Dio, aiuta l'uomo ad essere più uomo, ne matura la personalità, ne sviluppa ed eleva le capacità, aprendolo così al servizio, alla generosità, all'impegno per gli altri, in una parola all'amore.

Il definitivo significato del lavoro è contenuto in questa disponibilità verso i fratelli, cioè nel pratico esercizio del grande comandamento della carità (cfr. Jn 13,14), che è la legge fondamentale dell'umana perfezione e perciò anche della laboriosa trasformazione del cosmo (cfr. GS 38). Il Verbo di Dio divenuto Figlio dell'uomo, e di cui ci apprestiamo a celebrare con letizia il Natale, donando la sua vita per noi ci ha meritato la grazia di esercitare quell'amore che è anima e principale incentivo del lavoro umano.

Consapevoli di tali verità, continuate con coraggio la vostra missione cristiana, sulla quale invoco i doni della divina assistenza, e mentre ringrazio il vostro presidente per le nobili e cordiali parole di saluto rivoltemi, mi è caro impartirvi la benedizione apostolica, che di cuore estendo alle vostre famiglie ed a tutti i vostri cari.

Data: 1980-12-06 Data estesa: Sabato 6 Dicembre 1980.


Ai giuristi cattolici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Opporre all'ideologia della violenza l'universale civiltà dell'amore

Illustri signori e carissimi fratelli!

1. E' stato per me motivo di particolare compiacimento l'apprendere che quest'anno il vostro convegno nazionale di studio avrebbe avuto per tema l'arduo binomio violenza e diritto. Se sul piano dei fatti storici, infatti, la dolorosa cronaca quotidiana ci presenta il primo termine come estremamente attuale, sul terreno dottrinale, le controversie riaccesesi anche tra cattolici dopo il Concilio possono dirsi appena un poco attenuate, mentre rimane ancora spessa la confusione delle idee, derivante dalla pluralità delle discipline vecchie e nuove, dalla diversità delle scuole e dalla opposizione delle ideologie politiche. E va subito rilevato, che oggi, all'eterna dialettica tra posizioni conservatrici e movimenti innovatori aventi ad oggetto principi, valori o istituzioni particolari, si va e si vuole sostituire da non pochi, nelle odierne società dette in trasformazione, l'opposizione tra quanti pensano che si possano e si debbano riformare pacificamente le strutture, e quanti credono che, solo dopo l'annientamento totale e violento delle stesse, l'uomo possa pervenire a costruire una società più giusta e più umana. Frutto amarissimo di questa confusione delle idee è l'ideologia della violenza. Non si può esitare a riconoscere ai giuristi una più diretta, più penetrante e più adeguata competenza non solo ai fini empirici della necessaria repressione delle singole sue manifestazioni antisociali, e neppure a quelli della sua prevenzione mediante leggi ed istituzioni idonee ad eliminarne le occasioni, ma anche al fine di trarre dalla vastissima e molteplice esperienza giuridica le ragioni non di qualsiasi rapporto di opposizione pratica, ma di vera antitesi, radicale e sistematica, tra diritto e violenza; antitesi perciò stesso rivelatrice della essenza intima della seconda.


2. E' tutta l'enciclopedia giuridica che è chiamata a contribuire a questa ricerca. Nelle varie discipline l'antitesi violenza-diritto è prospettata ora in determinazioni, ossia in comportamenti e con conseguenze particolari, ora in modo più ampio e generale. Siamo allora di fronte ad una antitesi fra gli stessi termini radicali, o di fronte a situazioni non riducibili a un fondo comune? A questa domanda i giuristi, ammaestrati dall'analisi del linguaggio, dalla storia e dalla comparazione degli ordinamenti giuridici, possono dare, e sostanzialmente hanno già dato, una risposta nel senso della prima alternativa.

Un primo passo, preliminare ma indispensabile può dirsi generalmente acquisito e sta nella precisa distinzione tra forza e violenza. Nonostante, infatti, l'identica radice lessicale ("vis, hybris") e l'identità fisica dell'attività (forza individuale e collettiva), è stato precisato che la forza è bensi mezzo o strumento essenziale per il diritto positivo, ma pure che essa, quando è organizzata ed esercitata ordinatamente per i fini del diritto, non è più mera forza fisica, ma è anche soprattutto giustizia in concreto. Ciò vale non solo per la forza pubblica ma pure per quella privata, nel caso di legittima difesa. La forza è dunque realtà nettamente distinta rispetto alla violenza. E vorremmo aggiungere una verità ancor più nobilitante della forza rettamente usata.

L'individuo che impedisce con la forza a un infelice di suicidarsi non gli fa violenza, ma fa opera di carità.


3. Il secondo passo, decisivo, è quello che porta dapprima ad affermare l'antitesi radicale tra violenza e il diritto, poi a costruire proprio su tale antitesi una definizione universale valida della violenza. Bisogna distinguere questi due momenti dell'indagine, giacché, se sul primo troviamo tra gli storici del diritto, tra i cultori della filosofia e della storia generale e tra gli stessi studiosi dei singoli rami dell'ordinamento giuridico, una intuizione generale diffusa, e si direbbe pure una profonda convinzione; quanto al secondo, la diversità dei criteri finora proposti per distinguere la forza dalla violenza puntando sull'idea del diritto, non solo palesa l'inadeguatezza di ciascuno di essi, ma pure la loro connessione alla personale concezione del diritto in genere che il proponente ha.

Ora è qui che voi, giuristi cattolici, potete portare il vostro specifico contributo ad una definizione della violenza più razionalmente valida e più praticamente utilizzabile, giacché pur nello studio approfondito del diritto positivo e nel più sincero rispetto per l'ordinamento giuridico nel quale operate, non siete ottenebrati dal falso dogma del positivismo statualistico, né dai permanenti equivoci contro il diritto naturale. Vediamo in breve quale è la via più chiaramente aperta.


4. La violenza, anche forse etimologicamente, appare come una violazione. Si è detto violazione di singoli valori umani o visti in se stessi, o in quanto protetti dal diritto positivo. Ma il primo criterio è essenzialmente morale, e non sembra consentire una definizione generale universalmente valida. Il secondo (detto istituzionale) è quello proprio del diritto penale; ma, in via generale, urta contro la ineliminabile difficoltà che mentre nelle odierne società in trasformazione sono dappertutto in discussione proprio le istituzioni, o diritto positivo, la storia antica, moderna e persino contemporanea ci mostra regimi dispotici, totalitari e disumani, le cui leggi, sebbene per la retta filosofia vadano dette piuttosto "monstra legum" che "leges", formalmente sono pur sempre leggi e istituzioni positive.

Con più felice intuito della verità sostanziale, giuristi e moralisti, specie cattolici, han fatto ricorso al valore supremo della vita associata: la dignità della persona umana. A parte il fatto pero che tale valore considerato in sé e per sé, ossia nella sua nuda astrazione, non va oggi scevro di equivocità (tanto che esso viene invocato a giustificare anche le più indubbie violenze delle rivoluzioni, delle guerriglie) non può dirsi che qualsiasi violenza vietata dalle leggi per ottenere il rispetto di un ordine esclusivamente positivo (si pensi a quello processuale) costituisca propriamente violazione della dignità della persona umana. Aggiungasi che tale dignità ha contenuti storici diversi nei diversi contesti storici.

Il vero è che nella definizione generalissima della violenza, non si può prescindere dall'idea del diritto, come quel sistema concreto in cui i valori umani, ivi compreso quello supremo, sono ordinati tra di loro ed in riguardo al fine comune dei soggetti. Il vero concetto di diritto, il concetto fondamentale di ogni diritto, è quello di "ordine di giustizia tra uomini". Il primo, più radicale e sia pur embrionale ordine di giustizia tra gli uomini, è il diritto naturale, che fa della persona umana il fondamento primo ed il fine ultimo di tutta la vita umana politicamente associata. Quel diritto da cui scaturiscono, nella varietà e nella mutabilità delle situazioni storiche, i diversi ordinamenti positivi. Quel diritto che, prima ed ancor più della forza pubblica, assicura a tali ordinamenti la loro etica validità, la loro continua perfettibilità, e la loro crescente comunicabilità in ordine a civiltà sempre più vaste sino a quella universale.

Orbene, la violenza in generale non altrimenti può essere definita che come violazione di un siffatto ordine di giustizia.


5. Ancora un punto deve essere almeno sommariamente toccato per completare il quadro dei rapporti tra violenza e diritto, specialmente a voi che non siete solo giuristi ma anche ed anzitutto cattolici. Come deve essere valutato, nel quadro del diritto in genere e di quello canonico in particolare, il nobilissimo "principio della non violenza"? E' da osservare, anzitutto, che tale principio, già non estraneo al Vecchio Testamento, è stato insegnato e praticato al massimo dallo stesso Redentore, che sia le profezie, sia i Vangeli, ci presentano come "agnello condotto ingiustamente al macello, senza alcuna ribellione o lamento da parte sua". Di fronte agli atti di violenza egli dice addirittura: "Se qualcuno ti percuote una guancia, tu offrigli l'altra guancia" (Lc 6,29). Ma nel sistema del pensiero cristiano il principio della non violenza non ha soltanto portata negativa (non opporre violenza a violenza), bensi anche portata positiva, e di gran lunga superiore. Si può dire infatti, che la più cristiana delle massime inculcateci dal Redentore con l'esempio e con un esplicito precetto è questa: "Non ti lasciar vincere dal male, ma vinci il male con il bene" (Rm 12,21), con un bene cioè ancora maggiore (che nel concreto risulta essere l'amore).

Se, come giuristi, voi comprendete che non si può costruire una società fondata solo sul negativo principio della non violenza, come giuristi cattolici vorremmo affidare anche a voi lo studio dei mezzi per realizzare, o almeno per tendere sempre più concretamente e sistematicamente a porre le condizioni perché si realizzi il grande ideale umano, propugnato dal mio grande predecessore Paolo VI: l'universale civiltà dell'amore. Come egli diceva, quest'ideale non è affatto una utopia perché la legge dell'amore è radicata nel cuore di ogni uomo, creato ad immagine di Dio che è amore, e dunque di tutti gli uomini.

Il vostro insostituibile contributo, una volta che tutti i popoli hanno riconosciuto che fondamento primo e fine ultimo della vita umana politicamente associata è la dignità di persona spettante a tutti gli uomini, non è solo quella di combattere la mostruosa concezione del diritto come forza, nel quale vi siete sempre segnalati, ma anche di respingere quella formalistica, che vede negli ordinamenti giuridici dei semplici regolamenti esterni delle libertà individuali, o dei gruppi, ovvero una semplice garanzia dei beni posseduti dai singoli. A quel modo che l'uomo non è destinato solo a vivere con gli altri, ma anche per gli altri, trovando in ciò la più alta perfezione della sua stessa personalità, ciascun popolo non può pensare esclusivamente al proprio benessere, ma deve anche contribuire a quello degli altri popoli, verificando così l'autentica umanità della sua stessa civiltà particolare. Il dovere della solidarietà, e dunque dell'amore, non può essere estraneo al diritto giacché esso, essendo iscritto nella stessa realtà esistenziale dell'uomo, è il primo precetto del diritto naturale, dopo quello dell'amore per Dio.

Il concetto del diritto, secondo l'antichissima istituzione, va ricondotto a quello di giustizia, ma non solo a quello della giustizia parmeneidiana, che, distinguendo il "mio" dal "tuo", separava l'"io" dal "tu", bensi a quella della "iustitia maior" predicata da Cristo, che è la carità.

In conclusione: come con il solo principio negativo della non violenza non si può costruire una società, così non si può costruire una "società senza diritto e senza Stato" come promettono certe utopie contemporanee. Ma ben si può costruire una società fondata sull'amore; ben si può e si deve tendere a un'universale civiltà dell'amore. Qui la violenza sarà esclusa perché contraria al diritto che è carità: "plenitudo legis dilectio" (Rm 13,10).

Invocando sui lavori del vostro convegno l'abbondanza dei favori celesti, vi imparto di cuore la propiziatrice benedizione apostolica, che estendo ai vostri familiari ed alle persone care.

Data: 1980-12-06 Data estesa: Sabato 6 Dicembre 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Amiamo il Signore che viene incontro all'uomo

1. "Regem venturum Dominum venite adoremus".

Con queste parole iniziamo la nostra quotidiana liturgia delle ore d'avvento, chiedendo al Signore di poter "amare la sua venuta" e di potergli dedicare tutta la vita. Prego, cari fratelli e sorelle, perché tale amore della "venuta del Signore" sia in ognuno di voi ed in me stesso. Preghiamo insieme perché sia presente anche in ogni cristiano, anzi in ogni uomo: perché sia amata quella sua prima venuta nel corpo umano, la quale si rinnova ogni anno mediante la solennità del Natale del Signore; e preghiamo anche perché sia amato quel suo incessante venire all'uomo: al cuore umano e alla storia dell'uomo, ai singoli popoli e nazioni, alle generazioni che si susseguono, ed alle epoche dell'umanità.

Infine preghiamo perché sia amata quella sua ultima venuta che significa, nello stesso tempo, il termine e l'inizio: il termine del mondo e l'inizio di "nuovi cieli e di una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia" (2P 3,13).

"Regem venturum Dominum venite adoremus"! 2. Il 7 dicembre, cioè oggi, la Chiesa ricorda l'intrepido Vescovo di Milano, uno dei grandi pastori e maestri della fede nell'epoca patristica, sant'Ambrogio.

Verso la sede vescovile di sant'Ambrogio, dalla quale nel corso dei secoli molti pastori vennero alla sede romana di Pietro - l'ultimo fu il Cardinale Montini, Papa Paolo VI - si rivolgono i nostri pensieri, supplicando nella preghiera d'avvento di poter perseverare in un amore sempre più grande per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.


3. Oggi vorrei andare con il pensiero alla Chiesa che vive in Indonesia. Qualche tempo fa ho avuto l'intima gioia e la grande consolazione di incontrarmi con i suoi benemeriti pastori durante la "visita ad limina apostolorum".

Quella promettente comunità cattolica comprende trentatré circoscrizioni ecclesiastiche e circa quattro milioni di fedeli. Essa offre, accanto all'impegno di evangelizzazione, un servizio non meno valido ed apprezzato nel campo della promozione umana della società indonesiana, soprattutto nei settori educativo e sanitario. Le numerosissime scuole cattoliche, di ogni ordine e grado, curano l'educazione e la formazione di circa otto milioni di studenti di varie età. Gli ospedali e agli altri istituti di assistenza svolgono un'opera molto apprezzata.

I giovani che accolgono l'invito del Signore al sacerdozio e alla vita consacrata sono in costante e consolante aumento. Ma la Chiesa Indonesiana - generosamente impegnata nell'approfondimento di una propria e ricca fisionomia - ha ancora grande bisogno, per il servizio delle sue istituzioni, del contributo di personale ecclesiastico qualificato che proviene dalle chiese sorelle. Ho fiducia che questa indispensabile solidarietà ecclesiale continuerà ad essere favorita - come sino ad ora è stato fatto - perché le necessità spirituali della popolazione cattolica possano essere adeguatamente soddisfatte.

A quei venerati fratelli nell'episcopato, agli amati sacerdoti e religiosi, agli indonesiani tutti, va il mio ricordo beneaugurante e benedicente.

Unite la vostra preghiera alla mia perché il Signore, per l'intercessione della Vergine santa, elargisca alla Chiesa che è in Indonesia larga abbondanza di grazie e benedizioni.

[Omissis. Seguono i saluti al gruppo "amici di Raoul Follereau"; alla federazione italiana di atletica leggera e alla parrocchia di san Giorgio in Valgreghentino.]

Data: 1980-12-07 Data estesa: Domenica 7 Dicembre 1980.


Ai pellegrini - Aula Paolo VI - Città del vaticano (Roma)

Titolo: Incontro

Carissimi fratelli e amati figli e figlie! Avete espresso il desiderio di incontrarvi con il Papa, in una udienza speciale, a voi riservata, per incontrarvi un poco con lui e manifestare così la vostra fede e il vostro ossequio, e siete stati esauditi! Grande perciò è la vostra gioia; ma più grande ancora è la mia. Sia ringraziato il Signore per questo dono di fraternità e di amicizia, che ci consola e ci conforta! E siate ringraziati anche tutti voi, che siete qui venuti, spinti dall'affetto e dall'ansia di persone credenti e sensibili.

1. Saluto anzitutto il pellegrinaggio della diocesi di Concordia-Pordenone, organizzato per commemorare in modo degno e concreto il primo decennio di attività pastorale del Vescovo e per dare nuovo impulso all'intera vita diocesana. Saluto con sincera deferenza monsignor Abramo Freschi, vostro amato pastore, insieme con i sacerdoti, i religiosi, le religiose; saluto le autorità civili di ogni grado, che hanno voluto onorare con la loro partecipazione l'iniziativa: soprattutto voglio salutare voi, cari fedeli, Popolo di Dio e della Chiesa della Venezia Giulia, ben nota regione d'Italia per le sue drammatiche vicende e per il suo carattere austero e coraggioso; e per vostro mezzo porgo il mio affettuoso saluto anche ai trecentomila abitanti dell'intera diocesi che qui rappresentate.

La vostra presenza, così varia e pur così omogenea, attorno al vostro Vescovo e ai vostri sacerdoti, presso il successore di Pietro, mi suggerisce un'esortazione, che desidero lasciarvi come particolare ricordo: rimanete sempre uniti! Vogliatevi bene! Lavorate insieme con amore, con bontà, con comprensione e dedizione reciproca! La vostra terra, profondamente cristiana e duramente tribolata, sappia mantenere le caratteristiche della fraternità, dell'aiuto vicendevole, della fede convinta nei valori supremi, che hanno guidato i vostri antenati attraverso la storia, tra tante peripezie e avversità! Questo è l'augurio sincero che vi lascio in questo memorabile incontro.


2. Saluto ora con particolare effusione il folto gruppo di sacerdoti e di educatori, giovani e adulti, dell'Azione Cattolica ragazzi, che partecipano al convegno nazionale per educatori parrocchiali, sul tema: "I ragazzi chiedevano il pane e non c'era chi lo spezzasse per loro". Sono lieto di poter prima di tutti porgere il mio riconoscente benvenuto all'assistente generale dell'Azione Cattolica, monsignor Giuseppe Costanzo, al nuovo presidente generale, professor Alberto Monticone, e a tutti gli altri dirigenti e responsabili.

A voi, in modo del tutto particolare, carissimi giovani, giunga il mio saluto, pieno di cordialità, di amicizia, di fiducia! Vi ringrazio della vostra presenza e soprattutto della vostra generosità. Mi compiaccio vivamente di questa vostra partecipazione alle inizative del centro e apprezzo profondamente il vostro interessamento per la formazione umana e cristiana della gioventù.

Ringraziate il Signore che vi ha chiamati a questa nobile ed alta missione, che riempie di santo fervore la vostra vita e la impegna verso splendidi ideali! Nello stesso tempo sentitevi responsabili di un compito delicato e importantissimo, per cui avete sempre bisogno di luce interiore e di forza. Sono certo che tornerete nelle vostre parrocchie ricchi di santo entusiasmo per amare i ragazzi a voi affidati, per spezzare loro con convinzione e sicurezza il pane della verità, della carità e della santità, seguendo i passi dell'amico Gesù! Avete un incarico meraviglioso! Svolgetelo con passione e con delicatezza, ricordando che in tal modo voi servite la Chiesa, e contribuite in modo diretto e determinante alla formazione dei giovani, e alla salvezza della famiglia e quindi della società.

Soprattutto cercate di inculcare nei ragazzi il "senso della missionarietà". Infatti per la ricchezza della grazia, i doni naturali e la cultura religiosa che possiedono, anche i fanciulli possono e devono essere i "testimoni" viventi di Cristo tra i loro compagni, in tutti gli ambienti in cui si trovano, in modo da far conoscere e amare la loro stessa fede. Fate emergere questa vocazione e indicate loro il modo concreto per realizzarla, perché tutta l'Azione Cattolica deve essere essenzialmente missionaria.

Carissimi! Nel congedarmi da voi, dopo questa breve parentesi così affettuosa e toccante, non posso fare altro che assicurarvi il ricordo nelle mie preghiere! Restiamo tutti uniti nella fede, nella speranza e nella carità reciproca! Tutto passa, ma l'amore resta! Ricordiamoci a vicenda, convinti che non c'è felicità se non nel servizio del Signore! Vi aiuti e vi ispiri la Madonna immacolata, la Vergine dell'attesa, a cui raccomando tutti voi, fedeli di Concordia-Pordenone ed educatori dell'Azione Cattolica ragazzi! Portate nei vostri ambienti il sorriso di Maria, madre nostra! Con affetto vi imparto la benedizione apostolica, nel nome del Signore!

Data: 1980-12-07 Data estesa: Domenica 7 Dicembre 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Ad un gruppo di minatori - Città del Vaticano (Roma)