GPII 1981 Insegnamenti - L'omelia alla Messa per Istituti ecclesiastici di studi superiori di Roma - Città del Vaticano (Roma)

L'omelia alla Messa per Istituti ecclesiastici di studi superiori di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Essere fedeli alla Parola di Cristo per conoscere e annunciare la verità



1. "Io sono la vera vite... Rimanete in me" (Jn 15,

1.4).

Con queste parole la Chiesa Romana saluta oggi la vostra Comunità accademica, professori e studenti degli Atenei ecclesiastici di Roma, che iniziate il nuovo anno di lavoro. Tali parole, ben note, risuonano nella odierna liturgia della Santa Messa di inaugurazione. Cristo le ha rivolte ai suoi apostoli il Giovedì santo. Che cosa ha voluto allora esprimere? Valendosi di una immagine, a cui l'Antico Testamento era ricorso più volte per indicare il Popolo eletto e per lamentare i frutti non buoni da esso prodotti - chi non ricorda il testo di Isaia: "Mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica" (5,4)? - Gesù presenta se stesso come la "vera vite" che ha corrisposto alle cure e alle attese del Padre. Come vite rigogliosa, Gesù ha dei tralci: essi sono costituiti da coloro che, mediante la fede e l'amore, sono vitalmente inseriti in lui. Con essi si instaura una circolazione di linfa vitale che, se da una parte è indispensabile per produrre frutti ("senza di me non potete fare nulla") Jn 15,5), dall'altra porta in sé l'esigenza di esprimersi in frutti fecondi: ogni tralcio che non porta frutto è gettato via e bruciato (cfr. Jn 15,6).

Di qui l'imperativo: "Rimanete in me come io in voi... Chi rimane in me ed io in lui, fa molto frutto" (Jn 15,4-5). Gesù stesso si preoccupa di chiarire in che cosa consista questo "rimanere in Lui": consiste nell'amore, un amore, pero, che non si esaurisce in sentimentalismo, ma che si traduce nella testimonianza concreta dell'adempimento dei comandamenti.


2. Questo dunque, in sintesi, il contenuto del denso brano evangelico, proposto per l'odierna liturgia. Ma una seconda domanda si impone: se questo è il senso valido per tutti, che cosa vuole esprimere la Chiesa Romana quando all'inizio del nuovo Anno accademico saluta voi, professori ed alunni degli Atenei ecclesiastici, con le stesse parole che Gesù Cristo indirizzo alla cerchia dei suoi più stretti discepoli? Tutti siete discepoli di Cristo, che ascoltano le sue parole nell'ultimo ventennio del ventesimo secolo. Siete, pero, una particolare comunità di discepoli di Cristo. Alcuni di voi, discepoli di quest'unico Maestro, sono nello stesso tempo maestri, insegnanti, professori. Altri sono studenti, in tappe diverse degli studi e in diversi indirizzi della ricerca teologica e scientifica.

E siete una comunità caratterizzata dalla presenza di persone provenienti da ogni parte del mondo. Forse non v'è un altro centro di studi, in cui la cattolicità della Chiesa traspaia in modo altrettanto evidente. Si può dire che ogni Nazione della terra è qui rappresentata e spesso in forme di convivenza comunitaria, che consentono a ciascuno di inserirsi più facilmente nell'ambiente nuovo, senza perdere la propria identità di provenienza. Vi sono, inoltre, fra voi tutte le componenti del Popolo di Dio: sacerdoti diocesani e regolari, religiose e laici, anime di vita contemplativa ed anime che si preparano ad assumere compiti di apostolato attivo.

Orbene, la domanda è: che cosa significa per voi, per gli uni e per gli altri, "rimanere in Cristo così come il tralcio rimane nella vite"? Che significa: "portare frutto, così come lo porta il tralcio in quanto rimane nella vite"? Non è forse chiamata in causa l'intera vostra esistenza, che deve lasciarsi sempre maggiormente permeare dalla linfa della grazia promanante da Cristo, per potersi aprire alla rivelazione dei suoi misteri? Vivere l'unione con Cristo mediante la fede operante nell'amore e la condizione ineludibile per progredire nella conoscenza della Verità di Dio, che nel Verbo incarnato si è fatto incontro alla nostra fame di risposte sicure ed appaganti. Sta scritto: "Se rimanete fedeli alla mia parola..., conoscerete la verità" (Jn 8,31-32). Infatti "chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore" (1Jn 4,8).

Ecco dunque il frutto che siete chiamati a portare mediante la quotidiana fatica dello studio: la conoscenza sempre più profonda del "mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora e annunziato mediante le scritture profetiche per ordine dell'eterno Dio" (Rm 16,25-26). Non sta in questo il compito della Teologia? Essa è infatti un processo conosciuto mediante il quale la mente umana, illuminata dalla fede e stimolata dall'amore, avanza nei territori immensi, che la Rivelazione divina le ha spalancato dinanzi.


3. Qui è opportuno sostare un momento a riflettere. L'immensità di Dio s'è consegnata a noi nella finitezza della parola umana, così come la Persona del Verbo s'è chiusa, incarnandosi, nella finitezza di una natura umana. La Teologia non deve dimenticarlo. Il suo applicarsi allo studio della parola, dell'immagine, della proposizione contenute nel Libro sacro non deve costituire altro che una via verso l'Infinità, che in questi elementi s'è a noi partecipata.

La Teologia dovrà, pertanto, continuamente rifarsi alla Rivelazione nel suo insieme cercando di orientarsi secondo le linee di fondo, che ne hanno guidato lo sviluppo verso il compimento e la pienezza, che è Cristo.

Ciò non esclude che si possa dedicare ad un aspetto particolare del messaggio rivelato, senza avere un'ulteriore, esplicita attenzione all'arco intero del suo orizzonte. La specializzazione è una conseguenza della finitezza del nostro intelletto ed è quindi legittima anche nella Scienza teologica. Sarà necessario, pero, conservare sempre viva coscienza del fatto che alla finitezza delle forze umane non corrisponde (come in altre scienze) la finitezza dell'oggetto. La tensione, quindi, del lavoro teologico non corre nella direzione di una sempre più minuziosa frammentazione, ma, al contrario, essa si protende nella direzione della sintesi, che ci è stata offerta in modo divinamente insuperabile nella persona di Cristo.

La ricerca teologica, nell'intento di scrutare il "mistero di Dio", dovrà inoltre mantenersi costantemente aperta alle indicazioni che le vengono dai "segni dei tempi". Ciò non significa che essa debba preoccuparsi di mettersi servilmente al passo con le mode del momento. Significa invece che essa deve studiarsi di raccogliere con docile prontezza, "ciò che lo Spirito dice alle Chiese" (Ap 2,7) anche nel corso della nostra generazione, cercando di interpretare le indicazioni che, sotto la sua azione, emergono dalle attese dei popoli, dalle sofferenze dei poveri, dalle scoperte della scienza, dalle proposte dei santi.

Compito di una Teologia matura è, infine, quello di leggere il presente alla luce della Tradizione, di cui la Chiesa è depositaria. La Tradizione è vita: in essa la ricchezza del mistero cristiano si esprime, manifestando via via, a contatto con le mutevoli vicende della storia, le virtualità implicite nei perenni valori della Rivelazione. Il teologo che desideri offrire alle domande dei suoi contemporanei una risposta autenticamente cristiana, non potrà non attingerla a questa fonte.


4. Ho parlato direttamente della Teologia, ma non ho inteso con questo togliere alcunché all'importanza delle altre discipline, che sono opportunamente coltivate nei vostri Atenei. Ognuna di esse ha un suo preciso ruolo da svolgere nell'economia generale degli studi ecclesiastici. La circostanza mi è, anzi, propizia per rivolgere a ciascuno una cordiale esortazione a proseguire con alacre impegno nel proprio ramo del sapere, giacché sarà dal contributo di tutti che la Chiesa potrà trarre il massimo beneficio per la sua azione di evangelizzazione e di promozione umana nel mondo.

Se mi sono soffermato a parlare in modo particolare della Teologia è perché vedo in essa come il fulcro centrale, intorno a cui ruota nel suo insieme l'impegno di ricerca, che si sviluppa nella Chiesa. Vi sono, infatti, discipline che alla Teologia predispongono e preparano, come è il caso, ad esempio, della Filosofia, a cui compete, salva restando la sua autonomia, di assicurare gli strumenti razionali indispensabili per ogni indagine teologica. Non affermava, del resto, san Tommaso che la metafisica "tota ordinatur ad Dei cognitionem sicut ad ultimum finem, unde et scientia divina nominatur" ("Contra Gentiles", III, c. 25).

Vi sono poi altre discipline che, avendo nella Teologia il loro naturale fondamento, di essa costituiscono uno sviluppo ed una derivazione. Penso, ad esempio, al Diritto Canonico, a cui spetta di illustrare la dimensione istituzionale della Chiesa, mostrando come le strutture giuridiche scaturiscano dall'intera natura del mistero cristiano. E penso ancora alla Storia ecclesiastica, che non può accontentarsi di esporre i soli aspetti politico-sociali della vita della Chiesa o ridursi a riferire circa le azioni e le omissioni dei rappresentanti della Gerarchia, ma deve invece cercare di dare conto del cammino compiuto dall'intero Popolo di Dio sulle strade della storia, mettendo in luce la novità che il fermento evangelico ha saputo suscitare nella vicenda millenaria dell'umanità.


5. Sono semplici accenni, ma penso siano sufficienti per far intravedere quale armonioso edificio costituisca l'insieme delle discipline, a cui vanno i vostri interessi. Un "edificio". Il pensiero si porta spontaneamente a quella "pietra angolare", di cui ci ha parlato nella sua prima lettera l'apostolo Pietro, il fondatore di questa Chiesa di Roma. Quella "pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio" (1P 2,4) è Cristo.

Gesù Cristo: vera vite! Gesù Cristo: pietra angolare! In che modo, cari professori e studenti, voi adempirete nel corso di tutta la vita ed, in particolare, nel corso di quest'anno, al compito di costruire proprio su questa pietra angolare, che è Cristo? La risposta vi è suggerita dallo stesso apostolo Pietro: impegnandovi a formare "un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo" (1P 2,5). In altre parole: impegnandovi a "fare Chiesa" insieme con i Pastori, che Cristo ha posto tra voi.

"Fare Chiesa": ecco la consegna! E ciò nel duplice senso di vivere in comunione fraterna di pensieri, di sentimenti, di lavoro, sorretti dal medesimo ideale ed insieme protesi verso la medesima meta; e "fare Chiesa" ponendo costantemente voi stessi nel contesto dell'intera Comunità ecclesiale, cioè vedendo nel vostro impegno un servizio da rendere ai fratelli, i quali attendono da voi di essere guidati ad una comprensione più vasta e profonda della ricchezza infinita della Verità divina.

Una viva coscienza ecclesiale sarà, oltretutto, il criterio più sicuro per salvaguardarvi dal rischio di costruire su di un fondamento diverso da quello posto da Dio. Non ci si può, infatti, nascondere - e i fatti lo confermano,- che è purtroppo possibile incontrare non la "pietra angolare", ma "un sasso d'inciampo e una pietra di scandalo" (1P 2,8) a motivo di un atteggiamento di disobbedienza verso la Parola (cfr. ), annunciata autorevolmente nella Chiesa.


6. Siamo qui, stasera, raccolti in preghiera per implorare da Dio che ciò non avvenga, ma che invece ciascuno di voi possa portare in Gesù Cristo un particolare frutto di quella conoscenza che nasce dalla fede animata dall'amore, contribuendo così a costruire la Chiesa! Voi che, mediante la grazia del Battesimo siete già diventati "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato" (1P 2,9), mediante tutto questo lavoro conoscitivo che vi è proprio sia come scienziati e professori, sia come studenti, siete chiamati a proclamare "le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce" (1P 2,9).

Siate consapevoli che in questo modo voi fate parte del Popolo di Dio e che ciò è la vostra singolare porzione e la vostra eredità in questo stesso Popolo di Dio. Siate consapevoli che coltivando questa porzione e questa eredità, siete coloro che hanno "ottenuto misericordia" (1P 2,10).


7. Come Vescovo di questa Chiesa, che è a Roma e che si rallegra della presenza della vostra Comunità accademica, ritengo particolare dovere del mio ministero in questa sede di iniziare questo nuovo anno di lavoro insieme con voi presso l'altare della Basilica di san Pietro.

Durante questa liturgia eucaristica preghiamo lo Spirito Santo con le seguenti parole: "Infondi in noi, Signore, lo Spirito d'intelletto, di verità e di pace, perché ci sforziamo di conoscere ciò che è a te gradito, per attuarlo nell'unità e nella concordia" (Orazione Colletta).

"Guarda, o Dio misericordioso, le nostre offerte e preghiere, e donaci di comprendere il vero e il bene come risplende ai tuoi occhi, e testimoniarlo con libertà evangelica" (sulle offerte).

"Padre Santo, il tuo Spirito operante in questi misteri ci confermi nella tua volontà e ci renda davanti a tutti testimoni del tuo Vangelo" (dopo la Comunione).

..."Onore dunque a voi che credete" (1P 2,7).

..."In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto" (Jn


15,8).

Amen. Data: 1981-10-23
Venerdi 23 Ottobre 1981


Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il lavoro deve unire e rafforzare la famiglia



1. Già più volte, in occasione della nostra preghiera domenicale dell'"Angelus", abbiamo toccato il problema del lavoro umano. Questo tema perenne, antico come l'uomo, antico come la Rivelazione divina nella storia dell'uomo, è divenuto particolarmente attuale per noi, nell'anno corrente, in considerazione del novantesimo anniversario dell'enciclica "Rerum Novarum".

Oggi occorre rivolgere la nostra attenzione a quel particolare legame che esiste tra il lavoro umano e la vita della famiglia.


2. In realtà, fin dalle origini l'uomo è ricorso al lavoro per dominare la terra e per garantire la sussistenza propria e della famiglia. Le due finalità sono autenticamente umane, ma la seconda racchiude un contenuto evangelico particolare.

La famiglia trova nel lavoro il sostegno al suo sviluppo ed alla sua unione, il fattore centrale che ne condiziona la vita, la qualifica, le dà il suo ritmo e costituisce un elemento di coesione e di stabilità.

Il lavoro, pertanto, appartiene all'ambito di ciò che l'uomo ama, di ciò per cui vive, cioè appartiene all'ambito dell'amore. Come dissi l'anno scorso in Francia agli Operai di Saint-Denis: "So quale valore avevano per me, negli anni quando ero anch'io operaio, per questi uomini, che erano nello stesso tempo padri di famiglia, la casa, l'avvenire dei loro bambini, il rispetto dovuto alle loro spose, alle loro madri" (31 maggio 1980).

Il lavoro dunque non può disgregare la famiglia, ma deve invece unirla, aiutarla a rafforzarsi. A causa del lavoro la famiglia non diventi un superficiale incontro di esseri umani, un albergo di transizione solo per i pasti ed il riposo! Perciò, infine, è indispensabile che "i diritti della famiglia (siano) profondamente iscritti nelle basi stesse di ogni codice del lavoro, che ha per soggetto proprio l'uomo e non solo la produzione e il profitto".


3. Un anno fa, in questo mese di ottobre, il Sinodo dei Vescovi, nella sua sessione ordinaria, lavorava su una questione fondamentale dal punto di vista della missione della Chiesa: "De muneribus familiae christianae". Gli abbondanti frutti di quel lavoro, per espressa volontà dell'assemblea sinodale, attendono la pubblicazione in forma di Esortazione Apostolica, così come avvenne dopo i Sinodi precedenti sui temi della evangelizzazione e della catechesi.

Circostanze a tutti note hanno fatto si che la data della pubblicazione di questa Esortazione abbia subito un certo ritardo.

Seguendo il pensiero dell'ultimo Sinodo dei Vescovi, ed anche nello spirito delle nostre odierne meditazioni, preghiamo - per intercessione della Vergine Madre - che il fondamentale legame, che esiste tra il lavoro e la vita di ogni famiglia, trovi il giusto riflesso in tutto l'ordine sociale e giuridico ed anche nella vita quotidiana di ciascun uomo e di ogni famiglia.

Ed eleviamo anche la nostra preghiera fiduciosa all'Arcangelo Raffaele, conosciuto dalla tradizione dell'Antico Testamento come protettore della famiglia (Libro di Tobia): vegli ancor sempre con la sua potenza e intercessione per il bene, la serenità, la salute di tutte le carissime famiglie del mondo.

Al termine della preghiera il Santo Padre ha aggiunto: Desidero oggi rivolgere un particolarissimo saluto ai numerosi pellegrini presenti in piazza san Francesco ed in quella della Porziuncola ad Assisi, colà convenuti in devota visita dei luoghi francescani in quest'anno centenario appena iniziato, e collegati mediante la Radio Vaticana.

Cari fedeli, insieme col Serafico Padre Francesco, innalziamo la nostra preghiera all'"Altissimo, Onnipotente, bon Signore", al quale appartengono "la laude, la gloria et l'honore et omne benedictione", chiedendo perfetta letizia nelle inevitabili tribolazioni e la forza della speranza nel fedele sostegno della Provvidenza.

Con la mia cordiale Benedizione.

Data: 1981-10-25
Domenica 25 Ottobre 1981


L'omelia, alla parrocchia di Gesù Divino Lavoratore - La morale umana si costruisce sul fondamento dell'amore




1. "Ti amo, Signore, mia forza / Signore, mia roccia, mia fortezza / mio liberatore)".

Pronunzio insieme con voi queste fervorose parole del salmo responsoriale, oggi che mi è dato di compiere la visita pastorale alla vostra parrocchia, che era già stata programmata per il giorno 24 maggio. E' noto quali circostanze hanno reso impossibile allora il nostro incontro. Ma proprio le stesse circostanze mi spingono oggi a ripetere nel modo più personale le parole del salmista: "Signore, mia forza, mio liberatore, Ti amo!". E con le stesse parole saluto contemporaneamente tutti voi, che siete qui riuniti, tutta la parrocchia dedicata a Gesù Divino Lavoratore, ringraziandovi per il pensiero e per la preghiera che in modo particolare ho sentito nel corso delle settimane e dei mesi passati.


2. La visita alla parrocchia che porta il nome di Gesù Divino Lavoratore era particolarmente motivata nel maggio di quest'anno, poiché tutta la Chiesa ricorda la prima grande enciclica di Leone XIII, dedicata alla "questione sociale", e soprattutto alla "causa dei lavoratori". Infatti l'enciclica usci il 15 maggio 1891. Per manifestare la continuità dell'insegnamento e dell'azione della Chiesa nell'ambito di questi problemi importanti, ho pubblicato una nuova enciclica sociale "Laborem Exercens", dedicata direttamente e totalmente al lavoro umano nel contesto della nostra realtà contemporanea, tanto differenziata in questo campo.

Proprio con tale "patrimonio" vengo oggi nella vostra comunità, nella parrocchia di Gesù Divino Lavoratore, per offrirgli in omaggio, non soltanto il ricordo di quel Documento storico di novant'anni fa, ma anche l'espressione del pensiero e della sollecitudine della Chiesa di oggi.

Incontrandomi per la prima volta con voi, desidero prima di tutto porgere il mio saluto riconoscente al mio Cardinale Vicario, a Mons. Remigio Ragonesi, Vescovo responsabile di questa zona, e al parroco, Mons. Francesco Rauti, che dei suoi quarant'anni al sacerdozio ne ha dedicato ben ventisei a questa parrocchia, seguendola instancabilmente fin dalla sua erezione: a lui in particolare auguro di cuore buona salute, affinché possa continuare ancora a lungo il suo generoso lavoro pastorale. Saluto poi i tre zelanti vicecurati, i sacerdoti ed i religiosi che prestano la loro opera spirituale, le religiose ed i laici impegnati nelle varie attività catechistiche, formative, caritative e sportive. Ma soprattutto intendo salutare con grande affetto voi, cari fedeli di Gesù Divino Lavoratore, bambini e giovani, adulti ed anziani, e per mezzo vostro desidero raggiungere con il mio amore di padre e di amico tutte le migliaia di famiglie che formano questa gigantesca comunità romana: portate il mio saluto ed il mio affetto a tutti, specialmente agli ammalati, ai sofferenti e a coloro che per vari motivi si sentono soli e lontani.


3. Oggi, nella prima Lettura del libro dell'Esodo, ascoltiamo gli appelli che l'autore del testo rivolge da parte di Dio agli uomini dell'Antica Alleanza, e che non perdono la loro attualità in nessuna epoca: "non molesterai...", "non opprimerai", "non maltratterai la vedova e l'orfano", "non ti comporterai... da usuraio", "se prendi in pegno... lo renderai".

L'autore del libro dell'Esodo con questi ordini così forti e perentori vuole farci riflettere sulla fondamentale realtà dell'esistenza di una "legge morale naturale", insita nella stessa struttura dell'uomo, essere intelligente e volitivo. Dio non ha creato l'uomo a caso, ma secondo un progetto di amore e di salvezza. Per il fatto stesso che una persona è vivente e cosciente, non può lasciarsi condurre e dominare dall'arbitrio, dall'autonomia, dall'impulso degli istinti e delle passioni. Purtroppo viene oggi insegnato e propalato dai mezzi di comunicazione, specialmente dagli audiovisivi, un "umanesimo istintuale", che esalta il valore arbitrario della spontaneità istintiva, dell'edonismo, dell'aggressività. Ma non è così: c'è una legge morale inscritta nella coscienza stessa dell'uomo, che impone di rispettare i diritti del Creatore e del prossimo e la dignità della propria persona; legge che praticamente si esprime con i "Dieci Comandamenti".

Il trasgredire la legge morale naturale è fonte di terribili conseguenze e già lo notava san Paolo nella Lettera ai Romani: "Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male...; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene" (Rm 2,9-10). Ciò che san Paolo riferiva ai popoli pagani, che non avevano agito in conformità con la conoscenza razionale di Dio, unico Creatore e Signore, e avevano disprezzato la legge morale naturale, ha un impressionante riscontro in tutti i tempi, e quindi anche nella nostra epoca: "Poiché disdegnarono la vera conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia di una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia; di malvagità, di cupidigia, di malizia..." (Rm 1,28-29). L'abbassamento della morale, sia in campo sociale sia nell'ambito personale, causato dalla disubbidienza alla legge di Dio inscritta nel cuore dell'uomo, è la più terribile minaccia alla singola persona ed all'intera umanità.

Questa drammatica situazione c'era già ai tempi dell'enciclica "Rerum Novarum"; e purtroppo, dopo novant'anni ne siamo tuttora testimoni con la caduta della morale e la conseguente grande minaccia per l'uomo.


4. Nel Vangelo di oggi un dottore della legge interroga Gesù: "Maestro qual è il più grande comandamento della legge?" (Mt 22,36). Cristo risponde: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo e simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso".

"Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i Profeti" (Mt 22,37-40).

Con queste parole, Cristo definisce quale è il fondamento di tutta la morale umana, e cioè ciò su cui si appoggia tutta la costruzione di questa morale.

Cristo afferma che essa poggia in definitiva su questi due comandamenti. Se ami Dio sopra ogni cosa, e il tuo prossimo come te stesso, se ami veramente e realmente, allora certamente "non molesterai", né "opprimerai", "non maltratterai" nessuno, in particolare "la vedova o l'orfano", "non ti comporterai, pure, da usuraio", e "se prendi in pegno... renderai" (Ex 22,20-25).

L'odierna liturgia della parola ci insegna in che modo si costruisce l'edificio della morale umana dai fondamenti stessi e contemporaneamente ci invita a costruire questo edificio proprio così. Allo stesso modo in ciascuno come in tutti: nell'uomo che è soggetto cosciente dei suoi atti, nella famiglia e nella società intera.

Poiché dobbiamo onestamente approfittare della partecipazione alla liturgia odierna, dobbiamo pensare se e come noi costruiamo l'edificio della nostra morale. E se la coscienza incomincia a rimproverare le nostre opere, riflettiamo se a questa morale non manchi il fondamento dell'amore.

Dando a questo punto uno sguardo particolare alla vostra parrocchia, prima di tutto mi devo complimentare con tutti voi per l'intenso lavoro organizzativo e formativo compiuto in questi ventisei anni, e specialmente nel periodo attuale. La vostra parrocchia è sempre stata ritenuta un centro di accoglienza e di propulsione: un luogo di testimonianza e di servizio, una comunità di fratellanza e di amicizia. Infatti, nella parrocchia, Gesù Redentore e Maestro e presente nella liturgia, nell'Eucaristia, nell'amministrazione dei Sacramenti della vita cristiana, nella parola del Magistero che insegna, illumina e salva. Gesù, che ha voluto inserirsi nella famiglia di un lavoratore e, possiamo pensare, durante la sua vita privata per tanti anni ha lavorato con Giuseppe e Maria, è qui presente nella parrocchia per dare significato ad ogni lavoro, per trasformarlo in atto di amore, che dura in eterno. Continuate pertanto ad essere "parrocchiani" fervorosi ed assidui, e fate in modo che il più gran numero di fedeli frequenti la Santa Messa festiva, affinché la percentuale sia consolante e incoraggiante.

Sono veramente lieto di sapere che la vostra parrocchia ha dato alla Chiesa tre sacerdoti, mentre alcuni giovani si preparano al sacerdozio ed alcune giovani si trovano in noviziato. Le vocazioni sono certamente una grande grazia del Signore per una parrocchia, e sono anche indice di vita cristiana convinta e profonda. E' necessario che il Seminario Romano accolga molte e sante vocazioni: l'immensa città di Roma ne ha un estremo bisogno! Continuate pertanto con diligenza a curare i piccoli e giovani "ministranti", i gruppi degli adolescenti e della pastorale familiare, gli incontri di formazione specializzata, in accordo con l'Opera Diocesana delle vocazioni ecclesiastiche.

Mi fa piacere anche sapere che ogni anno nel periodo quaresimale e pasquale, le singole famiglie son visitate dai sacerdoti per il rito della Benedizione. E' una visita breve e fugace, ma è sempre un incontro umano e spirituale un atto di amicizia e di responsabilità pastorale, un rapporto reciproco di stima e di affetto.

La mia esortazione è che continuiate con coraggio a costruire l'edificio della vostra parrocchia sull'amore a Dio e ai fratelli, sul rispetto della Legge morale e sulla vita di grazia. E questo è possibile solamente mediante un'accurata e capillare formazione delle coscienze, mediante i catechismi, le lezioni di religione per le singole categorie, lo studio del Vangelo nei vari gruppi, la direzione spirituale, la Confessione frequente e ben fatta, la cura speciale delle famiglie giovani. La società moderna, così culturalizzata e problematica, ha tanto bisogno di cristiani illuminati, che sappiano vivere e testimoniare concretamente e sempre il loro amore a Cristo ed ai fratelli.


5. "Mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza" (Ps 17,3).

L'uomo, in diverse situazioni della vita, si rivolge a Dio per trovare in Lui l'aiuto - per esempio con le parole dell'odierno Salmo responsoriale. Si rivolge a Lui nelle difficoltà e nei pericoli.

I pericoli più minacciosi sono quelli di natura morale - sia per quanto riguarda gli individui, sia anche per le famiglie e per le società intere.

E allora è necessario uno sforzo più grande e una più fervida cooperazione con Dio per costruire sulla solida roccia, sul fondamento dei suoi comandamenti e sulla potenza della sua grazia. Questo fondamento perdura incessantemente. E Dio non rinnega la grazia a coloro che sinceramente vi aspirano.

A voi tutti, cari parrocchiani della parrocchia di Gesù Divino Lavoratore, auguro con tutto il cuore di costruire su questo fondamento, di aspirare alla grazia di Cristo.

Si compiano in voi queste parole, con le quali ho salutato all'inizio la vostra comunità: "Ti amo, Signore, mia forza, / Signore, mia roccia, mia fortezza, / mio liberatore" (Ps 17,2).

Data: 1981-10-25
Domenica 25 Ottobre 1981




Alla Plenaria della Pontificia Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il nuovo codice sarà strumento per conseguire i frutti del Concilio

Venerabili fratelli,

1. Il 25 gennaio 1959, solennità della conversione di san Paolo, il mio predecessore Giovanni XXIII, di venerata memoria, annunzio alla Chiesa la sua intenzione di convocare un Concilio Ecumenico e iniziare una revisione dell'allora vigente Codice di Diritto Canonico.

La Divina Provvidenza volle pero che Egli vedesse solo l'inizio di quell'importantissimo avvenimento che fu per la Chiesa il Concilio Ecumenico Vaticano II e che iniziasse soltanto la revisione, da lui pensata, di tutte le leggi della Chiesa latina. Ciononostante egli riusci a tratteggiare i lineamenti della futura opera di modifica delle leggi ecclesiastiche, avendo istituito, quando già era terminata la prima Sessione del Concilio, il 28 marzo 1963, una Commissione Pontificia per la revisione del Codice di Diritto Canonico e avendo stabilito che questa Commissione espletasse il suo importantissimo compito operando congiuntamente alle Commissioni conciliari e alla Segreteria generale del Concilio stesso; suo desiderio evidente era che il nuovo Codice rendesse esecutivo ciò che il Concilio avrebbe affermato e deciso.


2. Quindi il nuovo Codice venne ideato insieme al Concilio, ma, anche e soprattutto, fu strettamente collegato ad esso.

E in effetti gli stessi Padri Conciliari hanno ricordato nelle loro deliberazioni il futuro nuovo Codice, a cui fornirono inoltre materia e criteri direttivi. Secondo la loro concezione, il Codice avrebbe dovuto essere un frutto del Concilio, in quanto strumento indispensabile sia per portare a compimento le deliberazioni del Concilio, sia per conseguirne i frutti.

Ma, come è noto, il Concilio Ecumenico Vaticano II, avendo rivolto la sua attenzione al mistero della Chiesa (nella Costituzione "Lumen Gentium"), e al compito missionario verso il mondo di oggi (nella Costituzione "Gaudium et Spes"), apri prospettive molto più ampie alla Ecclesiologia e spalanco confini molto più vasti nella valutazione dei rapporti della Chiesa con il mondo.

Perciò venne affermata la necessità che le leggi della Chiesa fossero strutturate in modo che fossero coerenti con queste prospettive e che fossero adatte a questi confini: d'altra parte questa stessa necessità era già stata annunciata esplicitamente dallo stesso Concilio quando raccomando che nella trattazione dei Diritto Canonico si avesse come criterio il mistero della Chiesa (Decreto OT 16).

Infatti le leggi della Chiesa derivano la ragione della loro esistenza e il loro fondamento da quel mistero che esse, in virtù della loro funzione, devono contribuire a manifestare e a portare a compimento. Infatti il primo e necessario compito della disciplina della Chiesa è quello di indicare e di trasmettere in modo attendibile il dono della salvezza operante nella storia. L'insegnamento del Concilio su questo argomento è molto adeguato: "Come... la natura assunta serve al Verbo Divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del Corpo" (LG 8).

Un altro compito della disciplina della Chiesa è quello di delimitare e difendere l'ambito nel quale si esplica la carità ecclesiale; e adempie a questo compito quando aiuta i singoli individui ad accrescere la coscienza dei propri doveri giuridici, a regolare l'attenzione dei loro diritti e doveri congiuntamente ai diritti e doveri degli altri e, mediante una concordia di sentimenti, di propositi e di opere, a concorrere al vero bene di tutta la Chiesa. A questo proposito afferma il mio predecessore Paolo VI, di venerata memoria: "II diritto... non è un impedimento ma un aiuto pastorale; non uccide, ma vivifica. Il suo compito specifico non è di reprimere o di limitare ma di stimolare, promuovere, proteggere e difendere lo spazio della vera libertà" (Allocuzione ai partecipante al Convegno internazionale di Roma sotto gli auspici della Pontificia Università Gregoriana, nel centenario della costituzione in quell'Ateneo della Facoltà di Diritto Canonico; 19 febbraio 1977, in AAS 69 (1977) 211-212).


3. Queste considerazioni pongono senza dubbio nella giusta luce quale grande importanza rivesta l'operare affinché la Chiesa si mostri, attraverso le istituzioni giuridiche, quale "sacramento, segno e strumento dell'intima unione con Dio e di unità con tutto il genere umano" (LG 1), assumendo su di sé il compito di condurre alla salvezza tutti gli uomini con la sua opera pastorale, comando ed insieme esempio del suo divino Fondatore, che venne "non per giudicare il mondo, ma perché il mondo fosse salvato tramite lui" (Jn 3,17).

Queste stesse considerazioni mostrano anche con quanta singolare prudenza, attraverso quali difficoltà e con quanta mole di lavoro la "Pontificia Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico" ha condotto il suo compito fin dalla sua costituzione. In questo lavoro hanno prestato la loro opera novantatré Padri Cardinali e altri Vescovi di vari continenti, quali membri; centottantacinque Consulenti da ogni parte della terra, Conferenze episcopali, Dicasteri della Curia Romana, Istituti universitari di studio e uomini e donne, esperti in questioni canoniche e pastorali.

Oltre a ciò che ci si attendeva, si è dovuto soprattutto esaminare molto attentamenti i Documenti conciliari e postconciliari; poi stilare "Principi che guidino l'esame del Codice di Diritto Canonico", principi che il Sinodo dei Vescovi ha discusso ed approvato nel 1967; ed infine è stata attuata mediante Consigli, una amplissima consultazione dei Vescovi, delle Conferenze Episcopali, dei Dicasteri della Curia Romana, delle Università e delle Assemblee di coloro che, in qualche modo erano interessati alle affermazioni dei singoli libri.

D'altra parte la pubblica opinione e soprattutto gli studiosi hanno seguito con grande attenzione l'andamento dei lavori; le loro osservazioni e i loro giudizi, anche severi, hanno giovato non poco ad una più precisa definizione dei problemi.


4. In questi giorni voi, Padri della Sessione plenaria, in cui è rappresentato in un certo senso tutto il corpo della Chiesa, non solo da un punto di vista geografico, ma anche di culture e mentalità dei vari popoli, siete chiamati al compito di giudicare quanto è stato compiuto.

A questo proposito, constato con grande gioia, che avete intrapreso il compito che vi è stato affidato con grande attenzione, eminente sapienza, ammirevole concordia, viva sollecitudine pastorale, sicura conoscenza delle questioni e coraggiosa fiducia.

Vi siete infatti preoccupati di esaminare i problemi con attenta diligenza e avete prudentemente esposto le vostre opinioni, qualunque esse fossero; e così avete fatto per le vostre considerazioni e giudizi.

Né è sfuggito alla vostra attenzione di Pastori della Chiesa quanto grande sia l'importanza del Diritto Canonico nella comunità cristiana; avete inoltre chiarito quanto sia necessario che i sacerdoti divengano esperti del Diritto Canonico, per i diversi compiti che vanno espletati a difesa e a rafforzamento della comunione ecclesiale.

Questo soprattutto non vi è sfuggito: nella Chiesa c'è bisogno di un Diritto sicuro; da ciò sono giustamente scaturite la scelta e la decisione, da voi espresse, che si concluda il lavoro preparatorio del nuovo Codice, perché esso infine, definita la forma del Diritto, entri già in vigore, per il bene di tutta la Chiesa.


5. Sarà quindi mia cura, d'ora in poi, di considerare molto attentamente i futuri frutti del vostro lavoro e le vostre scelte riguardo la revisione delle norme canoniche che sta ora per volgere al termine.

Sono inoltre lieto di ringraziarvi per la parte di grande valore che voi tutti avete sostenuto in questa Sessione plenaria.

Mi è parimenti gradita l'opportunità di sollevare dal compito indubbiamente oneroso che ha espletato in questi anni, la "Pontificia Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico", i cui componenti non si sono risparmiati nessuna fatica per permettere a voi di giungere a questi ottimi risultati, dei quali ora ci rallegriamo vivamente.

Desidero esprimere infinita gratitudine a tutti i membri della Commissione: in primo luogo al Presidente Cardinale Pericle Felici, poi ai solleciti Segretari, al Vescovo Rosalio Castillo Lara e al Reverendo Signor Guglielmo Onclin, e infine ai Consiglieri e ai Collaboratori della stessa Commissione. Tutti costoro si sono dedicati in questi anni allo studio, all'esame ed alla discussione delle problematiche, preoccupati sempre e soltanto dell'edificazione del Popolo di Dio. Sono veramente grato a ciascuno di loro.

Non posso infine non ricordare il Cardinale di Santa Romana Chiesa Ciriaco, primo Presidente di questa Commissione Pontificia, e i primi Segretari Giacomo S.R.E. Cardinale Violardo, e il Reverendo Padre Rialmondo Bidagor; e così i Membri e i Consiglieri che, alla fine della loro vita, sono ritornati al Padre.

Desidero assicurarvi che ricordo tutti coloro che, qualunque fosse il loro compito, hanno seguito e contribuito a quest'opera.

Il Signore vi ripaghi tutti con una ricchissima ricompensa, di cui sia pegno l'apostolica benedizione che di cuore impartisco a voi e a coloro che, in comunione fraterna, abbraccio in Dio.

Data: 1981-10-29
Giovedì 29 Ottobre 1981



GPII 1981 Insegnamenti - L'omelia alla Messa per Istituti ecclesiastici di studi superiori di Roma - Città del Vaticano (Roma)