GPII 1980 Insegnamenti - A conclusione della visita - Cattedrale di santa Scolastica - Subiaco

A conclusione della visita - Cattedrale di santa Scolastica - Subiaco

Titolo: Una grande preghiera al patriarca dell'occidente

Al termine di questo pellegrinaggio che ho compiuto insieme con i Vescovi dell'Europa in questi luoghi così carichi di spiritualità e consacrati dalla presenza di san Benedetto, desidero innalzare al santo patrono d'Europa una fervida invocazione: 1. O san Benedetto abate! / L'umile successore di Pietro e i Vescovi dell'Europa, / che tu hai tanto amata, / siamo venuti in questo luogo, nel quale, giovane studente, / hai cercato e trovato il significato più vero della tua esistenza; / in questo luogo, nel quale, aiutato dal silenzio, / dalla riflessione, dalla preghiera, dalla penitenza, / ti sei preparato ad essere docile strumento della misericordia di Dio, / che voleva fare di te una guida ed un maestro / per l'Europa, per la Chiesa, per il mondo.

Siamo venuti in pellegrinaggio al fine di esprimere, anzitutto, / la nostra immensa gratitudine alla Trinità santissima / per il dono, che quindici secoli fa, ha fatto alla Chiesa; / ed altresi al fine di dire a te, o santo patrono dell'Europa, / la nostra fervorosa ammirazione per la tua piena corrispondenza / alla grazia ed ascoltare quel messaggio, che tu hai vissuto / in te ed hai anche trasmesso alle future generazioni, / radicato sulla forza liberante del Vangelo, / che è "potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1,16).

O santo patriarca, / tu che non hai insegnato diversamente da come sei vissuto (cfr. S.Gregorii Magni "Dial.", II,36), / fa' sentire a noi tutti, in questa singolare circostanza, / la perenne attualità del tuo insegnamento, / perché continui ad essere ispiratore di bene per l'uomo contemporaneo.


2. Tu ci hai insegnato che Dio creatore e padre / deve essere il "primo servito", mediante la fede viva, / il culto decoroso, l'adorazione devota, la preghiera assidua, / la lieta obbedienza alla sua santissima volontà.

Tu ci hai insegnato che la vita dell'uomo / è degna di esser vissuta, / senza superficiale ottimismo utopistico né disperato pessimismo, / perché è dono dell'amore di Dio e deve essere / una continua, perenne, costante ricerca di Dio, / l'unico vero ed autentico valore assoluto.

Tu ci hai insegnato che il cristiano, per esser veramente tale, / deve "servire nella milizia di Cristo Signore, vero re" (S.Benedicti "Regula", Prol.), / facendo di Cristo il centro della propria vita e dei propri interessi.

Tu ci hai insegnato che, insieme al distacco interiore dai caduchi beni della terra, / dobbiamo possedere una gioiosa ed operosa apertura di spirito e di cuore / verso tutti gli uomini, fratelli in Cristo, figli del medesimo Padre celeste.

Tu ci hai insegnato che, per l'uomo, il lavoro / - non solo quello di chi si china sui libri, ma anche di chi si china / con la fronte madida di sudore e con le mani doloranti, a dissodare la terra - / non è umiliazione né alienazione, ma elevazione, esaltazione, / anzi partecipazione all'opera creativa di Dio; / e contributo cosciente e meritorio alla costruzione della città terrena, / in attesa di quella definitiva ed eterna.

Tu ci hai insegnato che la fede cristiana, / lungi dall'essere elemento di divisione o di disgregazione, / è matrice di unità, di solidarietà, di fusione / anche nell'ordine temporale, sociale, culturale, / e che quindi la libertà religiosa è uno dei diritti inalienabili dell'uomo.


3. Per questo, o santo patriarca, ti invochiamo questa sera: / innalza le tue larghe, paterne braccia alla Trinità santissima / e prega per il mondo, per la Chiesa e, in particolare, per l'Europa, / per la tua Europa, di cui sei celeste patrono: / che essa non dimentichi, non rifiuti, non rinunci allo straordinario tesoro / della fede cristiana, che per secoli ha animato e fecondato la storia / ed il progresso morale, civile, culturale, artistico, delle sue singole nazioni; / che, in forza di tale sua matrice "cristiana" / sia portatrice e generatrice di unità e di pace / fra i popoli del continente e quelli del mondo intero; / garantisca a tutti i suoi cittadini la serenità, la pace, il lavoro, la sicurezza, / i diritti fondamentali, quali quelli concernenti la religione, la vita, la famiglia, il matrimonio.

Con la tua preghiera, o santo patrono dell'Europa, / invochiamo supplici l'intercessione della tua diletta sorella.

O santa Scolastica, a te affidiamo in particolare le fanciulle, le giovani, / le religiose, le madri, perché sappiano vivere oggi / la loro dignità di esser donne, secondo il disegno di Dio.

San Benedetto e santa Scolastica, pregate per noi! / Amen!

Data: 1980-09-28 Data estesa: Domenica 28 Settembre 1980.


Al Sindaco - Subiaco

Titolo: Subiaco, luogo privilegiato

Signor Sindaco! Le nobili espressioni con le quali Ella, interpretando anche i sentimenti dei membri dell'Amministrazione Comunale e dell'intera popolazione di Subiaco, ha voluto così cortesemente darmi il benvenuto, sono per me motivo di sincero apprezzamento per l'alto senso di ospitalità, che tanto distingue questa terra, ben nota non solo per il suo secolare attaccamento alla Sede Apostolica, come Ella ha ben ricordato, ma anche per le care memorie, lasciate dalla presenza di San Benedetto Abate. Ringrazio perciò Lei e tutte le Autorità Religiose, Civili e Militari, che si sono qui associate all'omaggio deferente.

In questo anno dedicato al ricordo di San Benedetto e di Santa Scolastica, sua sorella, dopo aver fatto visita a Norcia, città natale dei due Santi, e a Montecassino, considerata la Casa madre dell'Ordine benedettino, non potevo non recarmi in pio pellegrinaggio qui a Subiaco, dove San Benedetto trascorse gran parte della sua esistenza terrena ed attese al conseguimento di quella perfezione evangelica, cioè a quella "scuola del Servizio del Signore", che ben presto doveva dilatarsi e riversarsi nelle comunità dei primi tredici monasteri, da lui fondati sui monti circostanti e lungo la Valle dell'Aniene.

Subiaco, col Santuario del Sacro Speco, con il suo verde, con la sua pace, con le sue acque limpide, rimane sempre un luogo privilegiato, che non ha perduto nulla di quelle antiche attrattive, che fecero da cornice alla figura solitaria e insieme sociale del grande Fondatore del Monachesimo d'Occidente. Qui Egli riformo se stesso per poi riformare la società, qui il suo spirito maturo quella grande rivoluzione, che avrebbe trovato poi compiuta espressione nella Regola, scritta a Montecassino, ma già qui concepita e rimuginata nel profondo del suo cuore e nella solitudine di questi luoghi divenuti ormai sacri alla devozione del popolo cristiano.

Si può in un certo senso parlare quindi di Subiaco, come della culla dello spirito benedettino, il quale avrebbe poi pervaso e fermentato popoli interi fino a farli sentire uniti in una sola cultura e in una medesima fede. Egli infatti fu un Uomo che seppe armonizzare anima e corpo, natura e grazia, il sociale e lo spirituale, il vecchio e il nuovo da creare, forse senza prevederlo, una nuova civiltà: la civiltà cristiana. Infatti, come già ebbi a dire a Norcia: "In un'epoca di profondi mutamenti, quando l'antico ordinamento romano stava ormai crollando ed era per nascere una nuova società sotto l'impulso dei nuovi popoli emergenti sull'orizzonte dell'Europa, egli assunse responsabilmente la propria parte, che fu preminente, di impegno non solo religioso, ma anche sociale e civile. Promosse la coltivazione razionale delle terre, contribui alla salvaguardia dell'antico patrimonio culturale letterario, influi sulla trasformazione dei costumi dei cosiddetti barbari...E ciò non a livello di un gretto e allora sconosciuto nazionalismo, ma, mediante i suoi monaci, a dimensione continentale, per cui giustamente il mio Predecessore Paolo VI lo ha proclamato Patrono d'Europa".

Ed è appunto per venerare tanto grande Patrono che oggi i Rappresentanti delle Conferenze Episcopali d'Europa, sono venuti in pellegrinaggio a Subiaco.

Essi, celebrando insieme col Papa il centenario benedettino, intendono ringraziare il Signore di quanto ha donato all'Europa per mezzo di San Benedetto e riproporne i suoi insegnamenti affinché si ricuperi la dimensione del divino in ogni realtà terrena.

Con questi sentimenti, mentre formo voti per la prosperità e il benessere di questa città, ricostruita con generoso impegno dopo le devastazioni della guerra, imploro su tutti gli abitanti il Patrocinio di San Benedetto, e tutti benedico nel nome del Signore.

Data: 1980-09-28 Data estesa: Domenica 28 Settembre 1980.


Piazza della Resistenza - Subiaco

Titolo: San Benedetto, uomo di Dio, ripropone la totalità del Vangelo

Carissimi fedeli di Subiaco, 1. Sono lieto, al termine del pellegrinaggio con i Vescovi Europei al Sacro Speco, di potermi incontrare con voi e testimoniarvi l'affetto profondo che nutro per questa vostra comunità il cui nome, grazie a San Benedetto, è noto nel mondo intero. Col Rev.mo Padre Abate, saluto tutti voi, e con speciale intensità di sentimento, le persone anziane e quelle che soffrono. Il mio saluto cordiale va anche ai bambini e ai giovani, che rallegrano con lo loro presenza festosa questa nostra assemblea liturgica.

Siamo raccolti intorno all'altare di Dio per celebrare il memoriale della passione, della morte e della risurrezione di Cristo. Abbiamo ascoltato la lettura dei brani biblici, che la Liturgia oggi ci offre ed ora siamo invitati a meditare sugli ammonimenti in essi contenuti: sono parole di giudizio e sono parole di promessa.

In questo luogo ed in questo momento non possiamo fare a meno di pensare che su queste pagine fermo la propria riflessione anche Benedetto durante la sua vita terrena. Con quale eco profonda dovettero risuonare nella sua anima le minacce contro i ricchi e contro le aberrazioni che di solito si accompagnano al possesso di beni materiali eccessivi! E quale intima vibrazione di consenso e di adesione non dovette suscitare in lui la parola di Paolo a Timoteo, che pure noi abbiamo or ora ascoltata: "Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni" (1Tm 6,11-12).


2. Benedetto fu uomo di Dio, e divenne tale, seguendo la via delle virtù così chiaramente indicata dagli apostoli. Seguendola costantemente ed incessantemente.

Egli fu un vero pellegrino del Regno di Dio, un vero "homo viator". Non si fermo lungo la strada, non dirotto verso cammini più facili. Tutto il suo impegno fu orientato ad eseguire la consegna: combattere la buona battaglia della fede per "conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo" (1Tm 6,14).

In questa lotta egli impiego tutto il tempo che l'Eterno Padre volle concedergli su questa terra. Fu una dura battaglia che egli condusse con se stesso, battendo "l'uomo vecchio" e facendo in sé sempre più spazio per "l'uomo nuovo", che cresce per la "manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo". Ed il Signore, mediante lo Spirito Santo, fece si che questa trasformazione non rimanesse in lui soltanto; nella sua provvidenza ammirabile dispose che l'esperienza di Benedetto divenisse una fonte di irradiazione, che ha penetrato la storia degli uomini, che ha penetrato soprattutto la storia d'Europa.

Subiaco fu e rimane una tappa importante di questo processo: il luogo del nascondimento di S. Benedetto da Norcia e nello stesso tempo il luogo della sua manifestazione.


3. Uomo di Dio fu Benedetto, perché si sforzo di rendere la sua vita totalmente trasparente al Vangelo. Egli infatti non si accontento di leggere il Vangelo allo scopo di conoscerlo; volle conoscerlo per tradurlo, tutto intero, in ogni aspetto della sua vita. Egli lesse il Vangelo nel suo insieme e, nello stesso tempo, ogni brano di esso, ogni pericope che la Chiesa rilegge nella sua liturgia, ogni frammento. Infatti, in ogni frammento del Vangelo è contenuto, in un certo senso, l'insieme: l'insieme vive in ogni frammento, così come ogni frammento vive dell'insieme.

E' in questa luce che noi dobbiamo pensare a questo frammento che oggi rileggiamo qui, la parabola cioè del ricco epulone e del povero Lazzaro: "C'era un uomo ricco che vestiva di porpora e di bisso...".

L'uomo di Dio Benedetto vibrava in sintonia col racconto, mentre leggeva con tutta la profondità della sua anima queste parole eterne, in un certo senso assorbendo tutta la semplicità della verità, racchiusa in questo frammento. E la verità è quella che emerge, folgorante, dall'esempio di Cristo il quale - come rileva San Paolo - "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Co 8,9).


4. La verità sta dunque in una profonda "inversione di tendenza": alla smania di possedere sempre di più è necessario sostituire l'impegno del distacco dai beni della terra; alla logica della competizione per impadronirsi di una ricchezza sempre più grande, bisogna contrapporre lo sforzo di portare ad un giusto benessere il maggior numero possibile di uomini; ad una mentalità, che considera i beni materiali come oggetto di preda, bisogna far subentrare una mentalità che vede in essi dei mezzi di amicizia e di comunione.

La ricchezza, purtroppo, è normalmente occasione di divisione ed incentivo alla lotta; essa deve diventare, invece, strumento di comune partecipazione alla gioia di una vita degna di esseri umani: ricchezza, dunque, come fonte di elevazione per tutti, nella possibilità di accedere ai valori della cultura, della conoscenza reciproca, della stessa esperienza religiosa, favorita da una maggiore disponibilità di tempo e dall'interiore libertà dalle ansie di un domani incerto.

Sono valori che possono essere capiti soltanto dall'"uomo nuovo" che, rinascendo in Cristo, riscopre il vero significato delle cose. E' necessaria la conversione del cuore per poter guardare alle realtà mondane con gli occhi di Cristo, il quale, con la parola e con l'esempio, ci ha rivelato che la vera ricchezza sta nel distacco, la vera forza in ciò che la gente considera debolezza, la vera libertà nel mettersi volontariamente al servizio dei fratelli.


5. Benedetto, uomo di Dio, questa "verità" l'assimilo fin nei suoi più riposti risvolti. Ne è prova la "Regola", che ad essa si ispira in ogni sua parte: il monaco è un uomo che rinuncia a gareggiare con gli altri per superarli e per dominarli, ma s'impegna, invece, a gareggiare con se stesso nel dominare le proprie cupidigie, per mettersi al servizio degli altri nell'amore.

Ecco: il criterio principe, che guido San Benedetto nella redazione delle norme di convivenza all'interno del monastero, fu appunto quello della carità vicendevole, dalla quale i "fratelli" dovevano essere indotti ad un atteggiamento di costante attenzione reciproca e di premurosa disponibilità nel rendersi l'un l'altro i servizi necessari. V'è un capitolo della "Regola", il settantaduesimo, che traccia un quadro suggestivo dei rapporti, che devono instaurarsi all'interno della famiglia monastica. E' una pagina alla quale non ogni famiglia cristiana soltanto dovrebbe guardare come ad uno stimolante ideale, ma a cui può rifarsi utilmente anche la comunità civile per trarne ispirazione nell'impostare i propri rapporti di convivenza.

Illustrando, dunque, "il fervore che deve animare con ardentissimo spirito di carità i monaci", Benedetto stabilisce: "Si prevengano l'un l'altro nel rendersi onore; sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali; si prestino a gara obbedienza reciproca; nessuno cerchi l'utilità propria ma piuttosto l'altrui; nutrano l'uno verso l'altro un casto amore fraterno; temano Dio amandolo; ...nulla assolutamente antepongano a Cristo, il quale ci conduca tutti alla vita eterna" (San Benedetto, Regula, VII, 3- 9.11-12).

Sono indicazioni indubbiamente molto elevate, la cui attuazione può apparire riservata a pochi spiriti privilegiati. Non va, tuttavia, dimenticato che un simile ideale Benedetto oso proporre a uomini provenienti da una società in sfacelo, nella quale predominavano l'arbitrio, la violenza, lo sfruttamento. E fu sulla base di tali norme che dal decrepito mondo di una romanità, ridotta ormai ad una larva inconsistente, poterono sorgere in varie parti d'Italia e d'Europa i vivaci nuclei sociali dei monasteri, nei quali uomini diversi per età, razza, cultura, si trovarono affratellati nell'opera ciclopica della costruzione di una nuova civiltà.


6. Su questi valori anche la nostra società, interiormente corrosa da pericolosi germi di disgregazione e di disfacimento, può ritrovare decisivi fattori di coesione e di ripresa. Benedetto ci offre la prova non controvertibile del come si possa far penetrare il Vangelo nella storia concreta degli uomini, apportandovi un dinamismo trasformatore, capace di impensati, benefici sviluppi. L'esperienza benedettina, forte ormai del collaudo di quasi quindici secoli di storia, sta sotto i nostri occhi per dimostrarci come l'amore, che si apre ai fratelli per condividere con essi qualità personali, energie, beni, si riveli la vera "molla" del progresso, l'unica capace di far avanzare la società senza mai sacrificare l'uomo.

Che Iddio conceda agli uomini d'oggi di accogliere questa lezione feconda e di avviarsi con decisione, seguendo le orme di San Benedetto, sulle strade del reciproco rispetto, dell'apertura leale, della condivisione generosa, dell'impegno concorde, in una parola, sulle strade dell'amore. Il futuro lo costruisce non chi odia, ma chi ama.

Lo riaffermiamo in questa celebrazione liturgica, nella quale Cristo ci raccoglie intorno alla sua mensa, per distribuirci quel Pane che fa di noi tutti una cosa sola con Lui ed in Lui. La partecipazione al Corpo ed al Sangue del Signore impegna i cristiani - è bene ricordarlo ogni tanto - ad essere nel mondo i testimoni dell'amore di Colui che, lasciandosi inchiodare sulla croce, ha "perso la propria vita" (Mt 10,39), per consentire all'uomo di ritrovare se stesso.

Data: 1980-09-28 Data estesa: Domenica 28 Settembre 1980.


Nel millennio della nascita di San Gerardo Vescovo e Martire

Titolo: Lettera alla Chiesa che è in Ungheria

Al signor Cardinale Laszlo Lékai Arcivescovo di Esztergom agli Arcivescovi, ai Vescovi, al clero, ai religiosi e religiose ed a tutti i fedeli A così breve distanza di tempo dalla mia ultima Lettera, ho la gioia di potermi rivolgere ancora una volta a Voi, per una lieta circostanza.

La Chiesa universale festeggia quest'anno il 1500° anniversario della nascita di San Benedetto, patriarca del monachesimo occidentale, e la Chiesa locale ungherese in questo stesso anno commemora anche il millennio della nascita di San Gerardo, Vescovo e Martire, uno dei grandi figli di San Benedetto.

Sorprendente coincidenza di due anniversari! San Gerardo fu monaco del chiostro veneziano di San Giorgio, eletto abate ancor giovane.

Dalle sue biografie, la figura di San Gerardo ci appare in tre successive forme tipiche di vita cristiana: come monaco, come apostolo e come martire. Il monaco è uomo di Dio che, in preghiera e lavoro, dedica completamente la sua vita a Dio; l'apostolo, annunziatore della lieta novella salvifica del Vangelo, che educa a santità di vita il cristiano e conduce il pagano al cristianesimo; il martire che, come estrema testimonianza del suo amore, dona a Dio totalmente se stesso, la sua vita orante e la sua attività apostolica.

I. San Gerardo fu uomo di Dio: monaco seguace della Regola di San Benedetto che consacro a Dio la sua vita in preghiera e in lavoro. Nella Regola di San Benedetto il criterio della vocazione claustrale è se il monaco ricerca veramente Dio, "si revera Deum quaerit". Modalità pratica di questa ricerca è seguire Cristo senza cedimenti e compromessi sulla via dell'obbedienza monastica. Ciò si confà - scrive la Regola - a coloro "qui nihil sibi a Christo carius aliquid existimant", i quali, proprio per tale motivo, Lo seguono in ciò che è più caratterizzante della sua vita terrena e che Cristo stesso così defini: "Non veni facere voluntatem meam, sed Eius qui misit me".

Ebbene, San Gerardo fu uomo di Dio, perché consacro a Dio tutta la sua vita con questo intendimento di obbedienza, facendo proprio quanto enunciato da Cristo. In che modo? La risposta è chiara e univoca: secondo i dettami della Regola, nella duplice armonia della preghiera e del lavoro.

San Gerardo, quale uomo di Dio fu uomo di preghiera, se consideriamo la preghiera nella tradizione monastica quale unione trina organicamente connessa di lectio, meditatio e contemplatio. Egli rinuncio volentieri all'ufficio abbaziale per potersi trasferire in Terra Santa al fine di immergersi colà, seguendo l'esempio e l'insegnamento di San Girolamo, nello studio della Bibbia. Non si dimentichi che questa lectio divina, cioè lo studio della Bibbia e dei commenti biblici dei santi padri, non è, secondo la tradizione monastica, in primo luogo ricerca scientifica, bensi - nella forma sia della liturgia comunitaria, sia della meditazione - fonte di orazione che conduce all'amore e alla contemplazione di Dio, alla perfezione della preghiera interiore.

Ma la preghiera interiore si espande e cresce nell'anima solamente se viene nutrita continuamente dall'attività spirituale della lectio divina, e apporta i suoi frutti solo se induce al compimento quotidiano, alle azioni vive del servizio fraterno. Il duplice concetto della preghiera e del lavoro: questa è la forma di vita di San Gerardo. Il suo lavoro fu permeato dallo spirito dell'orazione e nelle sue preghiere offri incessantemente a Dio la sua vita laboriosa.

L'unità della preghiera e del lavoro è ideale che conserva la sua attualità anche per il credente dei nostri giorni. La società moderna, fondata sul lavoro e sul costante aumento della produzione economica, deve saper trovare un adeguato movente morale e spirituale per non diventare schiavi di quelle forze che riesce a dominare con la tecnica e con l'impegno lavorativo. Come si può rendere il lavoro, anche il più umile e faticoso, degno dell'uomo? Donde deriva lo spirito che conferisce forza morale al lavoratore e valore umano al lavoro? San Gerardo ci insegna quale fonte, per tutte queste cose, sia la preghiera, perché l'uomo orante comprende meglio di altri quale sia la volontà di Dio, e nella preghiera trova anche la forza per compiere ciò che Dio vuole.
II. E' particolarmente meritevole di attenzione nella vita di San Gerardo la graduale formazione della sua personalità apostolica. La Divina Provvidenza lo diresse in modo che, sempre più dimentico di se stesso, diventasse uomo per gli altri. Dovette anzitutto rinunziare al suo viaggio in Terra Santa e ai suoi progetti di studio per fare ciò a cui mai aveva pensato: lavorare, in qualità di collaboratore di re Stefano e precettore del principe Emerico, per rafforzare la giovane cristianità magiara. Più tardi dovette sacrificare la sua solitudine nella Selva Baconia, per consacrare le sue forze, in qualità di vescovo missionario, ad organizzare la nuova diocesi di Csanad.

San Gerardo, come monaco e abate, ben conosceva i due capitoli classici della Regola relativi alle funzioni dell'abate. Ambedue sono permeati dalla parabola evangelica del Buon Pastore, giacché San Benedetto considerava l'abate vicario di Cristo, il Buon Pastore, nel monastero. La Regola a questo proposito rileva anzitutto che l'abate, al cospetto di Dio, è responsabile di quanti gli sono stati affidati: "Semper cogitet quia animas suscipit regendas, de quibus et rationem redditurus est". Ma accentua anche che l'abate deve assolvere il suo compito di guida in spirito di servizio fraterno: "Sciat sibi oportere prodesse magis quam praeesse". Questo servizio deve essere guidato da amore scevro da preferenze personali e adorno di saggia misura che rendono l'abate capace di adattarsi e conformarsi alla natura particolare e al grado di intelligenza di quanti gli sono stati affidati: "Sciat quam difficilem et arduam rem suscipit, regere animas et multorum servire moribus".

Questo spirito del Buon Pastore, a cui San Gerardo, monaco e abate, era stato educato dalla Regola, lo rese anche atto a diventare consigliere di re Stefano e precettore del principe Emerico.

Nella società moderna, come in ogni altro tempo, non è forse una benedizione l'avere simili consiglieri e simili precettori che, siano essi ecclesiastici o laici, nella consapevolezza della loro responsabilità, non solo davanti agli uomini, ma anche dinanzi a Dio, si occupino del destino del popolo e specie dell'educazione e della direzione della gioventù, con quello spirito che, seguendo i principii dell'amore fraterno e della saggia misura, li consacra generosamente al servizio della comunità? Esempio ammirevole per tutti i tempi non è forse Cristo che non è venuto per regnare, ma per servire e per sacrificare la propria vita per il bene dell'umanità? (cfr. Mt 20,28).

Perché tale spirito venga formato non solo nella coscienza di quanti hanno responsabilità, ma anche nella coscienza di ogni membro della Chiesa e della società e diventi sempre più operante, è necessaria la conoscenza della dottrina cristiana. Nella mia Lettera, inviata a Voi tutti il giorno di Pasqua di quest'anno, ho ricordato l'importanza essenziale della catechesi per la formazione dei cristiani nel nostro tempo, e ciò non solo per i fanciulli e per i giovani, ma anche, e soprattutto, per le persone adulte. E' la dottrina cristiana che forma lo spirito del Buon Pastore necessario per quanti si sentono chiamati a rinnovare la Chiesa e la società.

Questo spirito conferi a San Gerardo anche la forza di assumersi - rinunciando alla sua solitudine nella Selva Baconia - il lavoro missionario di organizzare la diocesi di Csanad. Il suo sacrificio ci fa rammentare le parole di San Martino, nato in Pannonia oltre mezzo millennio prima, monaco e vescovo in Gallia. Sul suo letto di morte, quando i suoi discepoli lo imploravano di non abbandonarli, il santo vescovo con queste parole si rivolse a Cristo: "Domine, si adhuc populo tuo sum necessarius, non recuso laborem: at voluntas tua". Anche San Gerardo fa testimonianza di una simile prontezza di sacrificio, derivante dal sentimento della responsabilità fraterna e dallo spirito di servizio.

Il Vescovo missionario si accinse alla sua fatica con dodici monaci, scelti dai chiostri ungheresi in via di fioritura, di cui quattro chiamati dal monastero di San Martino del Monte di Pannonia, l'odierna Pannonhalma. A Csanad eresse non solo la cattedrale, ed in onore di Maria Vergine la chiesa claustrale, ma organizzo anche una scuola, destinata specie all'educazione della futura generazione di sacerdoti e monaci.

Ciò che particolarmente interessa l'uomo odierno, è il metodo dell'attività missionaria: che essa, cioè, non resti superficiale ed esteriore, ma conduca alla vera conversione, ossia al mutamento spirituale interiore che nel Vangelo viene chiamato metanoia. Un capitolo della "Deliberatio" testimonia quale sia stato lo spirito dell'attività missionaria di San Gerardo. Egli, spiegando il versetto "Aperiatur terra et germinet salvatorem" di Isaia (45,8), scrive: "Vis audire quomodo aperta exstitit haec terra ad germen rorantibus coelis et pluentibus nubibus? ... Ait (Scriptura): Poenitentiam agite et baptizetur unusquisque vestrum in nomine Domini Iesu Christi, in remissione peccatorum vestrorum, et accipietis donum Spiritus Sancti... Sic aperta est terra, atque tali aperitione germinavit salvatorem, id est praedicavit Christum suum redemptorem ad omnes gentes. Quando doceo gentiles et Christum nescientes, et ipsi veniunt ad divinam perceptionem, audito verbo ex ratione, verbo et fide germino illis Christum... suo itaque verbo et fide germinatur Christus ad illum confluentibus...".

Non è forse questo il metodo missionario che dobbiamo adottare anche oggi, se vogliamo portare le genti a Cristo? Occorre che prima Cristo nasca nelle anime, perché la Chiesa, come comunità di fedeli, rinasca dall'interno. E' indubbio, infatti, che - come insegna il Concilio Ecumenico Vaticano II (LG 8) - la Chiesa è "comunità di fede, di speranza e di carità"; ma sua missione non è solo di vivere la salvezza di Cristo in fede, speranza e carità, bensi di essere anche mediatrice di questa salvezza e, tramite Cristo, "diffondere su tutti la verità e la grazia".

San Gerardo con la sua vita ha dato testimonianza di assiduo servizio dell'evangelizzazione. Egli non ha cercato di annunciare le proprie idee, ma la buona novella di Cristo. Ha compreso anche se può nascere una ordinata comunità ecclesiale solo in questa maniera: cercando la comunione con Cristo ed offrendo la propria vita a servizio dei fratelli. La comunione vissuta con Cristo e con i fratelli rivela il vero significato della istituzione della Chiesa: portare alla comunione mediante la fede in un Dio che è Amore e che ci è vicino. San Gerardo ha dedicato le sue energie per organizzare la Chiesa, comunità locale appena nata, inserendone le radici nella comunità universale, cioè la Chiesa di Cristo. Questa unità, fonte di vita e di fede, è condizione indispensabile per una fruttuosa evangelizzazione; ed anche noi dobbiamo amare e servire la nostra patria terrena, la sua cultura ed i suoi valori, sempre amando e servendo Dio. Ha mai la Chiesa ungherese un compito più importante di quello di seguire lo spirito apostolico sulle orme dell'esempio e dell'insegnamento del suo grande apostolo? III.

Il martirio corono questa vita dedicata a Dio in preghiera ed attività apostolica. Gli avvenimenti sono noti: il vescovo Gerardo, mentre si reca da Székesfehérvar a Buda per raccogliere re Endre e depositare in mani fidate l'eredità di Santo Stefano, cioè il destino della giovane cristianità magiara, viene ucciso da un gruppo di pagani insorti. Questo martirio fu l'estrema testimonianza dell'amore di San Gerardo verso la sua nuova patria, verso il suo nuovo popolo. "Maiorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis" (Jn 15,13). Martirio, nella lingua greca dalla quale ci è venuta la parola, significa appunto "testimonianza".

Se è vero che compito del cristiano di oggi è quello di attuare l'armonia interiore della preghiera e del lavoro, e far sviluppare lo spirito apostolico dedito agli altri, è anche vero che tutto ciò avrà credito e forza agli occhi degli uomini solo se noi rendiamo testimonianza della nostra convinzione con tutta la nostra vita, vissuta e, al bisogno, offerta per i fratelli. Esempio e insegnamento estremo di San Gerardo martire è che noi, con la dedizione totale del nostro talento, delle nostre forze, del nostro impegno, testimoniamo la verità in cui crediamo e che professiamo. "Accipietis virtutem supervenientis Spiritus Sancti in vos, et eritis mihi testes" (Ac 1,8): questo è il testamento di Cristo che ritorna al Padre.

Il monumento di San Gerardo, il monaco, l'apostolo, il martire, si erge nel centro della vostra Capitale, sopra il Danubio, e, con il Crocifisso levato in alto, vi esorta ancor oggi: siate testimoni della fede in Cristo e dell'amore fraterno che è distintivo del Cristianesimo, in mezzo al vostro popolo! Lo Spirito di Cristo vi dia la forza, mediante la potente intercessione della SS.ma Vergine, "Magna Domina Hungarorum".

Con la mia speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 24 settembre 1980, Festa di San Gerardo, Vescovo e Martire.

Data: 1980-09-24 Data estesa: Mercoledi 24 Settembre 1980.




A esponenti dell'Assemblea Nazionale del Libano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Unità, pace e progresso per la nazione libanese

Signori Deputati, Sono contento di incontrare un gruppo così distinto di Deputati all'Assemblea Nazionale Libanese. Dati gli stretti legami esistenti fra la Santa Sede ed il vostro paese e l'interesse particolare che il Vaticano non ha mai smesso di dimostrare, sin dal suo inizio, per la crisi che turba la vita della vostra nazione, questo incontro riveste ai miei occhi, e sicuramente anche ai vostri, un alto significato.

1. Vorrei in primo luogo sottolineare quanto sia eloquente per me il carattere pluralista del vostro gruppo. Pur appartenendo a diverse confessioni spirituali e a diversi partiti, vi mostrate uniti e solidali nelle vostre aspirazioni a servire il vostro paese, a collaborare al suo sviluppo e alla sua pacificazione. Si vorrebbe che tutte le comunità religiose ed etniche, a cominciare dai loro leader, che compongono il multiforme tessuto della popolazione libanese, si comportassero alla stesso modo. Si vorrebbe fossero unte nello sforzo che si impone per restaurare l'immagine del Libano, sfigurato e lacerato da avvenimenti, sfortunatamente, ancora recenti. L'unità del Libano, nel rispetto dei diritti di tutti i cittadini, e delle diverse componenti religiose e socio-culturali, sta molto a cuore alla Santa Sede, come ben sapete. E' una caratteristica originale della sua identità che potrebbe divenire un esempio per la regione del Medio-Oriente e per tutto il mondo. Se i libanesi saranno uniti e leali verso la loro patria, molte difficoltà - che vengono principalmente dall'esterno e che provocano interferenze sul cammino di un nuovo slancio - potranno cadere.


GPII 1980 Insegnamenti - A conclusione della visita - Cattedrale di santa Scolastica - Subiaco