GPII 1981 Insegnamenti - L'omelia in san Pietro alla Messa per i malati - Città del Vaticano (Roma)

L'omelia in san Pietro alla Messa per i malati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il ruolo insostituibile dei deboli nel disegno salvifico di Dio



1. "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo" (Lc 1,42). Le parole che Elisabetta rivolse alla Vergine santissima nel giorno della visitazione salgono spontaneamente alle nostre labbra mentre, raccolti in comunione di fede e di amore intorno all'altare di Cristo, testimoniamo la nostra riconoscenza alla Madre celeste per quanto Ella ha fatto e continua a fare in quel "crocevia spirituale" del mondo moderno, che è la città di Lourdes.

Desidero, innanzitutto, rivolgere il mio saluto cordiale a quanti sono intervenuti a questa celebrazione eucaristica, promossa dall'Opera Romana Pellegrinaggi e dall'Unitalsi. In particolare il mio saluto si rivolge a lei Signor Cardinale, ai Vescovi, ai Sacerdoti che promuovono, con l'aiuto di laici volenterosi, questa forma tanto meritevole di pastorale; e poi a coloro che sono stati in pellegrinaggio a Lourdes e che stasera hanno voluto ritrovarsi insieme in questa Basilica, quasi per rivivere le indimenticabili emozioni provate in quel luogo di grazia. Saluto gli ammalati, che sono gli ospiti privilegiati di questo incontro di preghiera. Con essi saluto quanti generosamente si sono offerti per assicurare la necessaria assistenza; e, poi, tutti coloro che partecipano a questa Eucarestia per esprimere la loro devozione alla Vergine e per manifestare, altresì, la loro solidarietà verso tanti fratelli sofferenti.


2. Maria è spiritualmente presente in mezzo a noi: ne abbiamo sentito riecheggiare la voce nella pagina evangelica proclamata poco fa. Noi guardiamo a Lei con gli stessi occhi con cui a Lei guardo Elisabetta, quando la vide giungere con passo frettoloso e senti la voce del suo saluto: "Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo" (Lc 1,44).

Come non raccogliere questo primo invito alla riflessione? Il trasalimento di gioia di Elisabetta sottolinea il dono che può essere racchiuso in un semplice saluto, quando esso parte da un cuore colmo di Dio. Quante volte il buio della solitudine, che opprime un'anima, può essere squarciato dal raggio luminoso di un sorriso e di una parola gentile! Una buona parola è presto detta; eppure a volte ci torna difficile pronunciarla. Ce ne trattiene la stanchezza, ce ne distolgono le preoccupazioni, ci frena un sentimento di freddezza o di egoistica indifferenza. Succede così che passiamo accanto a persone che pur conosciamo, senza guardarle in volto e senza accorgerci di quanto spesso esse stiano soffrendo di quella sottile, logorante pena, che viene dal sentirsi ignorate. Basterebbe una parola cordiale, un gesto affettuoso e subito qualcosa si risveglierebbe in loro: un cenno di attenzione e di cortesia può essere una ventata di aria fresca nel chiuso di un'esistenza, oppressa dalla tristezza e dallo scoramento. Il saluto di Maria riempi di gioia il cuore dell'anziana cugina Elisabetta.


3. "Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc

1,45). così disse Elisabetta, rispondendo al saluto della Madonna. Sono parole dettate dallo Spirito Santo (cfr. Lc 1,41). Esse mettono a fuoco la virtù principale di Maria: la fede. I Padri della Chiesa si sono soffermati a riflettere sul significato di tale virtù nella vicenda spirituale della Vergine e non hanno esitato ad esprimere valutazioni, che a noi possono apparire sorprendenti. Basti citare per tutti sant'Agostino: "La sua parentela di madre non avrebbe recato alcun giovamento a Maria, se Ella non avesse portato più riccamente Cristo nel cuore che non nel corpo". (Sant'Agostino "De sancta Virginitate", 3, 3).

La fede consenti a Maria di affacciarsi senza timore sull'abisso inesplorato del disegno salvifico di Dio: non era facile credere che Dio potesse "farsi carne" e venire ad "abitare in mezzo a noi" (cfr. Jn 1,14), che Egli cioè volesse nascondersi nell'insignificanza del nostro quotidiano, vestendosi della nostra umana fragilità, soggetta a tanti e così umilianti condizionamenti. Maria oso credere a questo progetto "impossibile", si fido dell'Onnipotente e divenne la principale cooperatrice di quella mirabile iniziativa divina, che ha riaperto la nostra storia alla speranza.

Anche il cristiano è chiamato ad un simile atteggiamento di fede, che lo porta a guardare coraggiosamente "al di là" delle possibilità e dei limiti dell'evento puramente umano. Egli sa di poter contare su Dio, il quale, per affermare la propria sovrana libertà nei confronti dei condizionamenti umani, non di rado sceglie ciò che nel mondo è debole e disprezzato per confondere i sapienti ed i forti, "perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1Co 1,29).

Nella bimillenaria storia della Chiesa possono citarsi conferme clamorose di questo singolare agire di Dio, che continua a lasciare perplessi quanti cercano spiegazioni semplicemente umane ai disegni della Provvidenza. Basti citare solo il nome di santa Bernadette. Ma senza paragone più numerose sono le vicende, la cui rilevanza sociale resta per ora nascosta: è lo stuolo sterminato delle anime che hanno passato la loro esistenza spendendosi nell'anonimato della casa, della fabbrica, dell'ufficio; che si sono consumate nella solitudine orante del chiostro; che si sono immolate nel quotidiano martirio della malattia. Verrà il disvelamento della Parusia ed apparirà allora quale ruolo decisivo esse hanno svolto, nonostante le apparenze contrarie, negli sviluppi della storia del mondo.

E sarà anche questo motivo di gioia per i beati, che ne trarranno argomento di lode perenne al Dio tre volte santo.


4. Un pregustamento di tale gioia è concesso già fin di quaggiù ai "piccoli", ai quali il Padre svela i suoi disegni (cfr. Mt 11,25). Maria guida la schiera di questi "piccoli", che hanno nel cuore la sapienza di Dio. Per questo Ella ha potuto pronunciare davanti ad Elisabetta il canto dei "Magnificat", che resta nei secoli l'espressione più pura della gioia zampillante in ogni anima fedele.

E' la gioia che scaturisce dallo stupore per la forza onnipotente di Dio, il quale può permettersi di compiere "cose grandi", nonostante la inadeguatezza degli strumenti umani (cfr. Lc 1,47-49). E' la gioia per la superiore giustizia di Dio, che "ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi" (Lc 1,52s). E', infine, la gioia per la misericordia di Dio che, fedele alle promesse, raccoglie sotto l'ala del suo amore i figli di Abramo, "di generazione in generazione", soccorrendoli in ogni loro necessità (cfr. Lc 1,50 Lc 1,54-55).

Questo il canto di Maria. Esso deve diventare il canto di ogni giorno della nostra vita: non v'è infatti situazione umana che non possa trovare là una adeguata interpretazione. La Vergine lo pronuncia mentre sul suo spirito si addensano gli interrogativi circa le reazioni dello sposo, ancora ignaro dell'intervento divino, e soprattutto gli interrogativi circa il futuro di questo Figlio, sul quale incombono inquietanti parole profetiche (cfr. Is 53).


5. Potremo cantare il "Magnificat" con interiore esultanza di spirito, se cercheremo di avere in noi i sentimenti di Maria: la sua fede, la sua umiltà, il suo candore. V'e una bella espressione di Ambrogio, con cui il santo Vescovo di Milano proprio a questo ci esorta: "Sia in ciascuno - egli dice - l'anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria ad esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio, purché, serbandosi senza macchia e libera dal peccato, custodisca con intemerato pudore la castità" (Sant'Ambrogio "Expos. Ev. sec. Lucam", II, 26).

Ecco, carissimi fratelli e sorelle, che cosa ci ha voluto dire stasera la Madonna. Se sapremo ascoltare la sua voce, Ella ripeterà per noi, raccolti intorno all'altare del Figlio suo, le parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura: "Come una madre consola un figlio, così io vi consolero. In Gerusalemme sarete consolati" (Is 66,13).

Noi sappiamo a quale Gerusalemme si allude: è la Gerusalemme "di lassù" (Ga 4,26), che Giovanni ha visto "scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo" (Ap 21,2). Verso tale Gerusalemme si levano i nostri occhi, verso di essa si protende la nostra speranza, perché in essa si compirà finalmente la promessa profetica, che abbiamo ancora una volta ascoltato: "Le vostre ossa saranno rigogliose come erba fresca. La mano del Signore si farà manifesta ai suoi servi" (Is 66,14).

Nell'attesa di questa suprema manifestazione della "mano del Signore", noi intanto proseguiamo il cammino sul sentiero che, giorno per giorno, la Provvidenza divina ci apre dinanzi. Abbiamo con noi il "pane dei pellegrini", il sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, che ci si offre come inesauribile sorgente, a cui attingere forza, serenità, fiducia in ogni momento dell'esistenza.

"Tu qui euncta scis et vales" - noi gli ripetiamo con trasporto - "qui nos paseis hie mortales; tuos ibi commensales, coheredes et sodales fac sanctorum civium." Amen. Data: 1981-02-11
Mercoledì 11 Febbraio 1981


La Messa per il cinquantenario della Radio Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vostra missione quotidiana rafforza l'unità della Chiesa

Cari fratelli e sorelle,

1. Cinquant'anni fa, in questo stesso giorno, il mio venerato predecessore Pio XI rivolgeva per la prima volta al mondo un radiomessaggio, inaugurando così quella che, con legittima fierezza, voi chiamate la Radio del Papa. E' stato vostro desiderio - in ideale continuità con quell'evento - che questo giorno cinquantenario vi vedesse accolti intorno al Pastore visibile della Chiesa universale, per partecipare nella gratitudine e nella gioia all'Eucarestia.

E perché a questa Eucaristia prendessero parte anche gli innumerevoli ascoltatori, ai quali voi prestate il vostro quotidiano servizio e che costituiscono la grande ricchezza della Radio Vaticana, soprattutto coloro che soffrono per la loro fedeltà a Cristo, e gli infermi e gli anziani, avete chiesto che questa celebrazione eucaristica avesse luogo e venisse trasmessa nella stessa ora nella quale ogni giorno la santa Messa viene radiodiffusa dalla vostra Cappella.

Questo desiderio corrisponde alla fondamentale vocazione della Radio Vaticana. Ognuno di voi sa che l'opera della evangelizzazione attraverso la radio richiede una instancabile ricerca di mediazione culturale, di linguaggio efficace, di espressioni creative. Ma in ognuno di voi è la certezza, corroborata dalle testimonianze di tanti ascoltatori, che primo e fondamentale compito della Radio Vaticana, di questo prezioso e irrinunciabile servizio alla Chiesa, è quello di diffondere l'insegnamento e la voce stessa del Vicario di Cristo, di permettergli, come già diceva Pio XI, "di estendere la sua conversazione al mondo intero".

Nell'adempimento di questa sua essenziale missione la Radio Vaticana contribuisce a rafforzare l'unità della Chiesa, permettendo ai fedeli di ogni parte della terra di stringersi quasi fisicamente attorno al Papa, "soprattutto collegando immediatamente con la Sede di Pietro e tra loro quelle Chiese locali che si trovano in precarie condizioni di libertà religiosa", come dicevo in occasione della mia visita alla vostra sede il 5 febbraio dell'anno scorso.


2. Voi sapete bene che le onde portatrici dei vostri messaggi superano distanze geografiche e frontiere di ogni natura, ma siete anche consapevoli che, al di sopra della stessa informazione tanto preziosa per coloro che non hanno altre fonti, e insieme alla catechesi, indispensabile per tanti che non hanno altre risorse, vi é la comunione ecclesiale, alla quale voi rendete servizio apportando qualcosa che non è vostro ma che vi viene continuamente donato.

Perciò il momento della preghiera, dell'Eucaristia, è il momento più alto che la vostra operosa giornata possa vivere: è il momento nel quale, invisibilmente ma concretamente, vi trovate al centro di una comunione ecclesiale formata non da semplici ascoltatori, ma da membra vive e partecipanti all'ininterrotto mistero che è la Chiesa di Cristo pellegrina nel mondo.

Questa vostra centralità, che è per voi dono prezioso ed insieme altissima responsabilità, vi fa immediatamente intuire la ragione profonda della vostra unione con il Papa, della vostra fedeltà al Papa, del vostro bisogno di pulsare all'unisono con il cuore del Papa. Alimentati dall'Eucaristia, fattore primario di unità della Chiesa, e fedeli al Papa, "perpetuo e visibile principio e fondamento", segno e garante della unità della Chiesa, voi potrete ogni giorno con umiltà e fiducia svolgere il vostro ministero, che è servizio di evangelizzazione.

E se i limiti delle risorse materiali e i vostri stessi limiti umani potranno talvolta rendere trepida la vostra serenità, ricordate che il messaggio confidatovi è più grande di voi e che esso costituisce anche e prima per voi sorgente di vita e di forza.

Umiltà, riconoscenza e fiducia: sono questi i sentimenti che vi invito a rinnovare in questo cinquantenario della fondazione della Radio Vaticana, e insieme vi rinnovo quel mandato di evangelizzare tutte le genti, che il Cristo Signore non cessa di far risuonare nei nostri cuori.


3. Le Letture bibliche di questa liturgia ci richiamano opportunamente a questo stesso tema.

"Euntes, docete omnes gentes": "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19). In questa suprema consegna di Gesù risorto ai suoi discepoli si fonda e si nutre tutto l'enorme impegno dispiegato dalla Chiesa nel corso della storia di questi due millenni per rendere testimonianza, con le parole e con le opere, al Vangelo ed alla sua forza di trasformazione. E mi piace scorgere un unico filo conduttore, quello appunto dello stesso annuncio di salvezza incentrato in Cristo, che lega insieme il primo discorso di Pietro il giorno della Pentecoste, riportato nel capitolo secondo degli Atti degli Apostoli, e quelli dei suoi Successori in questo ventesimo secolo, che si sono serviti del mezzo radiofonico. L'annuncio, dicevo, è il medesimo; ma pure medesima è la sua destinazione universale, allora significata dalla prodigiosa capacità con cui i rappresentanti di tutte le terre in quel tempo conosciute poterono ascoltare la parola apostolica a Gerusalemme, ed oggi realizzata, a raggio enormemente più vasto, dalla possibilità che ha la Radio di trasmettere nelle principali lingue parlate e di raggiungere tutte le parti del mondo. E voglia il Signore che pure medesimo sia il risultato di conversione (cfr. Ac 2,2 Ac 2,41), cioè di rinnovamento interiore degli ascoltatori in vista di una nuova impostazione di vita. Se, infatti. Ia Radio Vaticana non si sforzasse, almeno, di raggiungere questi esiti missionari, tradirebbe la propria identità: quella, cioè, di essere uno strumento privilegiato di evangelizzazione, che è insieme annuncio, testimonianza e autentica promozione dell'uomo.

E' sull'ascolto, in realtà, che si basa e si innesta la fede cristiana.

La prima lettura biblica, tratta dalla lettera di san Paolo ai Romani, ce l'ha ricordato in termini espliciti e tipici: "Fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi" (Rm 10,17): la fede dipende dall'ascolto dell'annuncio, e questo a sua volta concerne e quasi incarna la stessa parola di Cristo. Come altrove si esprime lo stesso apostolo, "noi non predichiamo noi stessi, ma Gesù Cristo Signore" (2Co 4,5), poiché "se, soltanto, io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo" (Ga 1,10). Proprio il rapporto parola-ascolto-fede è nella linea purissima del mistero della Croce salvifica di Gesù, perché ci dice che la cosa apparentemente più debole ed inconsistente, qual è appunto la parola, è in grado di produrre, mediante l'intervento della grazia divina, la realtà più potente, cioè la fede che "vince il mondo" (1Jn 5,4).


4. Ebbene, cari fratelli e sorelle, siate di questi cristiani che sentono vibrare profondamente le esigenze inerenti al proprio Battesimo, e svolgete il vostro servizio quotidiano non solo con la competenza che vi è propria, ma anche con quell'anima apostolica, insieme zelante ed intelligente, che è richiesta al discepolo di Cristo impegnato nella Chiesa e nel mondo.

Ed un saluto particolare voglio rivolgere anche a tutti coloro, che in questo momento ed in vari paesi ascoltano la mia voce. E' il Vescovo di Roma che vi parla, il successore di Pietro e Vicario di Cristo, unito paternamente con tutti i figli della Chiesa nell'identico vincolo della fede, della carità e della speranza. Tutti vi invito a sentirvi più parte di questa unica e grande famiglia che è la Comunità ecclesiale, il Corpo di Cristo, in cui "non c'è più giudeo né greco, non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché noi siamo uno in Cristo Gesù" (cfr. Ga 3,28). E se a qualcuno di "voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui" (Ph 1,29), sappia che io gli sono affettuosamente vicino, nella certezza che "la parola di Dio non è incatenata" (2Tm 2,9).

Il Signore assista ciascuno di noi "tutti i giorni" (Mt 28,20), ci rafforzi con la sua potenza, fecondi l'impegno e le fatiche di tutti per il suo Vangelo.

In particolare mediante il qualificato servizio di voi della Radio Vaticana, acquistino sempre maggiore verità le parole del Salmo responsoriale: "Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia" (Ps 98,2).

Amen!

Data: 1981-02-12
Giovedì 12 Febbraio 1981


Al personale dell'Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano - Città del Vaticano (Roma)

Signor Ispettore Capo, e voi tutti, Funzionari, Graduati e Dipendenti dell'Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso la Città del Vaticano! Continuando una gentile consuetudine, voi avete tanto desiderato questo incontro per esprimermi i sentimenti del vostro affetto, unitamente agli auguri per l'anno corrente. Vi sono riconoscente per un così premuroso pensiero, ma in modo speciale voglio porgere un cordiale ringraziamento al Signor Ispettore Capo, dottor Francesco Pasanisi per le sue nobili parole che ha voluto rivolgermi, anche a nome vostro, sintetizzando la preziosa opera svolta, non limitata alla tutela, discreta e generosa della dimora del Papa e delle adiacenze della Città del Vaticano, ma estesa agli spostamenti frequenti nell'Urbe ed ai viaggi in alcune città italiane, richiesti dal mio ministero apostolico. Con viva consolazione, ho sentito che la fede cristiana è stata ed è sostegno dell'impegnativo servizio da voi prestato. E faccio voti che così sia sempre vista e vissuta da voi tutti: del resto, non potrebbe essere altrimenti, ove si consideri che la vostra attività è diretta a salvaguardare l'ordine pubblico in favore dei fedeli di tutto il mondo, che affluiscono a Roma principalmente per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, come pure nelle grandi solennità liturgiche per testimoniare la loro fedeltà alla Chiesa e rinvigorire la carità verso Dio e verso il prossimo.

Voi che siete partecipi a tale esaltante comunione spirituale tra genti diverse per costumi, tradizioni, lingua e razze, non potete non venire stimolati a sempre maggiore convinzione nei valori e negli ideali del Vangelo, da cui trarre il necessario incoraggiamento per essere sempre più dediti alla scrupolosa osservanza dei vostri doveri di servitori dello Stato, e pertanto di operatori, in suo nome, di pace.

Nell'esortarvi a perseverare con rinnovato vigore nei delicati e spesso difficili compiti, a voi assegnati dai vostri superiori, elevo la mia preghiera a Cristo, sovrano delle menti e dei cuori, perché vi illumini e vi aiuti sempre con la sua grazia e mentre formo l'auspicio di serena prosperità per ciascuno di voi e per le vostre rispettive famiglie, v'imparto in pegno di sempre memore benevolenza la confortatrice Benedizione, che volentieri estendo a tutti i vostri cari.

Data: 1981-02-12
Giovedì 12 Febbraio 1981


L'omelia nella Basilica di san Clemente - Roma

Titolo: L'evangelizzazione è l'identità più profonda della Chiesa



1. Sono particolarmente lieto di potermi trovare - insieme con numerosi Cardinali e personalità, e con i fedeli religiosi di origine slava residenti a Roma - per questa solenne celebrazione eucaristica in onore dei santi fratelli Cirillo e Metodio, in questa Basilica di san Clemente, dove riposano le venerate spoglie di san Cirillo; una doverosa e lieta celebrazione, questa, in onore dei due gloriosi santi, che il 31 dicembre scorso, con la Lettera Apostolica "Egregiae virtutis", ho proclamato celesti patroni di tutta l'Europa, accanto a san Benedetto.

Nello scorso anno, come è noto, si compiva un secolo dalla pubblicazione dell'enciclica "Grande Munus", con la quale Leone XIII, dopo aver illustrato la poliedrica personalità e l'intensa azione apostolica dei due santi, ne introduceva la festività liturgica nel calendario della Chiesa cattolica; ricorreva altresì l'undicesimo centenario della Lettera "Industriae Tuae", che il mio predecessore Giovanni VIII, nel giugno dell'anno 880, aveva indirizzato al Principe Svatopluk per raccomandare l'uso della lingua slava nella liturgia.

Tali importanti anniversari, uniti a quello del XV centenario della nascita di san Benedetto, mi hanno spinto a mettere in risalto, accanto alla imponente opera evangelizzatrice e civilizzatrice compiuta dal Patriarca d'Occidente, quella non meno importante e decisiva, dal punto di vista ecclesiale e storico, svolta dai due santi fratelli, verso i quali la Chiesa tutta, d'Oriente e d'Occidente, ha un perenne debito di immensa gratitudine e di filiale riconoscenza.


2. La odierna liturgia della Parola ci ha presentato, nella prima lettura, la conclusione della tappa del viaggio apostolico di Paolo e Barnaba ad Antiochia di Pisidia. I due arditi annunciatori del Vangelo, rifiutati dai Giudei, dichiarano con franchezza: "poiché voi respingete la Parola di Dio..., ecco noi ci rivolgiamo ai pagani!". E san Luca commenta: "Nell'udir ciò i pagani si rallegravano e glorificavano la Parola di Dio e abbracciavano la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna" (cfr. Ac 13,46 Ac 13,48).

Come Paolo e Barnaba, i santi Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue ma più ancor nella fede, furono intrepidi seguaci di Cristo ed instancabili predicatori della Parola di Dio.

Nativi di Tessalonica, la città dove san Paolo svolse parte della sua attività apostolica e ai cui primi fedeli indirizzo due lettere, i due fratelli entrarono in contatto spirituale e culturale con la Chiesa, patriarcale di Costantinopoli, allora fiorente per cultura teologica e per attività missionaria, e seppero unire le esigenze e gli impegni della vocazione religiosa con il servizio missionario. I Cazari della Crimea furono i primi testimoni del loro ardore apostolico; ma la loro più importante opera evangelizzatrice fu la missione della Grande Moravia, intrapresa dopo che il principe di Moravia Rastislaw ne aveva presentata richiesta all'Imperatore e alla Chiesa di Costantinopoli.

L'opera apostolica e missionaria, così complessa e varia, dei santi Cirillo e Metodio, considerata oggi a distanza di undici secoli sotto molteplici angolazioni, si presenta ricca di una straordinaria fecondità ed altresì di una eccezionale importanza teologica, culturale ed ecumenica; aspetti questi che interessano non soltanto la storia della Chiesa, ma anche quella civile e politica di una parte del continente europeo.

La traduzione in lingua volgare dei Libri sacri a scopo liturgico e catechetico ha fatto dei santi Cirillo e Metodio oltre che gli apostoli dei popoli slavi anche i padri della loro cultura. Il loro indefesso servizio missionario compiuto in unione sia con la Chiesa di Costantinopoli, dalla quale erano stati mandati, sia con la Sede romana di Pietro, dalla quale furono confermati, ci manifesta il loro indomito amore per la Chiesa una, santa, cattolica, e ci è di sprone perché questa unità sia pienamente vissuta nella fede e nella carità.

Inoltre - come ho sottolineato nella mia citata Lettera Apostolica "Egregiae Virtutis" - i due santi fratelli hanno messo in risalto anzitutto il contributo dell'antica cultura greca e, in seguito, la portata dell'irradiazione della Chiesa di Costantinopoli e della tradizione orientale, la quale si è così profondamente iscritta nella spiritualità e nella cultura di tanti popoli e nazioni dell'oriente europeo.


3. Presso la tomba di san Cirillo, che a 42 anni concluse in quest'Urbe la sua vita terrena il 14 febbraio dell'anno 869, e ricordando anche il suo fratello san Metodio, che fu dal Papa ordinato arcivescovo e inviato in Moravia a continuare la sua preziosa opera apostolica, proseguita fino alla morte avvenuta il 16 aprile dell'anno 885, noi abbiamo ascoltato le parole, che Gesù rivolse ai settantadue discepoli, prima di inviarli, a due a due, per la predicazione del Regno di Dio: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe" (Lc 10,2).

Cirillo e Metodio sono stati due autentici "operai" della messe di Dio.

E in questo giorno della loro festività la Chiesa, esaltando la loro meritoria azione apostolica, è consapevole di avere oggi ancor più bisogno di cristiani capaci di dare il loro contributo di impegno, di energie, di entusiasmo per l'annuncio del messaggio di salvezza in Cristo Gesù. Ma è altresì consapevole di aver bisogno di anime totalmente ed esclusivamente consacrate alla predicazione del Vangelo, alla azione missionaria; ha bisogno di sacerdoti, di religiosi, di religiose, di missionari, di missionarie, che, rinunciando generosamente e lietamente alla famiglia, alla patria, agli affetti umani, dedichino tutta la loro vita a lavorare ed a soffrire per il Vangelo (cfr. Mc 8,35).

Dinanzi alla portata storica dell'opera evangelizzatrice compiuta dai due santi fratelli, la Chiesa recepisce ancor più profondamente che l'evangelizzazione è la grazia e la vocazione sua propria, la sua identità più profonda. "Essa esiste per evangelizzare - ha scritto Paolo VI -, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio di Cristo nella Santa Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione" (Paolo VI EN 14).

Ciò ha significato per i santi Cirillo e Metodio render preminente l'annuncio del Vangelo: un annuncio che non ha mortificato, distrutto o eliminato bensì ha integrato, elevato ed esaltato gli autentici valori umani e culturali tipici del genio dei Paesi evangelizzati, contribuendo ad una apertura e ad una solidarietà, capaci di far superare gli antagonismi e di creare un comune patrimonio spirituale e culturale, che ha posto solide basi per la giustizia e la pace.

Leggendo nell'antica "Vita" di san Cirillo in lingua slava alcuni particolari degli ultimi giorni della sua vicenda terrena, proviamo una intensa emozione, perché penetriamo nella dimensione più intima della sua coscienza e intravvediamo i grandi ideali, per i quali il santo era vissuto, aveva lavorato ed aveva sofferto: "Signore, mio Dio, - egli pregava - conserva nella fede il tuo gregge, ...fa' crescere di numero la tua Chiesa e raccogli tutti nell'unità. Rendi santo, concorde nella vera fede e nella retta confessione il tuo popolo e ispira nei cuori la parola della tua dottrina".


4. Mentre ci accingiamo a celebrare l'Eucaristia, innalziamo la nostra umile e fervida preghiera ai due santi fratelli, patroni dell'Europa, chiedendo la loro potente intercessione presso la Trinità Santissima: O santi Cirillo e Metodio, che con ammirevole dedizione avete portato ai popoli assetati di verità e di luce la fede; fate che la Chiesa tutta proclami sempre il Cristo crocifisso e risorto, Redentore dell'uomo! O santi Cirillo e Metodio, che nel vostro difficile e duro apostolato missionario siete rimasti sempre profondamente legati alla Chiesa di Costantinopoli ed alla Sede Romana di Pietro; fate che le due Chiese sorelle, la Chiesa cattolica e quella ortodossa, superati nella carità e nella verità gli elementi di divisione, possano raggiungere presto la piena unione auspicata! O santi Cirillo e Metodio, che, con sincero spirito di fraternità, avete avvicinato i popoli diversi per portare a tutti il messaggio di amore universale predicato da Cristo, fate che i popoli del continente europeo, consapevoli del loro comune patrimonio cristiano, vivano nel reciproco rispetto dei giusti diritti e nella solidarietà e siano operatori di pace tra tutte le nazioni del mondo! O santi Cirillo e Metodio, che, spinti dall'amore di Cristo, avete abbandonato tutto per servire il Vangelo; proteggete la Chiesa di Dio: me, successore di Pietro nella Sede Romana; i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i missionari, le missionarie, i padri, le madri, i giovani, le giovani, i bimbi, i poveri, gli ammalati, i sofferenti; che ognuno di noi, là dove lo ha posto la provvidenza divina, sia un degno "operaio" della messe del Signore! Amen!

Data: 1981-02-14
Sabato 14 Febbraio 1981


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Appello per la pace tra Iraq e Iran



1. Desidero oggi, cari fratelli e sorelle, insieme con voi qui riuniti per la preghiera domenicale dell'"Angelus", ringraziare la Provvidenza divina per i cinquant'anni di esistenza e di attività della Radio Vaticana.

Tale gratitudine l'abbiamo già manifestata Giovedì scorso, durante una solenne celebrazione eucaristica, nel giorno commemorativo del primo radiomessaggio pontificio, rivolto al mondo dal mio predecessore Pio XI, precisamente il 12 febbraio 1931. Oggi dobbiamo ancora elevare il nostro animo riconoscente al Signore, che ha permesso all'uomo, mediante le grandi scoperte della sua intelligenza, di farsi messaggero, a raggio universale, della Buona Novella di salvezza: "Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia" (Ps 98,2).

I moderni mezzi di comunicazione, infatti, che hanno la funzione fondamentale di alimentare e di approfondire la comprensione, l'intesa e la solidarietà tra i popoli, sono particolarmente a servizio della parola di Dio e della evangelizzazione, proprio perché devono operare in vista della vera promozione dell'uomo.

La Radio Vaticana, poi, svolge il prezioso ed irrinunciabile compito di diffondere l'insegnamento e la voce stessa del Vicario di Cristo, permettendogli di "estendere la sua conversazione al mondo intero", come già si esprimeva Pio XI.

Consapevole di tale singolare impegno della Radio Vaticana, desidero ringraziare quanti vi operano con sollecitudine e competenza, ed in modo particolare i padri della Compagnia di Gesù, al cui zelo sacerdotale, ed alla cui specifica competenza è stata affidata la Radio stessa, fin dalla fondazione.


2. Domani mattina iniziero il mio viaggio apostolico in Estremo Oriente, che mi porterà attraverso il Pakistan, prima nelle Filippine, poi nell'isola di Guam nel Pacifico, quindi in Giappone, ed infine in Alaska. Mi dirigo là sulle orme di santi e di beati martiri, sia di quelli che hanno già ottenuto la gloria degli altari, sia di quelli che elevero a tale onore in occasione della mia visita, sia infine di quelli, numerosi e forse sconosciuti, che, come i primi e gli altri, hanno gettato, con la testimonianza del sangue, i fondamenti per la costruzione della Chiesa in diversi paesi dell'Asia e dell'Estremo Oriente.

Sorvolando la vasta regione che è intorno al Golfo Persico il mio pensiero si rivolgerà anche al drammatico, prolungato confronto armato che da mesi è in atto tra l'Iraq e l'Iran. Più volte ho invocato la pace per quei popoli, incoraggiando i tentativi promossi da varie istanze internazionali. Vorrei rivolgere ancora una volta un caldo invito alle Autorità responsabili delle due nazioni perché trovino con coraggio e chiaroveggenza, senza ulteriore indugio, la via di una tregua che, ponendo fine alle distruzioni e al quotidiano accrescersi di vittime, faccia schiudere le speranze di una intesa equa ed onorevole.

Pregate per me per questa intenzione ed, inoltre, implorate da Dio abbondanti frutti per questo viaggio apostolico, di cui avverto profondamente il grande significato ecclesiale.

Invoco con voi, con particolare fervore, la Madonna, che i Filippini venerano da quattrocento anni sotto il titolo di "Vergine della pace e del buon viaggio"; una sua immagine benedetta dal Papa Giovanni XXIII, è esposta alla devozione nel Pontificio Collegio Filippino in Roma. Che Essa assista il mio viaggio, e lo renda fecondo di bontà e di pace.


3. Desidero poi ricordare l'incontro che ho avuto poco tempo fa con i Vescovi della Thailandia, venuti a Roma per la "visita ad limina". Rinnovo il mio cordiale saluto a loro e a tutti i fedeli di quella nazione, che è uno dei paesi che sorvolero domani nel mio viaggio verso l'Estremo Oriente. Esprimo a quei Presuli vivo apprezzamento per avermi portato la voce di quella piccola comunità ecclesiale (circa duecentomila fedeli) che, grazie al clima di tolleranza religiosa, convive pacificamente con la grande comunità buddista, a cui appartiene la maggioranza della popolazione.

La Chiesa thailandese conta oggi dieci diocesi. L'opera di evangelizzazione è attiva, e grande speranza viene riposta nelle vocazioni sacerdotali e religiose, che sono numerose e promettenti. Le istituzioni cattoliche, soprattutto quelle educative e sociali, godono di rispetto e di prestigio, e mi auguro che continuino a dare un valido apporto allo sviluppo umano e spirituale della Nazione.

Ultimamente la presenza della carità cristiana si è fatta ancora più tangibile ed operante nella premurosa accoglienza di profughi, affluiti in gran numero in quella regione.

Vi esorto ad unirvi con me nella preghiera, perché, mediante l'intercessione della Vergine santa, Madre della Chiesa, il Signore dia felice compimento alle speranze ed alle attese per una sempre maggiore prosperità di quel nobile popolo.

(Al termine della recita dell'Angelus Domini, il Santo Padre ha rivolto ai rappresentanti della comunità filippina a Roma un breve discorso:) Sono molto felice di rivolgere uno speciale saluto ai filippini presenti oggi in piazza san Pietro. Domani, con l'aiuto di Dio, partiro alla volta del vostro Paese. Vi chiedo di pregare affinché il mio viaggio sia di beneficio spirituale per le Filippine e per gli altri paesi che visitero, dal momento che esso ha lo scopo di approfondire la fede dei membri alla Chiesa cattolica e di far progredire la causa della pace nel mondo. Pregate Dio affinché benedica il mio viaggio, per l'intercessione della Madre di Gesù, che voi invocate sotto il titolo di "Vergine della pace e del buon viaggio".

Data: 1981-02-15
Domenica 15 Febbraio 1981



GPII 1981 Insegnamenti - L'omelia in san Pietro alla Messa per i malati - Città del Vaticano (Roma)