GPII 1982 Insegnamenti - Per una carta dei diritti della famiglia

Per una carta dei diritti della famiglia


13. Posto dunque che la famiglia è "la prima e vitale cellula della società", come ha detto il Concilio Vaticano II (Decreto AA 11), lungi dal rinchiudersi in se stessa, essa deve aprirsi all'ambito sociale che la circonda. In questo modo viene allora messo in luce il ruolo che alla famiglia compete in rapporto alla società. Infatti, la famiglia è la prima scuola di socialità per i suoi membri più giovani, ed è in questo insostituibile. Operando in questo modo, la famiglia diviene strumento efficacissimo di umanizzazione e di personalizzazione di una società, che ogni giorno di più rischia di spersonalizzarsi e di massificarsi e di divenire dunque inumana e disumanizzante, con le conseguenze negative di tante forme di evasione, come ad esempio l'alcolismo, la droga fino al terrorismo.

Inoltre, le famiglie, sole o a gruppi, possono e debbono consacrarsi alle diverse opere di servizio sociale, in special modo a beneficio dei poveri; e il loro compito sociale è allora chiamato a trovare espressione sotto forma di intervento politico. In altre parole, le famiglie devono essere le prime ad operare perché le leggi e le istituzioni dello Stato non siano dannose, ma soprattutto sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In questo senso le famiglie dovranno essere sempre più coscienti d'essere "protagoniste" della "politica familiare" e di assumersi la responsabilità di trasformare la società. Esse sono poi chiamate a cooperare alla costruzione di un nuovo ordine internazionale.

D'altra parte, la società deve capire che essa è al servizio della famiglia. La famiglia e la società hanno una funzione complementare nella difesa e nella promozione del bene di tutti gli uomini e di ogni uomo.

Sono sicuro che voi avrete dedicato una particolare attenzione a tutti i diritti della famiglia che i Padri sinodali hanno enumerato e che la Santa Sede si propone di approfondire, elaborando una "carta dei diritti della famiglia" da proporre agli ambiti interessati ed alle Autorità dei diversi Stati come anche delle Organizzazioni internazionali competenti.


14. Come vedete, dedicando la sua attenzione alla famiglia, salvaguardandone i diritti, cercando di promuovere la dignità dei suoi membri, la Chiesa desidera offrire un decisivo contributo non solo alla persona umana- principale oggetto della sua sollecitudine- ma anche al progresso ordinato, alla prosperità, alla pace delle diverse nazioni. Non si può infatti pensare che un popolo possa innalzarsi in maniera degna e meno ancora che Dio continui ad effondere su di esso le sue benedizioni - perché: "Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode" (Ps 126 [127],1) - là dove vengono calpestati i diritti fondamentali dell'uomo e della donna, là dove la vita è soffocata nel grembo della madre, là dove un permissivismo cieco e irresponsabile accetta che siano minate alla base i valori spirituali e morali, senza i quali si disgregano non solo le famiglie ma anche le nazioni.

Su questo punto tanto importante, desidero fare appello alla vostra sensibilità; e auguro che in tutti i vostri Paesi abbiano priorità di accoglienza, grazie a disposizioni di ordine giuridico, sociale e previdenziale, le maggiori preoccupazioni per il bene della "familiaris consortio", cioè della "comunità familiare" che costituisce il bene più prezioso dell'uomo.


Il bene prevale


15. Eccellenze, Signore e Signori! Nel promettente ambito che si apre all'azione congiunta della Chiesa e degli Stati, ciascuno opererà in modo autonomo nella sua propria sfera di responsabilità per la difesa della pace nel mondo, per l'elevazione culturale, spirituale e morale dell'uomo e della società e, in modo del tutto particolare, per la promozione dei diritti concernenti il lavoro e la famiglia. Il nostro ottimismo non deve venir meno e neppure la nostra speranza. Certamente, i tempi sono difficili e ombre scure si levano all'orizzonte. Ma non abbiamo paura. Le forze del bene sono più grandi! Esse operano nel silenzio per la costruzione, che continuamente si rinnova, di un mondo più sano e più giusto. Milioni e milioni di uomini desiderano la pace nella loro Patria e la possibilità di essere veramente uomini liberi, con uno spirito costruttivo, nella loro famiglia e nel loro lavoro.

Aiutiamoli! La Chiesa non mancherà mai di giocare il suo ruolo, anche a costo di pagare di persona con i migliori dei suoi figli.

Auguro ad ogni Capo di Stato che voi rappresentate, ad ognuno dei vostri governi, ai vostri connazionali, che cresca la fraternità, la mutua comprensione, la collaborazione sincera e volonterosa tra i popoli. Che si affermi la pace, frutto della giustizia, della comprensione, dell'amore, quella pace che, per i cristiani è "dono di Dio", e che ha un'unico fondamento: l'immagine e somiglianza dell'uomo con Dio Padre, perché creato da Lui, e riscattato da suo Figlio, Gesù Cristo.

A tutti voi, alle vostre famiglie, ripeto l'augurio tradizionale di "buon anno": un anno che sia veramente "buono", sorgente e pegno di bene, e lo faccio con le parole della solenne benedizione, ispirata alla Bibbia, che ha formulato San Francesco, questo Santo universale di cui celebriamo quest'anno l'ottavo centenario della nascita: "Che il Signore ti benedica e ti protegga! Che ti mostri il suo volto ed abbia pietà di te! Che volga verso di te il suo sguardo e ti doni la pace!".


[Traduzione dal francese]




1982-01-16 Data estesa: Sabato 16 Gennaio 1982




Ai partecipanti al congresso nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fede e cultura elevano il lavoro a valore di salvezza cristiana

Testo:

Carissimi!


1. Desidero esprimervi la mia sincera gioia nel rivedervi, dopo il nostro incontro del giugno del 1980, quando, a seguito dell'approvazione dei nuovi statuti da parte del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, siete venuti a presentarmi il vostro programma di impegno culturale a servizio della Chiesa e della Società civile. Proprio il fatto che il vostro Movimento sia ecclesiale obbliga ognuno di voi a pensare e a promuovere la cultura in stretta connessione con la fede che professate, ad operare una vera sintesi fra la fede e la cultura.

E' questa la vostra missione specifica, a cui non vi potete mai sottrarre né come uomini di cultura né come credenti, dal momento che tale sintesi è una esigenza sia della cultura sia della fede.


E', anzitutto, una esigenza della cultura. "L'uomo", infatti, "vive di una vita veramente umana grazie alla cultura" ("Discorso all'Unesco", 6; 2 giugno 1980: "Insegnamenti", III, 1 [1980] 1639). Se la cultura è il luogo in cui la persona umana si umanizza ed accede sempre più profondamente alla sua umanità, ne consegue che la condizione fondamentale di ogni cultura è che in essa e mediante essa tutto l'uomo, l'uomo nella misura intera della sua verità sia riconosciuto: a fondamento di ogni cultura degna di questo nome sta questa affermazione, teorica e pratica, della persona umana. Per il credente "solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo... Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo a se stesso" (GS 22). E, pertanto, l'impegno culturale di un credente sarebbe sostanzialmente lacunoso se l'umanizzazione dell'uomo, che egli promuove mediante la cultura, non fosse consapevolmente orientata e diretta verso il suo compimento nella fede. La cultura non è solo opera di singoli: essa è anche ed essenzialmente opera comune, frutto della cooperazione di molti. Il cristiano deve cooperare con tutti coloro che si impegnano per la cultura. Ma la condizione imprescindibile di questa cooperazione è il riconoscimento e il rispetto, da parte di tutti, della verità intera dell'uomo e della sua dignità. Quando si danno cooperazioni non rispettose di questa condizione non è all'uomo che si serve, ma ad ideologie distruttive dell'uomo: si tradisce, cioè, l'impegno culturale. La fedeltà alla visione cristiana dell'uomo, insegnata dalla Chiesa, non isola ma, al contrario, rende effettivamente capaci di creare cultura vera: universalmente umana ed umanizzata. "Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola: quella divina" (GS 22).


2. La sintesi fra cultura e fede non è solo una esigenza della cultura, ma anche della fede. Come ha insegnato il mio predecessore Paolo VI, "occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell'uomo... partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio" (EN 20). Se, infatti, è vero che la fede non si identifica con nessuna cultura ed è indipendente rispetto a tutte le culture, non è meno vero che, proprio per questo, la fede è chiamata ad ispirare, ad impregnare ogni cultura. E' tutto l'uomo, nella concretezza della sua esistenza quotidiana, che è salvato in Cristo ed è, perciò, tutto l'uomo che deve realizzarsi in Cristo.Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta.

Nella mia recente esortazione apostolica ho scritto: "E' mediante l'inculturazione" - mediante cioè una fede che diventa cultura - "che si cammina verso la ricostruzione piena dell'alleanza con la Sapienza di Dio, che è Cristo stesso" (FC 10). E' questa "ricostruzione piena" ciò di cui l'uomo di oggi ha bisogno. Solo la verità piena sull'uomo, donataci dalla fede, fedelmente pensata sotto la guida del Magistero della Chiesa, può rendervi capaci di percepire nella loro unità profonda e di armonizzare la sempre più grande diversità degli elementi che costituiscono la cultura odierna:. unificazione ed armonizzazione in cui consiste la sapienza (GS 15).


3. In questa prospettiva del vostro impegno culturale e in armonia col vostro stile di presenza nei problemi più attuali della società contemporanea, avete scelto come tema del vostro Congresso nazionale: "Professionalità e lavoro: Quale senso? Quale progetto?". Col vostro dibattito congressuale, di cui ho letto con interesse il programma, vi siete proposti di approfondire i temi esposti nell'enciclica "Laborem Exercens", in rapporto alla situazione economica e sociale in Italia.

Tale analisi della trasformazione e delle tendenze del sistema economico-sociale può diventare un opportuno punto di partenza per promuovere quelle innovazioni tecnico-scientifiche, organizzative e giuridiche, che sono richieste dalla evoluzione dei sistemi di produzione e che contribuiscono, in pari tempo, a salvaguardare la dignità e l'attività del lavoratore, quale che sia il suo livello di responsabilità e di professionalità: creativa, dirigenziale, esecutiva. Come ho scritto nella "Laborem Exercens", "il lavoro umano non riguarda soltanto l'economia, ma coinvolge anche, e soprattutto, i valori personali. Il sistema economico stesso e il processo di produzione traggono vantaggio proprio quando questi valori personali sono pienamente rispettati" (LE 15).

Il valore personale del lavoro non può mai essere disatteso, per cui, in qualsiasi sistema economico, fosse anche di parziale o totale socializzazione dei mezzi di produzione, l'uomo deve conservare la consapevolezza di lavorare "in proprio". Quando il lavoro perde i caratteri della soggettività, quando non è più "actus personae" (LE 24), quando il lavoratore non sente più di lavorare in proprio, subentra allora la disaffezione dal lavoro, che si trasforma tosto nel mito del non-lavoro, nel disordine sociale dell'ozio, già condannato da san Paolo (2Th 3,10-12).

Nella valutazione, che il lavoratore compie della propria attività, è necessario che si inserisca una prospettiva di etica sociale. Il senso della professionalità nel lavoro non è meramente racchiuso nel risultato dell'opera compiuta, nell'"opus perfectum" (che richiede sempre più la cooperazione di numerosi individui), ma nel fine sociale che con esso si raggiunge e si realizza per il soddisfacimento di bisogni materiali e spirituali degli altri uomini, di tutti coloro che vivono nella collettività. Senza questa rappresentazione dell'utilità, che dal lavoro viene alla più estesa famiglia umana, nessun perfezionamento dei sistemi di lavoro varrebbe a rendere gratificante la più congeniale forma di attività professionale.


4. La considerazione dei valori soggettivi e sociali del lavoro vi ha portato a riflettere - nella realtà del vostro paese, analoga a quella di tanti altri - sulla grave calamità individuale e sociale della disoccupazione, che colpisce in modo particolare i giovani. Come è indicato nella "Laborem Exercens", si impone una pianificazione globale, ossia "una giusta e razionale coordinazione, nel quadro della quale deve essere garantita l'iniziativa delle singole persone, dei gruppi liberi, dei centri e complessi di lavoro locali" (LE 18), tenuto sempre il debito conto della soggettività propria del lavoro umano. Questa programmazione, che richiede sacrifici di interessi particolari di gruppi e categorie, contrasta altresi con la ricerca di profitti crescenti da parte delle società multinazionali e transnazionali, in grado di condizionare e di frustrare le decisioni di politica economica delle autorità statali e regionali. E' perciò indispensabile che misure di rinnovamento della vita economica maturino in una forte tensione di consapevolezza etica e di energica razionalità tra tutte le parti interessate. A questo fine cospira la conoscenza dei termini del dibattito sociale e culturale, concernenti i problemi del lavoro in Italia, a cui avete dedicato una parte del vostro Congresso.

Poiché ogni comunità è parte di altra e più grande, i problemi del lavoro devono essere esaminati e risolti non solo in ambiti locali o nazionali, ma sovrannazionali e mondiali. La scena del mondo è oggi dominata dalla sperequazione nella ricchezza delle nazioni. Accanto ai paesi dell'opulenza, del consumismo e dello spreco, ci sono i paesi della miseria e della fame, legati gli uni agli altri da un rapporto di reciproche dipendenze, che da parte dei paesi altamente industrializzati "può facilmente diventare occasione di varie forme di sfruttamento e di ingiustizia e, di conseguenza, influire sulla politica di lavoro dei singoli Stati ed, in ultima istanza, sul singolo lavoratore, che è il soggetto proprio del lavoro" (LE 17).

Su questa iniqua distribuzione delle risorse, in materie prime, in tecnologie, in standard materiali di esistenza, si innescano i rischi di guerra, le tensioni tra opposti schieramenti, le logiche basate su equilibri di rappresaglia militare. La pace esige giustizia nelle e tra le nazioni, e quindi un ordine organizzativo, economico e giuridico mondiale fondato su quei valori di umanità, razionalità, finalità e coscienza cristiana del lavoro, a cui il vostro Congresso ha dedicato una parte fondamentale delle sue relazioni e discussioni.

Il lavoro, che è atto della persona e deve contribuire alla perfezione della persona, risente pero, nella realtà esistenziale, delle pene, dei dolori, delle contraddizioni inerenti alla vita umana ed è perciò necessario che esso sia riscattato nei suoi aspetti negativi e sia innalzato a principio di santificazione dal mistero della Passione e della Risurrezione di Cristo.

Il vostro Movimento ecclesiale cammini sulla strada del lavoro umano, facendosi portatore di una fede indivisa, che sia fermento vitale della realtà economico-sociale, e aiuti tutti gli uomini a trovare nel lavoro non soltanto il compimento della misura umana della loro personalità, ma le dimensioni evangeliche di ogni attivà terrena.

Vi auguro, figli carissimi, che, nell'esercizio delle vostre professioni e nei rapporti che avete con i più diversi settori della società, possiate promuovere sempre più la professionalità del lavoro e sollevarlo, inoltre, a valore di salvezza cristiana, nella grazia e nella luce del mistero di Cristo.

Per il compimento di questi miei voti e di ogni dono dall'alto sia propizia l'apostolica benedizione, che mi accingo a dare a voi, alle vostre famiglie, ai vostri amici.




1982-01-16 Data estesa: Sabato 16 Gennaio 1982




Al Pontificio ateneo "Antonianum" - Roma

Titolo: La vostra operosità scientifica e didattica ravvivi e custodisca la speranza

Testo:

Fratelli e figli carissimi!


1. Nella sollecitudine quotidiana per tutte le Chiese (cfr. 2Co 11,28), che mi incombe come successore di Pietro e Vicario di Cristo, ho voluto inserire anche la visita personale alle Pontificie Università e Atenei che hanno sede in Roma, centri di irradiazione della cultura ecclesiastica, che impegnano tanti professori e studenti convenuti da molte nazioni di tutti i continenti.

Per tutti coloro che in queste benemerite Istituzioni sono, in diverso modo, impegnati, la venuta del Papa vuole essere di incitamento a cooperare sempre più efficacemente con lui alla diffusione del Vangelo (cfr. Ph 1,5).


2. Nella serie di tali visite si inserisce oggi quella del Pontificio Ateneo "Antonianum", dell'Ordine dei Frati Minori. Rivolgo, dunque, il mio cordiale saluto ai signori Cardinali William Baum, Prefetto della Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica, e Ferdinando Antonelli, che di questo Ateneo è stato Rettore; agli eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi qui presenti; al P. John Vaughn, Gran Cancelliere, unitamente al P. Gerardo Cardaropoli, attuale Rettore; agli ex-Rettori, ai Decani e Presidi e all'intero Corpo docente.

In particolare, saluto i cari studenti dell'Ateneo, per i quali vengono messe a disposizione le sue molteplici strutture e iniziative accademiche; ad essi mi piace augurare una formazione culturale costruita con la mente e col cuore, in vista di una testimonianza evangelica sempre più efficace.

E' noto che attualmente il Pontificio Ateneo "Antonianum" costituisce l'unico Studio Generale dell'Ordine dei Frati Minori ed anche il suo centro di più riconosciuto prestigio, con le sue tre Facoltà: di Teologia, di Diritto Canonico, e di Filosofia.

Ed il saluto e la parola, che mi è dato esprimere nella sede di questo illustre Ateneo, sono indirizzati anche alle varie istituzioni che in esso sono inserite o ad esso fanno capo: i due Istituti interdipartimentali accennati dal Rettore Magnifico, la Commissione Scotistica, l'Accademia Mariana Internazionale, il Collegio di san Bonaventura, la Scuola aggregata "Regina Apostolorum" per religiose, ed i sette Studi Teologici affiliati, sia in Italia che a Gerusalemme.

Queste varie istituzioni testimoniano il livello di autentica ricerca accademica, che qualifica l'"Antonianum". Esso, infatti, realizza e, come tutti gli Atenei, è chiamato a realizzare sempre maggiormente le tre finalità caratteristiche delle Facoltà ecclesiastiche, come ho scritto nella costituzione apostolica "Sapientia Christiana": coltivare e promuovere a livello scientifico le proprie discipline; formare in esse gli studenti ad un livello di alta qualificazione; e infine aiutare la Chiesa nella sua opera evangelizzatrice (cfr.art.3). Di esse voglio qui sottolineare soprattutto le prime due, poiché il valore di un Ateneo si misura proprio dalla serietà e dalla dedizione alla ricerca scientifica. Ciò, d'altronde, è richiesto non solo dalle esigenze culturali del nostro tempo e dalle provvidenziali richieste dell'uomo contemporaneo, ma anche dalla luminosa dignità propria delle stesse Scienze coltivate, alle quali bisogna consacrarsi, secondo quanto scrive il Siracide circa la sapienza: "Seguine le orme e cercala, ti si manifesterà; / e una volta raggiunta, non lasciarla. / Alla fine troverai in lei il riposo, / ed essa ti si cambierà in gioia" (6,27-28). Frutti e luoghi riconosciuti delle ricerche curate dall'Ateneo sono le sue pubblicazioni, specialmente il periodico scientifico "Antonianum" e le varie Collane, tra le quali occupa il primo posto lo "Spicilegium Pontificii Athenaei Antoniani".

Mi piace poi ricordare in particolare il prezioso lavoro della Commissione Scotistica, che cura la pubblicazione dell'edizione critica delle opere di Giovanni Duns Scoto, e la benemerita attività dell'Accademia Mariana, che promuove e organizza Congressi di Mariologia e pubblica gli "Atti dei Congressi Mariologici-Mariani". Anche a questi Istituti va il mio elogio per le loro benemerenze acquisite fino ad ora, e ad essi va anche la mia esortazione a non estinguere, anzi ad alimentare per l'avvenire il loro fervore.

L'odierna visita mi è particolarmente gradita anche perché si pone tra la conclusione del 750° anniversario della morte di sant'Antonio, da cui l'Ateneo prende nome, e l'inizio delle celebrazioni per l'ottavo centenario della nascita di san Francesco, Fondatore dell'Ordine al quale l'Ateneo appartiene.

Traendo ispirazione da queste due ricorrenze, desidero esprimervi soprattutto il mio stimolo e incoraggiamento per la vostra operosità futura.


3. Sant'Antonio, che proprio in questo giorno - il 16 gennaio dell'anno 1946 - fu proclamato dal mio predecessore Pio XII "Dottore della Chiesa", costituisce un modello insigne di studioso e di annunciatore della Parola di Dio. Conoscitore profondo della Sacra Scrittura - tanto che il Papa Gregorio IX lo saluto "Arca del Testamento" - egli si merito, per il taglio kerigmatico della sua esposizione e per la penetrazione spirituale e mistica della dottrina rivelata, l'appellativo di "doctor evangelicus". Lo "stile" della sua riflessione teologica può ancor oggi utilmente ispirare quanti si dedicano all'approfondimento delle ricchezze della verità divina.

Insieme con sant'Antonio, vi ispiri e vi sostenga colui che fu sua guida spirituale: san Francesco. Tutti sappiamo che cosa abbia rappresentato per l'umanità la nascita del grande Santo di Assisi: con lui - dice Dante - "nacque al mondo un sole" (Dante Alighieri, "La Divina Commedia", "Paradiso", XI, v. 54).

Molti sono i motivi per i quali egli ha esercitato, ed esercita ancora, un fascino tanto rilevante nella Chiesa, e anche al di fuori di essa: la visione ottimistica di tutto il creato, come epifania di Dio e patria di Cristo, da lui celebrato nel notissimo "Cantico delle creature"; la scelta della povertà come espressione della sua intera vita e da lui chiamata Madonna, l'appellativo dato dai cavalieri alle dame e dai cristiani alla Madre di Dio.

Ma a sostegno di tutto stava una virtù teologale integralmente praticata, che egli raramente chiama per nome, perché diventa il suo stato d'animo, che lo fa concentrare tutto in Dio, che tutto gli fa aspettare da lui, che lo rende felice di non possedere altro che lui. Con accenti appassionati egli esprime questo suo stato d'animo nella "Chartula" data a frate Leone sul Monte della Verna: "Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, Signore Dio, vivo e vero... Tu sei la nostra speranza" ("Opuscula", [1978], p. 90s.).


4. So che all'ingresso di quest'Aula splendida, intitolata a Maria santissima Assunta, una epigrafe latina ricorda la visita del mio predecessore Paolo VI, in occasione del VII Congresso Mariologico Internazionale, il 16 maggio 1975. Di lui desidero ripetere il messaggio al Capitolo Generale dei Frati Minori nel 1973: come san Francesco, siate anche voi, nel mondo d'oggi, i custodi della speranza! (cfr. "Insegnamenti", XI [1973] 576). Del resto, è questo anche il messaggio che io stesso ho indirizzato all'ultimo Capitolo Generale, il 21 giugno 1979; e vi esorto ad imprimere nei vostri animi, perché ne siate gli araldi, il contenuto delle parole iniziali della mia prima enciclica: "Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia" (cfr. "Insegnamenti", II, [1979] 1598).

Si: perché la speranza vera, questo dono dello Spirito che non delude (cfr. Rm 5,5), deriva dall'unica certezza che "il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,20).

Il recupero di questa certezza è urgente nel mondo d'oggi, solcato da tante inquietudini che sono come un attentato alla speranza portata a tutti da Cristo: "Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo" (Jn 16,33).

Non si può non costatare, con tristezza, che il culto della morte minaccia di avere il sopravvento sull'amore alla vita: la morte inflitta a tanti esseri umani già prima di nascere; la morte non evitata a tanti nostri fratelli consumati dalla malattia e dalla fame; la morte procurata con la violenza e con la droga; la morte della libertà cinicamente perpetrata contro individui e intere nazioni; e perfino la morte di chi non può liberamente esprimere il proprio pensiero.

Tutto questo deriva, in gran parte, dal fatto che, in non pochi, è avvenuta la morte della coscienza, causata, a sua volta, dall'oscuramento di quella certezza che fonda ogni vera speranza: il Figlio di Dio ha amato singolarmente ogni uomo, fino a farsi uomo anche lui e a dare la vita per tutti.

Di fronte ad un tale stato di cose, di teorie e di prassi, io sento di dover ripetere ancora una densa espressione del mio predecessore Paolo VI: "Di questa speranza, che si iscrive sopra la sofferenza umana, sopra la fame e la sete di giustizia, sopra le nostre tombe, il mondo ha bisogno" ("Insegnamenti", XIII [1975] 1507). Si, il mondo ha bisogno di questa umana e insieme trascendente speranza, che può trasformare in beatitudine anche situazioni umanamente disperate; che fa vedere come momento di vita anche la sua fine; che non emargina dal processo storico in cui viviamo, ma anzi lo anima con l'introduzione in esso della dimensione del futuro; che fa aderire a Cristo primogenito di molti fratelli nell'esperienza dei condizionamenti dell'esistenza temporale e, insieme, primogenito dei risuscitati da morte (cfr. Rm 8,29 Col 1,18).


5. Io vorrei che l'Ordine dei Frati Minori, in particolare modo mediante questo suo Ateneo, contribuisse a colmare questo bisogno di speranza con l'apporto originario che a san Francesco si ispira. Io confido che ogni sforzo sia fatto, affinché, con la multiforme attività propria ad una Istituzione accademica, essa possa e sappia, nella società odierna, allargare gli spazi ai valori contenuti nel Vangelo, i soli capaci di generare ed alimentare non illusorie speranze.

Tutti i discepoli di Cristo sono segnati da una scelta irreversibile che non è partita da loro, ma da lui, che li vincola, perciò, alla missione da lui stesso stabilita: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto" (Jn 15,16).

Voi in particolare, professori carissimi, dovrete sentirvi segnati da quella scelta e impegnati in quella missione, anche in ragione dell'appartenenza a questo Ateneo. E', infatti, da ricordare che Pio XI, ricevendo in Udienza i suoi membri il 15 dicembre 1933 - Anno della Redenzione - nel 50° anniversario di fondazione e appena qualche mese dopo la sua erezione canonica, disse: "Tra i frutti più eccellenti e salutari della Redenzione ci piace annoverare l'inaugurazione del vostro Ateneo" ("Acta Ordinis Frat. Minor.", 53 [1934] 73). Un dono di Dio, dunque, che crea in chi lo ha ricevuto un obbligo permanente alla corrispondenza, nella linea del dono stesso: un obbligo quindi, a mettersi al servizio dell'opera della salvezza compiuta da Cristo Redentore.

Ognuno, perciò, stimerà suo primario dovere di saper interpretare, come si addice ai cultori di scienze sacre, i vari linguaggi del nostro tempo e giudicarli alla luce della Parola di Dio, affinché la Verità rivelata possa essere sempre più profondamente intesa, meglio capita e presentata nella maniera più adatta (cfr. GS 44), di modo che sia resa testimoniinza alla verità che tutte le altre racchiude: Cristo, il Figlio di Dio, è morto per salvare il mondo e illuminarlo di speranza.


6. Affinché questo compito si avveri in pienezza, è necessario che la dottrina sia accompagnata dalla pratica del bene. San Francesco ammonisce di non farsi uccidere dalla lettera, bramando di sapere soltanto le parole, anche se parole divine, all'unico scopo di essere ritenuti più sapienti degli altri; ma di essere vivificati dallo Spirito, innalzando con la parola e con l'esempio tutto il sapere a Dio altissimo, al quale appartiene ogni bene (cfr. "Opuscula", Adm. VII, p. 68).

Come non ricordare in questo Centro di Studi, che s'intitola a sant'Antonio, le parole con cui Francesco gli concedeva il proprio benestare per l'insegnamento della Teologia? L'unica condizione, che il Poverello poneva, resta come una consegna per chiunque intenda avvicinarsi alle Scienze Sacre con atteggiamento adeguato: "Dummodo - egli scriveva - inter huiusmodi studium sanctae orationis spiritum non extinguas" (cfr. "Opuscula", Adm. VII, p. 95).

E' indispensabile, inoltre, - come ho detto nell'enciclica "Redemptor Hominis" - che ognuno sia consapevole di rimanere in stretta unione con quella missione di insegnare la verità, di cui è responsabile la Chiesa (cfr. RH 19); unione, - ci ricorda san Bonaventura -, indissolubilmente congiunta con l'obbedienza a colui che siede sulla Cattedra di Pietro (cfr. "Quaest. disput. de perfect. evang.", q. 4, a. 3, n. 14; ed "Ad Claras Aquas", T. V., p. 191).

La storia ci dice che i più alti ingegni hanno operato per il bene della Chiesa, perché non altro insegnarono se non quel che avevano in essa imparato (cfr. sant'Agostino, "Contra Iulian.", II, 10, 34; PL 44, 698). Ciò operarono anche i Maestri di più alto prestigio dell'Ordine Francescano, che insieme ad altri, diedero la loro parte nella costruzione del tempio della sapienza cristiana (cfr. "Alma Parens": AAS 58 [1966] 611s), aiutando così gli uomini ad adorare il Padre in spirito e verità (cfr. Jn 4,23).

In ogni produzione, infatti, che sia espressione di cultura e di lealtà con la fede, è impressa qualche traccia di un passaggio di Cristo, Redentore dell'uomo in ogni tempo.


7. Carissimi professori e studenti! Al termine, e a ricordo, di questo familiare incontro formulo l'auspicio che la vostra operosità scientifica, didattica di oggi e di domani si riveli adatta a ravvivare e custodire la speranza; e possiate così meritare la riconoscenza e l'onore che san Francesco ha comandato e praticato verso "i teologi e quelli che hanno il ministero delle santissime parole divine come coloro che ci amministrano spirito e vita" ("Opuscula", testam. P., 309s).

Questo auspicio affido alla Madre di Dio, che san Francesco - riferisce san Bonaventura - circondava di ineffabile amore, perché per mezzo di lei il Signore della gloria si è fatto nostro fratello (cfr. "Legenda sancti Francisci", cap. IX, n. 3, T. VIII, p. 530); lo affido a Maria santissima, che la Chiesa saluta e prega come "la nostra speranza".

E sempre vi accompagni la mia paterna benedizione apostolica che sono lieto di impartire a tutti come pegno gioioso di feconde grazie celesti, che vi sostengano nell'impegno di essere sempre, nel mondo di oggi, autentici testimoni della speranza che non delude.




1982-01-16 Data estesa: Sabato 16 Gennaio 1982




Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Santo Padre annuncia la sua visita in Gran Bretagna

Testo:

Carissimi.


1. Vorrei richiamare oggi alla vostra attenzione e a quella di tutti i figli e figlie della Chiesa cattolica la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che si apre domani.

Questo annuale appuntamento fa convergere l'attenzione di tutti su un dramma storico e spirituale, che non tocca soltanto la vita della comunità cristiana, ma ha effetti negativi per l'intera convivenza umana. La divisione, infatti, contraddice alla volontà di Dio sulla sua Chiesa e al progetto divino di unificazione dell'intera umanità. La preghiera per l'unità è perciò anche più attuale e necessaria perché il Signore illumini la mente di tutti i cristiani, dia la forza per vincere le tendenze della divisione e ci conceda il dono della piena unità.

L'annuale ricorrenza offre anche l'occasione per ringraziare il Signore per i progressi che va realizzando il movimento ecumenico. I contatti diventano più intensi, il dialogo teologico si approfondisce, lo spirito di fraternità e di solidarietà tra i cristiani si fortifica. Siano rese grazie a Dio!


2. Il tema che congiuntamente il Segretariato per l'Unione dei Cristiani e il Consiglio Ecumenico delle Chiese hanno proposto per quest'anno è denso e suggestivo: "Che tutti trovino la loro dimora in te, o Signore".

La comunità cristiana è come una grande famiglia. Essa è costruita sull'amore del Padre e si esprime nella piena fraternità, è chiamata a vivere nel vincolo della pace nella dimora di Dio. Perché "non c'è che un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Non esiste che un solo Dio e Padre di tutti, il quale è al di sopra di tutti, opera in tutti ed è in tutti" (Ep 4,5s).

Come nella famiglia gli eventuali dissensi devono essere superati per la ricomposizione dell'unità, così deve avvenire nella famiglia più ampia dell'intera comunità cristiana. "Che tutti trovino la loro dimora in te, o Signore". Questo tema ha anche una profonda dimensione missionaria. L'unità dei cristiani è aperta ad una unità sempre piu ampia, quella dell'intera umanità. Gesù stesso ha pregato per l'unità dei suoi discepoli "affinché il mondo creda" (Jn 17,21).


3. Per questa intenzione ecumenica il 25 gennaio prossimo nella Basilica di san Paolo fuori le Mura presiedero alla solenne celebrazione conclusiva della Settimana di preghiera per l'unità. Quel sacro tempio sorge sulla "confessio" dell'Apostolo delle genti, il quale proclamo instancabilmente l'unità della Chiesa (cfr. Rm 12,4s; 1Co 12,12 Ep 4,4s; Col 3,15). Che san Paolo, per i meriti del suo glorioso martirio, ottenga che noi tutti credenti in Gesù "arriviamo... all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ep 4,12s).

Nel prossimo mese di maggio, poi, compiro un pellegrinaggio apostolico in Gran Bretagna, per confermare (cfr. Lc 22,32) i fratelli nell'Episcopato e i figli e le figlie delle diocesi cattoliche di quella nobile terra. In tale circostanza mi incontrero anche con l'Arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione Anglicana, dottor Robert Runcie.

Possa tale mio viaggio servire anche alla causa dell'avvicinamento tra la Chiesa Cattolica e la Comunione Anglicana, e ad accelerarne la tanto auspicata unione. Per questa finalità, di grande portata ecumenica, chiedo a tutti voi suppliche ardenti alla Trinità santissima.

Adesso rivolgeremo la nostra preghiera alla "Theotokos", la Madre di Dio, affinché per la sua potente intercessione ci venga concessa quell'unità, per la quale Gesù Cristo si è fatto uomo.

Ai fedeli in Piazza San Pietro Vi ringrazio per la solidarietà, per la vostra presenza e per la vostra preghiera. Che il Signore benedica le vostre persone e le vostre famiglie. Che il Signore benedica le nostre comunità, le parrocchie e benedica tutti i paesi del mondo e la mia patria.




1982-01-17 Data estesa: Domenica 17 Gennaio 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Per una carta dei diritti della famiglia