GPII 1981 Insegnamenti - Al termine dell'udienza generale, appello per la Polonia - Città del Vaticano (Roma)

Al termine dell'udienza generale, appello per la Polonia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non è impossibile tornare sulla strada del rinnovamento

Sia lodato Gesù Cristo! Cari connazionali! Gli avvenimenti degli ultimi giorni hanno rivolto gli occhi di tutto il mondo verso la Polonia. In ciò si manifesta una chiara inquietudine e, contemporaneamente, la solidarietà con la nostra nazione. Per le espressioni di tale solidarietà ringrazio tutti, perché molto spesso sono indirizzate direttamente a me.

Questa inquietudine è fondata. Basta leggere il discorso, che domenica sera ha pronunciato il Primate di Polonia nella chiesa della "Madonna delle Grazie" a Varsavia, per risentire la misura di tale inquietudine entro il paese, che per l'introduzione dello stato d'assedio è stato tagliato fuori dai normali contatti con il resto del mondo. Dice il Primate: La Chiesa "ha appreso con dolore la rottura del dialogo, che si allacciava con tanta fatica, e l'ingresso sulla strada della violenza, qual è lo stato d'assedio. E ciò non può avvenire senza la violazione dei fondamentali diritti civili. Porta con sé, in molti casi, il disprezzo della dignità umana, gli arresti di innocenti, l'avvilimento degli uomini della cultura e della scienza, l'incertezza, in tante famiglie...".

In tali condizioni, la mia sollecitudine si rivolge ancora verso la patria, verso la nazione, di cui sono figlio, e che come ogni nazione e paese ha diritto ad una particolare sollecitudine da parte della Chiesa. Questa sollecitudine abbraccia in questo momento tutta la Polonia e tutti i polacchi.

Essi hanno, come nazione, il diritto di vivere la propria vita e di risolvere i propri problemi interni nello spirito delle proprie convinzioni in conformità con la propria cultura e tradizioni nazionali.

Questi problemi, indubbiamente difficili, non si possono risolvere con l'uso della violenza.

Di qui il mio appello e la mia richiesta: bisogna ritornare sulla strada del rinnovamento, costruito col metodo del dialogo, nel rispetto dei diritti di ogni uomo e di ogni cittadino. Questa strada non era facile - per cause ben comprensibili - ma non è impossibile.

La forza e l'autorità del potere si esprimono in tale dialogo e non nell'uso della violenza.

Già domenica, alla prima notizia dell'introduzione dello stato d'assedio ho ricordato le mie parole pronunciate in settembre: "Non si può versare sangue polacco!". Oggi ripeto le stesse parole.

E insieme con tutta la Chiesa e, in particolare, con la Chiesa in Polonia, affido a Cristo, che è Signore del secolo futuro, e alla sua Madre, in Jasna Gora, tutta la mia patria, questa nazione provata, non per la prima volta, nella lotta per il giusto diritto di essere se stessa!

Data: 1981-12-16
Mercoledì 16 Dicembre 1981


Omelia durante la Santa Messa per gli universitari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per rispondere alle domande sull'uomo accanto alla scienza è necessaria la sapienza



1. Carissimi, a tutti il mio cordiale benvenuto! Saluto gli studenti e i professori delle Università e delle altre Scuole superiori di Roma, come anche gli ospiti venuti da fuori Roma, qui riuniti.

Ci incontriamo in questa assemblea liturgica ogni anno nel periodo di Avvento e di Quaresima, per mettere così in evidenza il carattere particolare di questi due periodi, che nel linguaggio liturgico vengono definiti "tempi forti".

Questa qualifica parla di una particolare intensità dei contenuti religiosi dell'Avvento (e, in seguito, della Quaresima), a cui da parte nostra dobbiamo rispondere con una particolare intensificazione dell'impegno religioso. Nell'uno e nell'altro caso il mistero centrale del tempo, ossia il mistero dell'Incarnazione, in Avvento, e il mistero della Redenzione, in Quaresima, costituiscono come una grande sfida per il cristiano, per la sua fede e per il suo comportamento.

E perciò esprimo viva gioia per la vostra presenza. Oggi, così come un anno fa, possiamo accogliere insieme la sfida della liturgia, cercandone una adeguata risposta nei nostri cuori e nelle nostre coscienze.


2. La liturgia di Avvento entra oggi nel suo ciclo ultimo e definitivo, collegato con l'immediata preparazione al mistero dell'Incarnazione: al Natale.

Ed è in questa luce che bisogna intendere ambedue le letture, le quali - ognuna a suo modo - mettono in rilievo la genealogia umana di Cristo, del Messia.

Il Figlio di Dio che per opera dello Spirito Santo diventa uomo, nascendo dalla Vergine Maria la notte di Betlemme (nella liturgia ci separano da essa sette giorni), ha, come uomo, la sua umana ascendenza. Oggi la Chiesa rilegge questa genealogia secondo il Vangelo di Matteo. Ascoltiamo quindi tutta una serie di nomi che seguono l'uno dopo l'altro, componendosi nei tre cicli che si susseguono: da Abramo a Davide; da Davide alla deportazione in Babilonia, e dalla deportazione in Babilonia alla nascita di Gesù "chiamato Cristo".

Dobbiamo soffermarci sul testo dell'odierno brano. Dobbiamo fare una riflessione su ciò che si trova sotto la superficie di questo elenco di nomi, che si susseguono nell'enumerazione di Matteo. Vi si scorge l'Avvento. Si, l'Avvento.

Forse perfino questo "arido" testo, privo della forza poetica dei brani di Isaia o della drammatica espressione dei Vangeli che parlano della missione di Giovanni Battista al Giordano, parla ancora più pienamente e ancor più fortemente di ciò che è stato e di ciò che è l'Avvento. Ciascuno dei nomi che abbiamo letto oggi testimonia delle generazioni degli uomini, che con la fede hanno atteso il compimento della Promessa. Essi aspettavano la venuta del Messia, cioè dell'Unto: dell'Uomo mandato da Dio affinché liberasse il suo popolo. Questo Messia, mandato da Dio, doveva nascere da loro, doveva essere l'ultimo germoglio di tutte le generazioni del Popolo eletto e prima di tutto della Stirpe. Da questa Stirpe, della quale i singoli membri nascevano e morivano nella speranza del compiersi della Promessa, doveva nascere Lui. Matteo mette il suo nome alla fine della sua genealogia.


3. La genealogia umana di Gesù "chiamato Cristo" è costituita dai nomi di uomini congiunti tra loro, dall'unione di un Popolo, e più ancora dalla Stirpe, ed è costituita dalla Promessa.

Questa Promessa, Abramo l'ha ricevuta per primo.

Nell'odierna liturgia, la promessa data ad Abramo rivive nelle parole del testamento di Giacobbe, nipote di Abramo. Giacobbe, cioè Israele, raduna i suoi dodici figli: "Radunatevi ed ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre..." (Gn 49,2). Illuminato dall'ispirazione profetica, si rivolge a tutti, ma soprattutto ad uno di loro, a Giuda, distinguendolo tra i fratelli. E lo distingue non per la sua prodezza o per altri pregi, ma a motivo della Promessa: "Non sarà tolto lo scettro da Giuda / ne il bastone del comando tra i suoi piedi, / finché verrà colui al quale esso appartiene / e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli" (Gn 49,10).

Come sentiamo nella genealogia di Matteo, tra i discendenti di Giuda - proprio di Giuda si è trovato Davide che, come re, ha impugnato lo scettro, regnando sulla tribù di Giuda e su tutto Israele. Da Davide, quindi, incominciano a contarsi le generazioni regali. Dalla stirpe regale doveva nascere Colui del quale parlava la Promessa.


4. Lo saluta come re anche l'odierna liturgia con le parole del salmo responsoriale.

Questo Re è l'Unto di Dio, cioè il Messia. L'immagine, a cui si riferiscono le parole del Salmo, s'avvicina a quella che conosciamo dalla profezia di Isaia; anche se l'immagine di Isaia sembra essere ancora più vicina alla verità su Cristo, e perciò alle parole di questo Profeta si richiama Gesù durante la sua prima comparsa pubblica a Nazaret, sui paese, sia anche più tardi rispondendo alla domanda dei discepoli di Giovanni: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; / per questo mi ha consacrato con l'unzione, / e mi ha mandato per annunciare ai poveri il lieto messaggio, / per proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista; / per rimettere in libertà gli oppressi, / e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19 cfr. Lc 7,22).

L'immagine del Messia-Re dell'odierno salmo s'avvicina in molti punti a quella di Isaia. Il Messia-Re deve reggere "con giustizia il... popolo e i... poveri con rettitudine" (Ps 71,2). Anzi "ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri" (v. 4). Questi tratti sono anzitutto vicini ad Isaia. Tuttavia il salmo mette l'accento soprattutto sulla giustizia e universalità del Messia-Re: "Nei suoi giorni fiorirà la giustizia / e abbonderà la pace... / dominerà da mare a mare, / dal fiume sino ai confini della terra" (vv.7-8).


5. Attraverso la serie dei nomi che leggiamo nella genealogia di Gesù "chiamato Cristo", scritta da Matteo, traspare tutto l'avvento storico: l'attesa della discendenza di Abramo e di Giacobbe, le speranze legate alla dinastia di Davide...

E tuttavia Giacobbe disse: "Non sarà tolto lo scettro da Giuda / né il bastone del comando tra i suoi piedi, / finché verrà colui al quale esso appartiene / e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli". Il che vuol dire che, quando Lui verrà, lo scettro sarà preso da un altro Re, come segno di un altro Regno! E lo scettro del sovrano terreno, pastore del popolo, verrà sostituito dal vincastro del Buon Pastore.

Le parole del Patriarca sembrano preannunciare ciò che nei calcoli umani è stato smarrito o offuscato...

Ma appunto in questo evento "storico" non si tratta di calcoli umani, ma della Promessa stessa nella sua eterna Verità divina: e Dio è sempre più grande! E' più grande dei calcoli umani e delle umane aspettative. La Promessa del Dio vivente cresce al di sopra di ciò che ne hanno inteso gli uomini e che anche ora ne intendono... Proprio in questo consiste il significato particolare dell'Avvento, sia di quello "storico" sia di quello che ogni anno ritorna nella liturgia della Chiesa.

Dio e sempre più grande! La promessa, che si compirà la notte di Betlemme, "umanamente" deluderà coloro che hanno atteso la venuta di un re, la salvifica incarnazione di un discendente sul seggio terrestre di Davide. Poiché infatti nella notte di Betlemme nascerà un bambino, al cui capo Giuseppe e Maria non saranno in grado di assicurare un tetto.

Così dunque la Promessa si compie "al di sotto", delle aspettative umane, e contemporaneamente il compimento della Promessa supera tutte le aspettative umane dei discendenti di Abramo, di Giacobbe, di Davide; nella notte di Betlemme Dio stesso verrà a salvarci (cfr. Is 35,4).

Noi saremo testimoni non della incarnazione salvifica di un re della stirpe di Davide, ma testimoni dell'Incarnazione salvifica di Dio nella stirpe di Davide.

Così dunque Matteo, che ha scritto la genealogia umana di Gesù "chiamato Cristo", ha ricostruito in questa sua registrazione l'umana genealogia del Verbo Incarnato: "Dio da Dio. Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato della stessa sostanza del Padre", che "per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo".


6. così Dio è più grande, nella sua Promessa, di ogni umana aspettativa. Cristo, che è nato nella notte di Betlemme, fino alla fine dei suoi giorni quaggiù sarà una delusione per le aspettative terrene. Già dopo la sua crocifissione - e non sapendo ancora della sua risurrezione - due discepoli sulla strada per Emmaus diranno ad un casuale Passante (non sapendo che parlavano a Cristo): "Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele..." (Lc 24,21). Non è questo un "divino paradosso"? La notte di Betlemme porterà già con sé l'inizio di questo divino "Paradosso": il Figlio di Dio, e nello stesso tempo il discendente regale di Davide, nascerà in condizioni degne dell'ultimo povero.

La notte di Betlemme porta in sé già il primo preannunzio della notte pasquale: "Dio si rivela nella sua potenza salvifica mediante la debolezza, mediante l'umiliazione e la spogliazione.

Egli dimostra che è sempre "più grande" mediante il fatto che diventa "più piccolo".

L'Avvento ci prepara a questo Paradosso dell'Emmanuele. Emmanuele vuol dire "Dio con noi".

In un certo modo ci siamo abituati al fatto che egli "è con noi".

Dobbiamo continuamente riscoprire ciò di nuovo. Dobbiamo di nuovo stupirci con questo stupore della notte di Betlemme, che ogni anno ci permette di ritrovare Dio "con noi". Dobbiamo entrare in questo spazio. Dobbiamo ritrovare il sapore di Dio.

Di questo Dio che continuamente "viene" e sempre "è con noi".

Di questo Dio che sempre "è più grande", proprio mediante ciò che è "più piccolo": ugualmente come Bambino senza tetto nella notte di Betlemme, e come Condannato spogliato di tutto sulla croce del Golgota.

Dobbiamo ritrovare il sapore di questo Dio: del Dio Vivente. Del Dio dei nostri padri: Abramo, Isacco, Giacobbe. Di Dio che si rivela fino alla fine in Gesù Cristo.

Dobbiamo ritrovare il sapore semplice e meraviglioso di questo Dio. A ciò soprattutto serve l'Avvento.


7. Nel giorno del 17 dicembre, primo degli ultimi sette giorni dell'Avvento liturgico, la Chiesa prega così: "O Sapienza che esci dall'Altissimo, / e tutto disponi con forza e dolcezza: / vieni a insegnarci la via della vita" (Canto al Vangelo).

Al termine della genealogia umana di Gesù "chiamato Cristo" si trova il mistero dell'Incarnazione.

Davanti a tale mistero sempre vien fatto di porre la domanda, che con parole lapidarie ha formulato uno dei più illustri pensatori del medioevo, san Anselmo: "Cur Deus homo".

Perché Dio si è fatto uomo? Perché è entrato nella storia dell'umanità, venendo al mondo attraverso la continuità delle generazioni del Popolo eletto di Dio? Bisogna che noi ci poniamo questa domanda "Cur Deus homo", che in un certo qual modo non ci separiamo da essa.

Questa domanda è importante - è centrale, è la più importante - per riguardo all'uomo.

L'ultimo Concilio risponde: Dio si è fatto uomo per rivelare all'uomo, fino in fondo, chi è l'uomo, manifestandogli la grandezza della sua più alta vocazione.

Al termine dell'umana genealogia di Cristo si trova il mistero dell'Incarnazione. Nel mistero dell'Incarnazione l'uomo ritrova non soltanto Dio, che è "più grande" perché diventato "più piccolo", che è "altro" ed e diventato simile a noi, che è "illimitato" ed è diventato "vicino"...

Nel mistero dell'Incarnazione l'uomo ritrova contemporaneamente se stesso. La verità sull'uomo è inscritta nel mistero dell'Incarnazione non meno che la verità su Dio.

L'Avvento dice a ciascuno di noi che dobbiamo imparare la nostra umanità alla luce del mistero dell'Incarnazione di Dio.

L'uomo non è stato creato fin dall'inizio ad immagine e somiglianza di Dio?


8. Di qui è l'odierno appello, indirizzato alla stessa eterna Sapienza. La Chiesa si rivolge ad essa e dice: "vieni".

"Vieni ad insegnarci la via della vita".

L'uomo odierno sa molto di più su se stesso e sul mondo che l'uomo delle generazioni passate. Conosce molto meglio le strutture e i meccanismi che condizionano i processi della sua vita e della sua attività. La somma della scienza specifica sull'uomo - così come su tutta la natura morta e viva - è colossale.

Contemporaneamente l'uomo - con tutta l'enormità di questa scienza specifica su di sé - non conosce se stesso fino in fondo. Rimane per se stesso un incomprensibile enigma. O piuttosto un mistero inscrutabile. E sempre di nuovo lo travaglia la domanda sul senso: sul senso di tutto, e soprattutto della sua umanità. Cur homo? (Perché l'uomo?).

L'appello dell'Avvento, indirizzato alla Sapienza, è sempre attuale.

Infatti all'uomo non basta la scienza, che con penetrante esattezza descrive le strutture ed i meccanismi, che condizionano la sua esistenza e le sue azioni.

All'uomo è necessaria la Sapienza che - unica - gli permette di comprendere il senso di questa esistenza umana e di orientare adeguatamente le proprie azioni.

Il mondo che ci circonda fornisce prove spaventose di ciò verso cui può essere orientata l'attività di questo piccolo uomo, quando non trova in se stesso la risposta alla domanda sul senso: cur homo? / perché l'uomo?


9. La Chiesa dell'Avvento invoca oggi, una settimana prima del Natale del Signore, l'eterna Sapienza.

Si devono incontrare nella nostra coscienza queste due domande: cur homo? e: cur Deus-homo?, se noi dobbiamo imparare le "vie della vita", cioè le vie della vita veramente degna dell'uomo. Forse nessuna epoca, più della nostra, ha sentito il bisogno di sottolineare la dignità dell'uomo e, nello stesso tempo, forse nessuna è caduta in tante collisioni con questa dignità.

Che il nostro odierno incontro, la nostra comune (veglia) di Avvento ci aiuti a superare questa antinomia.

Il Verbo che si è fatto Carne insegni a ciascuno di noi "la via della vita", ed incessantemente ci indichi questa via nei sacramenti della fede: nel sacramento della penitenza e della riconciliazione, nell'Eucaristia.

Cerchiamo di partecipare ad essi. Cerchiamo di rendere questa partecipazione sempre più matura: alla grata del confessionale, alla mensa eucaristica, rivivono queste due domande: cur homo? e: cur Deus homo? E l'una ci permette di trovare la risposta alla seconda.

..."vieni ad insegnarci la via della vita".

Cari Amici! Accettate questi pensieri del vostro Vescovo, nati dalla meditazione della liturgia dell'Avvento, e nello stesso tempo dall'amore per ciascuno di voi.

Dall'amore per l'uomo che così come voi, cerca "la via della vita".

Data: 1981-12-17
Giovedì 17 Dicembre 1981


Ai docenti e agli alunni dell'Istituto della famiglia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il bene della società è legato al bene della famiglia

Cari fratelli e sorelle! Sono lieto di darvi il mio cordiale benvenuto, in questo mio primo incontro con voi, diletti docenti e studenti dell'Istituto per la Famiglia, aggregato all'Università Lateranense. E mi compiaccio di salutare in voi i primi membri di questa nuovissima istituzione accademica, di cui mi attendo una vita intensa e feconda.

1. Nella recente esortazione apostolica "Familiaris Consortio" ho scritto: "La Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia, sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia" (FC 3).

L'Istituto è una delle espressioni più chiare ed importanti di questa consapevolezza.

Ho voluto io stesso questo Istituto, attribuendovi una particolare importanza per tutta la Chiesa. Esso, infatti, è chiamato a divenire un centro superiore di studi e di ricerca a servizio di tutte le comunità cristiane, con una precisa finalità: approfondire sempre più la conoscenza della verità del matrimonio e della famiglia, alla luce congiunta della fede e della retta ragione.

Questa verità deve essere l'oggetto di tutta la vostra ricerca scientifica, profondamente consapevoli che solo la fedeltà ad essa salva interamente la dignità del matrimonio e della famiglia.

Tutto questo comporta che approfondiate il vostro lavoro di studenti con grande serietà e senso di responsabilità. Il che significa, innanzi tutto, un giusto atteggiamento personale nei confronti di quella verità che è oggetto dei vostri studi: essa deve essere cercata con umile venerazione, poiché la sua conoscenza più che conquista umana, è dono di Dio. Significa pure, un impegno costante di studio rigoroso e di continua riflessione, poiché la verità si mostra interiormente solo a colui che la cerca con tutto se stesso. Il fatto, poi, che già in questo primo anno della sua attività accademica, all'Istituto si siano iscritti alunni provenienti da ogni parte del mondo, vi consentirà un dialogo culturale, uno scambio di idee, di informazioni, di esperienze a raggio ecclesiale internazionale.


2. In questa circostanza, intendo richiamare la vostra attenzione su alcuni punti che giudico di particolare importanza per il conseguimento della finalità che l'Istituto si propone.

Alla base dei vostri studi, deve porsi una solida ed adeguata antropologia; un'antropologia che comprenda la verità intera della persona umana.

Infatti, la soluzione dei problemi posti dal matrimonio e dalla famiglia implica sempre una antropologia. La quale, se non è adeguata, genera soluzioni non rispettose della dignità dell'uomo e della donna. Per fare solo un esempio, ma di decisiva importanza, è per questa ragione che nella già citata esortazione apostolica, parlando della differenza che esiste tra la contraccezione e il ricorso ai metodi naturali, ho scritto: "si tratta di una differenza assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili" (FC 32). E' su questa visione adeguata della persona umana, la quale - come insegna il Vaticano II - può avere una conoscenza completa di se stessa solo alla luce del Mistero del Verbo incarnato (cfr. GS 22), è su questa visione, dicevo, che voi dovete fondare tutte le risposte ai problemi posti oggi dalla vita matrimoniale e familiare. Conseguenza essenziale di essa è la riflessione etica: la riflessione, cioè, sul valore e sui valori della persona umana come tale e, in particolare, sui valori morali che devono essere realizzati nella vita matrimoniale e familiare.

Da tutto ciò, allora, deriva che la ricerca nell'Istituto, pure nella necessaria pluralità di insegnamenti, deve sempre più essere caratterizzata da una profonda unità nel suo insieme. Ogni disciplina è come un frammento che, componendosi con gli altri, mostra una "figura" unitaria, che voi dovete chiaramente percepire: la "figura" del matrimonio e della famiglia nella sua verità intera, come è pensata da Dio.

E' questa la dignità suprema del pensare teologico, che san Tommaso non esitava a chiamare "quaedam participatio divinae scientiae".

Ed è per questo che invoco su di voi la luce del Verbo incarnato, perché la sua verità sia la guida dei vostri studi, che auspico proficui per voi stessi e per quanti ne sperimentano su di sé il riverbero.

In pegno di questi voti, imparto di cuore a voi tutti la mia paterna Benedizione Apostolica.

Data: 1981-12-19
Sabato 19 Dicembre 1981



L'omelia alla Messa per gli alunni del Pontificio Seminario Romano Minore - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il ruolo della famiglia nella nascita delle vocazioni



1. "Eccomi, sono la serva del Signore" (Lc 1,38).

Queste parole di Maria stanno al centro dell'odierna celebrazione liturgica della Quarta Domenica di Avvento.

Siamo ormai vicinissimi alla Solennità del Natale, ed i nostri cuori si infiammano sempre più di desiderio e di amore per Colui che deve venire. Nelle domeniche, le letture della liturgia ci hanno proposto la figura austera di Giovanni il Battista, esempio luminoso di attesa nell'umiltà e nella chiaroveggenza.

Oggi, invece, abbiamo davanti agli occhi la figura di Maria, così come ce la descrive l'evangelista Luca nella classica scena dell'Annunciazione.

Pensiamo a quanti artisti hanno ritratto e interpretato quel sublime momento: quanti modi diversi di riprodurre la singolare esperienza e la decisività di quell'ora! Eppure tutti concordano, pur con varietà di stile e di dettagli, nel sottolineare la personalità di Maria davanti all'angelo, il suo profondo atteggiamento di ascolto e la sua risposta di totale disponibilità: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto"!


2. Quello è stato il momento della vocazione di Maria. E da quel momento è dipesa la possibilità stessa del Natale. Senza il Si di Maria, Gesù non sarebbe nato.

Cari fratelli e sorelle! Miei cari ragazzi! Quale lezione è questa per tutti! Voi, qui presenti, siete seminaristi o amici del Seminario, e siete anche genitori e familiari di questi ragazzi. Ebbene, il Vangelo di oggi è veramente adatto a questo nostro incontro, per farci riflettere sul grande tema della vocazione.

Infatti, senza il Si di tante anime generose, non è possibile continuare a far nascere Gesù nel cuore degli uomini, cioè portarli alla fede che salva. Ma proprio questo è necessario: che l'"Eccomi" di Maria si ripeta sempre di nuovo, e quasi riviva, nella dedizione vostra e di tanti come voi, perché non manchi mai al mondo la possibilità e la gioia di trovare Gesù, di adorarlo e di lasciarsi guidare dalla sua luce, come già avvenne per i poveri pastori di Betlemme e per i Magi venuti da lontano. Questa infatti è la vocazione: una proposta, un invito, anzi una sollecitudine a portare il Salvatore al mondo d'oggi, che ne ha tanto bisogno. Un rifiuto significherebbe non solo respingere la parola del Signore, ma anche abbandonare molti nostri fratelli nell'orrore, nel non-senso, o nella frustrazione delle loro aspirazioni più segrete e più nobili, a cui non sanno e non possono da soli dare risposta.

Noi oggi ringraziamo Maria per aver accolto la chiamata divina, poiché la sua pronta adesione è stata all'origine della nostra salvezza. Allo stesso modo, molti potranno ringraziare anche voi e benedirvi, perché, accettando la chiamata del Signore, porterete loro il Vangelo della grazia (cfr. Ac 20,24), diventando, come scrive san Paolo, "collaboratori della loro gioia" (cfr. 2Co 1,24).


3. Ma per far maturare una vocazione è necessario l'apporto della famiglia. Nella recente esortazione sui compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi, ho scritto che essa è "il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio" (FC 53); infatti, "il servizio svolto dai coniugi e dai genitori cristiani in favore del Vangelo è essenzialmente un servizio ecclesiale, rientra cioè nel contesto dell'intera Chiesa quale comunità evangelizzata ed evangelizzante" (FC 53).

Cari genitori qui presenti, vi esorto vivamente a continuare sempre più ad essere di questi uomini e di queste donne, che sentono a fondo i problemi della vita della Chiesa, che se ne fanno carico e sanno anche trasmettere ai figli questa sensibilità, con la preghiera, la lettura della Parola di Dio, l'esempio vivo. Normalmente una vocazione nasce e matura in un ambiente familiare sano, responsabile, cristiano. Proprio li essa affonda le sue radici e di li trae la possibilità di crescere e diventare un albero robusto e carico di frutti saporosi.

Certo sarà necessario cooperare in armonia col Seminario diocesano e procedere di pari passo nel delicato compito dell'educazione e della formazione degli aspiranti al Presbiterio. In effetti, il Seminario svolge un ruolo unico e determinante. Ma tutto parte dalla famiglia e tutto è condizionato in ultima istanza da essa.

Perciò, anche voi, cari familiari, partecipate della vocazione di questi ragazzi. Anche voi, in un certo senso, potete e dovete rispondere al Signore: "Eccomi, ... avvenga di me quello che hai detto", concedendo a Lui e anzi donandogli il frutto del vostro amore reciproco. E siate certi che per il Signore e per la sua Chiesa vale la pena di impegnarsi fino a questo punto.


4. L'angelo disse a Maria: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo" (Lc 1,35). Ebbene, io vi raccomando di cuore a questa "potenza" divina e ad essa vi affido, poiché "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,37); al contrario, con la sua grazia si possono operare "grandi cose", come la Madonna stessa canto nel Magnificat, (cfr. Lc 1,49).

Il Natale che viene sia ricco di luce e di forza per tutti voi: perché possiate scorgere bene il cammino che siete chiamati a percorrere in questa vita terrena, possiate intraprenderlo con generosa determinazione, e possiate sostenerlo con perseveranza ed entusiasmo incessante. Amen!

Data: 1981-12-20
Domenica 20 Dicembre 1981


Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La preghiera della Chiesa circondi la Polonia



1. Alma Redemptoris Mater...

Con tali parole inizia l'antifona mariana, che la Chiesa recita particolarmente nella liturgia dell'Avvento, come anche, in seguito, nella liturgia del tempo di Natale.

Presentando in essa lo stato dell'umanità dopo il peccato originale, la Chiesa prega Colei, che è "la Porta del cielo" e "la Stella del mare", di venire in aiuto a questa umanità ed a ogni uomo, che vuole rialzarsi dalla caduta e liberarsi dalle catene del male: "succurre cadenti, / surgere qui curat, populo: / tu, quae genuisti, natura mirante, / tuum sanctum Genitorem".

Penetrante è il suono di queste parole, particolarmente quando le cantiamo nell'antica intonazione gregoriana. Si racchiude in esse quasi una nostalgia del bene perduto e insieme la speranza collegata col Natale del Signore.

Colei che, per la potenza soprannaturale di Dio, è diventata la Madre dell'Eterno Verbo, può aiutare l'uomo e l'umanità.


2. Nel periodo dell'Avvento, quando i nostri pensieri assorbono più profondamente la verità rivelata da Dio e i nostri cuori si purificano con la venuta del Signore, la Chiesa ricorda a tutti il problema delle vocazioni al servizio esclusivo di Dio. Le vocazioni sono, dappertutto e sempre, un criterio della fertilità spirituale. Il suolo della Chiesa le fa nascere nei cuori, così come la terra fertile dà il frutto al suo tempo. Da questo punto di vista, consideriamo il periodo di Avvento come il tempo particolarmente privilegiato, come il tempo della grazia e della visitazione, e perciò chiediamo tanto più calorosamente che al Popolo di Dio non manchino, in nessun luogo, gli amministratori dei misteri di Dio; che non manchino neppure le persone - uomini e donne - che, vivendo secondo i consigli evangelici, diano testimonianza al "Regno futuro", al quale ci prepara tutta la storia della Chiesa e del mondo mediante un incessante Avvento.

Bisogna che tale preghiera s'intensifichi particolarmente là dove le vocazioni mancano di più. "Alma Redemptoris Mater,... succurre!".


3. Desidero già oggi, nell'imminenza delle feste natalizie, rivolgere i pensieri e i cuori di tutti verso coloro che, in queste feste, si troveranno nella sofferenza: negli ospedali, nelle carceri, nei campi di detenzione, in esilio, lontano dai loro cari... Quante diverse specie di sofferenze provano l'anima e il corpo dell'uomo, del nostro fratello e della nostra sorella! E difficile richiamarle tutte alla memoria.

Dal cuore della Chiesa scorrono le parole di speranza dell'Avvento: il Signore è vicino! Desidero condividere oggi questa speranza con quelli che ne hanno maggior bisogno.

Che, dopo le parole, venga la Luce e illumini il buio dell'umana esistenza, perfino quella più difficile. Venga la Grazia e riveli la dignità dell'umanità, che deriva dal mistero della Nascita di Dio. Si rialzi ogni uomo da qualsiasi depressione si trovi. Alma Redemptoris Mater! succurre!


4. Facendo riferimento alle parole della stessa Antifona dell'Avvento, desidero raccomandare alla Genitrice di Dio la mia Patria, la Nazione di cui sono figlio.

Da diverse parti ricevo assicurazioni di preghiere e di spirituale solidarietà.

Sono profondamente grato per questo. Sono grato inoltre per la convinzione manifestata in questa circostanza che i problemi di cui si tratta in Polonia sono importanti per tutte le nazioni e le società, per l'Europa e per il mondo contemporaneo. E perciò continuo a chiedere a tutti la preghiera e la solidarietà verso quel popolo, che ha diritto di poter vivere la propria vita nella pace e nel rispetto dei diritti umani.

In modo particolare, invito a pregare per coloro che nei giorni scorsi hanno perso la vita o hanno riportato ferite, per gli arrestati e per quanti sono stati strappati dalle loro famiglie, e per le famiglie prive dei loro cari. Tra pochi giorni sarà il Natale del Signore. La preghiera della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontà circondino la Polonia, mia Patria: " Alma Redemptoris Mater... succurre cadenti, surgere qui curat populo!".

(Al termine della recita dell'"Angelus" il Santo Padre ha detto:) Vada ora un particolare saluto ai bambini delle parrocchie romane, che sono venuti alla preghiera dell'"Angelus" portando con sé la statuina di Gesù Bambino per farla benedire dal Papa.

Carissimi, sono lieto che nelle vostre case si conservi la bella tradizione di costruire il presepe in occasione del Natale. Sarà così più facile a voi ed ai vostri cari ricordare il mistero dell'amore, che si compi a Betlemme, quando il Figlio di Dio volle nascere dalla Vergine Maria per portarci la salvezza. Nel benedire le figurine, che reggete nelle vostre mani, desidero benedire contemporaneamente voi e tutti i componenti delle vostre famiglie, con l'augurio cordiale che il prossimo Natale rechi gioia e pace nelle vostre case e in quelle di tutti i bambini del mondo.

Data: 1981-12-20
Domenica 20 Dicembre 1981



GPII 1981 Insegnamenti - Al termine dell'udienza generale, appello per la Polonia - Città del Vaticano (Roma)