GPII 1981 Insegnamenti - Durante un incontro nella sala del Concistoro - Città del Vaticano (Roma)

Durante un incontro nella sala del Concistoro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il ringraziamento ai medici che lo hanno curato

Devo dire che mi trovo in una situazione difficile perché il Rettore magnifico della "Cattolica" ha parlato con un foglio scritto, mentre io mi trovo dinnanzi a voi senza carta. Devo trovare quella carta dentro di me, perché tutto ciò che voglio e devo dirvi è scritto nel mio cuore. Si tratta di una parola molto semplice, una parola apostolica: "Debitores facti sumus". Mi sento profondamente in questa posizione e forse anche la circostanza del giorno che abbiamo scelto per questo incontro familiare accresce in me e approfondisce la consapevolezza di essere un "debitor". Alla vigilia della festa di san Carlo Borromeo, mio celeste patrono, mi sento un "debitor" nei confronti dei miei genitori che mi hanno dato la vita, che poi mi hanno presentato alla Chiesa e con il mistero battesimale mi hanno introdotto in un'altra vita, una vita superiore, divina. Il nome Carlo è strettamente legato a quel mistero, a quel beneficio per il quale io mi sento un "debitor". Mi sento in questa situazione, in questa stessa posizione dinnanzi a voi tutti, carissimi professori e medici. Vi vedo qui riuniti in una circostanza solenne, ma vi ho visto durante queste settimane e mesi in un'altra situazione, possiamo dire situazione di lavoro, di quel nobilissimo lavoro del quale oggetto o soggetto è un altro uomo, ero io. Ecco, ancora una volta, voglio esprimere dinnanzi a voi la profonda consapevolezza legata alle parole dell'apostolo: "Debitores facti sumus" per ciascuno di voi, la riconoscenza, un semplice grazie a ciascuno di voi. Oggi, preparandomi a celebrare la festa del mio santo patrono, voglio mostrare a ciascuno di voi la mia grata memoria. Memoria piena di riconoscenza per tutto quello che avete fatto durante queste settimane, questi mesi, in questo difficile periodo della mia vita. Ringrazio la divina Provvidenza del fatto di potermi trovare nel giorno di san Carlo ancora qui, in questo posto, in questa aula. Ringrazio la Provvidenza e ringrazio voi. Voi siete stati strumenti della Provvidenza salvandomi la vita, assistendomi durante la malattia e facendomi recuperare la salute con grande pazienza e amore. Vi ringrazio per questo amore.

Per dare alla nostra riunione il carattere di un incontro familiare mi permetto di passare in mezzo a voi, da un professore all'altro, da un medico all'altro, da una famiglia all'altra, salutando tutti ed offrendo un povero segno di questa mia riconoscenza ed anche della riconoscenza della Santa Sede, della Sede di Pietro che è insieme con noi grata a tutti i professori e medici, specialmente del Policlinico "Gemelli", ma anche delle altre Università, di altri ambienti e di altre istituzioni che hanno dato il loro aiuto al Papa nei giorni fra il 13 maggio e, possiamo dire, approssimativamente, il 13 agosto.

Al termine dell'incontro il Santo Padre ha aggiunto: Alla fine, devo dire che mancano alcune persone. Mancano soprattutto le suore e gli infermieri e le infermiere che ho già incontrato una volta per ringraziare anche loro del servizio che hanno prestato durante la mia degenza al Policlinico. E direi che mancano tante altre persone che hanno preso parte a quell'avvenimento. Allora voglio ricordare anche tutte quelle persone che hanno fatto parte di questo insieme fisico, storico, ma soprattutto insieme spirituale.

Tornando alle parole dell'apostolo: "Debitores facti sumus", voglio ribadire ancora una volta che mi sento debitore verso tutti questi e soprattutto verso tutti i presenti. Vi ringrazio e vi benedico di cuore. Dio, Padre nostro, ricompensi tutti, le vostre persone, le vostre famiglie e il vostro ambiente, il Policlinico "Gemelli", l'Università Cattolica del Sacro Cuore, l'lstituto "Toniolo"; ricompensi largamente perché è "dives in misericordia". Sarei molto contento e grato di poter completare questo incontro con un dono della mia persona, della mia vocazione e del mio ministero impartendo la benedizione.

Preghiamo per tutti i presenti, per tutti gli altri che appartengono a questo insieme di cui ho parlato.

Data: 1981-11-03
Martedi 3 Novembre 1981




Ai Vescovi del Lazio in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sostengo il vostro coraggio di fronte alle difficoltà dei tempi

Signor Cardinale Diletti e venerati confratelli, Vi accolgo oggi in visita "ad limina" con vivo affetto e fervida considerazione, lieto che essa mi consenta di rinnovare la gioia dei personali incontri avuti con ciascuno di voi, offrendomi insieme l'opportunità di intrattenermi collegialmente con tutti.

Voi, cari fratelli della Conferenza Episcopale del Lazio aprite la serie delle visite "ad limina" collegiali dei Vescovi italiani, programmate per l'anno in corso, e siete quindi il primo gruppo di Presuli a cui amo rivolgere la mia parola. Le visite dei singoli Vescovi hanno avuto inizio dai primi mesi di quest'anno e si sono succedute regolarmente fino alla data del 13 maggio scorso, giorno di prova e di sofferenza per la mia persona, e per la Chiesa intera.

Alla ripresa delle visite personali, ed in questo primo incontro collegiale, desidero confidarvi che annetto una particolare importanza sia alle prime che agli incontri con le singole Conferenze Regionali. Infatti, se nei colloqui individuali, ai quali mi propongo di prestare premurosa attenzione, mi è dato di accogliere ogni fratello nell'Episcopato che rappresenta e reca con sé la Chiesa particolare di cui è Pastore, nell'incontro collegiale mi è permesso di guardare in maniera più integrale e sintetica, insieme con i Vescovi, ai problemi generali, propri della Nazione o delle singole regioni.

1. I motivi dell'importanza delle visite "ad limina" sono anzitutto di carattere teologico e dottrinale.

Tali visite, infatti, costituiscono primariamente un atto di profonda e convinta fede nel mistero della Chiesa, così come l'ha voluta il suo divin Fondatore, Gesù Cristo.

I Vescovi che "in virtù della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col Capo del Collegio e con le Membra" (Nota esplicativa previa annessa alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa) diventano successori degli apostoli, con capacità di evangelizzare, santificare e governare il Popolo di Dio, e di perpetuare a loro volta lo stesso Episcopato, riconoscono in modo privilegiato, mediante le ricorrenti visite "ad limina", che il successore di Pietro è "principio e fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione" (LG 18); e Colui che garantisce l'ortodossia della Verità rivelata ed annunziata; è il Pastore universale della Chiesa, con potestà immediata sull'intera Comunità cristiana, cioè Pastori e fedeli.

Con lui i Vescovi desiderano confermare anche in questo modo una comunione di mente, di cuore e di disciplina. Essi sono consapevoli che il mandato giurisdizionale, di cui sono insigniti, proviene loro subordinatamente alla comunione gerarchica con Pietro, dalla cui scelta ed approvazione è determinata in concreto la missione canonica.

Tale atto di fede da parte dei Vescovi si radica nel più intimo nucleo della dottrina cattolica, per cui la sana e fedele tradizione afferma con i Padri della Chiesa: "Nihil sine Petro".

La visita "ad limina" ha anche una evidente motivazione pastorale.

Il Vescovo di Roma, come Vicario di Cristo e successore di Pietro, avverte la sollecitudine del gregge universale, che egli può raggiungere in concreto soltanto mediante i Vescovi preposti. Emerge, infatti, dalla storia passata e presente, come i problemi pastorali siano sempre numerosi e difficili ed abbiano caratteristiche diverse secondo i modi ed il grado di maturità delle singole Chiese.

Mediante la visita "ad limina", il Papa ha così la possibilità di entrare nel vivo delle istanze delle singole Chiese, attraverso l'informazione dei rispettivi Pastori. Questi, infatti, mettono a parte il Papa delle loro prospettive, delle loro gioie, dei loro affanni e delle loro speranze, facendosi tramite degli interrogativi delle moltitudini cristiane in cammino con la loro storia verso destini trascendenti.

La visita "ad limina" è in sintesi, l'incontro del Papa, Pastore Supremo, con un fratello nell'Episcopato, con un amico, con un Pastore responsabile che, insignito di un grande onore, porta anche il peso di una grave responsabilità.


2. La visita odierna, a questi motivi di ordine generale assomma quelli di natura specifica derivanti dalla caratteristica propria della vostra Conferenza Episcopale. Come si esprimeva il mio predecessore Paolo VI nella Allocuzione pronunciata il 24 febbraio 1977, in occasione della vostra precedente visita: "le Chiese, da voi rappresentate, sono come il primo degli anelli concentrici che idealmente designano la mappa della Chiesa universale, ed è questo un fatto che postula necessariamente una diretta e più accentuata comunione".

I Vescovi della Regione del Lazio, cioè del territorio che circonda Roma, centro della cristianità e capitale d'Italia, sono i più vicini al Sommo Pontefice ed alla Santa Sede, ed operano nel raggio di un territorio che, lungo i secoli, ha assistito ad altissime ed irripetibili testimonianze di vita cristiana.

E' questo il momento di sottolineare che patrimonio unico - ed in pari tempo responsabilità gravissima - per Roma e la sua Regione è la ricchezza di dottrina, di santità, di apostolato, di carità ecclesiale in tutte le forme, connesse con la storia della Sede Apostolica e col costante Magistero ed intervento dei Papi.

La presenza dei santi apostoli Pietro e Paolo, dei loro primi successori, di tutta la schiera dei martiri e dei santi che hanno accompagnato la storia e la missione di Roma in tutti i secoli ed in ogni circostanza, soprattutto dolorosa della sua vita, è unica nella vita della Chiesa.

Anche recentemente, il martirio di santa Maria Goretti, a Nettuno ha arricchito la tradizione. E' impossibile enumerare tutti i santi che hanno coinvolto la loro vita con quella di Roma e della Regione. Ogni ceto di persone può avere un esempio e patrono: i Vescovi hanno maestro san Filippo Neri e patrono san Luigi Gonzaga, le madri di famiglia santa Francesca Romana; i parroci san Vincenzo Pallotti, san Gaspare del Bufalo, san Giovanni Battista de Rossi.

Così la Regione offre modelli di eccelsa santità, antichi e moderni, san Bonaventura da Bagnoregio, san Tommaso d'Aquino, san Carlo da Sezze, san Felice da Cantalice, san Paolo della Croce e numerosi altri.

Sorgente inesausta di vita spirituale e di apostolato sono ancora i grandi centri di spiritualità e di cultura cristiana, ed i Santuari della Regione.

Non potendo enumerarli tutti mi limito ad incoraggiare ogni impegno perché tali centri, come le Basiliche romane, le gloriose Abbazie Benedettine di Montecassino e di Subiaco, ed i Santuari dei diversi Ordini Religiosi, svolgano un'opera sempre più intensa in vista di un rinnovamento cristiano nell'ora presente.

Conosco il vostro assiduo lavoro per la causa del Regno di Dio in questa Regione benedetta, e desidero, pertanto, esprimervi il mio più vivo compiacimento ed apprezzamento per tutta l'opera compiuta insieme con i sacerdoti, i religiosi ed i laici delle vostre diocesi.


3. Passando ad analizzare, in modo più specifico la situazione religiosa della Regione, posso dire che in questi tre anni di pontificato, per mezzo degli incontri personali e delle vostre accurate relazioni, mi sono reso abbastanza conto sia delle realtà positive e consolanti, sia delle difficoltà talvolta anche gravi e preoccupanti.

Le caratteristiche etniche, sociali e culturali della Regione si presentano disparate e molteplici. Roma, la Capitale, è cresciuta in questi cinquanta anni in modo rapido e tumultuoso, con una popolazione prevalentemente immigrata di varia estrazione sociale e regionale. Tale popolazione, in parte pendolare, abita nell'enorme e spesso anonima periferia, creando problemi di conoscenza, di accostamento, di evangelizzazione formativa e metodica. La città, poi, è continuamente attraversata da un impressionante flusso di turisti provenienti da ogni parte del mondo, i quali portano con sé esperienze e mentalità diverse, talvolta contrastanti il costume cristiano.

Nell'agro romano, la civiltà rurale è da tempo in rapida evoluzione verso lo stile di vita di quella industriale, tendente all'agiatezza consumistica, con l'ideale della sicurezza sociale e del benessere.

Tali fenomeni hanno indotto necessariamente un mutamento di mentalità, di costumi, di sentimenti, di rapporti nella popolazione, formazione alla fede - un'atmosfera in cui non è difficile riscontrare tendenze agnostiche in campo dottrinale ed una conseguente falsa autonomia in campo morale.

Bisogna tuttavia sottolineare che nel popolo perdura il profondo substrato della fede e della morale cristiana, che si manifesta con la sensibilità ai problemi religiosi, l'intimo bisogno di Dio e della preghiera, la stima del sacerdote zelante e del suo ministero, e soprattutto con una più sentita responsabilizzazione da parte di molti laici impegnati e di molti gruppi di presenza cristiana, che avvertono l'urgenza di una più intensa vita spirituale e di una più attiva partecipazione all'apostolato diretto.

Di fronte alle innegabili difficoltà dei nostri tempi ed ai segni positivi di una riscoperta responsabilità nella struttura della Chiesa, la mia esortazione è rivolta anzitutto a sostenere il vostro coraggio, invitandovi a lavorare con fervore nel campo del Signore, e ricordando che nessuna difficolta può separarci dall'amore di Cristo, come già affermava san Paolo rivolgendosi a questo popolo romano: "Io sono persuaso che né morte né vita, ne angeli né principati, né presente né avvenire, né potenza ne altezza né profondità né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rm 8,35-39). San Paolo voleva solennemente attestare, con tali espressioni, che mai le vicende della storia, per quanto turbinose e difficili, possono distaccarci da Colui che ha redento l'umanità col suo amore crocefisso.

Con san Carlo Borromeo, che ieri abbiamo festeggiato e che venero particolarmente come mio patrono, Vi esorto: "Sine metu et constanter certe agamus, atque adeo perficiamus quod Evangelium docet, quod Christus iubet, quod ratio praecipit, quod gregis salus, quod Ecclesiae auctoritas, dignitasque postulat" (Oratio in Concilio Provinciali II, Anno 1569, die 29 Aprilis).


4. Due punti, infine, desidero segnalare alla vostra attenzione.

Vorrei suggerirvi in primo luogo di potenziare costantemente gli incontri della vostra Conferenza Episcopale, essi si dimostrano sempre più utili e talvolta necessari, proprio per riuscire a creare quella mentalità e quella atmosfera di "comunione" e di "comunità" richiamate e sottolineate dal recentissimo piano pastorale della Conferenza Episcopale Italiana per il prossimo decennio. "Una più profonda comprensione del dono della comunione - è scritto nel Documento pubblicato in proposito - accrescerà senza dubbio in tutta la nostra Chiesa la grazia dell'unità vissuta nella carità e renderà credibile l'annuncio evangelico che essa è chiamata a portare" (n. 1).

Gli incontri programmati delle Conferenze Episcopali Regionali hanno lo scopo di partecipare le proprie esperienze, di interrogarsi sulle necessità delle singole diocesi, di delineare insieme piani comuni di attività pastorale, di analizzare le difficoltà incontrate, di individuare linee operative specialmente riguardo alla formazione del clero, alla pastorale delle vocazioni, all'andamento dei Seminari, al collegamento fra i vari gruppi di presenza cristiana.

A proposito di tale intensa "comunione" tra i Pastori, vi esorto anche a considerare con animo generoso e fiducioso, la possibilità di mutui aiuti, di scambi perspicaci di sussidi pastorali, superando la pressione "del bisogno immediato locale", per favorire un lavoro ed una programmazione di insieme.

Infine, desidero ancora esortarvi all'ascolto ed alla cura attenta dei laici. Oggi, in modo particolare, bisogna saper capire e valutare i laici che sentono il bisogno e quasi l'ansia di mettersi al servizio della Verità per annunciare il Cristo e testimoniarlo nella società in cui vivono.

Esiste un estremo bisogno di certezza autentica e di vera speranza; e molti laici sentono questa necessità e vogliono inserirsi attivamente e responsabilmente nell'apostolato, in aiuto dei Vescovi e dei sacerdoti. E' necessario dunque, rendersi sensibili a questa realtà consolante, e formare i sacerdoti a sensibilizzarsi a loro volta, affinché tale entusiasmo, che è autentico dono dello Spirito Santo per questi nostri tempi, non venga soffocato e spento, o peggio deviato e stravolto in esperimenti sbagliati e deludenti.

E' consolante la graduale ripresa dell'associazionismo cattolico, sia attraverso l'Azione Cattolica, sia mediante Movimenti di recente formazione, che tutti conosciamo. Si presenta urgente l'impegno di indirizzare positivamente tali forze anche mediante piani congiunti, verso un apostolato di presenza e precisi compiti di evangelizzazione, che per quanto riguarda Roma, dovranno soprattutto corrispondere alle necessità religiose della grande periferia.

Carissimi fratelli! Molti indubbiamente sarebbero ancora i problemi da trattare e da analizzare insieme, perché la pastorale oggi si presenta veramente vasta e differenziata. Ma voi avrete agio e motivo di ulteriori incontri; per oggi basta aver indicato le questioni della Conferenza Episcopale e della formazione dei laici qualificati.

La Madre Celeste, a cui il nostro popolo di Roma e di tutto il Lazio è sempre stato tanto devoto, vi assista nel vostro lavoro di Pastori, vi illumini e vi conforti, in modo che nel quotidiano impegno pastorale vi animi sempre il santo fervore a vantaggio dei fedeli e dell'intera società.

Vi accompagni la mia benedizione apostolica, che vi imparto di gran cuore, estendendola con affetto alle Comunità ecclesiali a voi affidate.

Data: 1981-11-05
Giovedì 5 Novembre 1981


Ai partecipanti ad una riunione di "Co Unum" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Solo la solidarietà internazionale può scongiurare la terribile catastrofe nei paesi privi d'acqua

Ringrazio cordialmente sua Eminenza Cardinale Bernardin Gantin che presiede ai lavori della vostra riunione, per i sentimenti espressi a vostro nome.

Siate tutti i benvenuti: sia che siate membri della Chiesa che rappresentanti di organismi civili. Nella vostra diversità e complementarietà, voi siete segno tangibile che il mio solenne appello in favore del Sahel - lanciato il 10 maggio


1980 dalla cattedrale di Ouagadougou - è stato capito ed ha portato frutti. In questa occasione permettetemi di salutare il Cardinale Paul Zoungrana che accogliendomi nella sua terra l'anno scorso, mi ha dato l'occasione di sensibilizzare l'opinione pubblica sul dramma della siccità, che interessa tredici paesi dell'Africa e milioni di africani.

Dopo che il mio amato predecessore Paolo VI ha invitato il Pontificio Consiglio "Co Unum" ad interessarsi attivamente a questo doloroso e persistente problema, sul quale la vostra riunione si sforza di fare il punto, si può legittimamente parlare di un progresso della solidarietà ecclesiale. Quante Chiese locali in Africa - lo ricordo con emozione - hanno aperto il loro cuore e hanno messo a disposizione i loro modesti mezzi ai loro fratelli e sorelle decimati dalla siccità! Come non sottolineare inoltre l'opera compiuta dall'Ufficio di Studio e di Collegamento dell'Alto Volta? Questi esempi africani hanno contribuito a stimolare le organizzazioni cattoliche di carità e di sviluppo - sia nei paesi ricchi che in quelli che lo sono meno - ad intraprendere azioni di vario tipo aventi tutte come obiettivo l'arginamento di questo flagello dell'Africa. E' una gioia ed un conforto per me vedere qui i rappresentanti di questi organismi caritativi. Essi meritano le mie felicitazioni e i miei incoraggiamenti come quelli di tutta la Chiesa.

Ma bisogna menzionare anche la generosità dei fedeli che hanno aderito alle raccolte di fondi organizzate nel mondo cattolico e che certamente sono nello spirito del buon Samaritano del Vangelo. Desidero rinnovare specialmente la mia profondissima gratitudine ai cattolici della Germania Federale che, in occasione della mia visita pastorale del novembre scorso, attuarono una raccolta di fondi decisamente cospicua in favore del Sahel. Tutto questo interessamento da parte del popolo cristiano mi spinge a riformulare il mio solenne appello di Ouagadougou, dal momento che è rimasto veramente molto da fare! E vi esorto a dare ad esso nuovamente tutta la risonanza possibile.

Vorrei rinnovare ancora in voi lo spirito che deve costituire il fondamento della vostra azione evangelica di solidarietà. Va da sé che le offerte già raccolte o quelle che lo saranno devono essere rigorosamente utilizzate al fine di scongiurare le terribili catastrofi delle regioni africane prive di acqua e che tali investimenti non possono che essere fatti secondo il vero spirito dei discepoli di Cristo, cioè il significato profondo dell'uomo che nella sua umanità è sempre e dovunque nostro fratello poiché possiede in sé l'impronta di Dio. In questo servizio alle popolazioni in pericolo, non ci dovrebbe essere dunque il problema di essere in concorrenza o di sostituire i poteri pubblici. Ma, al contrario, è indispensabile agire in stretta collaborazione con essi e con le altre istanze regionali e mondiali. A questo proposito, mi fa piacere sapere che i rappresentanti del Comitato internazionale per la lotta contro la siccità nel Sahel (Cilss), della Fao e del Programma Alimentare Mondiale (Pam) parteciperanno alla vostra riunione e non mancheranno di apportarvi le loro conoscenze e le loro esperienze. Infatti la Chiesa desidera collaborare, in misura dei suoi mezzi e secondo lo spirito del Vangelo, con tutti gli organismi della società civile quando si tratta di venire in aiuto dell'uomo. D'altronde la modestia dei propri mezzi materiali fa si che essa debba inserirsi in un quadro di azione concertato e programmato, al fine di raggiungere risultati apprezzabili.

Detto questo, bisogna riaffermare che queste opere ecclesiali di carità e di promozione - aventi tutte quell'aspetto di collaborazione di cui parlavamo prima - sono rivendicate dalla Chiesa come un diritto e un dovere suoi propri. Il decreto sull'apostolato dei laici (n. 8) lo ricorda inequivocabilmente. La Chiesa si sforza e si sforzerà sempre di affrontare questo diritto e dovere lasciandosi permeare dallo Spirito stesso di Cristo, ma procedendo nello stesso tempo nel modo più razionale e sistematico possibile. Noi tutti riteniamo in effetti che gli organismi caritativi dovrebbero saper andare oltre il semplice ruolo di palliativi, pur tenendo conto degli appelli urgenti, per affrontare le cause stesse delle calamità e, se occorre, della persistente siccità. E' molto realistico che esse si preoccupino di interessare le popolazioni locali alla realizzazione dei progetti previsti. Una tale integrazione esige reale conoscenza dei luoghi e delle persone, rispetto per i caratteri culturali, pazienza che darà il suo frutto nel tempo. E' importante che le Chiese locali interessate dal dramma della siccità contribuiscano a formare personalità capaci di essere responsabili dei progetti e della loro esecuzione.

Per quanto la riguarda, la Santa Sede è disposta ad inserirsi in questo quadro generale di azione, non solo interpellando e stimolando le comunità ecclesiali ed i poteri pubblici, ma dando essa stessa l'esempio e realizzando così il proprio compito particolare che è di "presiedere nella carità".

Perché il mio solenne appello di Ouagadougou abbia effetto desidero che sia compiuta una concreta realizzazione nella regione del Sahel con le donazioni che mi sono state inviate o che lo saranno, e che essa sia segno efficace del mio affetto per i miei fratelli africani più provati e che mi sono tanto più cari dopo il mio indimenticabile viaggio del 1980.

A Dio, sorgente di tutta la carità, domando ardentemente di benedire ciascuno di voi e di rendere fruttuosa la vostra opera evangelica di solidarietà.

Data: 1981-11-05
Giovedì 5 Novembre 1981


Ai partecipanti al colloquio internazionale su "Le comuni radici cristiane delle Nazioni europee" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cristo per salvare l'Europa e il mondo da ulteriori catastrofi

Illustri Signori! In occasione di queste giornate di studio, dedicate alle "Comuni radici cristiane delle Nazioni Europee", avete desiderato questa udienza, per incontrarvi con me.

Mentre porgo a tutti voi personalmente, uomini di cultura dell'Europa e del mondo intero convenuti a Roma, il mio saluto più sentito, vi manifesto il mio ringraziamento, non solo per questa vostra visita, per me così gradita, ma anche perché avete scelto come spunto ed argomento delle vostre riflessioni idee che sento intimamente radicate nel mio spirito e che ho avuto modo di esprimere fin dall'inizio del mio pontificato (Discorso del 22 ottobre 1978) e poi man mano, nell'Omelia sulla piazza del Duomo di Gniezno (3 giugno 1979), nel discorso tenuto a Czestochowa ai Vescovi polacchi (5 giugno 1979), durante le visite a Subiaco, a Montecassino, a Norcia in occasione del 1550° anniversario della nascita di san Benedetto, nel discorso tenuto all'Assemblea generale dell'Unesco (2 giugno 1980), e che soprattutto ho manifestato apertamente e sintetizzato nella lettera apostolica "Egregiae Virtutis" (31 dicembre 1980), con cui ho proclamato i santi Cirillo e Metodio patroni dell'Europa insieme con san Benedetto.

Grazie per questa sensibilità e attenzione alle ansie apostoliche, che caratterizzano la vita del Pastore supremo della Chiesa che, in nome di Cristo, si sente anche Padre affettuoso e responsabile dell'intera umanità.

1. Il grido che mi usci spontaneo dal cuore in quel giorno indimenticabile, in cui per la prima volta nella storia della Chiesa un Papa slavo, figlio della martoriata e sempre gloriosa Polonia, iniziava il suo servizio pontificale, non era altro che l'eco dell'anelito che spinse san Cirillo e Metodio ad affrontare la loro missione evangelizzatrice: "Aprite, spalancate le porte a Cristo! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà... Alla sua salvatrice potenza aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, della civiltà, dello sviluppo. Non abbiate paura.

Permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo Lui ha parole di vita".

Voi conoscete la vita e le vicende dei due santi: si può ben dire che la loro esistenza si presenta sotto due aspetti essenziali: un immenso amore a Cristo e una triplice fedeltà.

Il loro amore appassionato e coraggioso a Cristo si manifesto nella fedeltà alla vocazione missionaria ed evangelizzatrice, nella fedeltà alla Sede Romana del Pontefice e, infine, nella fedeltà ai popoli slavi. Essi annunziarono la verità, la salvezza, la pace; essi vollero la pace! E perciò rispettarono le ricchezze spirituali e culturali di ogni popolo, ben convinti che la grazia portata da Cristo non distrugge, ma eleva e trasforma la natura. Per questa fedeltà al Vangelo ed alle culture locali, essi inventarono un alfabeto particolare per rendere possibile la trascrizione dei libri sacri nella lingua dei popoli slavi, e così, contro le recriminazioni di coloro che ritenevano quasi un dogma le tre lingue sacre, l'ebraico, il greco ed il latino (i "pilatiani" come li chiamava san Cirillo), essi introdussero la lingua slava anche nella liturgia, con autorevole conferma del Papa, e come primo messaggio tradussero il "Prologo" del Vangelo di Giovanni. "Greci di origine, Slavi di cuore, inviati canonicamente da Roma, essi sono un fulgido esempio dell'universalismo cristiano. Di quell'universalismo che abbatte le barriere, estingue gli odi e unisce tutti nell'amore del Cristo Redentore Universale" (Lettera del Cardinale Segretario di Stato ai fedeli partecipanti alle celebrazioni dei santi Cirillo e Metodio a Velehrad, in Cecoslovacchia. cfr. L'Osservatore Romano, 6-7 luglio 1981).


2. La proclamazione dei due santi apostoli degli Slavi a patroni dell'Europa insieme con san Benedetto voleva prima di tutto ricordare l'undicesimo centenario della lettera "Industriae tuae", inviata da Papa Giovanni VIII al Principe Svatopluk nel giugno dell'anno 880, nella quale veniva lodato e raccomandato l'uso della lingua slava nella liturgia, e il primo centenario della pubblicazione della lettera enciclica "Grande munus" (30 settembre 1880), con la quale il Pontefice Leone XIII ricordava a tutta la Chiesa le figure e l'attività apostolica dei due santi. Ma con essa, in particolare, ho voluto sottolineare che "l'Europa nel suo insieme geografico è, per così dire, frutto dell'azione di due correnti di tradizioni cristiane, alle quali si aggiungono anche due forme di cultura diverse, ma allo stesso tempo profondamente complementari" (ivi): Benedetto abbraccia la cultura prevalentemente occidentale e centrale dell'Europa, più logica e razionale, e la spande mediante i vari centri benedettini negli altri continenti; Cirillo e Metodio mettono in risalto specialmente l'antica cultura greca e la tradizione orientale più mistica e intuitiva. Questa proclamazione ha voluto essere il riconoscimento solenne dei loro meriti storici, culturali, religiosi dell'evangelizzazione dei popoli europei e nella creazione dell'unità spirituale dell'Europa.

Anche voi, illustri signori, venuti da tante parti del mondo, vi siete fermati a riflettere su questo innegabile fenomeno di unità ideale del continente.

I Responsabili dell'Università Lateranense di Roma e dell'Università Cattolica di Lublino hanno voluto richiamare qui, nella Città Eterna presso la Sede di Pietro, per quattro giorni di intensa attività, più di duecento intellettuali di ventitré Nazioni europee ed extraeuropee, con uno schema di studio articolato in dodici gruppi di lavoro con centinaia di relazioni. Due Istituzioni culturali di prestigio internazionale hanno invitato uomini pensosi e responsabili ad entrare con un dialogo fraterno e costruttivo nello spirito e nell'area della sollecitudine non solo della Chiesa cattolica, ma anche delle supreme Organizzazioni mondiali. Si è seguita appropriatamente una linea di assoluta convergenza: la ricerca delle radici cristiane dei popoli europei per offrire una indicazione alla vita di ogni singolo cittadino, e dare un significato complessivo e direzionale alla storia che stiamo vivendo, talvolta con allarmante angoscia Abbiamo infatti un'Europa della cultura con i grandi movimenti filosofici, artistici e religiosi che la contraddistinguono e la fanno maestra di tutti i Continenti; abbiamo l'Europa del lavoro, che, mediante la ricerca scientifica e tecnologica, si è sviluppata nelle varie civiltà, fino ad arrivare all'attuale epoca dell'industria e della cibernetica; ma c'è pure l'Europa delle tragedie dei popoli e delle Nazioni, l'Europa del sangue, delle lacrime, delle lotte, delle rotture, delle crudeltà più spaventose. Anche sull'Europa, nonostante il messaggio dei grandi spiriti, si è fatto sentire pesante e terribile il dramma del peccato, del male, che, secondo la parabola evangelica, semina nel campo della storia la funesta zizzania. Ed oggi, il problema che ci assilla e proprio salvare l'Europa ed il mondo da ulteriori catastrofi!


3. Certamente, il Congresso, a cui partecipate, ha direttamente un programma ed un valore scientifico. Ma non basta rimanere sul piano accademico. Occorre anche cercare i fondamenti spirituali dell'Europa e di ogni Nazione, per trovare una piattaforma di incontro tra le varie tensioni e le varie correnti di pensiero, per evitare ulteriori tragedie e soprattutto per dare all'uomo, al "singolo" che cammina per vari sentieri verso la Casa del Padre, il significato e la direzione della sua esistenza.

Ecco allora il messaggio di Benedetto, di Cirillo e Metodio, di tutti i mistici e santi cristiani, il messaggio del Vangelo, che è luce, vita, verità, salvezza dell'uomo e dei popoli. A chi rivolgersi, infatti, per conoscere il "perché" della vita e della storia se non a Dio, che si è fatto uomo per rivelare la Verità salvifica e per redimere l'uomo dal vuoto e dall'abisso dell'angoscia inutile e disperata? "Cristo Redentore - ho scritto nella enciclica "Redemptor Hominis" - rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso. Questa è... la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l'uomo ritrova la grandezza, la dignità e i valori propri della sua umanità... L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo... deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la debolezza e peccaminosità, con la sua vita e con la sua morte avvicinarsi a Cristo. Deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso.." (RH 28). L'Europa ha bisogno di Cristo! Bisogna entrare a contatto con Lui, appropriarsi del suo messaggio, del suo amore, della sua vita, del suo perdono, delle sue certezze eterne ed esaltanti! Bisogna comprendere che la Chiesa da Lui voluta è fondata ha come unico scopo di trasmettere e garantire la Verità da Lui rivelata, e mantenere vivi e attuali i mezzi di salvezza da Lui stesso istituiti, e cioè i Sacramenti e la preghiera. Questo compresero spiriti eletti e pensosi, come Pascal, Newman, Rosmini, Soloviev, Norwid.

Ci troviamo in un'Europa in cui si fa ognor più forte la tentazione dell'ateismo e dello scetticismo; in cui alligna una penosa incertezza morale, con la disgregazione della famiglia e la degenerazione dei costumi; in cui domina un pericoloso conflitto di idee e di movimenti. La crisi della civiltà (Huizinga) e il tramonto dell'Occidente (Spengler) vogliono soltanto significare l'estrema attualità e necessità di Cristo e del Vangelo. Il senso cristiano dell'uomo, immagine di Dio, secondo la teologia greca tanto amata da Cirillo e Metodio ed approfondita da sant'Agostino, è la radice dei popoli dell'Europa e ad esso bisogna richiamarsi con amore e buona volontà per dare pace e serenità alla nostra epoca: solo così si scopre il senso umano della storia, che in realtà è "Storia della salvezza".


4. Illustri e cari Signori! Mi piace concludere ricordando l'ultimo gesto e le ultime parole di un grande slavo, legato da un profondo amore all'Europa, Fiodor Michailovic Dostojevskij, che mori cento anni fa, la sera del 28 gennaio 1881 a Pietroburgo.

Grande innamorato di Cristo, egli aveva scritto: "...la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano e la pace per l'uomo; la fonte della vita e della salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la garanzia per l'intero universo si racchiudono nelle parole: Il Verbo si è fatto carne e la fede in queste parole. (F. Dostojevskij, I Demoni, Sansoni, Firenze, 1958). Prima di morire si fece ancora portare e leggere il Vangelo che l'aveva accompagnato nei dolorosi anni della prigionia in Siberia e lo consegno ai figli.

L'Europa ha bisogno di Cristo e del Vangelo, perché qui stanno le radici di tutti i suoi popoli. siate anche voi all'ascolto di questo messaggio! Vi accompagni la mia Benedizione, che con grande effusione vi imparto nel nome del Signore!

Data: 1981-11-06
Venerdi 6 Novembre 1981



GPII 1981 Insegnamenti - Durante un incontro nella sala del Concistoro - Città del Vaticano (Roma)