GPII 1981 Insegnamenti - Nella Capella Paolina - Città del Vaticano (Roma)

Nella Capella Paolina - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Battesimo a nove bambini



1. "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt 3,17).

Le parole del Vangelo, ora udite, stanno per avverarsi anche su questi cari bambini, a cui mi accingo ad amministrare il Battesimo. Gesù è il Primogenito di molti fratelli (cfr. Rm 8,29) quello che è avvenuto in Lui si ripete misteriosamente in ciascuno di noi, che ripercorriamo le sue orme, e portiamo il suo Nome, il nome di cristiani.

Quando Cristo scende al Giordano si ode la voce del Padre, che lo designa come suo prediletto, dando compimento alla profezia del Servo di Jahvè, che Isaia ci ha fatto sentire nella prima lettura; e scende lo Spirito Santo in forma di colomba, a dare inizio visibile e solenne alla missione messianica del Figlio di Dio. Come per Lui, così è avvenuto per noi; così sta per avvenire su questi piccoli, che stanno qui davanti a noi, progenie novella del Popolo di Dio, destinato a crescere continuamente nel mondo grazie alle famiglie cristiane. Anche per loro, il Padre sta per fare udire la sua voce: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". Egli si compiace di questi piccoli, perché vedrà impressa nel loro spirito l'orma immortale della sua Paternità, la somiglianza intima e vera col Figlio suo: figli nel Figlio. E, allo stesso tempo, discenderà lo Spirito Santo, invisibile ma presente come allora, per colmare queste piccole anime della ricchezza dei suoi doni, per renderle suoi abitacoli, suoi templi, suoi ostensori, che dovranno irradiare la sua presenza e la sua testimonianza per tutto il corso della loro vita, che noi non conosciamo ancora come sarà, ma che Lui già vede in tutta la sua pienezza.

Stiamo per porre i fondamenti di nuove vite cristiane: amate dal Padre, redente dal Cristo, segnate dal sigillo dello Spirito, oggetto di predilezione eterna, che si proietta fin d'ora nel futuro, e nella eternità intera, in un amore senza fine, che già le abbraccia fin d'ora: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto".

Su questi figli prediletti, che tra poco saranno i nuovi germi della Chiesa, candidi dell'innocenza totale della grazia simboleggiata dalla veste che imporro loro, forti dell'unzione dell'olio dei catecumeni come veri atleti, santi della santità stessa di Dio, io invoco con voi la continua assistenza del Signore, e faccio voti che rimangano sempre fedeli, per tutta la loro vita, a questa nostra comune, stupenda vocazione cristiana.

Per questo li affido a voi, genitori cristiani, che col vostro reciproco amore di donazione avete dato loro la vita, fatti collaboratori della creazione di Dio: li avete portati qui figli della natura, li riporterete nelle vostre case figli della grazia. Da voi dipende gran parte della loro piena riuscita, secondo i piani di Dio: a voi li affido nel nome di Dio Trinità! E li affido anche a voi padrini e madrine, allo stesso scopo di garantirne la completa crescita cristiana.

Su tutti scenda la benedizione del Signore, di cui è pegno e auspicio la mia apostolica benedizione.

Data: 1981-01-11
Domenica 11 Gennaio 1981


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Battesimo del Signore nel piano della Rivelazione



1. "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto" (Mc 1,11).

Il tempo del Natale del Signore è insieme il tempo della Rivelazione del Figlio di Dio nell'uomo Gesù, concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria nella notte di Betlemme.

Questa rivelazione, o epifania, si compie agli occhi dei pastori che vengono la notte stessa al luogo dove è nato il Bambino e trovano presso di lui la Madre con Giuseppe, il carpentiere di Nazaret. E si compie poi agli occhi dei Magi di Oriente; i quali furono condotti da paesi lontani a Betlemme dalla luce della stella ed ancor più dall'ispirazione interiore della fede.

La Chiesa medita con amore e con trasporto sui particolari che accompagnano quella Nascita-Rivelazione, sui primi giorni del Figlio di Dio sulla terra. Essa ritornerà ancora agli altri avvenimenti trasmessi nel Vangelo dell'infanzia. Essi sono, tuttavia, poco numerosi, così che quasi subito dopo la Natività incomincia il periodo della vita nascosta di Gesù a Nazaret.

Su tale sfondo acquista un particolare significato quel momento, che la liturgia della Chiesa include nell'insieme dell'Epifania. E' il momento del Battesimo di Gesù al Giordano, al quale la Chiesa d'Occidente, e particolarmente quella d'Oriente, dedicano una festa speciale, che ricorre proprio nell'odierna domenica.

Dopo aver terminato la vita nascosta, Gesù viene da Nazaret al Giordano e li è indicato da Giovanni Battista come l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr. Jn 1,29). Oltre alla testimonianza di Giovanni aleggiano le parole dall'alto, che confermano la figliolanza divina di Gesù: "Tu sei il figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto" (Mc 1,11).


2. Oggi, insieme con tutta la diocesi di Roma, preghiamo affinché Gesù si riveli in modo particolare ai cuori di tanti giovani, come Colui che devono seguire sulla via della vocazione sacerdotale.

E' un giorno questo di intensa preghiera per i seminaristi sia del Seminario Maggiore, che si trova a San Giovanni in Laterano, sia per quelli del Seminario Minore, che sorge sul Viale Vaticano, a pochi passi da qui. Preghiamo il Signore anche per tutti i giovani romani, perché siano sensibili alla chiamata del Maestro divino: è ai giovani che Egli si rivolge, chiamandoli ad essere sacerdoti secondo il suo cuore, e nominandoli "i suoi amici" (Jn 15,9).

Il mio grato pensiero va oggi a tutti gli animatori vocazionali, che si prodigano per la promozione di una causa così santa e meritoria, come pure a tutto il popolo cristiano che certamente non mancherà di portare un generoso contributo spirituale e materiale. L'offerta materiale, anche se non e il fattore principale al rifiorire delle vocazioni, tuttavia ha il suo peso nella vita quotidiana del Seminario ed è chiaro indice di sensibilità e di comunione ecclesiale. E' consolante costatare che in questo ultimo anno c'è stato in Roma un aumento, sia pur lieve, di seminaristi, ma Roma può e deve fare di più, sia perché è la diocesi, a cui si guarda da tutte le parti del mondo, sia soprattutto perché le necessità dell'accresciuta popolazione esigono un numero maggiore di "operai" per la messe.

La Vergine santissima, Regina degli Apostoli, ispiratrice delle vocazioni, ci ottenga dal suo Figlio di essere esauditi in queste nostre particolari intenzioni.

Data: 1981-01-11
Domenica 11 Gennaio 1981


Durante l'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La preghiera del Papa per la liberazione del Magistrato D'Urso

Desidero ora esprimere l'accorata partecipazione con cui seguo, fin dal suo inizio, la dolorosa vicenda del magistrato Giovanni D'Urso, proditoriamente sottratto, ormai da un mese, all'affetto dei suoi cari. Sono spiritualmente vicino a lui nella solitudine della sua penosa segregazione; e vicino sono anche alla consorte ed alle figlie, di cui ben comprendo lo stato d'animo nel corso di questi lunghissimi giorni di angosciosa trepidazione e attesa.

Come non rinnovare ancora una volta l'esecrazione per simili atti di violenza, che non s'arrestano di fronte ai valori supremi, nei quali consiste il patrimonio più sacro di ogni civile convivenza? E come non chiedersi, con sgomento, in forza di quale tenebrosa suggestione sia possibile convincersi di operare per il futuro dell'uomo, calpestandone i diritti più elementari? Io elevo insieme con voi la mia preghiera al Signore, perché il magistrato Giovanni D'Urso possa essere al più presto restituito all'affetto dei suoi cari, che l'attendono con tanta ansia. Supplico il Signore perché tocchi gli animi d coloro che hanno nelle loro mani la persona e la vita del magistrato perché riflettano sulla gravità del loro atteggiamento e vogliano ascoltare quel sentimento di umanità che non può essere spento nei loro cuori.

Raccomando alle vostre preghiere questo caso tanto triste e preoccupante; raccomando la pace in Italia, la pace interna, l'equilibrio sociale; raccomando ogni cittadino di questo diletto Paese.

Data: 1981-01-11
Domenica 11 Gennaio 1981


Ai seminaristi francesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Condurre l'uomo a Cristo sulle vie tracciate dalla Chiesa

Questa celebrazione del Battesimo del Signore Gesù ci introduce intimamente nel mistero della persona e della missione di Cristo. Essa ci introduce ugualmente in una migliore comprensione del nostro essere di cristiani, di battezzati, e più ancora della nostra vocazione di sacerdoti o di futuri sacerdoti.

1. Al termine di questa settimana dell'Epifania, è proprio alla manifestazione di Cristo, alla sua "epifania", che noi assistiamo, al tempo del suo Battesimo da parte di Giovanni Battista. Sulle rive del Giordano, Gesù si è mescolato ai peccatori, a tutti coloro che attendevano la presenza del Messia nella penitenza.

Il Verbo fatto carne, pur essendo di condizione divina, non si è inorgoglito per il fatto di essere uguale a Dio, ma ha preso la condizione di schiavo, facendosi simile agli uomini e rendendosi obbediente (cfr. Ph 2,4-8), vivendo nella carne per riscattare coloro che erano sotto il potere della carne.

E "i cieli si aprirono", dice misteriosamente san Matteo. E' così manifesto, per tutti coloro ai quali questo avvenimento spirituale è allora rivelato e per coloro ai quali il racconto evangelico è destinato, che non vi è alcuna barriera tra Dio e Gesù, ma un contatto immediato, una unione totale, un "faccia a faccia", e noi crediamo che è così in virtù stessa dell'Incarnazione, poiché è il Verbo di Dio, che si è fatto carne.

Il profeta Isaia aveva sospirato per la venuta di Dio, per la sua piena rivelazione, in questi termini commoventi: "Ah! se tu lacerassi i cieli e discendessi... per far conoscere il tuo nome" (Is 63,19-64,1). Ora noi conosciamo il vero nome di Dio, grazie al Figlio. Il Padre si rivela come tale designando suo "Figlio ben amato", nel quale egli ha "messo tutto il suo amore". Egli rivela il Figlio. Egli lo presenta ormai al mondo, a cominciare dai suoi discepoli. "E' la testimonianza di Dio, la testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio", dirà san Giovanni (1Jn 5,9). Noi penetriamo con Gesù nel vero mistero di Dio, quello della Trinità santa.

Perché lo Spirito Santo è manifestato anch'esso. Esso è posto su Gesù, come una colomba, questo uccello familiare, simbolo dell'amore e della pace, che è qui l'immagine di Dono perfetto che viene dalle profondità di Dio. Esso esprime il legame ineffabile che unisce Gesù a suo Padre, e significa anche che Gesù comincia pubblicamente la sua missione di salvezza in mezzo agli uomini con la potenza dell'Alto. Siamo allora invitati ad applicare a Gesù la profezia di Isaia in cui Dio disse: "Ecco il mio Servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi sono compiaciuto. Ho posto il mio Spirito su di lui..., ti ho preso per mano, ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo, e luce delle nazioni" (Is 42,1-6).

Si, adoriamo il Figlio benamato in questa "epifania" che i Padri e soprattutto l'Oriente celebrano nel momento stesso della manifestazione ai Magi a Betlemme: ci è manifestato, con il cielo aperto, in seno della Trinità; e ci è manifestato come investito della sua missione per noi.


2. Il Figlio unico di Dio viene a fare di noi dei figli. Il mistero del suo Battesimo ci introduce nel mistero del nostro Battesimo. "Della sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia" (Jn 1,16). Noi siamo stati battezzati, non solamente nell'acqua, per rispondere ad un bisogno di purificazione, ma nello Spirito che viene dall'Alto e che da la vita di Dio. Siamo stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per entrare in comunione con loro. I cieli si sono aperti, in qualche modo, per ciascuno di noi, col ministero della Chiesa, affinché noi entrassimo "nella casa di Dio", affinché conoscessimo l'adozione divina. Ne portiamo l'impronta per sempre, malgrado la nostra debolezza e la nostra indegnità. Rendiamo grazie, oggi, per questo dono del nostro Battesimo: facendoci partecipare alla vita di Dio, ci fa partecipare al culto spirituale di Cristo, alla sua missione profetica, al suo servizio regale, che costituiscono il sacerdozio comune a tutti i battezzati. "Riconosci, cristiano, la tua dignità!". Il primo giugno scorso, interpellavo così tutto il popolo francese: "Francia, figlia prediletta della Chiesa, sei fedele alle promesse del tuo Battesimo?". Questa domanda, la pongo oggi a ciascuno di voi che appartenete al popolo di Francia, anche se soggiornate attualmente nella diocesi di Roma.


3. E rendiamo grazie infine per questa chiamata di Cristo a condividere il suo sacerdozio ministeriale, che ci associa così strettamente alla sua stessa missione di "Servo" inaugurata con il suo Battesimo.

Ho la grande gioia precisamente, oggi, di celebrare l'Eucarestia in un Seminario, di indirizzarmi a dei preti, e soprattutto a coloro che si preparano al sacerdozio, e ai loro amici di Roma. Non dimentico che rappresentate una parte dei seminaristi di Francia - praticamente un decimo, mi han detto -provenienti da un gran numero di diocesi di Francia.

Cari amici, comprendete bene la grazia che il Signore vi ha già accordato? Ha fatto risuonare in voi la sua chiamata a lasciare tutto per seguirlo, attendendo di conferirvi, con l'imposizione delle mani, il suo Spirito che farà di voi suoi diaconi e suoi preti. Come dirvi la grande speranza che la Chiesa pone in voi, in particolare per l'avvenire della Chiesa in Francia? Il caro Cardinale Marty, felicemente presente tra voi, potrebbe darne testimonianza meglio di chiunque altro. E il Papa condivide questa speranza dei Vescovi di Francia, esprimendovi con essi la sua fiducia e il suo affetto.

Ai vostri compagni di Seminario, d'Issy-les Moulineaux, ha già avuto l'occasione di esprimere il mio pensiero, nel giugno scorso, dopo aver affidato ai preti, a Nôtre-Dame, gli incoraggiamenti e gli orientamenti che destinavo loro.

Avete sicuramente riletto questi testi, e i vostri direttori vi sapranno orientare verso l'essenziale. Mi contentero dunque di qualche punto.


4. Fate qui l'apprendistato di servitori di Cristo, che necessita di una lunga maturazione spirituale, intellettuale e pastorale. E' un po' l'esperienza degli apostoli che il Signore si e associato dopo il suo Battesimo.

Bisogna innanzitutto entrare ogni giorno di più nello spirito di Cristo, radicandovi in lui. Questo per dire a qual punto dovete familiarizzarvi con la sua Parola, con la Scrittura, meditarla; frequentare il Signore nell'intimità della preghiera - niente rimpiazzerà l'orazione personale senza la quale la nostra vita sacerdotale si inaridisce -; imparare a pregare insieme e ad avere degli scambi spirituali in tutta semplicità; celebrare il Signore in una liturgia degna e viva, come lo permettono il Concilio e la riforma ben compresa di Paolo VI; associarvi al Sacrificio di Cristo che sarà il culmine e il centro della vostra vita sacerdotale quotidiana. Dovete anche approfittare dell'esperienza degli autori spirituali, iniziarvi alle scuole di spiritualità, per nutrire il vostro pensiero cristiano, orientare e fortificare il vostro agire cristiano, e per acquistare l'arte di guidare voi stessi gli animi, come ricordavo nella mia lettera ai sacerdoti del Giovedì Santo del 1979.


5. Siete qui anche per ricevere una solida formazione dottrinale, nelle differenti branche del sapere teologico, biblico, canonico, filosofico. Non insisto, perché penso che voi ne siete ben convinti e credo di sapere che ve ne preoccupate. Avete d'altra parte l'occasione di disporre, in questa città di Roma, di Università e di Facoltà di rilievo, che esigono un alto livello di studi e di ricerche: vi permettono di introdurvi in modo equilibrato a tutto il pensiero del Magistero della Chiesa, di scoprirne il senso profondo, di fissarvici con fedeltà. Talvolta non vedete sempre il legame diretto tra questi studi e il ministero che vi sarà demandato, penso per esempio alle basi della filosofia che nondimeno ha la sua importanza. Ma siate pazienti. Arricchirete la vostra riflessione di elementi solidi e di metodi assolutamente indispensabili per evitare a voi stessi di essere trasportati da ogni vento di dottrina, per essere in grado di predicare, di insegnare, di guidare sicuramente la riflessione dei laici cristiani nel dedalo delle correnti di idee e di costumi attuali. Questi studi romani devono anche darvi il gusto e la possibilità di proseguire il vostro lavoro intellettuale lungo tutta la vostra vita. Sarete certamente chiamati a differenti ministeri, che non potete prevedere e che non vi appartiene di scegliere, ma che esigeranno da voi una formazione solida e qualificata. Personalmente, come Arcivescovo di Cracovia e professore a Lublino, ho sempre insistito su questi studi approfonditi. Richiedono certo qualche sacrificio. Ma preparano sicuramente l'avvenire. Il problema è che voi siate attenti ad unificare la vostra vita intellettuale e la vostra vita spirituale.


6. Infine, tutto ciò che fate, è per prepararvi alla vita apostolica dei preti.

Questo dice lo slancio che vi deve animare per portare il Vangelo ai vostri contemporanei, per aiutarli ad accoglierlo in una adesione di fede che si rivela a volte difficile, per introdurli alla preghiera come alla recezione fruttuosa dei sacramenti, per educarli alle esigenze concrete della fede nei loro diversi impegni. Questo impegno di evangelizzazione è stato e rimane ad onore di un grande numero i preti francesi: spero che voi sarete fra questi. Non per fare la vostra opera. Ma per condurre a Gesù Cristo. E lungo le vie che vuole la Chiesa. Perché essere prete, sarà questo, partecipando al sacerdozio unico di Cristo, partecipare al sacerdozio del vostro Vescovo, e sotto la sua responsabilità; significherà integrarvi nel presbiterio della vostra diocesi, con ardore, fiducia e umiltà, per esercitarvi una parte di ministero, quella che vi si affiderà e per la quale voi dovete essere molto disponibili; significherà lavorare in modo solidale con i vostri confratelli, senza abdicare ad alcuna delle esigenze della Chiesa integrate nella vostra formazione. Per il momento, l'impegno nei vostri studi e il fatto di non essere ancora preti non vi permette di prendere il carico di un apostolato, benché un certo numero di voi portano già l'aiuto che e loro possibile alle diocesi di Roma. Ma nonostante ciò, tutti voi dovete essere preoccupati di legami veri e fiduciosi con il vostro Vescovo, rimanere molto umilmente aperti ai bisogni spirituali ai quali domani dovrete rispondere, agli impegni apostolici dei vostri confratelli francesi, e soprattutto dei Vescovi che hanno la responsabilità della evangelizzazione. L'apprendistato di una via ecclesiale deve farsi ancora grazie alla qualità della vostra vita comunitaria, in questo Seminario di Santa Chiara, della vostra vita fraterna, della vostra attitudine ad accettarvi differenti e a vivere in gruppo, volti verso il medesimo obiettivo: la missione della Chiesa.

Vi ricordate come Isaia tratteggiava poco fa la figura del Servo: "Non griderà... non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta, proclamerà il diritto con fermezza; non verrà meno". Possiate essere domani questi pastori intrepidi, insieme fermi e misericordiosi. E anche suscitare altri candidati al sacerdozio. Ah, cari giovani, la vostra preghiera, il vostro esempio, il vostro dinamismo al servizio della Chiesa, la vostra gioia di servire Cristo possano tanto per ottenere da Dio le vocazioni di cui la Chiesa in generale, di cui la Chiesa in Francia ha un bisogno vitale! Infine, è necessario aggiungere che qui, a Roma, voi avete la possibilità di poter congiungere a questo senso pastorale, all'amore della vostra Chiesa locale, l'apertura ad altre Chiese locali di cui avvicinate qui i membri, e la preoccupazione della loro necessaria unità nella Chiesa universale, in comunione con il Papa? Sono sicuro che voi custodirete con forza questo attaccamento a Roma, al successore di Pietro, e che aiuterete sempre le vostre comunità cristiane a viverlo, affinché la loro crescita si operi nella fedeltà della fede e nell'armonia di tutto il Corpo di Cristo.


7. Cari amici, questa formazione sarà il frutto di sforzi perseveranti che io desidero incoraggiare. Li eseguirete con l'aiuto dei vostri direttori e professori di questa casa, dei vostri consiglieri spirituali. Desidero ringraziarli vivamente del loro lavoro e rendere omaggio alla Congregazione dei Padri per l'animazione di questo Seminario pontificio dalla sua fondazione.

Sulla via del sacerdozio, l'anima del vostro progresso sarà in ultima analisi lo Spirito Santo, colui che stava sopra Gesù in occasione del suo Battesimo e all'inizio della sua missione. Preghiamo questo Spirito Santo per voi.

Voi lo farete anche per me. E questo, sempre in unione con la Santissima Vergine, così disponibile precisamente allo Spirito Santo, Maria Immacolata, alla quale è consacrata la vostra casa, e a cui voi guardate col giusto titolo di "Tutela domus". Ella vi conduce sicuramente a Gesù, al Salvatore, affinché voi diventiate, come preti, i servitori del suo amore. Amen. Data: 1981-01-11
Domenica 11 Gennaio 1981


Al Corpo diplomatico in udienza per gli auguri di Capodanno - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Solidarietà verso tutti le grandi iniziative che tendono a risolvere i problemi dell'umanità

Eccellenze, Signore, Signori,

1. Il degnissimo Decano degli Ambasciatori ha appena espresso i sentimenti che riempiono i vostri cuori, tutti voi membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in questo incontro sempre così solenne e significativo dell'inizio del nuovo anno. Lo ringrazio di gran cuore delle sue nobili espressioni e, con lui, vi ringrazio tutti della vostra presenza per questo scambio di auguri. Saluto con voi le vostre consorti, che vi hanno accompagnato per questo amabile passo, che io apprezzo molto. Voglio salutare anche da lontano tutte le vostre famiglie. Saluto i vostri collaboratori, che formano l'equipe efficace e organizzata di ognuna delle vostre Ambasciate. E saluto soprattutto le popolazioni dei vostri paesi, che voi rappresentate così degnamente nella vostra delicata funzione. Si, essi sono qui, spiritualmente vicini a noi - e mi piace sentirli così -, tutti i popoli del mondo, anche coloro che, malauguratamente, non hanno rappresentanti ufficiali presso l'umile successore di Pietro. Li sento tutti vicini, e rivivo nel pensiero gli incontri che ho avuto la gioia di avere con alcuni tra loro nel corso dei miei viaggi, specialmente nell'anno che è appena terminato. Tutti i popoli dovrebbero trovarsi qui, perché questa è la casa di tutti. La vocazione universale della Chiesa riguarda in effetti ogni popolo. E' dunque a tutti che io indirizzo il mio saluto per un nuovo anno sereno e attivo, ricco di benedizioni del Dio che tutto può.


2. Mi piace ricevere in questa occasione, con le fisionomie degli Ambasciatori accreditati da qualche anno, i nuovi Capi di Missione che hanno cominciato ufficialmente la loro missione diplomatica presso la Santa Sede nel corso dell'anno passato, e fino a questi ultimi giorni. Essi sono ventitré e rappresentano la Repubblica Dominicana, il Gabon, la Giamaica, l'Uganda, l'Indonesia, il Nicaragua, san Marino, la Repubblica popolare del Congo, la Gran Bretagna, la Grecia, l'Irlanda, l'Australia, la Repubblica Centro-africana, il Venezuela, l'Egitto, il Belgio, la Spagna, la Colombia, il Madagascar, l'Iraq, il Mali, il Giappone e l'Austria. Tra loro, come ho già avuto l'occasione di sottolineare davanti al Sacro Collegio prima di Natale, vi sono Ambasciatori di paesi che, per la prima volta nella loro storia, hanno stabilito relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Essi si sono appena uniti alla vostra grande famiglia - perché, lo so bene, il Corpo diplomatico presso la Santa Sede è una vera famiglia -, e si iscrivono così nella linea di continuità che da un significato tutto particolare alla presenza ufficiale, nella casa del Papa, di rappresentanti di popoli del mondo intero presso lui e i suoi collaboratori diretti. E' una continuità che permane e si approfondisce, una continuità che favorisce la comprensione vicendevole tra la Sede di Pietro e ciascuno dei vostri governi e dei vostri popoli, una continuità che incoraggia il sostegno reciproco nella causa della pace, della difesa dell'uomo, dello sviluppo della vita delle nazioni. Una tale continuità ben esprime i rapporti di amicizia, di collaborazione con tutte le nazioni del mondo che la Santa Sede vuole intrattenere, in uno spirito pacifico e rispettoso, con i responsabili della vita pubblica.

I capi di Stato


3. La venuta in Vaticano di alcuni capi di Stato mette bene in luce questa realtà.

Ricordo con grande piacere le visite compiute l'anno scorso dal Presidente della Repubblica del Senegal, il Granduca e la Granduchessa di Lussemburgo, il Presidente della Repubblica di Cipro, il Presidente della Repubblica di Tanzania, il Re Hassan di Marocco, il Presidente della Repubblica di Portogallo, il Presidente degli Stati Uniti d'America, il Gran Maestro dell'Ordine sovrano militare di Malta, il Re Hussein di Giordania, i Capitani Reggenti della Repubblica di san Marino, il Presidente dello Zaire, il Presidente della Repubblica del Mali, la Regina Elisabetta d'Inghilterra, il Principe Regnante del Liechtenstein, il Principe e la Principessa di Svezia, il Presidente della Repubblica di Sierra Leone, il Presidente della Presidenza della Repubblica di Yugoslavia.

Mi ricordo ugualmente le visite di altre personalità di governi in diversi Stati e di Organizzazioni internazionali.

Nella varietà delle situazioni storiche, queste presenze di alte autorità presso l'umile successore di san Pietro sottolineano il desiderio vicendevole di approfondire i legami di un'intesa di cui beneficiano i popoli in mezzo ai quali la Chiesa vive e vuole servire l'uomo.


4. Penso dunque che questo incontro annuale con voi, membri illustri del Corpo diplomatico, rappresenta un momento particolarmente significativo del mio ministero pastorale. Attraverso la vostra presenza, ho in effetti sotto gli occhi tutta la comunità internazionale, dalla fisionomia e dalla composizione così varie. Siete un vero "forum" che mi fa tornare alla memoria i miei incontri con i rappresentanti dei popoli all'Onu, alla Fao, all'Unesco; sono proprio le vostre comunità, e anche la comunità intera delle diverse nazioni del mondo, che io ho davanti agli occhi.

Dai viaggi pastorali che compio nelle differenti regioni del mondo, traggo l'esperienza di una doppia realtà: da una parte, le popolazioni che si incontrano, che recano i loro pesi di storia e di vita che si esprime nella fede religiosa, nella cultura, nelle convinzioni, nelle speranze e anche nelle sofferenze, tutte cose nelle quali la Chiesa, comunità di credenti, è profondamente inserita come una parte, più o meno estesa, di questa realtà umana; dall'altra parte, i rappresentanti e i responsabili della vita istituzionale di ciascun Paese, le Autorità governative, con le quali ho potuto avere ogni volta incontri e conversazioni utili.

Questa doppia realtà corrisponde al doppio dialogo che, nella mia missione di Pastore universale, mi sento in dovere di intrattenere costantemente: l'uno si fa con l'uomo della vita concreta, per ravvivare in lui la forza animatrice della parola evangelica, o almeno per annunciarla a lui affinché la conosca e determini la sua attitudine e il suo sguardo; l'altro dialogo si indirizza ai responsabili della vita politica e sociale, per offrire una semplice cooperazione, disinteressata, alle grandi cause che toccano la vita dell'umanità: la pace, la giustizia, i diritti della persona, il bene comune.

La missione universale della Chiesa


5. Sono convinto che agendo così la Santa Sede, lungi dall'immischiarsi in campi che non sarebbero i suoi, non fa che dare un'espressione concreta alla missione universale della Chiesa, che si indirizza a tutti gli uomini, che è diffusa in tutte le regioni della terra, e che è per natura solidale con tutti gli esseri umani, uomini e donne, specialmente con i poveri e con coloro che soffrono. Le sue vicissitudini storiche durante quasi due millenni, attraverso tante generazioni, e l'esperienza vissuta tra i gruppi umani più diversi, d'origine e di civiltà così differenti, danno alla Chiesa una grande facilità d'incontro e di dialogo su molti problemi.

E' vero che la società civile non coincide con la società religiosa, e che le due missioni, quella della Chiesa e quella dello Stato, devono restare nettamente distinte. Ma è anche vero che la Chiesa e lo Stato sono ordinati al bene - spirituale da una parte, temporale dall'altra - delle persone umane, e che il loro dialogo vicendevole, rispettoso e leale, lungi dal turbare la società, al contrario l'arricchisce.

Cosa offre la Chiesa? Nel dialogo bilaterale, con i governi, essa mette a loro disposizione l'apporto di una istituzione che tiene in primo piano i più alti valori dell'uomo e che non può mai sentirsi estranea verso ogni problema dibattuto in qualsiasi contesto sociale. Anche allorquando essa trova degli ostacoli davanti a sé, quando subisce delle costrizioni o quando è perseguitata, la Chiesa non smette di essere "interna", ben radicata nella realtà globale del Paese nel quale essa vive e solidale con essa. E' questo il motivo per cui la Santa Sede, come ho già detto, si sente unità a ciascun popolo, a ciascuna nazione. E' anche il motivo per cui i rappresentanti diplomatici accreditati presso la Santa Sede non possono - anche se non sono cattolici o cristiani - sentirsi ""estranei"" nella casa del Pastore universale; allo stesso modo in cui il Papa, quando visita i diversi paesi, si sente "a casa sua" in ogni nazione che l'accoglie.


6. Questa realtà globale che la Chiesa ha sempre sotto gli occhi e che costituisce il denominatore comune della vita di ciascun popolo del mondo, è la loro cultura, la loro vita spirituale, sotto qualsiasi forma essa si manifesti. Parlando di realtà globale, di vita spirituale, il mio pensiero vorrebbe fermarsi quest'anno, in questo colloquio con voi, sul dovere che incombe su tutti i responsabili di difendere e di garantire ad ogni costo la cultura intesa in questo senso molto ampio.

La cultura è la vita dello spirito; è la chiave che fa accedere ai segreti più profondi e più gelosamente custoditi della vita dei popoli; è l'espressione fondamentale e unificatrice della loro esistenza, perché nella cultura si incontrano le ricchezze, direi quasi inestimabili, delle convinzioni religiose, della storia, del patrimonio letterario ed artistico, del substrato etnologico, delle attitudini e della "forma mentis" dei popoli. In breve, dire "cultura", significa esprimere in una sola parola l'identità nazionale che costituisce l'anima di questi popoli e che sopravvive malgrado le condizioni avverse, le prove di ogni genere, i cataclismi storici o naturali, rimanendo una e compatta attraverso i secoli. In funzione della sua cultura, della sua vita spirituale, ogni popolo si distingue dall'altro, che è d'altra parte chiamato a completare fornendogli l'apporto specifico di cui l'altro ha bisogno.

La cultura e la crescita dei popoli


7. Nel mio discorso alla sede dell'Unesco, il 2 giugno a Parigi, ho messo in rilievo questa realtà: se la cultura è l'espressione per eccellenza della vita spirituale dei popoli, essa non deve essere mai separata da tutti gli altri problemi dell'esistenza umana, che siano quelli della pace, della libertà, della difesa, della fame, del lavoro, ecc. La soluzione di questi problemi dipende molto dal modo corretto di comprendere e di situare i problemi della vita spirituale, che condiziona così tutte le altre e se ne trova condizionata.

E' la cultura, intesa in questo ampio senso, che garantisce la crescita dei popoli e preserva la loro integrità. Se lo si dimentica, si vedono cadere le barriere che salvaguardano l'identità e la vera ricchezza dei popoli. Come ho già detto in questa occasione, "la Nazione è in effetti la grande comunità degli uomini che sono uniti con legami diversi, ma soprattutto, precisamente, con la cultura. La Nazione esiste "mediante" la cultura e "per" la cultura, ed essa è dunque la grande educatrice degli uomini affinché essi possano "essere di più" nella comunità. E' questa comunità che possiede una storia che supera la storia dell'individuo e della famiglia. E' anche in questa comunità, in funzione della quale ogni famiglia educa, che la famiglia comincia la sua opera di educazione attraverso ciò che è la cosa più semplice, la lingua, dando così la possibilità all'uomo che è ai suoi inizi di imparare a parlare per divenire membro della comunità che è la sua famiglia e la sua nazione... Le mie parole traducono un'esperienza particolare, una testimonianza particolare nel suo genere. Sono figlio di una nazione che ha vissuto le più grandi esperienze della storia, che i suoi vicini hanno condannato a morte a più riprese, ma che è sopravvissuta e che è rimasta se stessa. Essa ha conservato, malgrado le divisioni e le occupazioni straniere, la sua sovranità nazionale, non appoggiandosi sulle risorse della forza fisica, ma unicamente appoggiandosi sulla propria cultura. Questa cultura si è rivelata all'occorrenza di una potenza più grande di tutte le altre forze. Ciò che dico qui riguardo al diritto della nazione al fondamento della sua cultura e del suo avvenire non è dunque una eco di alcun "nazionalismo", ma si tratta sempre di un elemento stabile dell'esperienza umana e delle prospettive umane dello sviluppo dell'uomo. Esiste una sovranità nazionale della società che si manifesta nella cultura della nazione. Si tratta della sovranità attraverso la quale, allo stesso tempo, l'uomo è supremamente sovrano. E quando mi esprimo così, penso ugualmente, con una emozione interiore profonda, alle culture di tanti popoli antichi che non hanno ceduto quando si sono trovati di fronte alla civiltà degli invasori; ed esse restano ancora per l'uomo la sorgente del suo "essere" d'uomo nella verità interiore della sua umanità. Penso anche con ammirazione alle culture delle nuove società, di quelle che si svegliano alla vita nella comunità della propria nazione,- così come la mia nazione si è svegliata alla vita ora sono dieci secoli - e che lottano per mantenere la propria identità e i loro propri valori contro le influenze e le pressioni di modelli proposti dall'esterno" (Giovanni Paolo II "", III, 1 (1980) 1647-1648).

In questo senso si può dire che la cultura è il fondamento della vita dei popoli, la radice della loro identità profonda, il supporto della loro sopravvivenza e della loro indipendenza.


8. Ma questo vale tanto più per i popoli quanto più la cultura è l'espressione più elevata della vita di ciascun uomo. L'uomo, ho detto ancora all'Unesco, "è il fatto primordiale e fondamentale della cultura" (Giovanni Paolo II "Insegnamenti di Giovanni Paolo II" III, 1 (1980) 1641). E' essa che unifica gli elementi di cui l'uomo è composto e che si completano vicendevolmente essendo tutti talvolta in una tensione reciproca profonda: spirito e corpo. L'uno non può superare i suoi limiti a detrimento dell'altro; e ciò che garantisce questo difficile equilibrio - con la grazia di Dio -, è precisamente la vita globale dell'uomo, la cultura, che mi è piaciuto definire a Parigi come "sistema umano, sintesi splendida dello spirito e del corpo" (Giovanni Paolo II "" III, 1 (1980) 1642).

La storia bimillenaria della Chiesa, lo sappiamo, s'interseca con le più alte espressioni della vita spirituale e culturale delle diverse nazioni dell'antico e del nuovo mondo, e la Chiesa segue oggi con una attenzione particolare, come ho già sottolineato nel mio viaggio in Africa, il delicato processo di valorizzazione delle culture autoctone. Ecco perché essa si prende a cuore la più vasta gamma dei valori che il termine "cultura" contiene e significa.

Nel discorso che ho indirizzato ai vostri colleghi del Corpo diplomatico in Kenya, ho desiderato rilevare che "il cammino che ogni comunità umana deve seguire nella sua ricerca del senso profondo della sua esistenza, è il cammino della verità sull'uomo nella sua totalità" (Giovanni Paolo II "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", III, 1 (1980) 1189).

E dunque, cari Signori, allo stesso modo che per voi e i vostri governi, è tutto l'uomo, formato di spirito e di corpo, che sta a cuore alla Chiesa, a motivo della missione ricevuta dal suo Fondatore: esso assorbe i suoi problemi e i suoi interessi, sia sul piano spirituale che sul piano materiale, perché senza quest'ultimo il primo non può svilupparsi in modo adeguato.

Santa Sede e grandi iniziative


9. In questa grandiosa visione unitaria, la Santa Sede si sente solidale con tutte le grandi iniziative che cercano di risolvere i problemi dell'umanità: prima di tutto, per ciò che riguarda il piano materiale, i soccorsi generosi ed efficaci portati ai popoli di regioni che soffrono la fame, la sete o altre calamità - esprimo qui di nuovo tutta la mia solidarietà con la provata regione del Sahel, che non smetto mai di guardare con una attenzione particolare -; l'impulso dato alla crescita dell'agricoltura per assicurare una alimentazione sufficiente; l'azione sanitaria contro le malattie, specialmente in favore dell'infanzia e delle persone più povere; la distribuzione più equa delle risorse non solamente materiali, ma tecnologiche e scientifiche, per offrire alle popolazioni possibilità sempre più concrete di essere artefici della propria vita e del proprio sviluppo.

Materialmente, la Santa Sede ha dei mezzi per concorrervi ben limitati; più considerevole è il contributo che sono in grado di apportare le organizzazioni cattoliche dei diversi paesi, o quelle che hanno un carattere internazionale. Ma io credo che l'insieme dei popoli attende costantemente e prima di tutto dalla Santa Sede l'apporto di una forza spirituale volta ad incoraggiare e a suscitare in maniera più efficace la cooperazione internazionale che è già all'opera in organismi appropriati, come la Fao, l'Unesco e l'Oms.


10. Precisamente, è sul piano spirituale che si esercita specialmente la sollecitudine della Chiesa, perché è là che si gioca il destino eterno degli uomini e la vita ordinata dei popoli.

Bisogna citare prima di tutto il problema fondamentale della pace; esso polarizza tutti gli sforzi degli uomini di buona volontà e la Chiesa porta ad esso i suoi incoraggiamenti con tutti i mezzi di cui essa dispone, soprattutto facendo opera di sensibilizzazione delle coscienze a livello mondiale sul dovere di difendere questo bene fragile e minacciato, che è nondimeno prioritario a tutti i livelli. Nel discorso ai Cardinali del dicembre scorso, ho lungamente parlato dell'azione compiuta dalla Chiesa in questo campo. Che mi sia permesso di ricordare ancora qui la celebrazione annuale della Giornata della Pace: essa mi offre d'altra parte l'occasione di ringraziarvi pubblicamente della collaborazione che avete portato ai vostri Governi e della presenza che avete assicurato praticamente ogni anno celebrando questa Giornata con me nella basilica di san Pietro.

In materia di difesa della pace, il ruolo della Santa Sede si esercita nelle tensioni e nelle crisi della vita internazionale. Anche li essa vuole ispirarsi sempre ad una visione globale del bene comune. Questo non si fa senza difficoltà, a causa delle posizioni contrarie su cui sono le parti. Da una parte, la Santa Sede vuole essere piena di attenzione e di rispetto per le ragioni soggettive a cui ciascuna parte si appella o che mette in evidenza; d'altronde vi è anche la complessità degli aspetti altamente tecnici, o la mancanza di dati reali. Tutto questo fa si che la Santa Sede debba molto spesso astenersi d'esprimere un giudizio concreto sulle tesi che ha di fronte. E' il caso, tra gli altri, del disarmo.

La Santa Sede è profondamente convinta - e ha potuto ripeterlo in molte occasioni - che la corsa agli armamenti è rovinosa per l'umanità e che, ben lungi dal diminuire la minaccia che grava sulla sicurezza e la pace del mondo, l'accresce.

Essa mette l'accento sugli elementi fondamentali che rendono possibile e realista un accordo che farebbe rinunciare alla corsa a mezzi di distruzione sempre nuovi e più potenti. Questi elementi sono in particolare un clima di più grande confidenza, che può nascere da una distensione effettiva e globale nei rapporti internazionali; il rispetto delle prerogative di tutti i popoli, anche se essi sono piccoli e disarmati, prerogative fondate sulla loro identità culturale; la collaborazione sincera per migliorare "la componente umana della pace", rappresentata prima di tutto dal rispetto dei diritti dell'uomo.

In questo contesto, è perfettamente logico domandarsi se veramente la pace deve misurarsi solamente sull'assenza di scontro diretto tra le più grandi potenze. La comunità internazionale può rassegnarsi al prolungamento di una guerra così aspra come quella che perdura da qualche mese tra l'Iraq e l'Iran? Le vittime che vi lasciano la loro vita, i popoli sottomessi a sofferenze e privazioni, le risorse che si impoveriscono nell'uno e nell'altro Paese, tutto questo non è sufficiente per fare appello alla coscienza dei governanti e dei popoli che assistono senza reagire a questo dramma? L'anima della pace.

11. La Santa Sede è dunque convinta che è prima di tutto "l'anima della pace" che deve essere rafforzata, vale a dire un migliore rapporto tra gli Stati, ottenuto migliorando la condizione umana delle persone e dei popoli nel godimento delle loro libertà e dei loro diritti fondamentali, tali quali sono presentati nelle diverse civiltà. Per questo, così come essa era stata indotta a partecipare alla Conferenza d'Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, la Santa Sede partecipa allo stesso modo alla riunione che si tiene attualmente a Madrid come per il passato a Helsinki e a Belgrado, la voce della Santa Sede si eleva in favore del rispetto della libertà religiosa, elemento fondamentale per la pace degli spiriti. Ho voluto consacrare a questo tema una riflessione particolare in un documento inviato ai Capi di Stato dei paesi firmatari dell'Atto finale di Helsinki, riflessione che io penso applicabile anche in un campo internazionale più vasto, per altri paesi e altri continenti.

Non si può parlare della libertà religiosa, la forma più elevata di libertà spirituale che possa nascere dall'humus della civiltà e della cultura, se si fa astrazione dal principio che ho più volte richiamato, vale a dire che l'uomo integrale è il primo soggetto della cultura, come egli è il suo unico oggetto e il suo fine (cfr. Giovanni Paolo II "" III, 1 (1980) 1640). Violando la libertà religiosa, opprimendola, limitandola, soffocandola, si fa all'uomo il più grande degli affronti, perché la dimensione spirituale e religiosa è quella a partire dalla quale si misura ogni altra grandezza umana.

Effettivamente, un legame fondamentale unisce la religione in generale, e particolarmente il cristianesimo, alle forme più alte della cultura (cfr. Giovanni Paolo II "" III, 1 (1980) 1642).

Ne fanno fede le testimonianze innumerevoli tra le quali è sufficiente richiamare, per l'Europa, l'influenza determinante che la figura e l'opera dei santi patroni del nostro continente ebbero sullo sviluppo spirituale e materiale di popoli così diversi, e nondimeno intimamente uniti da interessi spirituali comuni, ai quali consacrarono la loro vita questi uomini straordinari che furono san Benedetto in Occidente, i Santi Cirillo e Metodio in Oriente. E mi piace evocare il loro ricordo qui, nel corso dell'incontro di oggi, quando si è celebrato il primo in diverse circostanze solenni nel corso dell'anno passato, nell'occasione del quindicesimo centenario della sua nascita, e i secondi sono stati recentemente proclamati anch'essi patroni d'Europa, avvenimento favorevolmente accolto in questo continente e nel mondo.

D'altra parte, bisogna sottolinearlo, l'eredità che caratterizza gli altri continenti - con alle volte dei modelli culturali e storici differenziati - trova essa stessa la sua origine e la sua spiegazione nell'ispirazione religiosa, umanista ed etica, delle differenti religioni, come ho già ancora sottolineato all'Unesco (cfr. Giovanni Paolo II "", III, 1 (1980) 1643).


12. Vorrei aggiungere un'altra riflessione sul soggetto del piano spirituale, che interessa lo sviluppo dell'uomo nella sua integralità come anche il progresso dei popoli. Nella mia recente enciclica "Dives in Misericordia", ho rilevato che, tra le cause di inquietudine che assalgono l'uomo contemporaneo, vi è "un tipo di abuso dell'idea di giustizia" e anche "una alterazione pratica" dovuti al fatto che "spesso, i programmi fondati sull'idea di giustizia e che devono servire alla sua realizzazione nella vita sociale delle persone, dei gruppi e delle società umane, subiscono in pratica delle deformazioni. Benché essi continuino sempre ad appellarsi a questa medesima idea di giustizia, l'esperienza dimostra che spesso forze negative, come il rancore, l'odio, e perfino la crudeltà, hanno preso il sopravvento su di essa. Allora, il desiderio di ridurre al nulla l'avversario, di limitare la sua libertà, o anche di imporli una dipendenza totale, diviene il motivo fondamentale dell'azione; e questo si oppone all'essenza di giustizia che, per sua natura, tende a stabilire l'uguaglianza tra le parti in conflitto" (Giovanni Paolo II DM 12).

Una tale "alterazione" della giustizia è un'esperienza che l'umanità fa ancora oggi attraverso le guerre, le rivoluzioni o le crisi internazionali, e che rende difficile, se non impossibile, far progredire soluzioni pacifiche adeguate, stabili e conformi alla dignità naturale dei popoli. Si potrebbe applicare questo criterio a pressoché tutte le crisi, e in particolare a quelle che sembrano come insolubili o croniche. Tra queste, bisogna citare come tipico il problema del Medio Oriente. Come si può pensare, infatti, a stabilire una pace duratura se non si tiene conto, in ugual misura, delle esigenze di tutti i popoli interessati, della loro esistenza e della loro sicurezza, come della possibilità di porre le basi di una collaborazione futura? Qui, è evidente che la rivendicazione, con pretese assolute, del suo proprio diritto non porterà mai alla pace, perché questa rivendicazione presuppone la negazione, o la diminuzione eccessiva del diritto altrui, quando solo la equità, cioè la capacità di equilibrare di più e di rinunciare da parte delle parti interessate, può aprire la via ad un accordo globale per vivere in comune.

Questo significa che, come dicevo nell'enciclica, non c'è giustizia se essa non è completata dall'amore. Una tale attitudine di spirito è facilitata se ci si rende conto che i popoli come le persone hanno dei beni propri e dei beni comuni, e che questi ultimi non sono divisibili, ma che si può solamente gioirne insieme, facendo l'esperienza di una collaborazione leale e confidente.

Promuovere la giustizia salvando la fede e la libertà


13. Una alterazione della giustizia si nota anche nel processo di certe rivoluzioni allorché, per trasformare una situazione sociale giudicata ingiusta, e che lo è effettivamente spesso, si pretende di imporre un regime ideologico che è in contraddizione con le convinzioni religiose ed etiche, antiche e profonde, dei popoli interessati. Ma, messo da parte il fatto che non si possono scambiare dei beni spirituali per beni materiali, si tratta di un falso dilemma, perché è un dovere di coscienza, per colui che si ispira ad una concezione cristiana, promuovere efficacemente la giustizia salvaguardando la fede e la libertà, così come gli altri beni spirituali di un popolo. Non si può tradire l'identità e la sovranità dei popoli, perché esse nascono da un patrimonio spirituale proprio a ciascuno di loro, che ne fonda la dignità e la nobiltà, superiori a ogni interesse di partito. Formulo i miei voti affinché certe regioni tormentate del mondo, quali l'America latina, trovino nelle loro radici spirituali e umane la saggezza e la forza di avanzare verso un sano progresso, che non rinneghi il passato e che sia garanzia di una vera civiltà.

Parlando dell'America latina, non posso non attirare l'attenzione di tutti sulle trattative in corso tra l'Argentina e il Cile, due nazioni che hanno chiesto la mediazione della Sede Apostolica per la soluzione di un problema delicato che tocca la concordia reciproca tra questi due grandi e nobili paesi. La domanda di mediazione è stata un segno di buona volontà notoria. E' perciò che formulo degli auguri e domando di pregare affinché una felice soluzione venga a coronare definitivamente molte trattative che hanno approdato, nel corso dell'udienza del 12 dicembre scorso, alla rimessa solenne delle proposizioni precise ai due Ministri degli Affari Esteri accompagnati dalle loro rispettive delegazioni.


14. Eccellenze, Signore e Signori, i problemi che ho passato in rassegna con voi, considerandoli alla luce superiore della cultura, anima e vita dei popoli, richiedono una solidarietà universale, che sorpassa tutte le ostilità preconcette, le incomprensioni o le speculazioni economiche che rendono oggi così difficile e piena di angoscia la vita della comunità internazionale. La Chiesa e disposta a compiere la parte che le spetta, come essa si sforza di compierla abitualmente, grazie ai suoi uomini migliori. E voglio citare qui specialmente i missionari che lavorano su tutte le latitudini, nel mondo intero, e anche gli uomini impegnati nelle organizzazioni internazionali e nei diversi organismi sociali.

Questo lavoro immenso, che la Chiesa e i vostri responsabili vogliono compiere insieme, si riassume in una sola parola: il servizio dell'uomo. Ecco quale deve essere l'ispirazione di oggi, la ragione fondamentale della promozione della pace, del rispetto reciproco, della concordia internazionale, che la Chiesa vuole favorire con tutte le sue forze sotto lo sguardo di Dio, e che essa chiama a compiere per amore dell'uomo.

Tale è l'augurio che vi indirizzo, all'inizio di questo anno che è appena cominciato, e che vi prego di trasmettere ai vostri governi. Possa l'anno nuovo vedere la comunità internazionale impegnarsi sempre più sinceramente e più efficacemente al servizio dell'uomo, del bene pubblico, e non ad interessi privati, in una fraternità sempre più reale, quella che è fondata per tutti i popoli sui legami comuni del rispetto vicendevole, e che ha per i cristiani un unico fondamento: il Cristo, la sua Incarnazione, la Redenzione che egli ha operato per i suoi fratelli uomini.

A voi tutti ancora, alle vostre famiglie, alle nazioni che voi rappresentate, i miei auguri più cordiali e affettuosi. Buon anno! (Omissis L'indirizzo d'omaggio del Decano del Corpo Diplomatico)

Data: 1981-01-12
Lunedì 12 Gennaio 1981






GPII 1981 Insegnamenti - Nella Capella Paolina - Città del Vaticano (Roma)