GPII 1981 Insegnamenti - Ai Vicari per i religiosi delle diocesi americane - Città del Vaticano (Roma)

Ai Vicari per i religiosi delle diocesi americane - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vita religiosa e pastorale diocesana

Cari amici in Cristo, Desidero oggi rivolgere un cordiale benvenuto a ciascuno di voi. E' una gioia per me incontrarmi con i Vicari per i Religiosi provenienti dagli Stati Uniti d'America, e con tutti coloro che lavorano con loro in una zona molto importante della vita e del ministero della Chiesa.

1. Parlando del ruolo dei Vicari Episcopali per gli Istituti religiosi, il Documento della Santa Sede "Mutuae Relationes" definisce questo compito come un servizio di collaborazione col ministero pastorale del Vescovo. Infatti, il mandato conferito al Vicario Episcopale consiste nell'aiutare a compiere un compito che per sua natura appartiene esclusivamente al Vescovo, cioè, una particolare sollecitudine per la vita religiosa e l'organico coordinamento della vita religiosa entro le attività pastorali della diocesi (cfr. "Mutuae Relationes", 54). Tutti voi, in un modo o nell'altro, vi prodigate nell'assistere i vostri Vescovi offrendo aiuto ed incoraggiamento a migliaia di uomini e donne che hanno generosamente consacrato la loro vita a Gesù Cristo, e che stanno cercando di vivere la loro consacrazione ecclesiale con un amore perseverante che sia degno del loro impegno permanente, e sia conforme ai sacri voti di castità, povertà e obbedienza. Il vostro è davvero uno splendido apostolato che può aiutare a sostenere individui ed intere Congregazioni religiose nella speranza, nel fervore e nella verità dei loro carismi.


2. Tutti voi, sia che voi stessi siate religiosi o no, siete chiamati ad offrire umilmente la vostra collaborazione come fratelli e sorelle che condividono con i religiosi una comune discepolanza a Cristo nostro Signore. Voi avete con coloro che servite, una comune chiamata alla santità nella sequela di Gesù. Nello stesso tempo i requisiti professionali del vostro apostolato comprendono una esaustiva comprensione della vita religiosa, specialmente nelle sue essenziali dimensioni ecclesiali.

Per questa ragione, voi stessi dovete riflettere ripetutamente su tutto l'insegnamento del Concilio Vaticano II che riguarda la vita religiosa, così come le direttive papali postconciliari e quelle della Sacra Congregazione per gli Istituti religiosi e secolari. Il Documento "Mutuae Relationes", preparato congiuntamente dalla Sacra Congregazione per gli Istituti religiosi e secolari, è particolarmente rilevante per quel servizio che voi state rendendo nella Chiesa.


3. Nelle discussioni e nel dialogo a cui partecipate, nei consigli che date, e nelle decisioni che potete essere chiamati a prendere, è importante che facciate costante riferimento all'essenza della vita religiosa. Questo significherà enfatizzare il valore della consacrazione alla persona di Gesù Cristo - una consacrazione che è effettuata nella sua Chiesa e dalla sua Chiesa, e in risposta alla personale vocazione ricevuta da Cristo attraverso l'opera del suo Spirito. Il vostro ruolo è portare effettivamente l'attenzione alla finalità dei voti religiosi, mostrando come, nelle parole del Concilio Vaticano II, essi sono finalizzati a "una più vigorosa fioritura della santità della Chiesa e ad una più grande gloria dell'una ed indivisa Trinità, che in Cristo e attraverso Cristo è la sorgente e la fonte perenne di ogni santità (LG 47)


4. La vostra stima per la vita religiosa e il vostro profondo apprezzamento dei valori individuali che essa realizza per il bene della Chiesa può essere un potente aiuto per i vostri fratelli e sorelle sia nelle circostanze ordinarie che nei momenti di crisi. Consci della vitale importanza dei Religiosi nella Chiesa, sarete in grado di aiutare altri a raggiungere una serena realizzazione che questa intuizione ecclesiale, come il resto della Chiesa di Cristo, deve sopportare tribolazioni nel mondo (cfr. Jn 16,33). Davvero, non c'è da meravigliarsi che la santità della vita religiosa sarebbe stata minacciata e perfino attaccata dal diavolo. Il richiamo di san Pietro alla vigilanza è estremamente rilevante oggi: "Il vostro nemico, il diavolo, come un leone ruggente va in giro, cercando di divorare. Resistetegli saldi nella fede..." (1Pe 5 8s).


5. Poiché voi stessi avete un ruolo speciale di aiuto e di sostegno alla vita religiosa, sarete in grado di proporre e di riproporre a singoli religiosi ed ad intere comunità i perenni valori inerenti alla vita religiosa consacrata. E' una espressione della vostra carità e parte della vostra missione. Ognuno di voi avrà opportunità di fare questo: come rappresentante di un Vescovo nella sua preoccupazione pastorale per la vita religiosa in relazione alla Chiesa locale ed universale, o semplicemente come un amico, come un consigliere o un confidente, un comprensivo seguace di Cristo, un direttore spirituale o un confessore.


6. Attraverso i vostri contatti con loro, potete essere di grande servizio ai religiosi ed alla Chiesa intiera sottolineando l'importanza della preghiera in ogni genuino programma di rinnovamento. L'intimità personale con Gesù Cristo, sostenuta dalla preghiera e dall'Eucaristia è una condizione essenziale per l'effettivo contributo dei religiosi alla vita della Chiesa. La società ha bisogno dell'incessante proclamazione delle Beatitudini; ed ha bisogno di vederle messe in pratica nella vita dei religiosi.

Oltre ai vostri contatti personali, molti di voi saranno indubbiamente impegnati nel programmare e coordinare incontri, gruppi di studio o seminari frequentati da religiosi. In essi il sublime insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa dovrà essere presupposto e appropriatamente manifesto. La condizione ontologica dell'unione con Dio, dell'essere creatura nuova in Gesù Cristo, consacrata a Lui attraverso voti ecclesiali, da' ai religiosi una fonte di profonda fecondità nelle opere dell'apostolato. La rinuncia vissuta, unita alla Croce di Cristo, fornisce i religiosi di una straordinaria efficacia nel parlare ai loro fratelli e sorelle della pienezza della vita pasquale in Gesù Risorto.

Abbracciando la povertà di Cristo, i religiosi hanno una reale possibilità di rendere un genuino servizio ai poveri e di essere strumenti efficaci di evangelizzazione nei loro riguardi. Attraverso l'umile riconoscimento dei limiti della loro personale capacità di penetrazione, i religiosi saranno in grado di proseguire con una fresca rassicurazione della validità del messaggio che cercano di comunicare. Attraverso la generosa rinuncia dell'amore coniugale, i religiosi saranno in grado di convincere molte persone dell'assoluto primato dell'amore di Cristo e del suo profondo potere di riempire il cuore umano di una gioia che è contagiosa. Avendo offerto la loro vita a Cristo, i religiosi possono essere veramente aperti al suo Santo Spirito, abbracciando nella sua interezza la Parola di Dio come è proclamata dalla Chiesa, essendo così preparati per un reale dialogo di salvezza, che conduce all'innalzamento ed alla gloria del nome di Cristo.

Ma, come ogni categoria nella Chiesa, i religiosi hanno bisogno di sostegno, di comprensione e di amore. Troveranno tutto ciò in modo privilegiato in Maria, Madre di Gesù e Madre della Chiesa, che come modello di santità ha un rapporto speciale con tutti i religiosi. Nello stesso tempo, nella sfera temporale, questo compito compete a tutti voi che siete chiamati dai vostri Vescovi a sostenere la vita religiosa nella Chiesa di oggi. Il vostro è davvero un importante apostolato nel Corpo di Cristo. E possiate voi stessi trovare nuova forza ed incoraggiamento nelle parole dell'apostolo Paolo: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo" (Ga 6,2). Possa Maria aiutare tutti voi a fare questo per la gloria di suo Figlio, Gesù, che è il Salvatore di tutti noi.

Data: 1981-03-20
Venerdi 20 Marzo 1981



Al pellegrinaggio dalla Croazia e dalla Slovenia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il contributo slavo alla costruzione dell'Europa

Carissimi fratelli e sorelle,

1. La Provvidenza divina mi offre oggi la gioia di incontrarmi con voi, amati fedeli della Croazia e della Slovenia, che concludete il vostro pellegrinaggio in Italia con la visita dal Papa, per esprimergli la vostra fedeltà ed il vostro attaccamento.

Vi accolgo con animo commosso e saluto anzitutto i venerati Presuli qui presenti, con a capo l'Ecc.mo Mons. Franjo Kuharic, arcivescovo di Zagabria e Presidente della Conferenza episcopale e, mediante essi, l'intero Episcopato che ha a cuore le sorti della Chiesa che è in Jugoslavia.


2. Sulla scia della fede dei vostri padri, avete voluto visitare in Italia i luoghi cari alla pietà ed alla memoria di san Benedetto, di cui è stato celebrato quest'anno il XV centenario della nascita. Al tempo stesso, avete inteso venerare i santi Cirillo e Metodio, apostoli dei popoli slavi, proclamati recentemente Patroni di Europa, insieme con san Benedetto.

Tutti questi motivi mi rendono particolarmente gradito l'incontro con voi, e mettono in risalto l'importanza del vostro pellegrinaggio, che potremmo chiamare "europeo". Esso richiama alla memoria il devoto pellegrinaggio di vostri connazionali e di altri fedeli provenienti da regioni slave, guidato, proprio cento anni fa, dall'illustre Vescovo di Djakovo, Mons. Josip J. Strossmayer, e realizzato col principale proposito di ringraziare il Papa Leone XIII per la Lettera enciclica "Grande Munus", che proclamava Cirillo e Metodio santi della Chiesa Universale, additandone a tutto il popolo cristiano le figure e l'opera apostolica.

Anche voi avete voluto manifestare al Papa la vostra gratitudine per la recente Lettera Apostolica "Egregiae Virtutis", con la quale ha proclamato Cirillo e Metodio Patroni di Europa, insieme con san Benedetto. Ho molto apprezzato questo vostro delicato pensiero, e desidero anch'io esprimere a voi la mia riconoscenza.


3. In molte occasioni ho avuto modo di indicare il significato per la Chiesa e per l'Europa dell'opera dei santi Benedetto, Cirillo e Metodio.

San Benedetto, gigante della fede e della civiltà, in una società sconvolta da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, affermo con la forza della sua opera formativa il primato dello spirito, difendendo così sia la dignità personale dell'uomo, quale figlio di Dio, sia la dignità del lavoro, inteso come servizio ai fratelli.

Partendo da una tale affermazione delle superiori esigenze dell'uomo, san Benedetto, mediante l'opera silenziosa ed efficace dei suoi monaci, permeo di senso cristiano la vita e la cultura dei popoli europei. Anche la civiltà contemporanea vive una crisi di identità e di ideali, che presenta molte analogie con quella di quel lontano ultimo scorcio del quinto secolo dell'era cristiana, ed è necessario, pertanto, come allora, recuperare una visione trascendente, rivitalizzare la coscienza alla luce dei valori perenni.


4. Sospinti dagli stessi ideali ed animati dalle stesse identiche finalità del Patriarca di Occidente, operarono nella storia e nella cultura dei popoli slavi, alla metà circa del secolo nono, i due grandi fratelli, Cirillo e Metodio, provenienti dall'Oriente. Essi, formati a Costantinopoli, recarono il contributo dell'antica cultura greca e della tradizione della Chiesa orientale, la quale si è così profondamente inserita nella formazione religiosa e civile di popoli che hanno collaborato in maniera rilevante alla costruzione dell'Europa moderna.

Cirillo e Metodio, come Benedetto, testimoni di diverse culture che in essi idealmente si incontrano e si integrano, fondarono la loro opera civilizzatrice sull'annuncio del Vangelo e dei valori che da esso emanano. Tale identico annuncio è stato strumento di reciproca conoscenza e di unione tra i diversi popoli dell'Europa, assicurandole un comune patrimonio spirituale e culturale.

Da Cirillo e Metodio, in particolare, inviati dalla Chiesa di Costantinopoli e confermati dalla Sede Apostolica, con cui rimasero sempre uniti, proviene poi un invito specialissimo all'unità della Chiesa, ben sottolineato, fin dal secolo scorso, dall'opera di zelanti e preveggenti pastori delle vostre diocesi, come Monsignor Anton Martin Slomsek, Vescovo sloveno di Maribor, ed il già citato Mons. Strossmayer.

Diletti fratelli e sorelle, Vi ringrazio ancora di cuore per questa vostra odierna testimonianza di fede e per la silenziosa assicurazione che essa mi offre circa il vostro impegno cristiano. Vi esorto a portare in cuore il ricordo del vostro pellegrinaggio, come stimolo continuo per voi e per i vostri cari, a perseverare nel cammino tracciato dai grandi patroni Benedetto, Cirillo e Metodio. Rivolgete con fiduciosa speranza la vostra preghiera ad essi, affinché proteggano l'Europa con la loro potente intercessione, non permettendo che essa si allontani dall'adesione a Cristo, ed assicurandole quella vera unità che si fonda sull'accoglimento della fede e della morale cristiana, sull'impegno dell'amore reciproco e sulla difesa instancabile della pace.

Tornando alle vostre case, dite ai vostri cari ed ai vostri concittadini che il Papa li ama, che li sostiene con la sua preghiera e che li incoraggia a perseverare in un cammino di fede matura ed irradiante. A tutti rivolgo il mio saluto pieno di affetto, mentre vi imparto una specialissima benedizione apostolica.

Data: 1981-03-21
Sabato 21 Marzo 1981




Al Consiglio della Segreteria del Sinodo dei Vescovi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Strumento validissimo di collegialità episcopale

Fratelli carissimi,

1. Prima di porre fine a questo incontro, desidero ringraziarvi tutti di cuore, perché mi avete dato questa opportunità di ritrovarci e di discutere con voi quell'argomento di grandissima importanza che è stato trattato lungamente e con tanta diligenza nell'incontro superiore del Sinodo, e precisamente "i doni della famiglia cristiana nel mondo moderno". In realtà, ora voi mi testimoniate di nuovo quanta importanza abbia questo problema nella società del nostro tempo, così come allora testimoniarono anche i Padri dello stesso Sinodo. Ciò è poi confermato soprattutto dal fatto che moltissimi uomini in tutto il mondo hanno seguito con grandissimo interesse i lavori del Sinodo anche attraverso i molteplici strumenti di comunicazione sociale e che le stesse deliberazioni del Sinodo in seguito sono state esaminate dovunque da esperti.

Allo stesso modo in questa riunione anche voi avete esaminato più profondamente le conclusioni del Sinodo per poter comprendere la ricchezza del loro significato e nello stesso tempo per poter considerare in quale maniera possano essere introdotte nella vita della Chiesa. Ora infine mi comunicate i frutti delle vostre consultazioni, mentre vi esprimo la mia gratitudine e parimenti vi confermo che me ne serviro per redigere un documento su quest'argomento così come ho preannunciato già il 28 dicembre, nel discorso prima della recita dell'Angelus Domini.


2. Oltre ad avere trovato un'occasione desiderabile per il vostro raduno, avete anche esaminato le conclusioni e le enunciazioni che sono state trasmesse dalla Conferenza episcopale sull'argomento del prossimo Sinodo, dalle assemblee dei Vescovi di rito orientale e dai dicasteri della Curia romana e dall'Unione dei Superiori generali. Perciò a tutti coloro che con maturità di giudizio vi hanno affidato tali enunciazioni, e inoltre a voi stessi che le avete esaminate con spirito critico, desidero rendere grazie il più ampiamente possibile.

Senza dubbio stimo grandemente quei criteri secondo i quali avete esaminato le varie opinioni intorno al tema del prossimo Sinodo. Avete scelto infatti dei criteri di giudizio: in primo luogo, l'universalità di un problema che tocchi ed interessi tutta quanta la Chiesa; in secondo luogo, la sua più urgente necessità; infine, le sue ragioni e la sua utilità sia dottrinali sia pastorali.

Riguardo a ciò che ci avete indicato, deliberero a mia volta; le vostre indicazioni a riguardo mi saranno certamente utilissime per stabilire poi l'argomento che sarà trattato nel prossimo Sinodo.


3. E' già abbastanza chiaro di per se stesso - e questo Sinodo superiore nel quale avete lavorato diligentemente me ne persuade - quale grande importanza e quale giovamento comporti questa Istituzione per la vita di tutta quanta la Chiesa. Essa sorse per un saggio consiglio di Paolo VI mio predecessore, accettato a pieni voti al Concilio Vaticano. Infatti attraverso le Chiese locali diffuse sulla terra, i Vescovi recano a Pietro le esperienze e le ricchezze della vita cristiana, presenti nelle loro giurisdizioni; e grazie ad essa anche Pietro conferma i fratelli nella fede e nella verità e presiede efficacemente alla carità universale.

Il Sinodo diviene perciò un validissimo strumento di quella collegialità che il Concilio Vaticano II ha posto nella sua giusta luce. Giacché: "così come, per volontà del Signore Iddio, san Pietro e gli altri Apostoli costituiscono un solo collegio, allo stesso modo il Santo romano Pontefice, successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli si riuniscono tra di loro". (LG 22).

Nell'obbedienza dunque al mio ministero, desiderando servirmi in ogni modo degli aiuti, dei consigli e dei desideri di tutto l'Episcopato cattolico, ritengo di assolvere in letizia la volontà del mio predecessore Paolo VI che attraverso il Sinodo volle dare ai Vescovi la facoltà "di partecipare in maniera più manifesta e più efficace alla mia sollecitudine verso la Chiesa universale" (Paolo VI "Apostolica Sollicitudo", AAS, 57 (1965) 776).

Infatti mi associo al suo pensiero nel quale afferma che se "giova all'utilità del nostro compito di Primate ciò che per il bene della sua Chiesa universale e per il ministero, Cristo ha tramandato all'apostolo Pietro e dopo di lui ai successori della Sede romana, non meno si pone ad onore del Collegio dei Vescovi; poiché proprio per questa ragione esso è associato al Pontefice di Roma, per la cura della Chiesa universale" (Paolo VI "Insegnamenti di Paolo VI", V, (1967), 468).

Mentre dunque vi esorto e prego intensamente affinché il Sinodo dei Vescovi si volga al suo compito fino ad espletarlo sempre meglio e pienamente e affinché divenga sempre più consistente questa opera reciproca di aiuto tra la Sede ecclesiale principale e le Chiese particolari, con grande benevolenza elargisco di cuore a voi singolarmente la benedizione apostolica.

Data: 1981-03-21
Sabato 21 Marzo 1981


L'omelia a san Paolo Fuori le Mura a conclusione del XV centenario benedettino - Roma

Titolo: Azione e contemplazione modello di lavoro per l'unità

Venerati fratelli e figli carissimi!

1. "Et benedicam tibi..., erisque benedictus " (Gn 12,3). A coronamento dei diversi incontri e delle parole che, in date diverse, ho avuto occasione di pronunciare durante l'anno centenario dei santi Benedetto e Scolastica a Norcia, a Montecassino ed a Subiaco, mi piace assumere - come ha fatto testé la sacra liturgia - questa bella espressione biblica, contenente una delle arcane promesse da Dio fatte al patriarca Abramo, ed applicarla al patriarca del monachesimo occidentale, benedetto parimenti nel nome e nelle opere. Considero, infatti, molto opportuno e significativo il rito di questa sera, presso la tomba dell'apostolo delle genti, al fine di onorare ancora Benedetto, e di concludere degnamente le fruttuose celebrazioni commemorative, così come per il XIV centenario del suo piissimo transito fece già, in questa stessa Basilica, il mio predecessore Pio XII, di venerata memoria, nel settembre del 1947. Dopo la fine del drammatico conflitto che aveva devastato ed insanguinato tante nazioni, proprio qui egli volle invocare la speciale protezione di Benedetto, "Europae altor et pater", per la ripresa spirituale e materiale non solo del Continente europeo, ma anche del mondo intero (cfr. Pio XII, "Discorsi e Radiomessaggi", IX, pp. 237-241).


2. A tutti voi, qui presenti, Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, desidero porgere il mio saluto cordiale: mi rivolgo, anzitutto, alla locale Comunità Benedettina col suo Abate Ordinario e con l'Abate Presidente della Congregazione Cassinese. Saluto poi i superiori e i componenti delle famiglie monastiche maschili e femminili di Roma, qui convenuti con tanti altri rappresentanti di Ordini e Congregazioni religiose, per celebrare nello spirito della vera comunione fraterna il grande maestro della vita consacrata. E saluto, infine, i fedeli della parrocchia di san Paolo, ai quali gli stessi padri benedettini dell'annesso Monastero dedicano per una tradizione ultrasecolare il loro apprezzato servizio, dando così testimonianza dell'ideale monastico ed insieme della sua capacità di irradiazione apostolica.

In realtà, presso questa Basilica l'istituto monastico è chiamato a dar prova della sua consistenza: è chiamato ad offrire l'esempio del più accurato stile liturgico, del più assiduo impegno nell'indispensabile ministero sacramentale della Riconciliazione, dell'ospitale accoglienza verso i pellegrini e i visitatori, provenienti da ogni parte del mondo; ma è chiamato, nello stesso tempo, a curare un appropriato programma di incontri religiosi, di iniziative a difesa della convivenza familiare, di colloqui ecumenici. E tutto ciò costituisce un prezioso apporto non solo per la pastorale diocesana, ma anche per l'animazione di tutta la Chiesa. Qui, più che in altri Monasteri collocati nel cuore della vita ecclesiale e civile, la spiritualità della contemplazione viene messa al servizio dell'impegno apostolico, secondo l'insegnamento di San Gregorio Magno, il quale, a poca distanza dalla morte del Patriarca Cassinese, impegno i monaci nell'ardua impresa dell'evangelizzazione dell'Inghilterra, dando impulso a quella mirabile serie di viaggi missionari che aprirono l'Europa occidentale al cristianesimo e alla civiltà, così come in quella Orientale operarono con pari fervore pastorale i grandi apostoli del mondo slavo, Cirillo e Metodio.


3. Quale frutto dell'anno centenario, nel corso del quale la figura e l'opera di San Benedetto hanno diffuso nella Chiesa e nella società un sorprendente messaggio di luce, si può già avvertire più chiaramente il bisogno che il monachesimo riviva le sue genuine e molteplici tradizioni, sia di vita strettamente claustrale, sia di attiva presenza nei settori della pastorale, dell'artigianato o dell'agricoltura, della ricerca scientifica, ecc. Tutto ciò avrà più facile applicazione e più sicura efficacia, solo se verranno affermati il primato della ricerca di Dio nella liturgia e nella "lectio divina", il rispetto delle esigenze connaturali alla vita comunitaria e l'attaccamento fedele al lavoro nelle sue diverse forme.

Riprendendo quanto è stato affermato al termine del Simposio, che nello scorso settembre ha visto riuniti gli Abati e le Abbadesse ed i Superiori benedettini, cistercensi e trappisti, formulo volentieri l'auspicio che "le comunità monastiche proclamino che tutte le generazioni, mentalità, razze e classi sociali possano ritrovarsi in Cristo; siano esse dei centri di preghiera, in cui la Parola di Dio sia intesa e ricevuta; siano con la semplicità della loro vita vicine agli oppressi ed ai piccoli di questo mondo: cerchino la pace e la giustizia per tutti; sensibilizzino i nostri contemporanei ai mali del consumismo, dell'individualismo e della violenza" (cfr. "Messaggio del Simposio monastico").

Come alla fine dell'eta antica, san Benedetto ed i suoi monaci seppero farsi costruttori e custodi della civiltà, così in questa nostra età, contrassegnata da una rapida evoluzione culturale, urge prender coscienza delle sfide che ci vengono dal mondo moderno e ribadire, nello stesso tempo, la sincera adesione ai valori perenni. Primo ed inesauribile valore è la Parola di Dio, che dev'essere ascoltata ogni giorno per la conversione della vita, in esatto riferimento ai problemi presenti ed a quelli che si profilano all'orizzonte: il Terzo Mondo, la crisi della famiglia, il dilagare della droga e della violenza, la minaccia degli armamenti, le stesse difficoltà di ordine economico.

Se veramente, come in Benedetto, sarà profonda la spiritualità nel cristiano, nel religioso, nel sacerdote; se ciascuno sarà - come deve essere - "uomo di Dio", allora potrà essere efficacemente "servo dell'uomo". L'attento ascolto di Dio che parla aprirà la sua anima al discernimento dei segni dei tempi, come avvenne in questo stesso Monastero il 25 gennaio 1959, quando Papa Giovanni XXIII indisse, oltre al Sinodo della diocesi di Roma, il grande Concilio Ecumenico, che è stato il Vaticano II con tutti i frutti copiosi, che ha già dato e darà ancora all'intero Popolo di Dio.

La credibilità del messaggio cristiano dipende dall'integrazione fra la catechesi, la liturgia e la giustizia perfezionata nella carità. La proclamazione della parola nelle sacre celebrazioni, la riflessione avviata nelle nostre catechesi, devono essere opera di testimoni di giustizia e di carità, di Comunità decise alla continua conversione nella carità e nella misericordia. La Parola deve condurre l'ascoltatore alla personale coscienza dei problemi e degli impegni, deve stimolare la comunità a scelte di servizio, con preferenza - come dice il Vangelo - per i poveri (Mt 11,5 Lc 4,18).


4. A questo punto a me sembra che - per una singolare e, direi, provvidenziale coincidenza - la fine del Centenario di san Benedetto possa introdurre, con particolare attenzione alla povertà, l'VIII Centenario della nascita di san Francesco, che avrà inizio nel prossimo ottobre. Difatti, si tratta di una delle più rilevanti esigenze, che sono emerse dagli incontri monastici dell'ormai trascorso Centenario Benedettino: non era possibile, del resto, chiudere gli occhi dinanzi all'ondata di materialismo, di edonismo, di ateismo teorico e pratico che si è riversata dai paesi occidentali in tutto il resto del mondo. I monaci del grande albero benedettino, i figli delle varie famiglie francescane, e in generale tutti i religiosi, hanno la responsabilità di reintrodurre nella società, con univoca testimonianza, per mezzo della conversione del cuore e dello stile di vita, i valori della povertà reale, della semplicità di vita, dell'amore fraterno e della generosa condivisione. Anche qui, facendo proprie le parole contenute nel Messaggio dei Benedettini e delle Benedettine dell'Asia, io auspico che l'esempio dei santi Benedetto e Francesco ci induca a "prendere coscienza della nostra chiamata ad essere poveri con il Cristo povero e ci sollecitino a seguirlo gioiosamente attraverso una più grande solidarietà con i più poveri dei nostri paesi e di tutto il mondo. In questo modo crediamo di poter arrivare, assieme a tutta l'umanità a comprendere più profondamente l'amore di Dio per gli uomini e a impegnarci concretamente in favore dei nostri simili". D'altronde, a questo stesso impegno in favore dell'uomo e della società umana, hanno dato rilievo anche i Vescovi d'Europa nel messaggio "Per un'Europa degli uomini e dei popoli", diffuso da Subiaco nel settembre scorso.


5. Ma è evidente, fratelli e figli carissimi, che questo impegno globale ed i particolari doveri e ministeri, in cui esso si articola, rinviano tutti e sempre alla loro fonte spirituale. Chi non sa che l'azione suppone la contemplazione? E questa, specialmente negli Ordini monastici e mendicanti, non esige forse, non presuppone una viva celebrazione eucaristica, una fedele liturgia corale e una impegnata forma comunitaria, per evitare il predominio del "fare" sull'"essere", o lo sviluppo di un attivissimo squilibrato rispetto al primato della vita interiore? Si, perché in ogni ministero apostolico, da chiunque ed in qualsiasi forma sia svolto, il servizio ha bisogno della catechesi, e l'impegno ha bisogno dell'orazione, affinché la carità non si riduca a semplice filantropia, ma l'amore del prossimo sia comandato, animato, arricchito dall'amore di Dio.

Per questo, noi anche adesso vogliamo pregare, dobbiamo pregare. Se il centenario benedettino, che ormai si conclude, ci ha richiamati - dico noi pastori della Chiesa di Dio, e voi tutti religiosi e religiose ed anche voi laici che sentite più forte la vocazione all'apostolato - a questa primaria dimensione come base e presupposto di qualsiasi attività ministeriale, noi possiamo immediatamente e molto opportunamente servirci dell'alta parola del Vangelo, che abbiamo or ora ascoltato. E' Gesù stesso infatti, che sta pregando nel Cenacolo e ci offre un insuperabile modello di stile e di contenuto in ordine alle nostre preghiere, siano esse personali o comunitarie, siano liturgiche o private. Giunto ormai al momento culminante della sua missione, "pridie quam pateretur", egli ci insegna in questo brano conclusivo della cosiddetta "preghiera sacerdotale" che cosa dobbiamo chiedere, per chi dobbiamo chiedere e perché dobbiamo chiedere. In colloquio diretto col Padre, in intimo contatto con Lui (tu in me et ego in te), Gesù prega non solo per i suoi apostoli che vede riuniti intorno a sé, ma anche per quelli che, grazie alla loro predicazione, crederanno in lui: prega, cioè, per i fedeli di tutte le età e generazioni successive, e prega "affinché siano una cosa sola".

Quante volte risuona in questo testo sublime l'invocazione o, meglio, l'appello e l'anelito all'unità? E' l'unità dei "suoi"; è l'unità come nota distintiva della "sua" Chiesa; è l'unità che, con simultanea efficacia, congiunge intimamente coloro che hanno già la fede ed insieme sollecita ad accettare la fede il mondo, ossia quelli che ancora non credono: "ut omnes unum sint ... ut credat mundus"..., (Jn 17,21) "et cognoscat mundus" (Jn 17,23). Dell'Unità il Signore ci dice tutto: il modo e la misura, la natura e l'effetto, la causa esemplare che è l'unità esistente tra lui stesso e il Padre, la causa finale che è la fede da suscitare in chi non l'ha ancora.

Ora, come negare che tali parole assumano un grande rilievo ed una particolare forza in questo luogo sacro ed in una circostanza come questa? Oltre che un modello di preghiera, esse costituiscono un programma di lavoro, esse hanno il pregio ed il merito di armonizzare contemplazione ed azione. E tanto più ci colpiscono, anzitutto, perché questo è il luogo in cui riposa l'apostolo Paolo, che fu infaticabile messaggero tra le genti dell'unità della Chiesa di Cristo nella superiore visione di questa come mistico corpo e come mistica sposa (cfr. 1Co 12,12-27 Ga 3,28 Ep 4,1-5); e poi perché la circostanza che qui ci ha raccolti è il centenario di Benedetto da Norcia, il santo dell'"ora et labora", il quale per l'unita prego e lavoro col Vangelo e con la croce, contribuendo efficacemente a fare l'unità nel mondo europeo, che era gran parte del mondo allora conosciuto.

Ecco perché questa parola-preghiera di Cristo, nostro Maestro e Signore, ben presto ripresa e diffusa da Paolo, più tardi ascoltata e adempiuta da Benedetto, deve scolpirsi nel nostro spirito, quale indeclinabile termine della nostra stessa preghiera e permanente parametro della nostra operosità apostolica.

"Ut omnes unum sint!" Questa parola, che racchiude ed esprime il "sacramentum unitatis" (cfr. San Cipriano, "De Ecclesiae catholicae unitate", 7; PL IV, 504), è come una parola d'ordine e, per le circostanze in cui fu dapprima pronunciata, ha il valore di un legato testamentario, e perciò deve illuminare e guidare le singole iniziative pastorali ed ecumeniche, tutto coordinando e finalizzando verso la dimensione suprema della carità: "perché l'amore, col quale mi hai amato, sia in loro" (Jn 17,26). Questo - non dimentichiamolo mai - è il punto d'arrivo, questo è il traguardo finale, perché unità e carità nella vita ecclesiale vanno di pari passo. L'unità è carità, e la carità unità.

Data: 1981-03-21
Sabato 21 Marzo 1981


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Difendiamo la vita



1. "Ecco, sto alla porta e busso" (Ap 3,20).

Queste parole dell'Apocalisse ritornano nella liturgia della Quaresima ed evocano davanti agli occhi della nostra anima l'immagine di Cristo, che, particolarmente in questo periodo, bussa ai cuori e alle coscienze delle persone umane. Bussa perché gli venga aperto, perché venga iniziato il colloquio con Lui, quel dialogo di salvezza di cui ha parlato Paolo VI nella sua prima enciclica. Si, Cristo vuole parlare con ogni uomo del nostro tempo così come ha parlato con Nicodemo o con la Samaritana, col giovane incontrato e con la Maddalena. Cristo, il più magnifico interlocutore che tocca i problemi più profondi e più difficili, e sempre nella piena verità e nel totale amore, verso l'uomo.

Si, Cristo vuole parlare con ogni uomo. Parla con lui incessantemente; parla con gli ambienti, con le famiglie, con le Nazioni intere; parla continuamente con l'intera umanità; parla dei problemi fondamentali, dei problemi più importanti, dai quali dipende la dignità dell'uomo sulla terra e la sua salvezza eterna.

Ecco, sta alla porta e bussa!


GPII 1981 Insegnamenti - Ai Vicari per i religiosi delle diocesi americane - Città del Vaticano (Roma)