GPII 1981 Insegnamenti - Celebrazione eucaristica per un gruppo di invalidi svizzeri - Città del Vaticano (Roma)

Celebrazione eucaristica per un gruppo di invalidi svizzeri - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Alla sequela di nostro Signore sofferente

Vi saluto di cuore, cari fratelli e sorelle, che partecipate al vostro primo pellegrinaggio denominato "Rom im Rollstuhl", provenienti dalle diverse diocesi della Svizzera. Siate inoltre i benvenuti in questa nostra comune Celebrazione eucaristica.

Con gioia tutta particolare ho aderito al vostro desiderio di incontrarci. E' per me una occasione gradita per incoraggiare questa lodevole iniziativa a favore degli handicappati della Svizzera, che dovrà essere ripetuta anche nei prossimi anni, e per ringraziare tutti coloro che nel vostro paese o altrove, in uno spirito di fraternità cristiana, dedicano le loro energie al servizio dei loro fratelli handicappati. Ma innanzitutto il Papa desidera manifestare a voi, cari fratelli e sorelle handicappati, il suo profondo affetto, la sua alta stima, e la grande fiducia che egli ripone in voi, nel vostro aiuto mediante la preghiera e l'offerta della vostra prova - soprattutto mediante una paziente e generosa accettazione della vostra sofferenza.

Considerate il destino della vostra vita soprattutto con gli occhi della fede. Ciò che a chi non crede appare come una tragica disgrazia, per i credenti può diventare un compito estremamente carico di significato e capace di dare pienezza alla vita nella società umana e nella Chiesa. Nel destino assegnatoci non da un caso cieco ma da un Dio misericordioso e accettato come tale ci viene incontro la sua chiamata del tutto personale. Da essa riconosciamo la vocazione ed il compito affidatoci. Al cospetto della Croce cercate di comprendere sempre più profondamente la vostra vocazione, che a voi è partecipata nella invalidità fisica, cercate di accoglierla con sempre più intima prontezza alla sequela di nostro Signore sofferente e di renderla fruttuosa per l'azione della Chiesa.

Unite nell'Eucaristia e ogni giorno di nuovo le vostre prove e i vostri dolori con la sofferenza redentrice di Gesù Cristo, nella quale la vostra invalidità agli occhi di Dio e nel suo provvidenziale piano salvifico acquista un valore inestimabile. Che la odierna celebrazione eucaristica con il Papa e questo pellegrinaggio a Roma vi rafforzino in questa fiduciosa concezione di fede e rendano la vostra vita profondamente gioiosa e serena. Questo auguro a voi e chiedo in quest'ora per voi al Signore Eucaristico con la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1981-09-29
Martedi 29 Settembre 1981


Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Riscopriamo il Rosario compendio di tutto il Vangelo

Carissimi fratelli e sorelle! Rivolgo il mio affettuoso e cordiale saluto a tutti voi, qui riuniti per recitare insieme con me l'"Angelus", preghiera che sintetizza, in maniera breve ma efficace, il mistero dell'Incarnazione.

Come sapete, domani avrà inizio il mese di ottobre, che la pietà dei cristiani ha voluto collegare, in particolare, ad una più impegnata e devota recita quotidiana del santo Rosario, che i miei Predecessori Pio XII e Paolo VI hanno voluto chiamare "il compendio di tutto quanto il Vangelo". Da secoli questa preghiera occupa un posto privilegiato nel culto della Beata Vergine, "sotto il cui presidio i fedeli imploranti si rifugiano in tutti i pericoli e le necessità" (LG 66).

Il Rosario è al tempo stesso una preghiera semplice, ma teologicamente ricca di richiami biblici; per questo i cristiani lo prediligono e lo recitano con frequenza e con fervore ben consapevoli della sua autentica "indole evangelica", di cui parla Paolo VI nella esortazione apostolica sul culto alla Beata Vergine. Nel Rosario noi meditiamo sui principali eventi salvifici che si sono compiuti in Cristo: dalla concezione verginale sino ai momenti culminanti della Pasqua e della glorificazione della Madre di Dio. Questa preghiera è una lode e una implorazione continuata a Maria santissima, perché interceda per noi, poveri peccatori, in ogni istante della nostra giornata, fino all'ora della nostra morte.

Voglio perciò esortarvi a riscoprire ed a valorizzare sempre più, nel mese di ottobre, il santo Rosario come preghiera personale e familiare, rivolta a Colei che è Madre dei singoli fedeli e Madre della Chiesa.

A sostegno di questa mia esortazione, vi imparto di cuore la benedizione apostolica.

(Omissis. Saluti in varie lingue) (Al termine il Papa si è così rivolto ai numerosi pellegrini polacchi:) Desidero ripetere quello che ho detto prima in italiano. E cioè il cordiale invito alla preghiera del Rosario durante l'ottobre. Sappiamo, che il Rosario è una preghiera di tutta la Chiesa e che ha una particolare tradizione polacca.

Questa tradizione si manifesta, si fa presente soprattutto in ottobre.

Ho grandi debiti con i miei connazionali per quanto riguarda la preghiera nel periodo passato, nel periodo della malattia. Voglio ringraziarli per questa preghiera e contemporaneamente chiedere di essa, perché riprendendo la mia attività a pieno ritmo, ne avrò tanto bisogno.

E' tutto quanto volevo dire oggi. Chiedo ancora a tutti i pellegrini qui presenti di trasmettere il mio saluto e la benedizione agli ambienti dai quali provengono. E cioè a varie e diverse parrocchie, organizzazioni e a tutta la Polonia. Sia lodato Gesù Cristo!

Data: 1981-09-30
Mercoledì 30 Settembre 1981


Il Radiomessaggio per la veglia francescana in san Pietro e nella Cattedrale di Assisi

Titolo: Frate Francesco ci insegna il grande amore per Cristo e per la Chiesa

Cari fratelli e sorelle, A voi tutti che siete riuniti nella Basilica di san Pietro, ed a voi che siete accorsi alla Cattedrale di Assisi per una speciale veglia di preghiera e di riflessione, che vuole essere il primo atto delle solenni celebrazioni dell'ottavo Centenario della nascita del grande santo e figlio della Chiesa, Francesco, sono lieto di rivolgere la mia parola di saluto e di incoraggiamento, assicurandovi la mia spirituale partecipazione.

So che in san Pietro sono radunati più di cinquemila frati di tutto il mondo, appartenenti alle quattro famiglie francescane, ai quali si aggiunge un largo numero di giovani religiose di Istituti femminili, di giovani membri dell'Ordine Francescano Secolare e di molti gruppi giovanili di ispirazione francescana, mentre nella Cattedrale di Assisi, ove anche Francesco s'inginocchio e prego, sotto la presidenza del Vescovo è convenuto numeroso popolo.

Con queste mie parole intendo rivolgermi, anzitutto, ai giovani, perché proprio per essi è stato indetto un Capitolo Mondiale della Gioventù Francescana, che si conclude in Assemblea orante attorno al sepolcro del Principe degli Apostoli, pietra fondamentale della grandiosa costruzione ecclesiale: "Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero la mia Chiesa" (Mt 16,18).

Il messaggio del Serafico Frate Francesco, perché profondamente evangelico, è tuttora eloquente e ricco di insegnamenti. In questo momento e soprattutto un aspetto che intendo sottoporre alla vostra riflessione: quello del grande amore per la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, che si confondeva nel santo con quello per Cristo stesso. Il figlio di Pietro Bernardone fu uomo di Chiesa, si dedico alla Chiesa, e per la Chiesa, che mai disgiunse da Cristo Signore, impegno, anche nel dolore, ogni più intimo palpito dell'anima, confermato in ciò dall'invito del Crocefisso di san Damiano: "Va', e ripara la mia casa". Tale amore caratterizzo la sua vocazione di riformatore e prima ancora quella di convertito, di uomo nuovo.

E' ben noto come ai tempi in cui prese vita la sua testimonianza e quella del suo movimento, invalessero eresie ecclesiali, sempre vecchie e sempre nuove, che, pretendendo di ispirarsi al primitivo, introducevano divisioni e scismi, opponevano il Vangelo alla Chiesa gerarchica ed alla sua autorità, e poggiandosi su di una interpretazione soggettiva della Sacra Scrittura, instauravano un libero esame, invocato prima ancora di presentarsi con questo preciso nome.

Ora, il carisma e la missione profetica di Frate Francesco furono quelli di mostrare concretamente che il Vangelo è affidato alla Chiesa e che deve essere vissuto ed incarnato primariamente ed esemplarmente nella Chiesa e con l'assenso ed il sostegno della Chiesa stessa.

Egli, nel silenzio di un'umiltà obbediente, realizzo una luminosa immagine dell'uomo redento, che ha sfidato i secoli.

Cristo ha demandato alla Chiesa la continuità della sua opera di redenzione, ed anche se l'influsso di tale opera travalica i confini della Chiesa visibile, per raggiungere quelli dell'umanità intera, ispirando e sostenendo ogni valido ed autentico conato di amore e di dedizione, tocca alla Chiesa stessa, e quindi ai suoi figli, essere consapevole segno di salvezza, come afferma con incisive parole il Concilio: "Cristo... per mezzo dello Spirito vivificatore costitui il Corpo che è la Chiesa, quale universale sacramento della salvezza; sedendo alla destra del Padre, Egli opera continuamente nel mondo per condurre gli uomini alla Chiesa e attraverso di essa congiungerli più strettamente a sé e... renderli partecipi della sua vita gloriosa" (LG 52).

Il mistero della salvezza ci è rivelato ed è continuato e realizzato nella Chiesa (cfr. AA 2; PO 22; GS 40), e da questa genuina ed unica fonte raggiunge, come acqua "umile, utile, preziosa e casta", il mondo intero. Si tratta, cari giovani e fedeli, di essere consapevoli, di farsi carico, come Frate Francesco, di questa fondamentale verità rivelata, racchiusa nella frase consacrata dalla tradizione: "Non vi è salvezza fuori della Chiesa". Da questa sola, infatti, scaturisce, sicuramente e pienamente la forza vivificatrice destinata, in Cristo e nel suo Spirito, a rinnovare tutta l'umanità, e ordinante perciò ogni uomo a far parte del Corpo Mistico di Cristo.

Tralasciata, quindi, ogni critica superficiale, motivata spesso solo dal proprio disimpegno, è necessario rinnovare in profondità una responsabile sollecitudine, che si configura su di un duplice versante.

Da una parte siete chiamati a testimoniare coraggiosamente il Cristo, proprio in virtù della vostra professione francescana, mediante una docile fedeltà alla Chiesa, assicurando filiale obbedienza e collaborazione ai vostri Pastori e cercando il più adeguato inserimento del vostro apostolato nella missione e quindi nella pastorale delle vostre Chiese locali. D'altra parte, dovete proporvi di incrementare una valida risposta alle necessità, alle aspirazioni, e alle sfide cruciali, con cui la realtà del prossimo bisognoso interpella la vostra azione evangelizzatrice di giovani e di figli di Francesco di Assisi.

I compiti sono vasti ed urgenti; invochiamo insieme il coraggio e l'amore che animarono il Poverello di Assisi. L'ottavo centenario della nascita di lui sia stimolo a vivere intensamente gli ideali che egli ancora oggi addita all'umanità, tanto bisognosa di salvezza. Sui vostri propositi, sul vostro impegno invoco l'assistenza del Signore mentre, in questa notte benedetta, ripeto con voi la preghiera che sgorgo dal mio animo quando, a pochi giorni dalla mia elezione al pontificato mi recai ad Assisi per pregare sulla tomba del Serafico Padre: "Aiutaci, san Francesco d'Assisi, ad avvicinare alla Chiesa e al mondo di oggi il Cristo. Tu, che hai portato nel tuo cuore le vicissitudini dei tuoi contemporanei, aiutaci, con cuore vicino al cuore del Redentore, ad abbracciare le vicende degli uomini della nostra epoca. I difficili problemi sociali, economici e politici, i problemi della cultura e della civiltà contemporanea, tutte le sofferenze dell'uomo di oggi, i suoi dubbi, le sue negazioni, i suoi sbandamenti, le sue tensioni, i suoi complessi, le sue inquietudini... Aiutaci a tradurre tutto ciò in semplice e fruttifero linguaggio del Vangelo. Aiutaci a risolvere tutto in chiave evangelica affinché Cristo stesso possa essere "Via-Verità-Vita" per l'uomo del nostro tempo" (Insegnamenti di Giovanni Paolo ll, I, (1978), 97-98).

Vi accompagno con la mia Benedizione.

Data: 1981-10-02
Venerdi 2 Ottobre 1981


Alla Pontificia Accademia delle Scienze - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La saggezza dell'umanità accompagni sempre la ricerca scientifica



1. Il programma dei lavori che il vostro Presidente ha presentato, e di cui io ero già a conoscenza prima di questo incontro, mostra la grande vitalità della vostra Accademia, il suo interesse per i problemi più gravi della scienza contemporanea e per il servizio all'umanità. Io ho già avuto l'occasione di dirvi, durante un'altra seduta solenne, quanto la Chiesa stimi la scienza pura: essa è - dicevo - "un bene, degno di essere molto amato, perché essa è conoscenza e dunque perfezione dell'uomo nella sua intelligenza... Essa deve essere onorata per se stessa, come una parte integrante della cultura" ("Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze", 10 novembre 1979).

Prima di affrontare i problemi di cui voi avete già discusso in questi giorni e che vi proponete di studiare oggi, permettetemi di ringraziare calorosamente il vostro illustre Presidente, il Professor Carlos Chagas, per le felicitazioni che egli ha voluto esprimere a nome di tutta la vostra assemblea per la mia ritrovata salute, grazie alla misericordiosa Provvidenza di Dio e alla competenza dei medici che mi hanno curato. E sono felice di approfittare di questa occasione per esprimere la mia particolare gratitudine ai Signori Accademici che, da tutte le parti del mondo, mi hanno inviato i loro auguri e mi hanno assicurato delle loro preghiere.


2. Durante questa settimana di studi voi riflettete sul problema della "Cosmologia e fisica fondamentale", con la partecipazione di scienziati del mondo intero, dalle due Americhe, all'Europa e alla Cina. Questo argomento si riallaccia ai temi già trattati dalla Pontificia Accademia delle Scienze nel corso della sua storia prestigiosa. Intendo parlare delle sessioni sui micro-sismi, sulle popolazioni stellari, sulle radiazioni cosmiche, sui nuclei delle galassie, sessioni che si sono svolte sotto la presidenza di Padre Gemelli, di Monsignor Lamaître, e anche di Padre O'Connel al quale indirizzo i miei voti più ferventi domandando al Signore di assisterlo nella sua salute.

La cosmogonia e la cosmologia hanno sempre suscitato un grande interesse presso i popoli e nelle religioni. La Bibbia stessa ci parla dell'origine dell'universo e della sua struttura, non per darci un trattato scientifico, ma per precisare i giusti rapporti dell'uomo con Dio e con l'universo. La Sacra Scrittura vuole semplicemente affermare che il mondo è stato creato da Dio, e per insegnare questa verità essa si esprime con i termini della cosmologia in uso ai tempi di colui che scrive. Il libro sacro vuole inoltre far sapere agli uomini che il mondo non è stato creato come seggio degli dei, come insegnano altre cosmogonie e cosmologie, ma che esso è stato creato a servizio dell'uomo e per la gloria di Dio. Il resto dell'insegnamento sull'origine e la struttura dell'universo è estraneo alle intenzioni della Bibbia: questa non vuole insegnare come è stato fatto il cielo, ma come va guardato il cielo.

Tutte le ipotesi scientifiche sull'origine del mondo, come quella di un atomo primitivo dal quale deriverebbe l'insieme dell'universo fisico, lascia aperto il problema concernente l'inizio dell'universo. La scienza da sola non può risolvere una simile questione: occorre sapere che l'uomo si eleva al di sopra della fisica e dell'astrofisica e questo si chiama metafisica; occorre soprattutto riconoscere ciò che ha origine dalla rivelazione di Dio. Trenta anni fa, il 22 novembre 1951, il mio predecessore Papa Pio XII, parlando del problema dell'origine dell'universo durante la settimana di studi sul problema dei micro-sismi organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze, si espresse così: "Invano si attenderebbe una risposta dalle scienze naturali, che al contrario dichiarano lealmente di trovarsi davanti ad un enigma insolubile. E' ugualmente certo che lo spirito umano portato alla meditazione filosofica penetra più profondamente il problema. Non si può negare che uno spirito illuminato ed arricchito dalle conoscenze scientifiche moderne e che considera con serenità questo problema, è condotto ad abbattere il cerchio di una materia totalmente autonoma ed indipendente - perché o increata o creatasi da sola - e a risalire fino ad uno Spirito creatore. Con lo stesso sguardo limpido e critico con cui esamina e giudica i fatti, egli vi intravede e riconosce l'opera della Onnipotenza creatrice, la cui virtù, suscitata dal potente "fiat" pronunciato miliardi di anni fa dallo Spirito creatore, si è dilatata nell'universo, chiamando all'esistenza, in un gesto di amore generoso, la materia traboccante d'energia".


3. Io mi rallegro vivamente, Signori Accademici, del tema che voi avete scelto per la vostra sessione plenaria che comincia oggi: "L'impatto della biologia molecolare sulla società". Io apprezzo i vantaggi che derivano - e che possono ancora derivare - dallo studio e dalle applicazioni della biologia molecolare, completata dalle altre discipline come la genetica e la sua applicazione tecnologica nell'agricoltura e nell'industria, ed anche per il trattamento di diverse malattie, di cui certe a carattere ereditario.

Io ho una sicura fiducia nella comunità scientifica mondiale, e in modo molto particolare nella Pontificia Accademia delle Scienze certo che grazie a loro i progressi e le ricerche biologiche, come del resto tutte le altre ricerche e le loro applicazioni tecnologiche si compiranno nel pieno rispetto delle norme morali, salvaguardando la dignità degli uomini, la loro libertà e la loro uguaglianza. E' necessario che la scienza sia sempre accompagnata e controllata dalla saggezza che appartiene al permanente patrimonio spirituale dell'umanità e che si ispira al disegno di Dio inscritto nella creazione prima di essere in seguito annunciato dalla sua Parola.

Una riflessione che si ispira alla scienza e alla saggezza della comunità scientifica mondiale deve illuminare l'umanità circa le conseguenze - buone e cattive - della ricerca scientifica, e specialmente di quella che concerne l'uomo, affinché, da una parte non ci si fissi su delle posizioni anticulturali che ritardano il progresso dell'umanità, e da un'altra parte non si offenda ciò che l'uomo ha di più prezioso: la dignità della sua persona, destinata a un vero progresso nell'unità del suo essere fisico, intellettuale e spirituale.


4. Un altro tema ha assorbito in questi giorni l'attenzione di alcuni di voi, eminenti scienziati di diverse parti della terra convocati dalla Pontificia Accademia delle Scienze: è quello delle malattie parassitarie che colpiscono i paesi più poveri del mondo e sono un grave ostacolo alla promozione dell'uomo nel quadro armonioso del suo benessere fisico, economico e spirituale. Gli sforzi per eliminare il più possibile i flagelli provocati dalle malattie parassitarie in una buona parte dell'umanità sono inseparabili da quelli che occorre fare per favorire lo sviluppo socio-economico delle stesse popolazioni. Gli uomini hanno normalmente bisogno di una salute sufficiente e di un minimo di beni materiali per poter vivere degnamente secondo la loro vocazione umana e divina. E' per questo che il Cristo Gesù si è rivolto con un amore infinito verso i malati e gli infermi, e che Egli ha guarito miracolosamente alcune di quelle malattie di cui voi vi siete occupati in questi giorni. Che il Signore ispiri ed assista l'attività degli scienziati e dei medici che consacrano la loro ricerca e la loro professione allo studio e al servizio delle infermità umane, specialmente delle più gravi ed umilianti!


5. Accanto al tema delle malattie parassitarie, l'Accademia ha affrontato il problema di un flagello di ampiezza e gravità catastrofiche, che potrebbe attentare alla salvezza dell'umanità se un conflitto nucleare scoppiasse. Oltre alla morte di una grande parte della popolazione mondiale, un conflitto nucleare potrebbe provocare degli effetti incalcolabili sulla salute delle generazioni presenti e future.

Lo studio pluri-disciplinare che voi vi apprestate a compiere non potrà non costituire per i Capi di Stato un richiamo alle loro immense responsabilità e susciterà nell'umanità intera un desiderio sempre più ardente di concordia e di pace: questa aspirazione nasce dal più profondo del cuore umano, ed anche dal messaggio di Cristo che è venuto a portare la pace agli uomini di buona volontà.

In virtù della mia missione universale, voglio ancora una volta farmi interprete del diritto dell'uomo alla giustizia e alla pace, e della volontà di Dio che desidera vedere salvi tutti gli uomini. E rinnovo l'appello che lanciavo a Hiroshima il 25 febbraio scorso: "Impegnamoci solennemente, qui ed ora, a non permettere mai più (e ancora meno a ricercare) che la guerra sia un mezzo per risolvere i conflitti. Promettiamo ai nostri fratelli di lavorare senza stancarci per il disarmo e per la condanna di tutte le armi atomiche. Sostituiamo la dominazione e l'odio con la mutua fiducia e la solidarietà".


6. Tra gli sforzi da compiere per la pace dell'umanità, c'è quello che mira a garantire a tutti i popoli l'energia necessaria al loro pacifico sviluppo.

L'Accademia si è occupata di questo problema durante la settimana di studi dello scorso anno. Io sono felice di poter consegnare oggi la Medaglia d'oro di Pio XI a uno scienziato che ha contribuito in maniera notevole, con la sua ricerca nell'ambito della fotochimia, all'utilizzazione dell'energia solare. Si tratta del Professor Jean-Marie Lehn, del Collegio di Francia e dell'Università di Strasburgo, al quale io esprimo le mie vive congratulazioni.

A voi tutti, Signori, io invio i miei sinceri complimenti per il lavoro che svolgete nella ricerca scientifica. Io prego Dio Onnipotente di benedire voi, le vostre famiglie, coloro che vi sono cari, i vostri collaboratori, e tutta l'umanità per la quale, da strade diverse ma convergenti, voi ed io compiamo la missione che ci è stata affidata da Dio.

Data: 1981-10-03
Sabato 3 Ottobre 1981


Proclamazione di cinque nuovi beati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: E' messaggio di gioia cristiana l'amore verso Dio e verso i fratelli

Fratelli e sorelle carissimi!

1. Oggi è un giorno di sincera esultanza e di fervida letizia per il Popolo di Dio! La Chiesa tutta si inginocchia per venerare tre suoi figli e due sue figlie, che nella loro esistenza terrena in maniera eroica hanno realizzato, giorno dopo giorno, le esigenze del messaggio del Vangelo. La Chiesa, santificata dal sangue del suo Sposo, il Cristo, è diventata Madre di santi e di sante! E in questo giorno ha l'intima fierezza di presentare al mondo contemporaneo cinque nuovi beati, testimoni della sua perenne, inesauribile, giovanile vitalità, e portatori di quel messaggio di gioia, che e tipico dell'annuncio del Vangelo.

E nel segno di questa gioia cristiana noi ascolteremo il messaggio, che i nuovi cinque beati oggi ci consegnano, perché lo sappiamo fare nostro, realizzandolo nella nostra vita, e lo trasmettiamo, così, nella sua genuinità alla odierna società, che é in continua ricerca dell'Assoluto.


2. Alain de Solminihac, nato da un'antica famiglia di Perigord, il cui motto era "Fede e Coraggio", aveva da principio pensato di unirsi ai Cavalieri di Malta. Ma nel 1613, all'età di vent'anni, decide di entrare nell'Abbazia di Chancelade, nei dintorni di Perigueux, tenuta dai Canonici regolari di sant'Agostino. Dopo la sua ordinazione, si dedica agli studi di teologia e di spiritualità a Parigi. Nel giorno dell'Epifania del 1623, riceve la Benedizione abbaziale ed intraprende coraggiosamente la restaurazione materiale e spirituale della sua Abbazia. E' l'epoca della applicazione del Concilio di Trento. Questo esempio ha una vasta eco nella regione e anche ben oltre. Ora, vorrei sottolineare come una simile personalità capace di spronare alla vita evangelica possa illuminare singolarmente gli Istituti religiosi dei nostri tempi. Inevitabilmente condizionati dai mutamenti socio-culturali attuali, essi devono raccogliere la sfida del venir meno, al fine di un rinnovamento, della fedeltà alla "via stretta" insegnata da Gesù stesso e sempre caratterizzata dalla scelta cosciente e permanente della povertà, della castità e dell'obbedienza consacrate. L'esperienza di Alain di Solminihac ricorda opportunamente a tutti i religiosi il valore e la fecondità della loro radicale oblazione, sostenuta dall'osservanza della Regola dalla mortificazione, dalla vita comunitaria. Prego il nuovo beato di comunicare loro il suo fervore ascetico.

Nel 1636, la fama dello zelo e della santità dell'Abate di Chancelade fece si che egli fosse nominato Vescovo di Cahors da Papa Urbano VIII. Fervente ammiratore della pastorale conciliare del santo Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, Monsignor di Solminihac prese anch'egli la decisione di conferire alla sua diocesi le caratteristiche e la vitalità tanto raccomandate dal Concilio di Trento. I suoi ventidue anni di servizio episcopale nella regione di Quercy furono densi di una incessante serie di attività importanti ed efficaci: la convocazione di un Sinodo diocesano, la costituzione di un consiglio episcopale settimanale, la visita sistematica alle ottocento parrocchie della diocesi, che egli rivide nove volte ciascuna, la creazione di un Seminario affidato ai Lazzaristi, la moltiplicazione delle missioni parrocchiali, lo sviluppo del culto eucaristico in un periodo in cui il giansenismo cominciava a riprendersi, la promozione o la fondazione di opere caritative per gli anziani e gli orfani, per i malati e le vittime della peste. Tre anni prima della sua morte, in occasione del Giubileo del 1656, predico sia perché il suo popolo si convertisse, che perché fosse sensibilizzato alla missione particolare del Vescovo di Roma, garante della comunione tra le Chiese. In breve, un versetto tratto dal Salmo 69 riassume perfettamente la vita pastorale di questo Vescovo del diciassettesimo secolo: "Mi divora lo zelo per la tua casa". La figura ammirevole di Alain di Solminihac merita pienamente di essere messa in luce dalla Chiesa che egli ha servito tanto ardentemente. Che i Vescovi di Francia e di tutti gli altri Paesi sappiano trovare nella vita del beato Alain di Solminihac il coraggio di compiere senza paura la loro funzione di evangelizzatori nel mondo contemporaneo!


3. Luigi Scrossopi, di Udine, ordinato sacerdote nel 1827, si dà ad un istancabile apostolato, animato e spinto dalla carità di Cristo. Istituisce la "Casa delle Derelitte" o "Istituto della Provvidenza", per la formazione umana e cristiana delle ragazze; apre la "Casa Provvedimento" per le ex alunne rimaste senza lavoro; dà inizio all'Opera per le Sordomute, e fonda le Suore della Provvidenza sotto la protezione di san Gaetano. Padre Luigi entra nella Congregazione dell'Oratorio e ne fa un dinamico centro di irradiazione di vita spirituale.

Nella sua vita, spesa totalmente per le anime, egli ha avuto tre grandi amori: Gesù; la Chiesa ed il Papa; i "piccoli".

Fin da giovanissimo sceglie il Cristo come Maestro e lo ama, contemplandolo povero e umile a Betlemme; lavoratore a Nazareth, sofferente e vittima nel Getsemani e sul Golgotha; presente nell'Eucaristia. "Voglio essergli fedele - ha scritto - attaccato perfettamente a lui nel cammino del cielo e riuscire una sua copia".

Il suo amore alla Chiesa si manifesta nella fedeltà completa alle leggi ecclesiastiche; nel suo apostolato, che non conosce pause o esitazioni; nella docile accettazione del Magistero.

Padre Scrosoppi ha speso letteralmente tutta la sua vita nell'esercizio della carità verso il prossimo, specialmente verso i più piccoli e i più abbandonati. Per i poveri distribui i suoi notevoli beni patrimoniali. "I poveri e gli infermi sono i nostri padroni e rappresentano la persona stessa di Gesù Cristo": sono parole sue; ma sono anche, e più, la sua vita.

A fondamento della sua molteplice attività pastorale e caritativa c'è una profonda interiorità; la sua giornata è una continua preghiera: meditazione, visite al Santissimo Sacramento, recita del Breviario, "Via Crucis" giornaliera, Rosario e, infine, lunga orazione notturna; dando in tal modo ai fedeli, ai sacerdoti e ai religiosi un luminoso ed efficace esempio di equilibrata sintesi fra vita contemplativa e vita attiva.


4. Erminio Filippo Pampuri, decimo di undici figli, a 24 anni è medico condotto e a 30 anni entra nell'Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio (Fatebenefratelli).

Solo tre anni dopo moriva.

E' una figura straordinaria, vicina a noi nel tempo, ma più vicina ancora ai nostri problemi ed alla nostra sensibilità. Noi ammiriamo in Erminio Filippo, diventato nell'Ordine Fra Riccardo Pampuri, il giovane laico cristiano, impegnato a rendere testimonianza nell'ambiente studentesco, come membro attivo del Circolo Universitario "Severino Boezio" e socio della Conferenza di san Vincenzo de' Paoli; il dinamico medico, animato da una intensa e concreta carità verso i malati e i poveri, nei quali scorge il volto del Cristo sofferente. Egli ha realizzato letteralmente le parole, scritte alla sorella suora, quando era medico condotto: "Prega affinché la superbia, l'egoismo e qualsiasi altra mala passione non abbiano ad impedirmi di vedere sempre Gesù sofferente nei miei malati, Lui curare, Lui confortare. Con questo pensiero sempre vivo nella mente, quanto soave e quanto fecondo dovrebbe apparirmi l'esercizio della mia professione!".

Lo ammiriamo anche come religioso integerrimo di un benemerito Ordine, che, nello spirito del suo Fondatore san Giovanni di Dio, ha fatto della carità verso Dio e verso i fratelli infermi la propria missione specifica e il proprio carisma originario. "Voglio servirti, o mio Dio, per l'avvenire con perseveranza ed amore sommo: nei miei superiori, nei confratelli, nei malati tuoi prediletti: dammi la grazia di servirli come servirei Te": così scriveva nei propositi in preparazione alla professione religiosa.

La vita breve, ma intensa, di Fra Riccardo Pampuri è uno sprone per tutto il Popolo di Dio, ma specialmente per i giovani, per i medici, per i religiosi.

Ai giovani contemporanei egli rivolge l'invito a vivere gioiosamente e coraggiosamente la fede cristiana; in continuo ascolto della Parola di Dio, in generosa coerenza con le esigenze del messaggio di Cristo, nella donazione verso i fratelli.

Ai medici, suoi colleghi, egli rivolge l'appello che svolgano con impegno la loro delicata arte animandola con gli ideali cristiani, umani, professionali, perché sia una autentica missione di servizio sociale, di carità fraterna, di vera promozione umana.

Ai religiosi ed alle religiose, specialmente a quelli e quelle che, nell'umiltà e nel nascondimento, realizzano la loro consacrazione fra le corsie degli ospedali e nelle case di cura, Fra Riccardo raccomanda di vivere lo spirito originario del loro Istituto, nell'amore di Dio e dei fratelli bisognosi.


5. Claudine Thevenet visse tutta la sua vita a Lione. La sua adolescenza fu sconvolta dalla rivoluzione francese che scosse violentemente la sua città natale.

Una mattina, nel gennaio dell'anno 1794, questa giovinetta di 19 anni riconobbe i suoi due fratelli, Louis e Francois, in un gruppo di condannati a morte. Ella ebbe allora il coraggio di accompagnarli al luogo del loro supplizio e di raccogliere le loro ultime parole: "Glady, perdona loro, come noi perdoniamo!". Questo avvenimento fu senza dubbio un elemento determinante della vocazione di Claudine, già tanto animata da sentimenti di compassione per le miserie accumulate dalla bufera rivoluzionaria. Ella sognava di divenire una messaggera della misericordia e del perdono di Dio in una società lacerata, e di dedicare la sua vita all'educazione dell'infanzia, soprattutto dei più poveri, il cui stato di abbandono sorpassava ogni immaginazione. Ecco perché, con il sostegno illuminato di Padre Coindre, Claudine fonda nel 1816 una Pia Associazione, che diventerà due anni più tardi la Congregazione di Gesù-Maria. Oggi, con grande gioia della Chiesa, le figlie di Madre Thévenet sono più di duemila, presenti in tutti i continenti e veramente animate del suo spirito. Scuole e collegi, ostelli per le giovani e per persone anziane, pastorale catechistica e familiare, dispensari e case di preghiera non hanno che uno scopo: far conoscere Gesù e Maria, nelle opere per la promozione sociale dei poveri.

A centocinquanta anni di distanza, la vita di questa fondatrice interpella sempre le sue figlie e interpella anche i cristiani. Non viviamo anche noi in una società troppo spesso tentata e sfigurata dalla violenza? Non dobbiamo anche noi lasciarci invadere dall'infinita misericordia di Dio, per portare il nostro coraggioso contributo a quella "civiltà dell'amore" di cui parla Paolo VI, la sola che sia degna dell'uomo? Claudine Thévenet si presenta a noi quale modello d'amore e di perdono: "Che la carità sia come la pupilla dei vostri occhi", ci dice ancor oggi proprio come ella amava ripetere alle sue suore. "Siate disposte a soffrire tutto per gli altri e a non far soffrire alcuna persona".

D'altra parte la nuova beata non continua ad essere un modello di vita evangelica e religiosa per coloro che si consacrano all'educazione della gioventù, nella Chiesa e secondo le sue direttive? Le intuizioni ed i metodi pedagogici di Claudine Thévenet sono sempre d'attualità: cioè una educazione piena di attenzioni materne, molto sollecita a preparare le giovani alla vita mediante l'acquisizione di una competenza professionale e l'avviamento progressivo alle loro future responsabilità di mogli e di madri, e soprattutto in modo profondamente cristiano, perché - diceva - "la peggiore sventura è vivere e morire senza conoscere Dio".

Claudine, che ha fatto della sua vita religiosa un "inno di gloria" al Signore, ad imitazione della Vergine Maria che ella venerava profondamente, ricorda ai cristiani che vale la pena di offrire tutto a Dio. A coloro che il Signore invita a consacrarsi più particolarmente al suo servizio, ella conferma che bisogna saper "perdere la propria vita" (cfr. Mt 10,39) perché altri possano amare e conoscere Dio; ella conferma inoltre mediante il suo esempio che la più bella riuscita nella vita è la santità.


6. Maria Repetto, a 22 anni, entra a Genova nella Congregazione delle Suore di Nostra Signora del Rifugio, in Monte Calvario. Nelle numerose e gravi epidemie di colera che si abbattono sulla città, ella corre intrepida al capezzale dei malati.

La fama della "monaca santa" cresce ogni giorno, e, quando assume l'ufficio di portinaia, ella continua a donare i tesori della sua alta spiritualità a quanti a lei accorrono per aiuto e consiglio.

Maria Repetto fin dalla giovinezza ha appreso e vissuto una grande verità, che ha trasmesso anche a noi: Gesù deve esser contemplato, amato e servito nei poveri, in tutti i momenti della nostra vita. Essa dà tutto ciò che ha: i suoi risparmi, le sue cose, la sua parola, il suo tempo, il suo sorriso. "Servire i poveri di Gesù" era il programma del suo Istituto; programma che essa realizzo nei 50 anni di vita religiosa, servendo anzitutto Gesù, crescendo nella perfezione dell'amore, ricordando a sé stessa: "prima di tutto essere religiosa!"; e servendo i poveri, perché Cristo vive nei poveri.

San Francesco da Caporosso, chiamato dai genovesi "il padre santo", mandava a lei, la "monaca santa" persone di ogni estrazione sociale, bisognose di aiuto e di consigli. L'umile Frate cercatore, canonizzato nel 1962, e l'umile suora portinaia, che oggi sale agli onori degli altari, furono nel secolo scorso, i due poli della vita religiosa di Genova. Maria Repetto era sempre lieta e serena e si rallegrava di tenere il cuore aperto, più della porta del convento, e di dare, dare sempre, dare tutto. E questa gioia della sua donazione a Dio culmino nella sua morte: col sorriso sulle labbra, la beata pronuncio le sue ultime parole, che sono un inno di giubilo alla Madre di Dio: "Regina coeli, laetare, alleluia!".


7. Carissimi! Abbiamo iniziato questa riflessione nel segno della gioia cristiana; e nel segno del gaudio pasquale, frutto della Croce di Gesù, noi continuiamo questa solenne celebrazione, confortati dai mirabili esempi di questi novelli beati, che ci indicano il cammino, che anche noi dobbiamo percorrere nel nostro pellegrinaggio terreno: il cammino dell'amore verso Dio e verso i fratelli, specialmente quelli sofferenti nello spirito e nel corpo.

I novelli beati hanno confidato nel Signore, lo hanno invocato, forti della sua clemenza e misericordia; hanno seguito le sue vie; hanno cercato di piacergli; si sono gettati nelle sue braccia (cfr. Sir 2,7s). In cima ai loro pensieri, al di sopra di tutto hanno posto la carità, convinti che essa è "il vincolo della perfezione" (cfr. Col 3,14). Facendo proprio l'invito di Cristo, hanno venduto tutto ciò che avevano e lo hanno dato in elemosina; si son fatti delle borse, che non invecchiano, ed hanno ottenuto un tesoro inesauribile nei cieli (cfr. Lc 12,32s), come dice il brano evangelico, che è stato letto poco fa.

Mentre ci chiniamo riverenti di fronte ad essi, noi ci affidiamo alla loro potente intercessione: O Beato Alain de Solminihac, O Beato Luigi Scrosoppi, O Beato Riccardo Pampuri, O Beata Claudine Thévenet, O Beata Maria Repetto, pregate la Trinità Santissima per le vostre Patrie terrene, perché vivano in serena concordia! Pregate per le vostre Famiglie religiose, perché diano alla società contemporanea una gioiosa testimonianza della loro donazione di Dio! Pregate per la Chiesa, pellegrina sulla terra, perché sia sempre segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano! Pregate per tutti i popoli del mondo, perché realizzino nei loro rapporti la giustizia e la pace! O novelli Beati e Beate, pregate per noi! Amen!

Data: 1981-10-04
Domenica 4 Ottobre 1981



GPII 1981 Insegnamenti - Celebrazione eucaristica per un gruppo di invalidi svizzeri - Città del Vaticano (Roma)