GPII 1982 Insegnamenti - Al sindaco e alla giunta comunale di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Al sindaco e alla giunta comunale di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La comunità cristiana di Roma al servizio dell'indivisibile realtà civica

Testo:

Onorevole signor Sindaco, illustri Signori.


1. L'inizio del Nuovo Anno ci offre puntualmente la gradita occasione di questo incontro, da voi sollecitato per porgere di persona al Vescovo di Roma, Pastore della Chiesa universale, i vostri auguri.

Desidero esprimere la mia cordiale riconoscenza, anzitutto a lei, signor Sindaco, per i voti così gentilmente espressi e per le parole, che Ella mi ha rivolte. Ringrazio con lei i Colleghi della Giunta e i Membri del Consiglio Comunale qui presenti. A ciascuno porgo il mio saluto che, per vostro tramite, amo estendere a tutti i Collaboratori ed all'intera popolazione di Roma.

Sono lieto che. la presente circostanza mi consenta di pronunciare un pubblico ringraziamento per la commossa partecipazione vostra e di tutti i romani alla mia sofferenza, anzitutto a motivo del drammatico episodio del maggio scorso e della conseguente lunga degenza, ed ora per i recenti e purtroppo sempre attuali avvenimenti che travagliano la mia diletta patria. In questa Roma, che a pieno diritto e con gioia posso dire "mia", ho incontrato altri amici e tante persone sensibili che tutte amo, con particolare riguardo a coloro che soffrono, che versano nel bisogno o che sono alla ricerca della indefettibile Verità.


2. La vostra presenza reca, in certo modo, davanti ai miei occhi l'immensa città di Roma, così dilatata in questi ultimi tempi fino a raggiungere quasi i tre milioni di abitanti. Di fronte al mio sguardo si profila l'agglomerato degli insediamenti urbani con i vari centri della vita cittadina: le scuole di ogni ordine e grado e gli uffici, gli ospedali e le cliniche, i mercati ed i cantieri di lavoro, i luoghi dello sport e del divertimento. E' tutto un fervore di attività, di iniziative e di rapporti: è la "città degli uomini" che ogni giorno si esprime nel suo frenetico dinamismo, e che esige una programmata direzione generale ben ordinata e sicura.

Si deve riconoscere che non è facile l'esercizio della gestione civica, specialmente di città colossali come Roma; questa presenta, inoltre, la preoccupazione per il flusso continuo ed enorme di pellegrini e turisti, alla ricerca di un incontro con una missione ed un magistero universali, emergenti anche da tanti monumenti storici che richiedono accurata e fedele conservazione.

Debbo esprimere il mio grato apprezzamento per tutto ciò che è stato fatto e che si continua a fare per il bene dell'intera popolazione, manifestando il fervido auspicio che si possa venire incontro sempre più validamente alle tante necessità, specialmente con la costruzione di nuove e congrue abitazioni.

L'impegno assunto dagli Amministratori coinvolge gravi responsabilità e deve essere inteso e svolto come un servizio per la cittadinanza.


3. Con i problemi del bene comune e dell'ordine pubblico, la vostra presenza qui richiama quelli attinenti all'ordine morale della Città, la quale, come tutte le metropoli, risente particolarmente della presente crisi sociale ed ideologica, causata dall'instabilità culturale, dal colossale fenomeno dell'urbanesimo, dal clima politico generale. Non è certo il caso di elencare la serie degli aspetti negativi, che spesso sono motivo di allarme e fonte di angoscia.

In questo momento è sommamente importante rilevare che se l'ordine pubblico costituisce l'assillo quotidiano delle Autorità e dei cittadini e quindi anche - nell'ambito della sua competenza - di un Consiglio Comunale, tanto più lo deve costituire l'ordine morale, poiché quest'ultimo, quale atteggiamento rispettoso dei valori inerenti alla dignità ed ai superiori destini dell'uomo, è il supporto necessario di ogni regolato vivere civile.

Senza l'"ordine morale", un'ordinata convivenza è continuamente minacciata ed inevitabilmente aggredita. E' il profondo convincimento morale che forma la coscienza dei cittadini, indirizzandoli verso una convivenza umana e fraterna, nel mutuo rispetto, nella comprensione reciproca e nell'aiuto scambievole. Così la Città, per quanto grande e dispersiva, avrà una sua anima e non potrà mai dirsi un agglomerato di individui che si ignorano a vicenda, ma invece una grande famiglia, i cui componenti si propongono di comprendersi e di coadiuvarsi vicendevolmente.


4. A questo punto si innesta una considerazione propriamente religiosa, suggerita dalle festività natalizie da poco trascorse e strettamente legate all'inizio dell'anno civile.

Dalla culla di Betlemme, sorgente di luce nella notte di ogni tempo, il cristianesimo si è dilatato lentamente per tutta la terra, costituendo una comunità di credenti che ha in Roma il suo Centro visibile. Sorge allora spontanea e logica la domanda, specialmente in quest'epoca di molteplici e contrastanti movimenti: quale funzione spetta alla comunità cristiana, ed in particolare alla diocesi e alla parrocchia, nella "città degli uomini", assillata e talvolta tormentata da gravi problemi? La Chiesa, e cioè la "città di Dio", annunzia il Cristo "Via, Verità e Vita" (cfr. Jn 14,6), luce delle genti, salvezza dell'uomo, speranza autentica, fondamento della vera fraternità, basata sulla morale dell'amore, oggettiva ed universale. La "città di Dio" non contrasta con la "città degli uomini" - la quale pur nell'instabilità della sua vicenda è coinvolta nella storia concreta della salvezza - ma ne assume le realtà positive, ne indica con vigore, spesso dolente, i fermenti distruttivi, ne eleva l'intera struttura ad una visione e ad un'orientamento trascendenti. In altre parole, la Chiesa con i Vescovi, i parroci, i sacerdoti, i laici qualificati, tende a formare il buon cittadino, innestando così l'ordine pubblico e l'ordine morale in quello religioso, alla luce e con la forza spirituale del Verbo Incarnato.

La comunità cristiana di Roma è al servizio dell'indivisibile realtà civica e, pur rimanendo sempre religiosa, esprime una presenza sociale, culturale e civile profondamente umana.


5. Siamo pertanto tutti responsabili - da una parte della cura spirituale, dall'altra dello sviluppo civico e sociale - di questa Città unica al mondo. Sul piano pastorale, che attiene specificamente alla mia responsabilità di Vescovo, unitamente al Cardinale Vicario ed ai più diretti collaboratori, è mio proposito concorrere al benessere di Roma, alla maturità della sua coscienza civile, morale e religiosa, alla sua costante elevazione umana e cristiana, conforme ad una funzione secolare, già intravista e celebrata fin dall'antichità, come ne fanno fede le parole del grande Cicerone che esalta: "Hanc Urbem lucem Orbis terrarum atque arcem omnium Gentium" ("In Catilinam", Orat. IV, c. VI, 11).

Roma, per la preziosa eredità dei suoi martiri e dei suoi santi, per la sua alta vocazione, per il suo compito evangelico, quale Centro dell'Orbe cattolico e Sede del Vicario di Cristo attende uno sforzo generoso da parte di tutti i suoi figli e soprattutto di chi è investito di pubblica autorità, affinché la sua impronta spirituale sia conservata ed incrementata, per il bene dell'intera nazione italiana e di tutta l'umanità.

Nel manifestare questi voti che, nel rispetto dei compiti inerenti alla città come capitale d'Italia, rendono onore alla sua dignità ed alla sua missione cristiana, sono certo di trovare in lei, signor Sindaco ed in codesta Amministrazione, favorevole accoglienza e considerazione.

Invocando sul vostro lavoro, che so certo non facile, i lumi ed i conforti della divina assistenza, imploro sull'intera cittadinanza, per intercessione di Maria santissima "Salus Populi Romani" e dei santi apostoli Pietro e Paolo, la pienezza dei doni celesti, di cui vuole essere pegno la mia affettuosa benedizione.




1982-01-25 Data estesa: Lunedi 25 Gennaio 1982




A conclusione della settimana per l'unità - Roma

Titolo: La Chiesa deve garantire che il servizio per l'unità vada di pari passo con l'intensità della sua preghiera

Testo:

"Io sono Gesù il Nazareno che tu perseguiti".

Carissimi fratelli e sorelle!


1. In questa solennità della "Conversione di san Paolo", che ci riunisce oggi proprio nella Basilica, sorta per ricordare la testimonianza di sangue data dal grande Apostolo a Cristo Gesù, da cui era stato "conquistato" (cfr. Ph 3,12), desidero anzitutto rivolgere il mio affettuoso saluto a tutti i presenti: i Rappresentanti della Curia Romana e del Vicariato di Roma; i Monaci dell'Abbazia di san Paolo, del Collegio Internazionale di sant'Anselmo e delle altre comunità monastiche dell'Urbe; i fedeli del nuovo territorio affidato alla cura pastorale dell'Abate "nullius" di san Paolo e della parrocchia di san Paolo; i gruppi di impegno ecumenico e i fedeli tutti della mia diletta diocesi di Roma; e con un affetto speciale i rappresentanti a Roma delle Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche.

Celebriamo oggi l'apparizione di Gesù Risorto a Saulo di Tarso, apparizione che è stata rivelazione del mistero della Chiesa, e che porto Saulo alla conversione, e gli conferi una missione d'importanza unica per il futuro della Chiesa.

"Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti" (Ac 22,8). Saulo, come sappiamo, stava andando a Damasco, pieno di zelo per la Legge di Dio, con la missione di perseguitare coloro che seguivano la via di Gesù. In un attimo di accecante rivelazione - la rivelazione fu letteralmente accecante - incontro il Signore Risorto e udi la sua voce: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?". Con umiltà domando: "Chi sei, o Signore?" (Ac 9,4s), e nella risposta del Signore capi il mistero della piena unità di Cristo con le sue membra: "Io sono Gesù, che tu perseguiti"; un insegnamento, questo, che Paolo avrebbe poi predicato ogni volta che proclamava la Chiesa come il Corpo di Cristo, e quando diceva ai cristiani: "Quanti di voi siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo... poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Ga 3,26s).

A tale rivelazione il persecutore rispose con fede. Al suo arrivo a Damasco fu ricevuto e battezzato da Anania; "e improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame" (Ac 9,18) ed il recupero della vista fu simbolo della nuova visione spirituale, che egli aveva acquisito. Il persecutore divenne Apostolo. Quella rivelazione basto per convertire Paolo al servizio perseverante del suo Signore e alla proclamazione fedele che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio (cfr. Ac 9,20-22). Allorché i primi cristiani sentirono parlare della conversione di Saulo glorificarono Dio: "Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere" (Ga 1,23).


2. Noi pure, fratelli e sorelle, riuniti questa sera in questa Basilica, dedicata all'Apostolo delle genti, dobbiamo glorificare Dio, la cui grazia ha trionfato in quest'uomo in maniera incomparabile, a benedizione per la Chiesa attraverso i secoli.


"Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto... Per grazia di Dio pero sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana" (1Co


15,8-10).

Non dobbiamo pero dimenticare quanto ciò sia costato a Paolo. La sua non fu una vocazione facile; dapprima molti cristiani ebbero paura di lui e non credettero che fosse un vero discepolo (cfr. Ac 9,26); in seguito, Paolo dovette vantarsi delle sofferenze sopportate e delle debolezze sperimentate, poiché fu attraverso quelle che si manifesto la gloriosa potenza di Dio (cfr. 2Co 11,21


12,10). La sua conversione sulla strada di Damasco fu immediata e radicale, ma egli dovette viverla nella fede e nella perseveranza durante i lunghi anni del suo apostolato; da quel momento la sua vita dovette essere una incessante conversione, un rinnovamento continuo: "il nostro uomo... interiore si rinnova di giorno in giorno" (cfr. 2Co 4,16). Questa perseverante e continua conversione fu effetto della suprema e gratuita grazia di Dio, che si è manifestata nella potenza del Signore risorto. Nel contemplare quindi questo miracolo della potenza del Signore risorto, il nostro primo atteggiamento dovrebbe essere di umile adorazione a Colui, al quale è dato ogni potere in cielo e in terra (cfr. Mt 28,18).


3. Paolo, tuttavia, non potè sostare nella contemplazione della visione ricevuta.

Il Signore gli disse: "Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare" (Ac 9,6), proprio come aveva detto agli Apostoli prima dell'Ascensione: "Ma voi restate in città finché non sarete rivestiti di potenza dall'alto" (Lc 24,49). Quando Dio chiama, quando Dio converte, egli dà anche una missione. La missione ricevuta da Paolo fu quella di essere "testimone davanti a tutti gli uomini" delle cose che aveva visto e udito (cfr. Ac 22,15). Paolo ricevette così dal Cristo risorto lo stesso comando che ricevettero tutti gli Apostoli: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

In questa specifica missione di Paolo, pero, Cristo rivelava e realizzava in modo particolare la missione della Chiesa nei confronti di tutte le nazioni, quella cioè di essere veramente universale, veramente cattolica, "testimone davanti a tutti gli uomini". La missione di Paolo ebbe effetti incalcolabili per tutto il lavoro dell'evangelizzazione e per l'universalità della Chiesa. Papa Paolo VI, parlando in questa Basilica agli Osservatori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali in un incontro di preghiera per l'unità, verso la fine del Concilio Vaticano II, ebbe a dire che la Chiesa vede in san Paolo "L'apostolo della sua ecumenicità" ("Discorso", 4 dicembre 1965: AAS 58 [1966] 63).

Il mistero della conversione e della missione di questo grande Apostolo contiene elementi sui quali potremmo a lungo meditare. Ve ne è uno, pero, in particolare, che desidero proporre alla vostra meditazione questa sera, in questa celebrazione del Sacramento dell'unità, per concludere questa Settimana di Preghiera, preghiera che abbiamo elevato in unione spirituale con i cristiani di ogni parte del mondo.

La comunione che già sperimentiamo, e la comunione piena, per cui preghiamo, sono segni della potenza del Signore risorto e dei miracoli, che la sua grazia può ancora operare. In questa potenza del Signore risorto sta la sorgente della nostra incrollabile speranza. Ed è soprattutto con una nota di speranza che voglio chiudere questa Settimana di preghiera.


4. Tale speranza deve esprimersi in una certa audacia specialmente nella preghiera della Chiesa di Roma e del suo Vescovo, come di tutti coloro che sono incaricati di aiutarmi nel mio ministero per la Chiesa universale e la sua unità. Questa Chiesa "fondata e stabilita dai due gloriosissimi apostoli, Pietro e Paolo" (sant'Ireneo, "Adversus Haereses", III, 3, 2: PG 7, 848), deve garantire che la fedeltà del suo servizio per l'unità va di pari passo con l'intensità e la fiducia della sua preghiera per l'unità. Deve essere l'eco umile e sincera della preghiera del suo Signore "perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola... " (Jn 17,21).

Associandoci così a questa preghiera di Cristo, ci associamo anche a tanti cristiani, che in tutto il mondo, nonostante le divisioni, si uniscono con Cristo per chiedere la grande grazia di quella unità, da lui così ardentemente desiderata, e che solo la sua potenza può realizzare.

Questa Settimana di preghiera, grazie a Dio, è divenuta per molti cristiani una realtà acquisita, un'occasione in cui, benché divisi, insieme si inginocchiano davanti al Padre comune per chiedere, per mezzo dell'unico Cristo e nell'unico Spirito, il dono dell'unità. Il fatto che i cristiani preghino insieme in questo modo è già in se stesso una grazia e una garanzia delle grazie future, segno di speranza certa.

Sono già 75 anni da quando questa pratica venne introdotta dal fondatore dei Francescani dell'"Atonement", con l'incoraggiamento del Papa. Sotto l'influsso poi di uomini dediti alla causa dell'ecumenismo, come l'Abbé Couturier, la Settimana di Preghiera ebbe un grande sviluppo e, più recentemente, per la collaborazione fra il Segretariato per l'Unione dei Cristiani ed il Consiglio Ecumenico delle Chiese, ha assunto l'attuale forma universale. Questo sviluppo è di per sé un indizio dell'incremento generale della comune ricerca dell'unità, la quale deve essere sempre accompagnata e sostenuta dalla preghiera.


5. E' certamente significativo che il Vescovo di Roma concluda questa Settimana di Preghiera in questa Basilica che, con l'adiacente monastero, è un centro di intensa preghiera e di varie iniziative di carattere ecumenico. Proprio qui, 23 anni fa, Papa Giovanni XXIII annuncio ai Cardinali il suo progetto di convocare un Concilio ecumenico; Concilio che voleva essere anche un "rinnovato invito ai fedeli delle Comunità separate a seguirci anch'esse amabilmente in questa ricerca di unità e di grazia, a cui tante anime anelano da tutti i punti della terra" (AAS 51 [1959] 69). Proprio qui, quasi 7 anni dopo, Papa Paolo VI, i Padri Conciliari e gli Osservatori si riunirono per pregare per l'unità, qualche giorno prima della chiusura dello stesso Concilio Vaticano II; e rivolgendosi agli Osservatori, il Papa disse: "Abbiamo di nuovo incominciato ad amarci" ("Discorso", 4 dicembre 1965: AAS 58 [1966] 62). Proprio qui, qualche mese dopo, lo stesso grande Pontefice abbraccio l'Arcivescovo Ramsey di Canterbury e con lui prego, in quella storica occasione del primo incontro ufficiale tra il Vescovo di Roma ed il Presidente della Comunione Anglicana. Il ricordo di quell'avvenimento è per me particolarmente commovente oggi, mentre sto preparando la mia prossima visita in Gran Bretagna per confermare i fratelli nell'Episcopato e i figli e le figlie delle diocesi cattoliche di quella terra; visita che avrà anche conseguenze ecumeniche per il previsto incontro con l'Arcivescovo di Canterbury, Dr. Runcie.

Per questo chiedo la benedizione di Dio, in modo speciale in questo momento in cui, dopo undici anni di lavoro, la Commissione Mista Internazionale del Dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Comunione Anglicana ha sottoposto alle rispettive Autorità un importante Rapporto.

Se vogliamo avere una parte preminente nella preghiera per l'unità, dobbiamo essere disposti ad assumere anche una parte preminente nel lavoro.Come per san Paolo, e con la sua stessa speranza nella potenza di Dio, anche per noi la conversione deve essere perseverante. Attraverso la nostra conversione e il rinnovamento, individuale e collettivo, già serviamo la causa dell'ecumenismo (cfr. UR 6-7). Vorrei pero aggiungere che, a sua volta, il nostro lavoro per l'unità favorisce tale rinnovamento; infatti, quando ci impegniamo in un vero dialogo con i nostri fratelli in una comune fedeltà al Vangelo, gli uni e gli altri ci specchiamo in esso spronandoci a vicenda ad una sempre maggiore fedeltà. Che tutti possiamo mettere in pratica le parole di san Paolo: "Confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri" (1Th 5,11).


6. Sull'esempio di san Paolo, inoltre, dobbiamo anche noi dedicarci alla missione della Chiesa, che è quella di annunciare il Vangelo a tutte le creature, ciascuno secondo la propria vocazione.

Annunciare il Vangelo è un obbligo, che deriva già dalla realtà del battesimo. L'unico battesimo quindi obbliga tutti i cristiani a collaborare, per quanto possibile, nel compimento di tale dovere, ed in particolare nella testimonianza comune che Gesù è il Figlio di Dio (cfr. Ac 9,20). Dio, autore della Verità, vorrà certamente guardare a questi sforzi e, come il nostro impegno nel dare tale testimonianza è di sprone all'ecumenismo, così l'ecumenismo a sua volta renderà più efficace la stessa testimonianza perché il mondo creda che Gesù di Nazaret è l'Inviato del Padre (cfr. Jn 17,21).

Cari fratelli e sorelle in Cristo, questi sono gli insegnamenti che provengono dalla solennità che celebriamo oggi in questa Basilica e dalla preghiera universale di questa settimana che ha avuto come tema l'invocazione: "Che tutti trovino la loro dimora in te, o Signore". Mediante l'intercessione potente del grande apostolo Paolo, miracolo della grazia del Signore risorto sull'umana debolezza, abbiamo una speranza, anzi una certezza: Dio ci concederà di essere fedeli al nostro servizio alla Chiesa universale e alla sua unità e vorrà benedire e portare a compimento il lavoro, che Egli stesso ha iniziato in noi.

"Colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù" (Ph 1,6) per mezzo del quale, nell'unico Spirito, giunga al Padre tutta la gloria, ora e sempre.


Amen. 1982-01-25 Data estesa: Lunedi 25 Gennaio 1982




Ai seminaristi della Toscana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'umiltà è la chiave per entrare nei cuori

Testo:


1. "Grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro" (2Tm 1,2). Con questo augurio dell'Apostolo mi rivolgo a voi, carissimi seminaristi della Toscana, che ho la gioia di vedere stretti intorno a me, stamani, per la celebrazione di questa Eucaristia, nel giorno in cui la Liturgia ci propone la memoria dei santi Timoteo e Tito, discepoli di Paolo e coraggiosi testimoni di Cristo nella Chiesa dei primissimi tempi.

E' un saluto e un augurio che estendo con speciale pensiero al Cardinale Benelli, ai Rettori, ai Professori ed agli altri Superiori dei vostri Seminari, come anche ai Vescovi ed alle comunità diocesane, da cui provenite. Posso dire anch'io con san Paolo che "sempre mi ricordo di voi nelle mie preghiere, notte e giorno" (cfr. 2Tm 1,3) perché, se v'è un aspetto della vita ecclesiale che sta a cuore al Papa, è certamente quello delle vocazioni. Ogni giorno io pongo davanti al Signore l'urgente necessità che ha la Chiesa del nostro tempo di trovare giovani generosi, disposti ad assumersi il compito esaltante, anche se costoso ed impegnativo, di annunciare il Vangelo alla generazione che vedrà concludersi il secondo millennio dell'era cristiana. Voi, cari seminaristi, siete la speranza della Chiesa.

Ogni giorno ho pregato e prego per voi. Valgono perciò, in un modo del tutto concreto, anche per me le parole con cui san Paolo continua la sua lettera asserendo di provare la nostalgia di rivedere il suo discepolo (cfr. 2Tm 1,4). Si, anch'io sentivo il desiderio di vedere voi, carissimi, "per essere pieno di gioia" (2Tm 1,4). Questo desiderio stamani s'è compiuto ed io ne ringrazio di cuore il Signore.


2. Voi siete venuti dal Papa per udire una parola di incoraggiamento e di guida, che vi stimoli a prepararvi con impegno, se Cristo vi chiama, a ricevere il "dono di Dio", che un giorno sarà in voi "per l'imposizione delle mani" del vostro Vescovo (cfr. 2Tm 1,6). Ebbene, quali esortazioni potrei io rivolgervi più adatte di quelle che la Liturgia odierna suggerisce? Ripetero, dunque, innanzitutto con san Paolo: "non vergognatevi della testimonianza da rendere al Signore nostro" (2Tm 1,8). "Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore, di saggezza" (2Tm 1,7). Siamo circondati da un ambiente che spesso ostenta indifferentismo religioso ed anche aperta insofferenza per ogni richiamo ai superiori valori del Vangelo. La secolarizzazione ha largamente influenzato la mentalità corrente, trasformandosi in non poche coscienze in dichiarato secolarismo.


Non è il caso di nascondersi le difficoltà che un simile "clima" culturale oppone all'azione evangelizzatrice del ministro di Dio. può succedere che la previsione di tali ostacoli freni lo slancio di un cuore attratto dalla chiamata del Signore e lo distolga dall'avventurarsi in una missione, che gli appare superiore alle sue forze. San Paolo esorta a non cedere ad una simile tentazione, ma ad avere il coraggio di farsi avanti e di "soffrire per il Vangelo", fidando non nelle proprie capacità, ma nella "forza di Dio" (cfr. 2Tm


1,8). Rientra, infatti, nella "tattica" da lui preferita "salvare i credenti con la stoltezza della predicazione", perché "ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1Co 1,21 1Co 1,25).

Del resto, non raramente accade di scoprire, dietro l'atteggiamento disinvolto e persino spavaldo di quanti asseriscono di non credere, una profonda e spesso sofferta insicurezza, derivante dal persistere di interrogativi di fondo ancora irrisolti. L'uomo contemporaneo, infatti, conosce molte cose circa le strutture e i meccanismi che condizionano i processi della sua vita e della sua attività. Ha spinto il proprio occhio indagatore entro i segreti più reconditi del micro e del macrocosmo. E tuttavia egli ignora spesso la risposta agli interrogativi supremi concernenti il senso ultimo delle cose e della stessa esistenza. Rimane per se stesso e per gli altri un incomprensibile enigma.

La fede soltanto possiede la risposta pienamente appagante, capace di acquietare l'assillo dell'intelligenza e di recare conforto al bisogno di certezza che tormenta lo spirito di ogni persona pensosa del proprio destino. Di questa risposta voi siete chiamati ad essere i messaggeri ed i testimoni di un mondo che vi attende, pur non conoscendovi ancora.


3. Si, nei disegni misteriosi della Provvidenza già sono previsti gli incontri apostolici a cui vi condurrà il vostro ministero di domani, se saprete corrispondere generosamente, oggi, alla chiamata del Signore. Sono ragazzi, sono giovani, sono uomini e donne, che mediante la vostra testimonianza potranno incontrare Cristo e in lui trovare la ragione per lottare e per donarsi, la ragione per vivere e per morire.

Volete conoscere il segreto di un ministero pastorale fruttuoso, capace di vincere le diffidenze e di conquistare il cuore anche di chi è prevenuto ed ostile? Ve lo suggerisce Gesù stesso nel brano evangelico or ora ascoltato. "Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve" (Lc 22,26).

L'umiltà: ecco il segreto per farsi strada nei cuori! Noi non siamo i padroni né della Parola che annunciamo, né delle persone a cui la annunciamo.

Siamo piuttosto i servi dell'una e delle altre, impegnati dalla grazia di Dio a farci "tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Co 9,22). Vivere questa consapevolezza traendone le conseguenze per quanto concerne il comportamento quotidiano, significa fare spazio nella propria esistenza allo Spirito di Cristo ed assicurare altresi alla propria azione le migliori possibilità di incidenza sull'animo della gente.

"Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo". La parola di Gesù è un invito ed una consegna.

Diventare "piccoli", è la strada regale per "comprendere" Cristo e per raggiungere, in lui, il cuore dei fratelli, che incontrerete domani sulla strada del vostro ministero, a cui vi state preparando.




1982-01-26 Data estesa: Martedi 26 Gennaio 1982




Ai Vescovi del Senegal in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Intensificate le iniziative per il dialogo con i non cristiani

Testo:

Cari fratelli nell'Episcopato.

Venendo in pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, avete desiderato ancora una volta dare testimonianza del carattere universale della Chiesa al quale i cristiani d'Africa tengono molto, ed io so bene quanto siate lieti della vostra comune presenza qui, intorno al caro Cardinale Thiandoum che vi accompagna in questa occasione.


1. Essenzialmente, vorrei incoraggiarvi a proseguire con tenacia l'opera di evangelizzazione e di efficace presenza che avete così generosamente intrapreso.

Essa è indispensabile per l'avvenire della Chiesa in Africa. E lo è altrettanto per la promozione dell'uomo africano nella difficile congiuntura in cui si trovano i paesi nel loro sforzo di sviluppo. Ed è attraverso di voi, che siete gli avveduti promotori di quest'opera, che desidero esprimere la mia profonda stima a tutti coloro che, in comunione con voi, svolgono una parte attiva in questa missione. Desidero che essi sappiano che la loro opera, le loro gioie e le loro pene sono note al Papa e che egli le ricorda nella sua preghiera.


2. Come nel caso di altre regioni d'Africa, sarebbe imperdonabile non menzionare i catechisti. La loro fede gioiosa, il loro zelo per il Vangelo mi fanno veramente pensare ai primi cristiani, nostri padri nella fede. A loro la Chiesa deve molto.

Essi devono essere sostenuti mediante una formazione adeguata alla rapida evoluzione delle mentalità e delle condizioni di vita del mondo d'oggi. Una tale formazione permetterà loro di mostrarsi veramente competenti nell'ambito urbano come in quello dei villaggi, e soprattutto, essa dovrà andare di pari passo ad un approfondimento spirituale e dottrinale.


3. In questo paese, in gran parte musulmano, voi siete tesi a ravvivare nei cristiani il senso dell'amicizia verso i non cristiani, una amicizia la cui sincerità si misura secondo l'efficacia dei gesti che essa suscita. Non voglio dilungarmi su questa importante questione del dialogo tra cristiani e musulmani che anche molto recentemente ho preso in esame nei miei incontri con i vostri confratelli dell'Africa del Nord. Desidero invece sottolineare l'importanza che riveste a questo proposito l'iniziativa che avete preso in comune, nell'ambito della Conferenza episcopale regionale dell'Africa dell'Ovest, creando una commissione speciale per promuovere questo dialogo. So che voi già cominciate a raccogliere i frutti di questa azione concertata: essa permette, a poco a poco, che si attui un reale rinnovamento della mentalità, che favorisca il benefico passaggio dall'ignoranza alla conoscenza della fede musulmana, dall'indifferenza all'apertura, dal rifiuto al dialogo.


4. Dopo i catechisti, vorrei ricordare tutti coloro, uomini e donne che, nella loro opera di insegnamento e di assistenza sociale e medica, tendono ad essere, per la loro competenza e la loro carità, i pionieri di quello spirito, auspicato dal Concilio Vaticano II. Esso deve infatti impregnare, non solo i sacerdoti e i missionari, ma anche tutti coloro che sono spinti a porsi al servizio degli altri, e soprattutto coloro che offrono la loro collaborazione all'assistenza ai bisognosi e all'educazione, o che forniscono un aiuto prezioso in tutto l'ambito della vita sociale, culturale o economica.


5. Ben inteso, è la comunità fraterna esistente tra i Vescovi ed i sacerdoti che permette alla Chiesa di rispondere alla sua missione. Dobbiamo poi avere una stima tutta particolare per ogni sacerdote, e soprattutto verso chi è più lontano, venuto dall'estero o nativo del paese, inviato in qualche lontano villaggio. La sua gioia, voi l'avete sperimentato, sta nel ricevere, il più frequentemente possibile, la visita e l'aiuto, materiale e spirituale, del proprio Vescovo, di poter intrattenersi con lui come con un fratello, su come meglio svolgere la sua missione tra coloro che a lui sono affidati.

Questa fraternità tra sacerdoti, missionari, sacerdoti "fidei donum" e africani, tra Vescovi e sacerdoti, non è forse esemplare per tutti, cristiani e non-cristiani? Lo è, come lo è anche la loro sollecitudine totalmente disinteressata. Onore e merito del sacerdote consistono nel donare totalmente se stesso a tutti, come nella semplicità e trasparenza della sua vita. Non è ancora questo stile di vita che costituisce un incoraggiamento per i giovani e le giovani a seguire le tracce dei sacerdoti e delle religiose che si sono fatti loro incontro?.


6. Il mio pensiero si volge poi a coloro che si preparano alla vita sacerdotale e religiosa. Vi auguro che possiate, grazie alla collaborazione dei sacerdoti e delle religiose veramente solleciti della loro maturazione spirituale, divenire capaci di aiutarli a formarsi retti criteri di giudizio, a partire da un insegnamento umano e teologico sostanziale, preparare per il futuro nuove leve dalle solide basi di cui il Senegal, come l'Africa intiera, hanno tanto bisogno.

So che in questo ambito, come in altri, voi apprezzate l'aiuto fraterno dei sacerdoti e delle religiose di altri paesi, e vi auguro che esso continui nella generosità, tanto più che le Chiese dalle quali essi provengono beneficiano largamente esse stesse di questo scambio.

Queste parole, troppo brevi per evocare convenientemente la ricchezza della Chiesa senegalese, vorrebbero inoltre esprimere il mio affetto verso tutti i vostri fedeli. Penso alle famiglie autenticamente cristiane che collaborano alla venuta del regno di Dio nella realtà quotidiana e che costituiscono per tutti un incoraggiamento, essendo un simbolo vivente dell'amore di Dio; penso anche alle famiglie che sperimentano maggiori difficoltà nel vivere questo ideale, ma che si sforzano generosamente di avvicinarvisi; penso a tutte le persone che conoscono la prova fisica o morale. Che tutti sperimentino l'amore, insieme esigente e misericordioso, della Chiesa! Prego lo Spirito Santo affinché doni loro la sua luce e la sua forza e di tutto cuore le benedico, impartendo a voi stessi, amati fratelli, la mia benedizione apostolica.




1982-01-26 Data estesa: Martedi 26 Gennaio 1982






GPII 1982 Insegnamenti - Al sindaco e alla giunta comunale di Roma - Città del Vaticano (Roma)