GPII 1981 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'anno liturgico, abbreviazione e sintesi della storia della salvezza



1. "Angelus Domini nuntiavit Mariae, et concepit de Spiritu Sancto".

Ci concentriamo sul contenuto di queste parole, oggi nella prima domenica d'Avvento.

Questa costituisce l'inizio del nuovo anno liturgico. Si apre di nuovo, dinanzi a noi, la prospettiva del tempo che la Chiesa riempie - anno per anno - con la meditazione del Mistero divino, che opera nella storia dell'uomo e del mondo. L'anno liturgico è una abbreviazione e una sintesi della storia della salvezza, dal suo inizio fino al compimento definitivo. Gesù Cristo, che è il culmine e il centro di questa stessa storia, dà pieno significato alle singole parti del tempo liturgico e conferisce loro il dovuto ordine.

Egli è quel Gesù, la cui venuta l'Angelo del Signore annuncio alla Vergine Maria - ed Ella lo concepi nel suo seno per opera dello Spirito Santo.

Per opera dello Spirito Santo è consacrato al Padre, in Gesù Cristo, il tempo dell'uomo e del mondo: il suo passato, il presente e il futuro.

Per opera dello Spirito Santo è consacrato al Padre, in Gesù Cristo, quel tempo della Chiesa che oggi, secondo la natura ciclica del tempo umano, assume il suo nuovo inizio insieme con la prima domenica dell'Avvento.

Entriamo in questo nuovo anno liturgico con la fede e con la speranza! Entriamo in esso con quell'amore "che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato" (Rm 5,5)! Più pienamente ha ricevuto questo dono la Vergine di Nazaret, che per opera dello Spirito Santo è diventata Madre di Dio.


2. L'anno che liturgicamente è terminato, anche se quello del calendario dura ancora come anno 1981, ci ha avvicinato in modo particolare al mistero dello Spirito Santo, "che è Signore e dà la vita", mediante la commemorazione del Concilio Ecumenico Costantinopolitano, che si svolse milleseicento anni fa - cioè nell'anno 381 dopo Cristo -. Nel ricordare questo grande avvenimento si sono unite in modo particolare le Chiese di Costantinopoli e di Roma, lodando Dio per la comune eredità cristiana e rallegrandosi insieme.

Desidero che l'espressione di questa unione nello Spirito Santo Consolatore, la quale ha avuto il suo zenit nel giorno della Pentecoste dell'anno che sta per terminare, perduri anche nella festa di domani di sant'Andrea Apostolo che la Chiesa Costantinopolitana venera in modo particolare.

Due anni fa mi fu dato di partecipare di persona a questa solennità, mentre nell'anno in corso la partecipazione avverrà mediante la delegazione guidata dal Cardinale Johannes Willebrands.

Dalla Sede di Pietro, che fu fratello di Andrea, trasmetto al mio Fratello in Cristo, il Patriarca Dimitrios, ed al suo Sinodo l'espressione di una speciale gratitudine per le preghiere che hanno offerto per me nei difficili mesi passati. Non dimentichero mai le parole che mi rivolse nel Policlinico Gemelli il Metropolita Melitone, venuto a Roma per le celebrazioni dei santi Pietro e Paolo.

L'amore di Dio, "che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5), acceleri il tempo dell'Avvento ecumenico. Avvicini il giorno dell'unione delle Chiese sorelle e di tutti i cristiani nell'unico Corpo di Cristo.


3. In questa prima domenica di Avvento, in cui la Chiesa comincia a prepararsi alla venuta del Principe della Pace, desidero ricordare un'intenzione che certamente sta a cuore di moltissimi uomini e donne del nostro tempo.

Domani due Delegazioni degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica inizieranno a Ginevra conversazioni per discutere sulla riduzione degli armamenti nucleari in Europa. Alla vigilia di un tale incontro ho inviato alle due più Alte Autorità dei due Paesi un messaggio personale per esprimere un vivo interesse all'esito delle conversazioni, verso le quali, con ansiosa attesa, si è rivolta l'attenzione di milioni di uomini del mondo intero. Con l'augurio, ho formulato anche un incoraggiamento affinché - grazie a comuni sforzi di buona volontà - non passi quest'occasione senza che si raggiungano risultati tali da consolidare la speranza di un futuro non più minacciato dallo spettro di un possibile conflitto nucleare.

Per questa intenzione recitiamo ora l'"Angelus".

(Al termine della recita dell'"Angelus", il Santo Padre ha aggiunto:) Ieri è terminato l'Anno berniniano. L'impronta lasciata soprattutto in Roma da questo sommo artista è veramente grandiosa. Ne è testimonianza particolarmente suggestiva il colonnato, che circonda questa Piazza, come pure le sue opere racchiuse nella Basilica Vaticana.

Ii significato profondo dell'opera di Gian Lorenzo Bernini, come ideale di continuità con quella di Michelangelo, è quello di aver dato espressione visiva, in armonia col carisma della fede, al rapporto tra l'umano e il divino.

Basti accennare alla Croce, dominante sull'obelisco, e alla letizia dei santi, che coronano le esedre; alla Cattedra di san Pietro, simbolo dell'ufficio magistrale, nell'Abside della Basilica Vaticana; all'altare della Confessione; all'altare del Santissimo Sacramento.

Come non "leggere" in queste opere d'arte il profondo e coerente discorso teologico, che il Bernini svolse con la maestria avvincente della sua "voce" inconfondibile? Tale discorso egli sviluppo in numerosissime altre opere, in organismi architettonici, in scelte urbanistiche disseminate nella Città e fuori di essa. In tal modo, Gian Lorenzo Bernini ha saputo indicare e congiungere i valori dell'uomo con quelli della civiltà cristiana. Possa la sua sintesi grandiosa sostenere quanti, anche oggi, cercano di armonizzare la bellezza delle forme artistiche con lo splendore dell'eterna verità.

Data: 1981-11-29
Domenica 29 Novembre 1981


L'omelia alla Messa nella parrocchia di santa Francesca Romana - Roma

Titolo: Con i mezzi di salvezza che Dio ci ha dati attendiamo vigilanti l'ultimo avvento



1. Regem venturum Dominum, venite adoremus! Iniziando dalla odierna Domenica, giunge a tutta la Chiesa questo nuovo appello: l'appello dell'Avvento. Lo annunzia la liturgia, ma lo sente, al tempo stesso, tutto il Popolo di Dio con il suo senso di fede. L'Avvento costituisce non solo il primo periodo dell'anno liturgico della Chiesa, ma in pari tempo anche il contenuto interiore della vita dei suoi figli e figlie.

Regem venturum Dominum, venite adoremus! E con tale appello vengo oggi alla vostra parrocchia per compiere in essa il principale ministero apostolico: il ministero della visita. Vi ringrazio per la cordiale accoglienza, e soprattutto per la vostra presenza; essa, infatti, mi permette di incontrare tutta la comunità del Popolo di Dio che voi costituite, ed i vari gruppi esistenti nel suo ambito.

Rivolgo innanzitutto il mio cordiale saluto al Cardinale Vicario ed al Vescovo di Zona Monsignor Clemente Riva, che hanno degnamente preparato questo incontro. Saluto anche vivamente il parroco ed i vice-parroci, dell'Ordine dei Frati Minori, che spendono le loro energie nella cura pastorale di questa parrocchia; e ad essi unisco pure i presbiteri di altre parrocchie, che li aiutano. Estendo di cuore il saluto ai religiosi ed alle religiose, che risiedono ed operano nella parrocchia. Inoltre, mi rivolgo con affetto a tutti i fedeli, e in modo particolare ai membri di associazioni, gruppi e movimenti cattolici vari, che offrono un'attiva testimonianza della loro fede. Voglio ricordare in special modo i benemeriti catechisti. Ma il mio saluto intende comprendere anche gli ammalati, ai quali assicuro la mia preghiera, e poi i cari giovani, che sono la speranza di tutti noi.

So che la parrocchia di santa Francesca Romana al Quartiere Ardeatino è di fondazione moderna, ma legata a tradizioni e a monumenti antichi. Parte del territorio abitato dai parrocchiani era nel medioevo proprietà della famiglia della santa patrona, la quale visse infiammata di carità verso i più bisognosi della Città di Roma. Sia questo esempio un invito ed uno sprone ad una vita cristiana sempre più impegnata in favore del prossimo per la gloria di Dio.


2. Nella liturgia della Domenica odierna la Chiesa apre davanti a noi in un certo senso due immagini dell'Avvento.

Ecco innanzitutto Isaia, grande profeta dell'unico e santissimo Dio, che dà espressione al tema dell'allontanamento di Dio dall'uomo. Nel suo meraviglioso testo, un vero poema teologico, che abbiamo ascoltato poco fa, egli ci da una penetrante immagine della situazione della sua epoca e del suo popolo, che dopo aver perduto il vivo contatto con Dio si è trovato su vie impraticabili: "Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?" (Is 63,17).

Ma proprio trovandosi in questo allontanamento, l'uomo percepisce ad un certo punto così dolorosamente che senza la presenza di Dio nella sua vita è lasciato in preda della propria colpa e matura la convinzione che solo Dio è colui che lo strappa alla schiavitù, solo Dio salva, e in questo modo si fa sentire in lui ancor più fervido il desiderio della sua venuta: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi" (Is 63,19).

Isaia non si ferma tuttavia sull'analisi devota dello stato delle cose e sulla manifestazione di un appello fervido e drammatico a Dio per squarciare i cieli e venire di nuovo in mezzo al suo Popolo. Non si cura la malattia mediante la sua sola descrizione e un più vivo desiderio di uscirne! Bisogna risalire alle cause. Fare una diagnosi. Che cosa provoca questo allontanamento di Dio? La risposta del Profeta è univoca: il peccato! "Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come cosa impura e come panno immondo sono tutti i nostri atti di nostre iniquità ci hanno portato via come il vento" (Is 64,4-5).

Di pari passo col peccato va la dimenticanza di Dio: "Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si riscuoteva per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balia della nostra iniquità" (Is 64,6).

La diagnosi del Profeta è penetrante: l'allontanamento di Dio dall'uomo è dovuto alla colpa dell'uomo: è frutto del suo allontanamento da Dio.

Simultaneamente a ciò, l'uomo viene dato in balia della sua iniquità.


3. E' sorprendente come questa diagnosi del Libro di Isaia, che esprime la situazione dell'uomo vissuto tanti secoli fa, sia valida anche per oggi. Molti di noi, uomini del secondo millennio dopo Cristo, che sta per terminare, non sono travagliati forse da un simile senso di allontanamento da Dio? Questo senso è tanto più drammatico, perché spunta non nel contesto dell'Antica ma della Nuova Alleanza. Non è forse un dramma del nostro mondo di oggi, della odierna umanità e dell'uomo il fatto che venti secoli dopo il compimento dei fervido grido del Profeta, quando i cieli si sono squarciati, e Dio, rivestendosi di un corpo umano, scese ed abito tra il suo popolo per rinnovare in ogni uomo la sua immagine, iscritta in lui nell'atto della creazione, e per dargli la dignità di figlio suo, - che ancora oggi, e forse ancor più di prima, l'uomo si trova in balia della sua iniquità, e dolorosamente risente le conseguenze di questa schiavitù?! In quale misura il mondo e l'uomo odierno la sua vita e attività, le sue istituzioni sanno esprimere la verità che tutta la realtà che ci circonda e in modo particolare l'uomo, corona della creazione, germinano dall'amore di Dio che tutto abbraccia? In che misura voi, cittadini di Roma, fedeli della Chiesa costruita sul fondamento degli Apostoli e membri della Comunità parrocchiale dedicata a santa Francesca Romana, in che misura noi qui presenti a questo incontro d'Avvento e tutti i nostri fratelli e sorelle "santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi" (1Co 1,2) - in che misura siamo portatori e rivelatori di questo amore? Non siamo in balia della nostra iniquità? Un andare alla deriva che allontana da Dio e crea il peccato e il vuoto. Non siamo testimoni e spesso vittime di un crescente peccato e delle sue conseguenze? Di questo "peccato del mondo", che costringe Dio ad allontanarsi dall'uomo e dai suoi problemi, quali sono oggi l'indifferenza e l'odio.

Tutto ciò che con tanta forza non mai finora incontrata minaccia oggi l'uomo, il suo "essere uomo" e perfino la sua esistenza, non è forse un urgente segnale e avvertimento che non è questa la via? E le parole: pace, giustizia, amore, oggi così spesso e zelantemente pronunciate e divulgate forse mai come prima, e che con tanta fatica si fanno strada verso la realizzazione, non sono forse un'altra versione, cosciente o meno, delle parole del Profeta lette oggi "Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?" (Is 63,17).


4. Vengo a voi, cari fratelli e sorelle, non per dipingere davanti ai vostri occhi una visione catastrofica dell'uomo e del mondo. Ma a noi tutti, che abbiamo creduto all'Amore, non può mancare oggi il coraggio e l'acutezza della "diagnosi" del Profeta di tanti secoli fa circa l'umana verità sull'uomo. Quando infatti questi si troverà con coraggio e umiltà in questa sua umana verità, allora si aprirà anche la divina verità su di lui.

Nella prima Domenica d'Avvento - nel periodo in cui la Chiesa ci mostrerà di nuovo tutta la storia della salvezza, e nel periodo in cui si compiranno "le grandi opere di Dio" (Ac 2,11) - vengo per potere insieme con voi, conforme a questa prima immagine delineata dal Profeta, ripetere e confessare dinanzi a Dio con una particolare convinzione interna e con fede: "Perché Tu sei nostro Padre" (Is 63,16).


5. Ritroviamo la seconda immagine dell'Avvento nella prima lettera ai Corinzi.

L'immagine, che appartiene alla Nuova Alleanza, nasce dalla realtà della venuta di Cristo e al tempo stesso si apre verso il suo Avvento definitivo.

Lo sfondo di quell'immagine costituisce la fondamentale professione della fede del Profeta: "Signore, tu sei nostro padre", verità che è l'apice della rivelazione già nell'Antico Testamento; ma la sua piena dimensione e significato sono stati rivelati all'uomo in Cristo, nel compiersi del suo Avvento storico.

Ascoltando le parole di san Paolo, con le quali egli ringrazia Dio Padre per i fedeli della Chiesa di Corinto, che hanno ricevuto la fede mediante il suo servizio apostolico, non possiamo non pensare, con profonda emozione e preoccupazione, allo stesso dono che è in noi. Insieme alla fede abbiamo ricevuto nel Battesimo tutta la ricchezza interiore, le doti spirituali e la garanzia di essere capaci di compiere ciò che senza quel dono è assolutamente inaccessibile all'uomo. La nostra garanzia è Dio stesso. che rimane fedele alle sue promesse, purché l'uomo non ritiri la sua fedeltà. Garanzia è per noi Cristo, che ci conferma sino alla fine ad essere irreprensibili per il giorno della seconda venuta del nostro Redentore (cfr. 1Co 1,8).

Non possiamo pensare a questo dono senza un senso di gratitudine e di responsabilità per esso. E perciò bisogna porsi la domanda: sono io, voglio essere fedele a Dio per trovarmi "irreprensibile" all'incontro definitivo con il mio Redentore? Ecco, la domanda più fondamentale che mi pone l'odierna Domenica, che mi pone il mio Avvento di quest'anno. Avendo assicurati da Dio tutti i mezzi della salvezza, dobbiamo vigilare nella prospettiva dell'ultimo Avvento, per non dissipare le possibilità messe nelle nostre mani e attendere con timore e tremore alla nostra salvezza (cfr. Ph 2,12).


6. Cerchiamo di trarre le conclusioni dai testi dell'odierna liturgia.

Il modo giusto in cui dobbiamo vivere l'Avvento è quello che si racchiude nella seconda immagine, ma - se, in conformità a quest'immagine, dobbiamo in modo particolare ringraziare il nostro Dio per la grazia che ci è stata data in Cristo Gesù - contemporaneamente non può rimanere per noi indifferente l'immagine del Profeta, l'immagine dell'"allontanamento di Dio", causato dal peccato dell'umanità e dall'oblio nei confronti di lui. Immagine che appartiene non soltanto all'Antico Testamento, ma ha, nello stesso tempo, un valore per oggi.

E perciò bisogna che nel nostro vivere l'Avvento rinasca quella fede eroica, che si manifesta nelle parole del Profeta: "Tu, Signore, tu sei nostro Padre, / da sempre ti chiami nostro redentore. / Perché, Signore, / ci lasci vagare lontano dalle tue vie / e lasci indurire il nostro cuore, così che / non ti tema?" (Is 63,16-17).

L'uomo, quando riconosce la sua debolezza, l'errore, quando riconosce il suo peccato, deve subito aggiungere: "Tu, Signore, tu sei nostro Padre", e allora il suo lamento: "Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie", è veritiero, acquista una forza di trasformazione, diventa conversione. Ogni riflessione sulla miseria, l'infedeltà, la sventura, il peccato dell'uomo, che professa dinanzi a Dio: "Tu sei nostro Padre", è creatrice, non conduce alla depressione, alla disperazione, ma al riconoscimento e all'accettazione di Dio come Padre, quindi come Amore che perdona e guarisce.

Di pari passo con una tale fede, che si manifesta anche mediante la confessione dei propri peccati, va dunque una fervida speranza: "Orecchio non ha sentito, / occhio non ha visto, / che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto / per chi confida in Lui" (Is 64,3).

E perciò il grido: "Ritorna per amore dei tuoi servi, / per amore delle tribù, tua eredità" (Is 63,17).


7. Quale deve essere quindi il nostro Avvento? Quale dev'essere l'Avvento degli uomini del XX secolo, l'Avvento vissuto in questa parrocchia? Deve unire in sé un nuovo desiderio di avvicinamento di Dio all'umanità, all'uomo, e la prontezza a vigilare, cioè la disposizione personale ad essere vicino a Dio. "Ma come potremo gioire nel Signore - chiede sant'Agostino se egli è tanto lontano da noi? Lontano? No. Egli non è lontano, a meno che tu stesso non lo costringa ad allontanarsi da te. Ama e lo sentirai vicino. Ama ed egli verrà ad abitare in te" (Serm 21,1-4: CCL 41,278).

Perciò, con una tale consapevolezza, noi facciamo nostre e pronunciamo col cuore le parole del Salmo responsoriale: "Tu, pastore d'Israele, ascolta... rifulgi... / Risveglia la tua potenza / e vieni in nostro soccorso... / Dio degli eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna... / Sia la tua mano sull'uomo della tua destra, / sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.

/ Da te più non ci allontaneremo, / ci farai vivere e invocheremo il tuo nome" (Ps 80,2 Ps 80,3 Ps 80,15 Ps 80,18-19).

Quel desiderio diventa tanto più vivo, quanto più profondamente risentiamo "la minaccia" collegata con l'allontanamento di Dio.

E la vigilanza non è niente altro che lo sforzo sistematico per restare vicini a Dio e non permettere l'allontanamento da Lui. Significa essere costantemente pronti all'incontro.


8. Tale programma dell'Avvento è annunziato oggi dal Vangelo. Questo brano costituisce l'epilogo del discorso escatologico, che Gesù pronuncio, lasciando il Tempio, alcuni giorni prima della sua Passione e Risurrezione. In questo breve testo si ripete quattro volte la parola "vigilare" o "vegliare" e una volta "stare attenti". Quanto è eloquente l'ultima frase: "Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!" (Mc 13,37).

Cristo dice quindi a noi tutti, riuniti qui oggi per celebrare l'Eucaristia, dice a ciascuno: "Vigilate", perché il momento è sconosciuto, ma è sicuro che esso verrà. La cosa più importante è la fedeltà al compito affidato e al dono che ci rende capaci di eseguirlo. A ciascuno è stato affidato un dovere che gli è proprio, quella "casa" di cui deve avere cura. Questa casa è ciascun uomo, è la sua famiglia, l'ambiente nel quale vive, lavora, riposa. E' la parrocchia, la città, il paese, la Chiesa, il mondo, di cui ciascuno è corresponsabile davanti a Dio e agli uomini. Qual è la mia sollecitudine per questa "casa" affidatami, perché regni in essa l'ordine voluto da Dio, che corrisponde alle aspirazioni e ai desideri più profondi dell'uomo? Qual è il mio contributo in quest'opera, che esige un costante mettere ordine, il rinnovamento, la fedeltà? Ecco le nostre domande e i compiti dell'Avvento.


9. "Mostraci, Signore, la tua misericordia / e donaci la tua salvezza" (Canto al Vangelo).

Ciò che è in noi debole grida alla tua misericordia, perché più forte è il desiderio della tua salvezza: "Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma".

Non metterci in balia della nostra iniquità, non ci porti essa via come il vento! Dacci il beato Avvento, "perché tu sei nostro Padre".

Data: 1981-11-29
Domenica 29 Novembre 1981


Ai membri della Fondazione "Latinitas" e ai vincitori del "Certamen Vaticanum" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: E' merito della Chiesa aver conservato nel medioevo le opere di Virgilio

Carissimi fratelli e sorelle,

1. Mi rallegro vivamente perché oggi mi è concesso insieme a voi - tra cui saluto particolarmente il Cardinale di Santa Romana Chiesa Pericle Felici, ringraziandolo per le sue deferenti parole - insieme a voi dico, studiosi della lingua latina, di celebrare il grande poeta latino Virgilio, di cui ricorre il bimillenario della morte di questo uomo insigne è stato giustamente commemorato non solo in Europa, alla cui cultura umanistica egli contribui non poco, ma anche in altre regioni, con pubblicazioni e convegni.


2. Conviene che anche la Chiesa cattolica e la stessa Sede di san Pietro illustri nuovamente la fama di un così grande poeta, per alcuni motivi ben precisi. A dire il vero, qualcosa è già stato fatto: sono stati emessi dalle Poste Vaticane francobolli che ricordano la sua memoria e - fatto di importanza ancora maggiore - grazie all'opera e all'attenzione del Direttore e degli addetti della Biblioteca Vaticana è stata predisposta una mostra dei Codici Vaticani, di diversa bellezza e di valore inestimabile, in modo che i visitatori possano osservarli e ammirarli nel loro insieme.


3. Ho detto che motivi particolari ci spingono a valorizzare Virgilio. Egli consegno il suo nome all'immortalità e anche da morto continuo, in un certo senso, a parlare e a insegnare non solo presso i romani, ma anche presso i cristiani, che stimarono non solo la sua arte, così illustre, raffinata e discreta, ma giunsero anche al punto di considerare questo poeta quasi come un profeta annunciatore di "un grande nuovo ordine" (cfr. Buc 4,5), che in seguito trovo in Cristo Redentore la sua realizzazione. I Padri della Chiesa lo onoravano: su questo tema si è tenuto ieri presso di voi un discorso. Sant'Agostino, per fare un esempio, esalto Virgilio con parole insigni, e fu sostenitore nella sua epoca della tesi secondo cui era bene che i ragazzi studiassero diligentemente le sue opere; diceva infatti: "I piccoli leggono Virgilio proprio perché è evidente che un grande poeta, il più famoso e tra tutti l'ottimo, non può essere dimenticato facilmente, se assorbito negli anni dell'infanzia" (De Civ. Dei, 1,3).

La Chiesa soprattutto ha il merito di aver fatto in modo, dopo la caduta dell'impero romano, cioè nel Medio Evo, che le opere del sommo poeta latino non andassero disperse: esse vennero conservate diligentemente soprattutto nelle biblioteche dei monasteri e nelle sale di scrittura vennero assiduamente trascritte. Tralasciano ciò che a quei tempi contribui a deformare, almeno in parte, la vera immagine del poeta di Mantova, non si deve dimenticare che egli deve essere considerato come un esempio di sapienza umana. Non bisogna quindi meravigliarsi che Dante Alighieri, insigne poeta cristiano, lo abbia descritto come sua guida negli inferi e nel purgatorio. Ma da quando rifiori l'interesse per il pensiero e le arti degli antichi, anche i cristiani, dedicandosi al loro studio ammirarono Virgilio con rinnovato ardore. E nei secoli successivi non cessarono presso di noi la stima e l'ammirazione per lui.


4. D'altra parte non basta ricordare l'"optimus" poeta, ma è utile che ci chiediamo che cosa Virgilio ha da insegnare a noi che viviamo in questa nostra epoca, rimasta per certi aspetti immutata, ma tuttavia esposta a repentini cambiamenti. Basterà occuparsi sommariamente di alcuni degli aspetti che sembrano di maggiore importanza.

Secondo la testimonianza degli antichi egli fu un uomo pio, semplice, discreto, amabile, dolce, pacifico e pronto ad offrire il suo aiuto. Ma anche nelle stesse sue opere traspare il suo ingegno puro e integerrimo; conviene a questo proposito ricordare ciò che egli provava a riguardo di una madre di famiglia e, di conseguenza, del vincolo familiare; si affacciano alla mente le parole con cui egli descrive la donna che adempie fedelmente ai compiti domestici, "per mantenere casto il talamo nuziale e educare i piccoli nati" (Aen., 8,412-413). Egli è sicuramente la testimonianza che l'animo dell'uomo è "naturalmente cristiano".

Il nostro tempo manca, tra l'altro, soprattutto di quei valori, nei quali sappiamo che Virgilio eccelleva, e che impedivano che il consesso sociale venisse annientato e distrutto dalla sfrenata volontà di dominio, dalla noncuranza per la dignità e i diritti dell'uomo, dal disprezzo per la vita altrui, dalla cieca cupidigia.


5. Virgilio fu poeta fornito di un altissimo senso di umanità. Chi non ricorda quelle famose parole, testimonianza di un animo commosso e addolorato, tanto brevi, concise ma significative che difficilmente si possono tradurre con parole nostre: "Sunt lacrimae rerum"? L'uomo non piange solo per l'avversa fortuna, ma anche le cose stesse quasi piangono e conoscono le lacrime.

Dopo le guerre e le stragi che avevano sconvolto la repubblica romana - Virgilio era bambino quando Catilina guidava le folle - egli odio la guerra e amo la pace. Ascoltiamolo quando dice: "Infuria l'amore per le armi e la scellerata pazzia della guerra" (Aen., 7,461); "E vengano lodati i benefici della buona pace" (Ciris 356). Non è forse l'amore per la pace, di cui egli era compreso, ciò che deve essere ricercato al massimo in questo nostro secolo sconvolto?


6. Virgilio fu poeta anche della natura; con quale sincero e sereno amore, con che soave modularsi di versi ha cantato i pascoli e i campi, i fiori e gli alberi, gli animali grandi e piccoli! E sicuramente utile che questo richiamo scuota le menti degli uomini che vivono nel nostro tempo, nel quale vengono inferti gravi danni alla natura da parte della industria moderna e di tante invenzioni dell'ingenio umano, mentre si devono dedicare particolarissime attenzioni per difenderla.


7. Virgilio, come sicuramente sapete, con la sua egregia opera le "Georgiche", celebro anche il lavoro manuale, "l'improbo "lavoro", che si manifesta con evidenza "nel sudore del volto", come è scritto nelle prime pagine della Sacra Scrittura. Esalta infatti l'umile lavoro dei campi e perciò la dignità del lavoro e di colui che lo pratica.

Capita quindi opportunamente che in quest'anno, dedicato alla memoria del poeta di Mantova, sia stata pubblicata la lettera enciclica che inizia con le parole "Laborem Exercens", in cui viene affrontato questo argomento, che abbraccia tutta l'azione dell'uomo e che, nella nostra epoca, è di grande importanza e richiede risposte sicure.


8. Infine il termine "cultura", che è ricorso in diversi discorsi da noi tenuti, è una parola sicuramente latina, derivata dalla coltivazione del campo e che e passata con significato traslato, la cultura umana.

Voi che vi occupate della cultura dell'anima latina, senza dubbio verrete confermati da queste solennità virgiliane nello studio della lingua che fu il linguaggio paterno di questo poeta e che la Chiesa ha ricevuto quasi come eredità ed ha fatto sua, e anzi il vostro studio ne riceverà un nuovo impulso, sebbene i nostri tempi sembrino sfavorire questa lingua. Il "Certamen Vaticanum", istituito dalla Sede Apostolica, sia come una palestra, in cui docenti e discepoli, amanti della lingua latina, si esercitino incessantemente, attenti nello stesso tempo a che - conviene ripetere le parole di sant'Agostino - "il grande poeta, il più famoso e tra tutti l'ottimo" non possa essere dimenticato.

Dio, che ha scelto la città di Roma come il luogo da cui si diffondesse dovunque la religione cristiana e in cui si stabilisse la Sede principale della Chiesa, aiuti i vostri studi e i vostri progetti. Con questo desiderio nell'animo, con gioia imparto a voi personalmente e a tutti i vostri cari, la benedizione apostolica.

Data: 1981-11-30
Lunedì 30 Novembre 1981


Per la festa di San Andrea Apostolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Messaggio al Patriarca Ecumenico Dimitrios I

A Sua Santità Dimitrios I, Arcivescovo di Costantinopoli, Patriarca Ecumenico, "La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con voi" (2Co 13,13). E con noi tutti! La nostra delegazione, presieduta dal Cardinale Jean Willebrands, presidente del Segretariato per l'Unione dei cristiani, porta a voi, Santità, e alla vostra Chiesa il saluto della Chiesa di Roma, (cfr. Rm 16,16) e dimostra con la sua presenza quanto io sia a voi unito nella preghiera in questo giorno di festa in onore dell'Apostolo Andrea.

Questi incontri annuali presso la Sede della vostra Chiesa e a Roma, in occasione della festa degli Apostoli Pietro e Paolo, permettono non solo una comune preghiera fervente e rinnovata, ma anche ci donano l'occasione d'intensificare regolarmente e di accordare i nostri sforzi nella ricerca dell'unità.

Per la celebrazione del XVI centenario del secondo Concilio Ecumenico, il primo Concilio di Costantinopoli, le nostre Chiese si sono sforzate di rinnovare e di approfondire, nel cuore e nella coscienza dei fedeli, le certezze tradizionali e sempre attuali della nostra comune fede nello Spirito Santo e nello stesso tempo esse hanno ricordato con insistenza la necessità di una preghiera continua per implorare l'azione vivificante di questo stesso Spirito e la disponibilità ad accoglierlo con docilità.

Questa nuova presa di coscienza della fede comune espressa dal Concilio, ci dovrebbe aiutare, lo spero di cuore, a superare le difficoltà dottrinali che si presentano ancora sul cammino che porta ad una ritrovata piena unità.

Due anni fa, in occasione del nostro indimenticabile incontro fraterno nel vostro patriarcato, abbiamo avuto la gioia di annunciare insieme la creazione della commissione mista di dialogo teologico. Oggi, mi rallegro di constatare che, grazie ai mezzi che questa commissione ha messo in atto, gli obiettivi che essa si era prefissi dopo la sua prima riunione, hanno potuto essere adempiuti con sollecitudine, con competenza e con un vivo amore per la Chiesa e per l'unità voluta dal Signore.

Non bisogna in effetti che il nostro cammino rallenti o si disperda. Sia le necessità del mondo cristiano, sia, più in generale, le scelte che sono chieste agli uomini di oggi e dalle quali dipende la loro esistenza futura, chiedono che il dialogo tra le nostre Chiese non si frantumi in questioni secondarie, ma si concentri sulla necessità essenziale di raggiungere il più presto possibile questa piena unità che potrà essere un contributo importante alla riconciliazione di tutti gli uomini. E l'essenziale è l'unità nella fede, in questa fede radicata nella Parola di Dio comunicataci nelle Sacre Scritture, predicata dagli Apostoli e difesa da tutti i cambiamenti e proclamata con forza da tutti i Concili Ecumenici in epoche differenti.

Santità, voglio assicurarvi ancora della piena disponibilità della Chiesa cattolica, in uno spirito di comprensione leale e di solidarietà fraterna, ad aderire a tutte le iniziative che saranno giudicate possibili ed opportune sia nel campo dello studio che nel campo dell'azione e che potranno approfondire e rafforzare la crescente fraternità tra le nostre Chiese. Che l'intercessione dei santi Apostoli fratelli Andrea e Pietro ci conceda una docilità vigilante e attiva a tutte le ispirazioni dello Spirito Santo! Con questi sentimenti, vi ripeto, Fratello carissimo, il mio profondo amore nel nostro unico Signore.

Data: 1981-11-30
Lunedì 30 Novembre 1981


GPII 1981 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)