GPII 1981 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Far tacere definitivamente il terribile frastuono delle armi



1. Incomincia oggi l'annuale settimana che vedrà i cristiani: cattolici, ortodossi, protestanti, riunirsi nella preghiera per l'unione.

Se lo ricordo anche a voi, fratelli e sorelle qui presenti, è perché vogliamo tutti partecipare con convinzione, con entusiasmo, con perseveranza, alla ricerca della piena unità. Gesù Cristo stesso ha pregato il Padre affinché i suoi seguaci siano una cosa sola (cfr. Jn 17,21).

L'unità è una caratteristica e una esigenza della Chiesa cattolica. I dissensi, le divergenze, la divisione sono contrari al piano di Dio. Eppure il travaglio della storia e lo spirito del male hanno portato i cristiani a dolorose divisioni. Lo Spirito del Signore, pero, ha suscitato il movimento ecumenico, che negli ultimi decenni ha decisamente avviato i cristiani verso la piena unità.

La preghiera si trova all'origine di questo movimento, essa accompagna, anima e sostiene la sua ricerca, nell'attesa che, risolta finalmente ogni divergenza, si possa avere la comune celebrazione dell'Eucaristia, al termine di questo lento, ma progressivo cammino.

E' bene ricordare oggi l'abbé Couturier, apostolo convinto dell'importanza della preghiera per l'unità. Quest'anno, proprio durante questa settimana, sarà celebrato in Francia il centenario della sua nascita (1881-1981).

Unitamente a lui è giusto ricordare con gratitudine tutti coloro, sia cattolici sia membri di altre Chiese, che hanno promosso e incoraggiato, talvolta tra incomprensioni, questa prassi. Primo fra tutti è doveroso menzionare il mio grande predecessore Leone XIII, il quale, fin dal 1895, raccomandava ai cattolici un novenario di preghiere per l'unità, nel periodo della Pentecoste (cfr. Leone XIII "Provida Mater").

Il tema della settimana di preghiere, quest'anno è denso di contenuto e molto suggestivo: "Uno Spirito, diversi doni, un solo corpo" (cfr. 1Co 12,3-13).

La varietà dei doni, dei ministeri, dei compiti all'interno del Popolo di Dio proviene dallo stesso e unico Spirito ed è orientata alla comune utilità e all'armonica articolazione di un solo corpo, cioè del corpo mistico di Cristo.

Ciascuno, perciò, è chiamato a dare il proprio contributo di vita, d'azione, di studio, di preghiera. A questo vi invito con insistenza e con fiducia.

Anche noi ora preghiamo la madre di Dio, la Theotokos, affinché per la sua intercessione, il Signore Gesù conceda ai cristiani l'abbondanza dei doni del suo Spirito in modo che essi possano raggiungere la perfetta unità e dare così nel nostro tempo una più efficace testimonianza di fede e di vita secondo il Vangelo.


2. Oggi il mio pensiero si rivolge alla Chiesa Caldea. Nello scorso ottobre ho avuto la gioia di incontrarmi con il suo Patriarca ed i suoi Vescovi, venuti a Roma in visita "ad limina Apostolorum".

Tale incontro è stato un momento di particolare importanza per l'unità ecclesiale e per la fraterna collaborazione con i Pastori di quella Chiesa Orientale, i cui primi inizi risalgono alla predicazione evangelica dell'apostolo Tommaso, il quale, riprendendo le strade di Abramo, padre della nostra fede, ando ad annunziare la Buona Novella sulle rive del Tigri e dell'Eufrate, fondando così la Chiesa Caldea.

I caldei formano una comunità di circa 500.000 fedeli, divisi in sedici circoscrizioni ecclesiastiche: nove in Iraq, tre in Iran e una rispettivamente in Egitto, in Libano, in Siria e in Turchia. Al loro servizio si dedicano tre comunità religiose: l'Ordine monastico di Sant'Ormisda, la Congregazione delle Suore caldee dell'Immacolata Concezione, e le Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena di Mossoul.

I caldei sono sempre rimasti fedeli alle loro tradizioni di comunione con la Sede di Pietro e sono sinceramente impegnati a servire con amore le nazioni, in cui si trovano. Nelle singole diocesi i Pastori stanno attuando un sano aggiornamento pastorale e liturgico, alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, e attendono a una sempre più profonda formazione spirituale e intellettuale dei seminaristi.

Insieme con tutti voi, all'alba di questo anno da poco iniziato, porgo alla Chiesa Caldea il mio saluto cordiale ed i miei auguri di prosperità, mentre, invocando dal Signore e dalla Vergine Maria il dono della pace tra l'Iraq e l'Iran, auspico che le autorità di tali paesi vogliano cercare nel dialogo e nella trattativa la soluzione dei loro conflitti, e faccio altresì appello ai responsabili degli Organismi Internazionali perché non risparmino alcuno sforzo, volto a ristabilire l'intesa tra le nazioni e a far tacere definitivamente il terribile frastuono delle armi, dovunque esso risuoni.

Data: 1981-01-18
Domenica 18 Gennaio 1981


La Messa per la delegazione di "Solidarnosc" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Offriamo a Dio il lavoro polacco

"Vengo Signore per fare la tua volontà". Oggi la Chiesa mette queste parole del profeta sulle labbra di Cristo che si ferma sulle rive del Giordano per dare inizio alla sua missione che consiste nel realizzare la volontà del Padre. La liturgia di oggi ancora una volta ci mostra la rivelazione di Gesù Cristo al Giordano. Allorché infatti arriva sulla riva di quel fiume, dove Giovanni predicava il battesimo di penitenza, invitava alla conversione, e battezzava con l'acqua, lo stesso Giovanni lo indica con la mano dicendo: "Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!". Con queste parole disse tutto: tutto quello potrebbe dirsi del Cristo oggi come domani; perché quello era solo l'inizio: venuto come era Gesù al Giordano, sconosciuto da tutti. Come Agnello di Dio si sarebbe rivelato alla fine della sua missione; ma già Giovanni, indicandolo con la mano, proclamo: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". E proprio allora, venendo Gesù al fiume per fare la volontà del Padre, si realizza la rivelazione, o meglio, la conferma di quella rivelazione già contenuta nella Natività; la conferma di quella rivelazione del Bambino che i "suoi" non accolsero, che nessuno riconobbe all'infuori della Madre, di Giuseppe, dei pastori, dei Re Magi venuti dall'Oriente; nessuno oltre loro; la rivelazione del Bambino, nato a Betlemme come Messia, che arriva al Giordano per fare la volontà del Padre. Il Padre stesso allora gli rende testimonianza: sopra quanti si erano radunati alle rive del Giordano si sente la voce: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". E lo Spirito Santo gli rende testimonianza. Quello Spirito che era stato annunziato da Giovanni: "Egli vi battezzerà in Spirito Santo", vi immergerà nello Spirito Santo, nel Dio vivo, come io vi battezzo con l'acqua. Oggi la liturgia ricollegandosi al tema principale della liturgia della domenica passata, conferma la rivelazione di Gesù Cristo al Giordano è, nello stesso tempo, partecipa questa rivelazione di Gesù Cristo a noi.

Gesù Cristo è venuto per dare la forza a noi; ha dato forza perché diventassimo figli di Dio. Abbiamo cantato queste parole del Vangelo di Giovanni ripetendo tre volte: Alleluia. Gesù Cristo viene per rivelare l'uomo all'uomo, per indicargli la sua straordinaria dignità e la sua grande vocazione. così dunque quella rivelazione di Gesù Cristo al Giordano, nell'interpretazione della liturgia odierna, è insieme la rivelazione della vocazione dell'uomo in Cristo Gesù. Ecco le idee contenute nella liturgia della parola.

E ora, cari miei fratelli e sorelle, diamo inizio alla liturgia eucaristica, la liturgia del sacrificio e dell'unione con Dio nel sacrificio dell'Agnello di Dio. Mentre mi accingo a iniziare questa liturgia alla vostra presenza e con la vostra partecipazione, mi viene in mente tutta la Polonia, la Polonia come un grande campo di lavoro; un campo di lavoro umano, di lavoro polacco, composto da molti settori produttivi. Mi riferisco al lavoro fisico e al lavoro mentale, al lavoro in fabbrica e al lavoro del popolo intero, al lavoro delle professioni e al lavoro in famiglia, al lavoro dei padri ma anche a quello delle madri. E' questo lavoro sulla materia, che l'uomo trasforma perché serva alle sue necessità, ma è anche lavoro sull'uomo, proprio quello che comincia dal cuore della madre e vicino a questo cuore, e che dura poi per tutta la vita familiare e si svolge attraverso l'educazione scolastica; il lavoro multiplo.

Quell'enorme campo di lavoro che è la nostra patria, mi viene ora in mente, perché ospito oggi i singolari pellegrini venuti dalla Polonia. Pellegrini che accolgo spesso e per questo, quando arrivano, colgo l'occasione di incontrarmi con loro nella Messa, appena possibile. Oggi accolgo voi, pellegrini rappresentanti di "Solidarnosc", e attraverso voi vedo tutto quell'enorme lavoro che si sta svolgendo nella nostra terra natia.

Vedo i lavoratori, e siccome dobbiamo incominciare la liturgia eucaristica, desidero, davanti a voi e insieme con voi, riunire attorno a questo altare tutto il popolo polacco, fare l'offerta del pane e del vino, di tutto quello che è il contenuto di ogni suo giorno, ogni giorno di lavoro in Polonia, "dove il sole nasce e dove tramonta", come dice il nostro grande poeta contemporaneo nel titolo della sua opera; di tutto quel grande lavoro polacco. Vi prego di aiutarmi in ciò, voi che rappresentate il mondo del lavoro, il popolo che lavora. Vi prego di offrire qui, sull'altare della Cappella del Papa, questo lavoro polacco sotto i simboli del pane e del vino. Il nostro sacrificio diventerà il suo sacrificio, quello di Gesù Cristo, dell'Agnello di Dio; si ripeterà davanti a noi, qui radunati, il mistero del Calvario; si ripeterà anche in un certo modo il mistero del Giordano. Sentiremo, grazie alla voce interiore della fede, le parole del Padre: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". Lui, il Figlio prediletto, Figlio di Dio, verrà nella nostra comunità per battezzarci con lo Spirito Santo, per immergerci nello Spirito Santo, per immergerci nella realtà divina, nell'elemento divino, e per che cosa? Per darci la forza. Se noi offriremo su questo altare tutto il lavoro polacco, attraverso il sacrificio di Cristo, attraverso l'Eucaristia, ritornerà a noi, e a tutti quelli che rappresentiamo, a tutti i lavoratori della terra polacca, la forza che viene da Lui. Forza grazie alla quale l'uomo diventa figlio di Dio e, come figlio adottivo di Dio, riceve dignità per tutta la sua vita, per tutto il suo lavoro, sublimandolo al livello di figlio di Dio.

Cari fratelli e sorelle, offrendo questo sacrificio pregheremo che la vostra solidarietà, la solidarietà di tutti i lavoratori in Polonia, serva a questa grande causa. Ecco tutto quello che volevo dirvi, tutto quello che desideravo domandarvi. Se posso aggiungere ancora qualcosa - prima che sentiate il saluto "Andate, la Messa è finita" - vorrei pregarvi di portare con voi queste parole del vostro connazionale. del successore di Pietro nella Sede Apostolica e di ripeterle ai lavoratori in Polonia: che il loro lavoro serva alla dignità umana, che elevi l'uomo, che elevi le famiglie, che elevi tutto il popolo. Si avvicina l'ora del vostro ritorno in patria; perciò vi prego: quando partirete di qui portate con voi questa novella, questa Buona Novella che ebbe inizio a Betlemme, che venne autenticata sulle rive del Giordano, che si adempi nel mistero pasquale e che viene riattualizzata oggi nell'Eucaristia. La Buona Novella viene riattualizzata in ogni Eucaristia perché l'uomo si rinforzi con essa, perché durante il suo cammino terrestre ripeta: "Vengo Signore, vengo Signore per fare la tua volontà". Amen. Data: 1981-01-18
Domenica 18 Gennaio 1981


Omelia durante la messa - Parrocchia di san Giuseppe al Trionfale (Roma)

Titolo: Dignità dell'essere umano chiamato da Cristo alla santità



1. "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (1Co 1,3).

Con queste parole, con le quali l'apostolo Paolo salutava una volta la Chiesa a Corinto, saluto oggi la vostra parrocchia. E' la prima parrocchia che mi è dato di visitare in quest'anno: nell'anno del Signore 1981. Essa è dedicata a san Giuseppe come Patrono - il che è ulteriore motivo della mia gioia -. Noi tutti viviamo ancora il clima spirituale del tempo di Natale, con il quale è così strettamente legata la figura di san Giuseppe. E proprio lui incontriamo nella notte di Betlemme presso Maria e il neonato Bambino. Proprio lui è quell'uomo provvidenziale, al quale il Padre Celeste affido una particolarissima cura del suo Figlio sulla terra. Egli custodi Gesù e sua Madre, quando bisognava fuggire in Egitto. E' nella sua casa nazaretana che Gesù condusse la sua vita nascosta, lavorando fin dalla giovinezza accanto al carpentiere Giuseppe. Perciò anche la Chiesa intera dà la sua particolare fiducia e venerazione a san Giuseppe. Gioisco per il fatto che la vostra parrocchia lo ha scelto come proprio Patrono e in occasione della odierna visita desidero raccomandare a Lui voi tutti e tutta la vostra Comunità, ripetendo le parole di Paolo: "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (1Co 1,3).


2. Il mio saluto, perciò, va a tutta la Comunità parrocchiale. In particolare mi piace salutare innanzitutto il Cardinale Vicario, preposto all'intera pastorale diocesana, e poi il Vescovo di Zona, Mons. Remigio Ragonesi, il nuovo Vescovo ausiliare di Roma Mons. Alessandro Plotti, lo zelante parroco con i suoi collaboratori, appartenenti ai Servi della Carità della benemerita opera Don Guanella. Insieme ai Pastori saluto anche i rappresentanti delle varie famiglie religiose, maschili e femminili, operanti nella parrocchia. Voglio poi riservare una menzione speciale ai membri di tutte le Associazioni Cattoliche, che so vivamente impegnati nell'ambito di questa Comunità in varie iniziative pastorali.

La parrocchia di san Giuseppe al Trionfale conta più di trentamila abitanti.

Perciò i suoi problemi sono molti. Ma confido nella responsabile partecipazione di tutti ad affrontare e risolvere insieme le molteplici necessità pastorali, in spirito di comunione e di dinamica realizzazione della propria identità cristiana basata sul Battesimo. Mi rivolgo particolarmente ai giovani perché indirizzino verso gli alti ideali della vita ecclesiale il loro entusiasmo e la loro intelligenza. Ai malati, poi, ai quali assicuro la mia affettuosa partecipazione al loro stato di infermità, chiedo di offrire le loro sofferenze per il bene di tutti e per un'efficace testimonianza del Vangelo nel mondo d'oggi. Ed affido alla generosa ricompensa del Signore quanto ciascuno di voi attivamente compie come membro del corpo di Cristo che e la Chiesa.


3. Il tempo del Natale, che abbiamo vissuto da poco, ha rinnovato in noi la coscienza che "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn

1,14). Questa coscienza non ci abbandona mai; tuttavia in questo periodo essa diventa particolarmente viva ed espressiva. Diventa il contenuto della liturgia, ma anche il contenuto del costume cristiano, familiare e sociale. Ci prepariamo sempre a quella santa notte della nascita temporale di Dio mediante l'Avvento, così come proclama l'odierno Salmo responsoriale: "Ho sperato: ho sperato nel Signore ed egli su di me si e chinato, ha dato ascolto al mio grido" (Ps 39/40,2).

E' ammirabile questo chinarsi del Signore sugli uomini. Diventando uomo, e prima di tutto come bambino indifeso, fa si che piuttosto noi ci chiniamo su di Lui, così come Maria e Giuseppe, come i pastori, e poi i tre magi d'Oriente. Ci chiniamo con venerazione, ma anche con tenerezza. Nella nascita terrestre del suo Figlio, Dio tanto si "adatta" all'uomo che addirittura diventa "uomo""! Ed appunto questo fatto - se seguiamo la trama del Salmo - ci "ha messo sulla bocca un canto nuovo, lode al nostro Dio" (Ps 39,4). Quale freschezza traspare dai nostri canti natalizi! Quanto esprimono la vicinanza di Dio, che è diventato uomo e debole bambino! Che noi non perdiamo mai il profondo senso di questo Mistero! Che lo manteniamo sempre vivo, così come ce l'hanno trasmesso i grandi santi - e qui sotto il cielo italiano in modo particolare san Francesco d'Assisi. Ciò è molto importante, cari fratelli e sorelle: da ciò dipende il modo con cui guarderemo noi stessi ed ogni uomo, come vivremo questa nostra umanità! Lo esprime anche il profeta Isaia quando proclama nell'odierna prima lettura: "Dio era stato la mia forza" (Is 49,5). E nella seconda lettura san Paolo si rivolge ai Corinzi - e in pari tempo indirettamente a noi - come a coloro "che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi" (1Co 1,2).

Pensiamo a noi, alla luce di queste parole! Ognuno di noi pensi così a sé e così vicendevolmente pensiamo gli uni agli altri! E infatti ancora il recente Concilio ci ha ricordato la vocazione di tutti alla santità. Questa è proprio la nostra vocazione in Gesù Cristo! Ed è dono essenziale della nascita temporale di Dio. Nascendo come uomo, il Figlio di Dio confessa la dignità dell'essere umano - ed insieme iscrive in esso una nuova chiamata, la chiamata alla santità!


4. Chi è Gesù Cristo? Colui che è nato nella notte di Betlemme. Colui che è stato rivelato ai pastori ed ai magi dell'Oriente. Ma il Vangelo della domenica odierna ancora una volta ci conduce alle rive del Giordano, dove, dopo trent'anni dalla nascita, Giovanni Battista prepara gli uomini alla sua venuta. E quando vede Gesù "venire verso di lui" dice: "Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo" (Jn 1,29).

Giovanni afferma che al Giordano battezza "con acqua perché egli - Gesù di Nazaret - fosse fatto conoscere a Israele" (Jn 1,31).

Siamo abituati alle parole: "Agnello di Dio". E tuttavia queste sono sempre parole meravigliose, misteriose, parole potenti. Come potevano capirle gli ascoltatori immediati di Giovanni - che conoscevano il sacrificio dell'agnello connesso con la notte dell'esodo di Israele dalla schiavitù d'Egitto! L'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo! Gli ulteriori versetti dell'odierno Salmo responsoriale spiegano più pienamente ciò che si rivelo al Giordano attraverso le parole di Giovanni Battista, e che aveva già preso inizio nella notte di Betlemme. Il Salmo si rivolge a Dio con le parole del salmista, ma indirettamente esso riporta la parola dell'eterno Figlio diventato uomo: "Sacrificio e offerta non gradisci, / gli orecchi mi hai aperto. / Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. / Allora ho detto: "Ecco, io vengo. / Sul rotolo del libro di me è scritto / che io faccia il tuo volere. / Mio Dio, questo io desidero" (Ps 39/40,7-9).

Così parla, con le parole del Salmo, il Figlio di Dio diventato uomo. La stessa verità coglie Giovanni al Giordano, quando additandoLo grida: "Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo" (Jn 1,29).

5. così, cari fratelli e sorelle, siamo stati "santificati in Cristo Gesù". E siamo "chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo" (1Co 1,2).

Gesù Cristo è l'Agnello di Dio, che dice di se stesso: "Mio Dio, io desidero fare il tuo volere, la tua legge è nel profondo del mio cuore" (cfr. Ps 39/40,9).

Che cosa è la santità? E' appunto la gioia di fare il volere di Dio.

Questa gioia viene sperimentata dall'uomo per mezzo di un costante lavorio su se stesso, per mezzo della fedeltà alla legge Divina, ai comandamenti del Vangelo. E anche non senza le rinunce.

Questa gioia è partecipata dall'uomo sempre ed esclusivamente per opera di Gesù Cristo Agnello di Dio. Quanto è eloquente il fatto che ascoltiamo le parole pronunciate da Giovanni al Giordano, quando dobbiamo accostarci a ricevere Cristo nei nostri cuori con la Comunione eucaristica! Viene a noi Colui che porta la gioia di fare il volere di Dio. Colui che porta la santità.

La parrocchia, come viva particella della Chiesa, è la comunità, nella quale costantemente ascoltiamo le parole: "Ecco l'Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo". E sentiamo costantemente la chiamata alla santità. La parrocchia è una comunità, il cui scopo principale è fare di quella comune chiamata alla santità, che giunge a noi in Gesù Cristo, la via di ciascuno e di tutti, la via di tutta la nostra vita e insieme di ogni giorno.


6. Gesù Cristo ci porta la chiamata alla santità e continuamente ci dona la forza della santificazione. Continuamente ci da "il potere di diventare figli di Dio", come lo proclama l'odierna liturgia nel canto dell'Alleluia.

Questa potenza di santificazione dell'uomo potenza continua ed inesauribile, è il dono dell'Agnello di Dio. Giovanni additandolo al Giordano dice: "Questi è il Figlio di Dio" (Jn 1,4), "è colui che battezza in Spirito Santo" (Jn 1,33), cioè ci immerge in quello Spirito che Giovanni vide, mentre battezzava, "scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui" (Jn 1,32).

Questo fu il segno messianico. In questo segno Lui stesso, che è pieno di potenza e di Spirito Santo, si è rivelato come causa della nostra santità: l'Agnello di Dio, l'autore della nostra santità.

Lasciamo che Egli operi in noi con la potenza dello Spirito Santo! Lasciamo che Egli ci guidi sulle vie della fede, della speranza, della carità sulla via della santità! Lasciamo che lo Spirito Santo - Spirito di Gesù Cristo - rinnovi la faccia della terra attraverso ciascuno di noi! In questo modo, tutta la nostra vita risuoni col canto del Natale.

Data: 1981-01-18
Domenica 18 Gennaio 1981


Ai membri della Giunta Capitolina - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Impegnarsi per l'integrale ed armoniosa crescita dell'uomo nella città



1. A Lei, Signor Sindaco, alla Giunta Capitolina e agli altri membri del Consiglio Comunale qui presenti il mio saluto deferente e l'espressione del più vivo ringraziamento per questa visita che, al di là delle consuetudini protocollari, conserva per me un significato ed un valore del tutto particolari. In voi, infatti, saluto i rappresentanti di quest'alma Città di Roma, che la Provvidenza ha voluto affidare alle mie cure pastorali, impegnandomi con ciò a riservare ad essa ed ai suoi problemi umani e spirituali un posto peculiare nel mio cuore.

I numerosi incontri con la cittadinanza e con specifici gruppi e le decine di visite pastorali a singole parrocchie della diocesi, che ho potuto svolgere dall'inizio del mio ministero in questa Sede, mi hanno consentito di acquisire una conoscenza via via più profonda della realtà umana della Città e della sua periferia, così che sono ora in grado di misurare in tutta la loro portata le preoccupazioni, le ansie, le speranze, di cui Lei, Signor Sindaco, si è fatto interprete nell'indirizzo or ora pronunciato.

In questa circostanza mi è gradito confermare la piena disponibilità dell'autorità ecclesiastica a recare il proprio contributo, nei limiti delle sue competenze e delle sue possibilità, alla pronta ed adeguata soluzione dei problemi, che angustiano la Città.

Al tempo stesso mi è caro esprimere la fiducia che possa esservi, da parte dell'Amministrazione civica, una sempre vigile attenzione religiosa, che deve far fronte alle esigenze di una popolazione in continua espansione. L'essere umano vive contemporaneamente nella sfera dei valori materiali e in quella dei valori spirituali. Tra questi ultimi, la dimensione religiosa ha un suo posto di non secondaria rilevanza. Impegnarsi per l'integrale ed armoniosa crescita dell'uomo significa adoperarsi perché all'istanza religiosa, emergente dalle profondità del suo animo, venga offerta un'adeguata possibilità di esprimersi, di maturare, di testimoniarsi nella vita.


2. Come non riconoscere, del resto, l'apporto fondamentale che la dimensione religiosa, autenticamente vissuta, reca alla sana formazione morale dell'individuo ed alla sua capacità di mantenersi immune nei confronti dei fermenti di corruzione, insidiosamente serpeggianti nell'ambiente? Le manifestazioni criminose della violenza terroristica (di cui la barbara uccisione del Generale Enrico Galvaligi e l'iniquo sequestro del Magistrato Giovanni D'Urso sono i più recenti, impressionanti episodi), la crescente diffusione del ricorso alla droga, i cedimenti al permissivismo morale nelle sue varie forme sono, tra gli altri, fenomeni di cui questa nostra Città, per la sua condizione di grande metropoli e per il ruolo di capitale della nazione, ha dovuto particolarmente soffrire in questi ultimi tempi. Non v'è persona assennata che non si senta intimamente scossa e turbata di fronte a questi preoccupanti sintomi di una crisi profonda, che mette in forse i fondamenti stessi della convivenza civile. La costatazione dei mali odierni rende spontaneo il confronto con i valori morali, che fecero grande la Roma antica e che Sallustio sintetizzava con le note parole: "Domi industria, foris iustum imperium, animus in consulendo liber, neque delicto neque libidini obnoxius" (Sallustii "Cat" 52,21).

Sono questi i valori che, pur con gli ovvi ridimensionamenti dovuti alle mutate situazioni, è necessario consolidare o ricuperare, per ridare serenità ai cittadini, dignità e vigore alle pubbliche istituzioni, floridezza alla vita economica. Or bene, in tale comune impegno per una ripresa morale, che appare ogni giorno più urgente, la religione cristiana che è quella della stragrande maggioranza dei romani - per la nobiltà degli ideali che propone, per la forza trascinatrice degli esempi a cui rimanda, per le energie spirituali e morali che è in grado di suscitare negli animi ben disposti - si rivela portatrice di fermenti positivi straordinariamente stimolanti.

Le testimonianze offerte dalla storia sono, al riguardo, molto eloquenti e confermano la valutazione pronunciata dal grande Agostino in un momento di paurosa crisi politica e sociale. Rivolgendosi alla "progenie dei Regoli, degli Scevola, degli Scipioni, dei Fabrizi", egli non esitava ad affermare: "Se qualcosa che merita lode risalta in te per naturale disposizione, soltanto con la vera religiosità viene ad essere nobilitato e portato a perfezione, mentre con l'irreligiosità viene a smarrirsi e ad essere svilito" (Sant'Agostino "De Civitate Dei", II, 29,1).


3. In questa prospettiva sono lieto di accogliere i voti augurali che Ella, Signor Sindaco, a nome anche dei suoi valenti collaboratori, ha voluto esprimermi all'alba di questo nuovo Anno, che ci sta dinanzi col tesoro delle sue promesse pressoché intatto. Li ricambio con animo grato, accompagnandoli con l'auspicio di buon lavoro a servizio della Comunità cittadina, il cui benessere richiede l'opera di amministratori che si distinguano per acutezza di indagine nell'individuare i problemi reali, e lungimirante saggezza nel proporne le soluzioni concrete.

Il mio augurio si estende, altresì, all'intera cittadinanza, sulla quale invoco l'abbondanza delle benedizioni celesti per un Anno fecondo di gioie serene e di positivi traguardi. Mi è caro affidare tale preghiera all'intercessione di Maria Santissima, "Salus populi romani", che tante volte, nel corso dei secoli, ha testimoniato la sua premura materna verso questa Città. E l'affido ancora all'intercessione dei santi Apostoli Pietro e Paolo, il cui sangue irroro questa nostra Roma, traendone quella germinazione di fede cristiana, che nessuna pur avversa vicenda poté in seguito mai più soffocare.

Data: 1981-01-19
Lunedì 19 Gennaio 1981





Alla delegazione delle popolazioni della Valle del Belice - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nei valori religiosi e morali il fondamento della ricostruzione



1. E' con animo commosso e grato che accolgo stamani in speciale udienza la vostra Delegazione, fratelli e figli carissimi della Valle del Belice, colpiti dal disastroso terremoto del 1992. Saluto con fraterno affetto il Vescovo di Mazara del Vallo, Monsignor Costantino Trapani, ed il Vescovo di Agrigento, Monsignor Luigi Bommarito, nelle cui diocesi si trovano le zone, ove il sisma ha prodotto i maggiori danni.

Saluto poi i Parroci e i Sindaci dei Comuni, che il terremoto ha in parte o totalmente distrutto; e con loro saluto pure il gruppo di cittadini qui convenuti in rappresentanza dell'intera popolazione di quella diletta terra, tanto provata. A tutti desidero esprimere il mio apprezzamento per questo gesto gentile, nel quale mi piace ravvisare un'eloquente testimonianza di fede in Cristo Signore e di attaccamento alla Chiesa che Egli ha fondato sulla roccia di Pietro.

Questa presenza mi è tanto più gradita in quanto so che, con essa, voi intendete manifestare la vostra non mai sopita riconoscenza per il fattivo interessamento dimostrato verso di voi dal mio predecessore, Paolo VI di venerata memoria, il cui sollecito intervento, fin dalle prime ore di quei terribili giorni, ha lasciato un'indelebile traccia nei vostri cuori.


2. Il dono che mi avete recato è particolarmente significativo: un Cristo in fili di rame. Mi pare di potervi leggere quasi un simbolo della vostra situazione e, se consentite, anche di quella delle popolazioni della Basilicata e della Campania, che il recente, disastroso sisma ha drammaticamente sconvolte.

Le dimensioni della sciagura che vi ha colpito sono state grandi: 231 morti, 623 feriti, interi paesi distrutti. E dopo quella terribile notte di meta gennaio del 1968, quante tribolazioni e quali stenti: dapprima il riparo di fortuna sotto le tende, per far fronte alla prima emergenza; poi le baracche destinate ad assicurare un alloggio provvisorio in attesa che si potessero ricostruire le case. Purtroppo la situazione provvisoria perdura tuttora, con disagi e complicazioni facilmente immaginabili.

Nell'esprimere l'auspicio che dall'impegno delle Autorità competenti e dalla responsabile corrispondenza dei privati cittadini possa venire un decisivo impulso per la soddisfacente soluzione degli annosi problemi, io voglio qui ricordare che la nostra fede ci annuncia che, dopo le sofferenze strazianti della passione, Cristo risorge glorioso nella sua Pasqua eterna.


3. E allora io auguro che le generose popolazioni della Valle del Belice possano "risorgere" dalla triste condizione, in cui le ha gettate il sisma del 1968. La parola d'ordine, che deve guidarvi, e "ricostruire" per voi, per i vostri figli, per le generazioni che verranno.

Vorrei, tuttavia, sottolineare che un'autentica ricostruzione non può non cominciare dalla promozione di quei valori religiosi e morali, che i vostri antenati vi hanno lasciato in eredità. Una comunità umana non si forma soltanto sulla base di fattori materiali, quali la casa, i possedimenti, il territorio.

Essa si raccoglie, si amalgama, si struttura in un popolo avente propri tratti caratteristici, grazie alla condivisa assimilazione di convinzioni, principi, norme di comportamento, che ne costituiscono il substrato umano più profondo e il duraturo patrimonio spirituale.

Voi conoscete bene quali sono stati i valori a cui i vostri padri hanno ispirato la loro esistenza: essi fondarono la loro vita privata e comunitaria sui valori perenni del Vangelo. Nessuno pretende, certo, di dipingere il passato con tinte esclusivamente luminose. Vi furono anche allora le ombre. Non si può tuttavia mettere in dubbio il ruolo fondamentale svolto dalla fede nell'orientare, sorreggere, stimolare a sentimenti nobili e grandi le generazioni che, nel corso dei secoli, hanno abitato le terre che voi tanto intensamente amate.

Siate, dunque, orgogliosi delle vostre tradizioni cristiane e sentite in voi stessi l'impegno di essere all'altezza degli esempi di religiosità, di amore alla famiglia, di onestà, di altruismo, che i vostri avi vi hanno lasciato.

Porrete in tal modo i presupposti più validi e sicuri per quella rinascita della Valle del Belice, che insieme con voi anch'io auspico di cuore.

A conferma di questi sentimenti volentieri concedo a voi, ai vostri familiari e alle dilette popolazioni, che qui rappresentate, la mia apostolica benedizione, propiziatrice di ogni desiderato dono celeste.

Data: 1981-01-22
Giovedì 22 Gennaio 1981



GPII 1981 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)