GPII 1982 Insegnamenti - Al segretario generale delle Nazioni Unite - Città del Vaticano (Roma)

Al segretario generale delle Nazioni Unite - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: E' necessaria la collaborazione di tutti per aprirsi ad una visione universale del bene comune

Testo:

Signor Segretario Generale.

Le sono profondamente grato per questa visita che ha desiderato farmi pochi mesi dopo aver assunto le sue alte funzioni di Segretario Generale dell'ONU.

E' per me motivo di vera soddisfazione aver potuto conoscerla personalmente, e mi è gradito rinnovarle i migliori auguri per i gravi compiti che le competono, manifestandole anche la volontà di continuare e approfondire il dialogo cordiale e rispettoso tra la Chiesa Cattolica e l'ONU, al cui sviluppo attribuisco una grande importanza.

La posizione che lei, Signor Segretario Generale, occupa nel sistema dell'ONU e nella comunità internazionale può dirsi unica nel suo genere. Chiamato a dirigere il Segretariato Generale di una organizzazione tanto complessa, lei deve svolgere infatti funzioni molto importanti di ordine amministrativo, ma nello stesso tempo le compete una delicata missione di tipo politico che si svolge in comitati rappresentativi, diplomatici e operativi.

Il carattere internazionale della sua funzione è al servizio della universalità dell'ONU e tende al conseguimento di finalità molto alte: la pace e la cooperazione tra tutti i popoli, la salvaguardia della dignità dei diritti dell'uomo, la giustizia internazionale. La mera enunciazione di queste funzioni e obiettivi è già un porre in rilievo l'importanza dell'incarico che lei occupa e del servizio che può prestare a tutta la famiglia umana.

Lei lo sa bene, Signor Segretario Generale, ma desidero ripeterlo in questa: la Santa Sede, attraverso i successivi Papi, ha manifestato il suo appoggio morale, in modo chiaro e solenne, ai principi istituzionali e agli obiettivi essenziali dell'ONU. Il mio predecessore Paolo VI, nel suo memorabile discorso del 4 ottobre 1965, qualifico l'ONU come "il cammino necessario della civiltà moderna e della pace mondiale".

Io stesso, rivolgendomi alla XXXIV Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 2 ottobre 1979, ho confermato la stima e l'atteggiamento dei miei predecessori verso questa Istituzione. I motivi di tale stima, Signor Segretario Generale, non sono contingenti, ma ben meditati. Si basano su convinzioni profonde: la necessità di una organizzazione della società internazionale, nell'attuale fase di sviluppo cui è giunta l'interdipendenza tra i popoli, per il conseguimento del bene comune internazionale e la conseguente necessità di una autorità mondiale; e nello stesso tempo la convinzione degli stretti vincoli - direi essenziali - che vi sono tra l'organizzazione della società internazionale e la salvaguardia della pace e della concordia tra tutti i popoli della terra.

Nel momento storico che viviamo, l'interesse della pubblica opinione si volge angustiato verso tanti punti di tensione: alla tanto delicata situazione che si è creata tra l'Argentina e la Gran Bretagna e, più in generale, converge a ragione sulla terribile e permanente minaccia di una guerra nucleare. Minaccia divenuta più reale che mai per l'ostinazione nel rafforzare ulteriormente gli arsenali divenuti più che traboccanti, e per le grandi difficoltà che incontrano i governi responsabili nel decidersi ad aprire alcuni ambiti di negoziati realistici ed efficaci sui differenti tipi di armamenti.

Signor Segretario Generale, la Santa Sede è più che mai preoccupata per la recrudescenza della tensione internazionale e spera vivamente che la prossima assemblea straordinaria sul disarmo contribuisca a rasserenare gli spiriti; ma nello stesso tempo non si può non preoccuparsi perché questi problemi concernenti più immediatamente i paesi industrializzati tendono a lasciare nell'ombra la drammatica situazione dei due terzi più sfavoriti della popolazione del globo.

Come sarebbe importante che le attività delle Nazioni Unite per lo sviluppo dei popoli continuassero ad essere al primo posto nelle preoccupazioni dei governi dei paesi più ricchi. Vista l'ampiezza delle disuguaglianze sempre in aumento, come sarebbe triste se la crisi economica che affligge l'emisfero nord servisse da pretesto per trascurare il nostro dovere di solidarietà. perciò, Signor Segretario Generale, elogio e incoraggio gli sforzi per ridestare le coscienze dei più favoriti materialmente e per ricordare le loro gravi responsabilità nei confronti dei più poveri.

Se tali finalità e obiettivi positivi sono necessari ed essenziali nel cammino storico della famiglia umana, sono anche molto complessi e difficili da ottenere in modo permanente. Oggi come non mai è necessaria la collaborazione di tutti, è necessario superare visioni particolaristiche o legate ad interessi particolari, per aprirsi ad una visione veramente universale del bene comune.

Cosciente della grandezza di questi ideali, così come delle difficoltà che si frappongono alla loro attuazione, desidero esprimere il mio sincero incoraggiamento a lei, Signor Segretario Generale, e a tutti i suoi collaboratori, a lavorare con fiducia, con costanza e con il grande sentimento di responsabilità che li distingue, al fine di superare le tensioni e le crisi che offuscano l'orizzonte internazionale, per rafforzare e perfezionare l'edificio dell'ONU che, dopo tragiche esperienze, è stato edificato per servire gli interessi supremi delle nazioni e dell'uomo.

Nella realizzazione di un compito tanto importante per i destini dell'umanità, la Santa Sede è disposta, nei limiti della sua missione specifica, a continuare ad offrire all'ONU e a lei, Signor Segretario Generale, la sua leale collaborazione, soprattutto in favore della suprema causa della pace, della difesa della dignità e dei diritti dell'uomo, della giustizia internazionale e dello sviluppo di tutti i popoli, in modo particolare di quelli del Terzo Mondo, di quelli più bisognosi o minacciati nelle loro giuste aspirazioni di libertà.

Con questi sentimenti invoco sulla sua persona e le funzioni che lei è chiamato a svolgere, Signor Segretario Generale, l'assistenza, la protezione e le benedizioni dell'Onnipotente.




1982-04-06 Data estesa: Martedi 6 Aprile 1982




Ai partecipanti al Congresso UNIV '82 - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Seguendo Cristo l'uomo riconosce il valore della sua vita

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Sono lieto di incontrarmi ancora una volta con voi che, seguendo una consuetudine tanto significativa, vi siete riuniti a Roma per celebrare il vostro Congresso annuale. perciò, mentre vi porgo il mio benvenuto, vi saluto tutti di cuore, Docenti e Studenti.

So che, proseguendo anche quest'anno nell'impegno di individuare le caratteristiche di una Università sempre più adeguata alla piena realizzazione della persona umana, quattrocento gruppi di lavoro hanno svolto, in più di cinquecento università di tutto il mondo, una attenta analisi sul tema: "Qualità dello studio, qualità della vita".

In questo mio incontro con voi, durante la Settimana Santa, desidero invitarvi a confrontare con Gesù Cristo quei suggerimenti, quelle domande, quelle indicazioni operative, a cui il vostro lavoro vi ha condotti. Così vi accorgerete sempre più che Gesù Cristo è l'unico a rivelare il vero contenuto e valore di ogni autentica esigenza umana, mentre, senza la sua luce, ogni intelligenza della vita perde di profondità, di realismo, di concretezza.


2. La tensione, l'aspirazione naturale a un senso ultimo ed esauriente della vita, che la renda degna dell'uomo, cioè degna di essere vissuta, è sempre più coartata nella nostra società.

Quel desiderio di vita più piena e più vera, che accompagna l'uomo fin dall'infanzia e a cui la letteratura e l'arte hanno dato voce e immagini, molto spesso si corrompe anche nei giovani, degenerando in rivolta e violenza disperata, o esaurendosi in velleitarie aspirazioni.

Il passare degli anni sembra costringere tutti a una squallida rassegnazione, a un vacuo ottimismo, o, forse per i più forti di carattere e per coloro che stanno meglio socialmente ed economicamente, a un lucido cinismo: tutti quanti tentano poi di sfuggire la realtà con la distrazione, che può andare dal divertimento in senso banale, al successo professionale, alla passione meramente scientifica, alla lotta politica.


3. Per questo uomo concreto, che spesso inconsciamente cammina nella vita, ma nel quale rimane, continuamente destata dal gesto del Creatore, una apertura alla Verità Infinita, alla Bellezza Infinita, alla Giustizia Infinita, cioè al Mistero di Dio, è venuto il Figlio di Dio, "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero": "per noi uomini e per la nostra salvezza".

Quella "qualità della vita", di cui l'uomo, ogni uomo è "ignoto amante" (Giacomo Leopardi), si è rivelata, si è fatta vicina, è presente: non più termine di incerta ed errante ricerca, ma possibilità gratuita di incontro e di sequela: infatti "la Vita si è fatta visibile, e noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la Vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi" (1Jn 1,2). In Gesù Cristo quella "qualità della vita", che unicamente risponde all'ampiezza del desiderio e della nostalgia dell'uomo, è donata all'uomo "in sovrabbondanza": "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (1Jn 10,10).

Nell'incontro con Gesù Cristo il germe della vita vera è gratuitamente comunicato; nel suo invito alla libertà di ogni uomo, "vieni e seguimi", è contenuta la possibilità semplice e immediata che quel germe di vita cresca "senza che neppure uno sappia come" (Mc 4,27) e "porti molto frutto" (Jn 15,8).

Come ho ricordato ai giovani di Francia: "Queste parole "vieni e seguimi" significano che non si può imparare il cristianesimo come una lezione composta da capitoli numerosi e diversi, ma che lo si deve associare sempre ad una persona, ad una persona viva: Gesù Cristo" (1° giugno 1980).


4. Nello stesso movimento di grazia, che conduce l'uomo a scoprire Gesù Cristo e a seguirlo, attirato dall'evidenza di verità della sua Persona e della sua Parola, l'uomo ritrova se stesso, l'uomo riconosce con stupore il valore della sua vita, la dignità della sua intelligenza e della sua libertà.

Nella sequela umile e fedele della sua Presenza, l'uomo cresce in quella profonda meraviglia di se stesso, in quel profondo stupore riguardo alla dignità e al valore della sua vita che lo rende sempre più uomo.

Nell'esperienza di questa "qualità della vita", sorprendente e gratuita e insieme "più umana", ciascuno di noi riconosce la verità esistenziale della promessa di Gesù Cristo ai discepoli: "Chi mi segue avrà in eredità la vita eterna e il centuplo quaggiù" (cfr. Mt 19,29), "Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Jn 8,12).


5. Anche a noi oggi, come ai primi discepoli, è data la stessa possibilità di incontro, di sequela, di familiarità, di esperienza di una "qualità della vita" più vera, più libera, più umana.

La Chiesa, Corpo di Cristo, modalità della sua Presenza oggi tra gli uomini, è "segno e strumento efficace" (cfr. LG 1) di questa "comunione intima" col Figlio di Dio e col Padre nello Spirito.

Nel coinvolgimento cosciente e libero nella vita della Chiesa, nei suoi gesti, nei sacramenti della fede, nella sua preghiera, nella testimonianza dei suoi santi, nella sua tradizione vivente, l'uomo impara a conoscere concretamente Gesù Cristo, si mette alla sua sequela, penetra in tutto il suo Mistero. Solo dentro la vita della Chiesa l'iniziale stupore e meraviglia dell'incontro con Gesù Cristo diventa evidenza pienamente ragionevole e libera, che fa ripetere a ognuno di noi con certezza: "Tu solo hai parole di vita eterna" (Jn 6,68), "Tu sei la via, la verità e la vita (cfr. Jn 14,6).

Dove l'appartenenza alla Chiesa, alla sua vita e al suo magistero, è soltanto formale e l'uomo rimane attaccato al suo individualismo, non può accadere il prodigio di una personalità integralmente cristiana: ci si deve rassegnare alla tristezza di "un sale che diventa insipido e non serve più a niente" (Mt 5,13) o di un talento messo sotto terra per paura di perderlo (cfr. Mt 25,25).


6. Perché il germe di vita vera, che l'incontro e la sequela di Gesù Cristo comunica all'uomo, cresca e maturi, occorre che ciascuno di noi affronti tutti i problemi e tutte le circostanze della vita alla luce di quell'incontro e in quella sequela, avendo davanti agli occhi e nel cuore lo stupore e la certezza della fede.

Dove la fede non illumina, purifica, valorizza ogni aspetto dell'esistenza umana, dove esiste una "artificiosa separazione" tra la fede e gli impegni di studio, di lavoro, di vita familiare e sociale, la fede, quando non viene meno, si riduce facilmente ad astrattezza, a vago sentimento, a un insieme di doveri non pienamente ragionevoli e liberi.

Nel discorso che ho rivolto ai sacerdoti della diocesi di Roma in un incontro di lavoro sulla pastorale universitaria, parlando del profondo legame che sussiste tra la Chiesa e l'università, ho detto: "La fede, che la Chiesa annuncia, è una "fides quaerens intellectum": una fede che esige di penetrare nell'intelligenza dell'uomo, di essere pensata dall'intelligenza dell'uomo. Non giustapponendosi a quanto l'intelligenza può conoscere con la sua luce naturale, ma permeando dal di dentro questa stessa conoscenza. perciò, come il mio predecessore Paolo VI - soprattutto nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" - così anch'io in varie occasioni ho richiamato questa esigenza che ha la fede di divenire cultura".


7. Cari fratelli e sorelle, ancora vi ringrazio per la vostra odierna presenza, e, mentre vi porgo i miei auguri di una Buona Pasqua, vi assicuro anche il mio ricordo nella preghiera. Voglia il Signore sostenervi e confortarvi nel testimoniare ogni giorno ai vostri colleghi e docenti una "qualità di vita" più umana, una vita nella quale è possibile essere lieti, senza negare o dimenticare nulla della realtà, e nella quale è possibile essere intelligenti ed aperti a tutto il reale, senza diventare col tempo cinici o senza speranza. In tal modo, potrete essere "pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1P 3,15).

A Maria, Madre di Dio e Madre nostra, "di speranza fontana vivace" (Dante Alighieri, "La Divina Commedia", "Paradiso", XXXIIII, v. 10) affido ciascuno di voi e la vostra testimonianza cristiana nel mondo di oggi.

Da parte mia, sono lieto di avvalorare questi voti, impartendo di cuore a tutti voi una particolare benedizione apostolica, che amo estendere al vostri familiari, ai vostri amici e a quanti vi sono cari.




1982-04-06 Data estesa: Martedi 6 Aprile 1982



La visita ufficiale del presidente della repubblica ellenica Karamanlis - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un contributo alla causa della pace

Testo:

Signor Presidente.

E' con profondo piacere che accolgo il primo cittadino della nobile nazione ellenica la cui grande tradizione culturale è stata di così decisiva importanza per la storia del mondo e per la religione cristiana. La civiltà europea è nata dalla cultura greca e si è periodicamente rinnovata a questa fonte.

I primi sviluppi della cristianità hanno avuto luogo nel quadro di questa cultura prestigiosa e attraverso la lingua greca che è stata suo principale mezzo di espressione e di comunicazione.

Sono lieto di poter esprimere la mia calorosa stima per il popolo greco.

Facendo questo, non mi riferisco solamente a ciò che è stato così magnificamente compiuto nel passato. Penso soprattutto alle tradizioni religiose che il vostro popolo ha saputo conservare con tenacia e perseveranza come senza fratture, di generazione in generazione, fino ai nostri giorni.

La Grecia è oggi erede di queste preziose tradizioni. Nella sua ricerca di un progresso armonioso, essa gioca un ruolo importante sia in Europa che nell'intera comunità internazionale. In questi due ambiti i valori storici e culturali che essa ha da offrire costituiscono un contributo apprezzabile alla causa della pace.

E' in questo contesto e con il desiderio di camminare insieme per corrispondere alle esigenze della pace, della giustizia e della libertà contenute nel Vangelo e di far loro posto nelle relazioni internazionali, che sono state stabilite relazioni diplomatiche tra la Grecia e la Santa Sede. Gli sforzi del vostro paese, e quelli della Chiesa ortodossa greca, tendono alla stessa meta della Santa Sede, in vista dell'armonia tra i popoli e della protezione dei diritti fondamentali dell'uomo.

La Chiesa cattolica in Grecia coopera lealmente al bene del paese. Parte integrante dell'edificio della nazione, essa è fiera nel suo insieme - Vescovi e clero, religiosi e laici -, di lavorare con discrezione, in uno spirito di servizio, al benessere e al progresso del paese e, in particolare, dei poveri, dei malati, dei giovani, delle famiglie e, più in generale, di coloro che sono nella prova o sentono il bisogno della sua assistenza pastorale o caritativa.

Nello stesso tempo, la Sede di Roma considera con cordiale stima e con affetto la Chiesa ortodossa greca, alla quale appartengono la maggioranza dei vostri concittadini. E' mia speranza che si persegua una collaborazione e una comprensione accresciute dalle esigenze del dialogo ecumenico.

La vostra visita mi offre una occasione particolarmente gradita di rendere omaggio ai meriti e alle virtù della gerarchia della Chiesa ortodossa greca i cui Pastori hanno guidato lungo i secoli i loro fedeli grazie ad un'educazione spirituale, liturgica e culturale ragguardevoli. A tutti i suoi membri, e specialmente a Sua Beatitudine Sèraphim, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, rivolgo un saluto cordiale e rispettoso in nostro Signore Gesù Cristo.

Vi sono molto riconoscente, Eccellenza, per l'onore della vostra visita quale Presidente della Repubblica Ellenica. Essa mi ha dato l'opportunità di confermarvi i sentimenti di particolare stima che vi avevo espresso in occasione della vostra visita in qualità di Capo del Governo greco. Nella vostra persona, è anche il vostro popolo che io saluto, quel popolo la cui storia gloriosa e il senso del lavoro meritano il più grande rispetto. Possa Dio continuare a proteggere la Grecia ed effondere le sue benedizioni su di voi e su tutti i vostri compatrioti.




1982-04-07 Data estesa: Mercoledi 7 Aprile 1982




Alla Messa crismale del giovedi santo con


1.200 sacerdoti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siamo unti e mandati mediante il sacramento del sacerdozio

Testo:


1. "Oggi si è adempiuta questa Scrittura..." (Lc 4,21).

Questo "Oggi" del Vangelo si riferisce a quel giorno, a Nazaret, quando Gesù si rivelo, per la prima volta, come il Messia, come l'Unto e il Mandato dal Padre.

Allora gli fu dato il rotolo del profeta Isaia e lesse le parole: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; / per questo mi ha consacrato con l'unzione, / e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio..." (Lc 4,18 cfr. Is 61,1).

Proprio quell'"oggi" nazaretano significava allora l'inizio della missione pubblica di Gesù di Nazaret; significava l'inizio del Vangelo. L'inizio "di tutto quello che Gesù fece e insegno" (Ac 1,1) in mezzo al popolo della Galilea, Giudea e Samaria.

Ora questa missione pubblica s'avvicina alla fine.

Nella liturgia mattutina del Giovedi Santo la Chiesa ripete le parole di Nazaret, non soltanto per ricordare quell'"oggi" di allora, ma per introdurci nell'"oggi" attuale.


2. Ecco, oggi si compiono fino alla fine le parole della Scrittura. Oggi inizia quel "triduo" che è, in un certo senso, un solo Giorno: Giorno-Mistero, Giorno-Pasqua.

In questo Giorno, Cristo è al termine della sua via terrena. E' all'apice della sua potenza messianica. In questo giorno, nel Cenacolo, nascerà dalla pienezza di questa potenza, la Chiesa. Infatti, la Chiesa si costruisce mediante l'Eucaristia. Nelle ore serali del Giovedi Santo rinnoveremo l'Ultima Cena, durante la quale Cristo ha lasciato agli Apostoli il sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue; ha lasciato l'Eucaristia.

Trasmettendo questo suo unico e inesauribile Sacrificio, egli "ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,6). Ha fatto di noi la Chiesa.

I sacerdoti sono coloro che offrono il Sacrificio, e in esso si rivela e si attua il Regno di Dio sulla terra.

I sacerdoti ricevono l'unzione.

Nel Giovedi Santo la Chiesa benedice, ogni anno, gli Oli liturgici, mediante i quali essa predica il nuovo "anno di grazia del Signore" (Lc 4,19 cfr. Is 61,2).

Ecco, infatti, nella santa unzione liturgica otteniamo la partecipazione a questa unica, eterna unzione dell'Unto e alla missione del Mandato.

Vengono unte le teste e le mani degli uomini, e lo si fa durante la celebrazione dei santi sacramenti della Chiesa. Vengono anche unti gli oggetti e i luoghi dedicati a Dio.

L'unzione significa la potenza dello Spirito, data in pienezza al Messia del Signore. L'unzione significa la grazia: la bellezza e lo splendore della partecipazione alla potenza dello Spirito.

L'unzione significa il legame vivificante con il Messia, con Cristo Unto e Mandato dal Padre.


3. Cari Fratelli! Noi tutti siamo "unti" in modo particolare e siamo "mandati" mediante il sacramento del sacerdozio. Tra quelli che Cristo ha fatto e continua sempre a fare "un regno di sacerdoti", noi siamo sacerdoti in modo particolare, sacramentale. Tutti abbiamo anche attinto in modo particolare alla pienezza di questa potenza messianica che si era rivelata nell'"oggi" del Giovedi Santo di Cristo.

Questo "oggi" è il nostro Giorno. E' la nostra Festa. Siamo nati insieme all'Eucaristia, siamo quindi nati insieme alla Chiesa nel Cenacolo dell'Ultima Cena.

Istituendo il Sacrificio, dal quale si costruisce costantemente la Chiesa, Cristo insieme ha benedetto i sacerdoti, ministri del suo Sacrificio.

Egli ha detto: "Fate questo... in memoria di me" (1Co 11,25). E noi lo facciamo. Lo facciamo tutti, noi qui riuniti e tutti i sacerdoti nella Chiesa intera, con i quali l'odierno giorno ci unisce in una profonda fratellanza sacramentale.


4. Oh! quanto dobbiamo a "Colui che ci ama" (Ap 1,5); a Colui che per primo ci ha amati e invitati, chiamati e preparati nel suo Spirito, e infine unti, mediante il servizio della Chiesa.

"Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!" (Ap 1,8).

Per questo Dio, che è il Principio e la Fine di tutte le cose, noi siamo sacerdoti. Tra il Principio e la Fine è il tempo di tutte le creature. Tra l'Alfa e l'Omega è il mondo che passa. In questo tempo che passa, in questo mondo entra Cristo: l'Unto e il Mandato. Cristo unico, eterno sacerdote.

E noi da lui e in lui.

Mediante l'Eucaristia. Mediante il Sacrificio che egli ha affidato alle nostre mani, alla nostra bocca e al nostro cuore.

Da lui e in lui siamo per Dio.

Da lui e in lui siamo anche per gli uomini, perché siamo scelti fra gli uomini (cfr. He 5,1).

Siamo sacerdoti mediante tutto il nostro servizio. Mediante la consacrazione del nostro essere umano: da lui, in lui e con lui.


5. Oggi ci conviene cantare il canto di gratitudine insieme col salmista: "Ho trovato Davide, mio servo, dice il Signore, / con il mio santo olio l'ho consacrato; / la mia mano è il suo sostegno, / il mio braccio è la sua forza" (Ps 88 [89],21-22).

Bisogna che cantiamo il canto di gratitudine al Signore perché ci ha trovati, come Davide, perché ci ha unti, perché ci guida e ci fortifica.

"La mia fedeltà e la mia grazia saranno con lui / e nel mio nome si innalzerà la sua potenza. / Egli mi invocherà: tu sei mio padre, / mio Dio e roccia della mia salvezza" (Ps 88 [89],25.27).

Quanto è buono Dio, Padre e Roccia della nostra salvezza! Che tutti gli manteniamo la fedeltà! Che il mistero del Giovedi Santo rinnovi la nostra alleanza sacerdotale con Dio, la Roccia della nostra salvezza!




1982-04-08 Data estesa: Giovedi 8 Aprile 1982




L'omelia alla Messa "in cena Domini" a san Giovanni in Laterano - Roma

Titolo: Nell'ora della prima Eucaristia Cristo desidera la comunione con l'uomo

Testo:


1. "Il Padre gli aveva dato tutto nelle mani" (Jn 13,3).

Prima della Cena pasquale, Cristo ha la chiara coscienza che il Padre gli ha dato tutto nelle mani. E' libero, con tutta la pienezza della libertà, di cui gode il Figlio dell'uomo, il Verbo Incarnato.

E' libero, di una tale libertà, che non è propria di nessun altro uomo.

L'Ultima Cena: tutto ciò che vi si compirà ha la sua sorgente nella perfetta libertà del Figlio nei confronti del Padre.

Tra poco egli porterà questa sua libertà umana al Getsemani, e dirà: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,42).

Allora accetterà la sofferenza che verrà su di lui, e che insieme è oggetto di una scelta: sofferenza di dimensioni per noi inconcepibili.

Ma durante l'Ultima Cena la scelta era già fatta. Cristo agisce con piena coscienza della scelta compiuta.

Soltanto una tale coscienza spiega il fatto che egli, "preso un pane, rese grazie, lo spezzo e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi" (Lc 22,19). E dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la Nuova alleanza nel mio sangue", come riferisce Paolo (1Co 11,25), mentre i Vangeli precisano: "Nel mio sangue, che viene versato per voi" (Lc 22,20), o: "Il mio sangue dell'alleanza versato per molti" (Mt 26,28 Mc 14,24)".

Cristo, pronunciando queste parole nel cenacolo, ha già fatto la scelta.

L'ha fatta da tempo. Adesso la compie di nuovo. E nel Getsemani la compirà ancora una volta, accettando nel dolore tutta l'immensità della sofferenza collegata con tale scelta.

"Il Padre gli aveva dato tutto nelle mani".

Ogni cosa, tutto il disegno della salvezza il Padre ha dato alla sua perfetta libertà.

E al suo perfetto amore.


2. Durante la Cena pasquale, mediante la scelta di Cristo, mediante la sua perfetta libertà e il suo perfetto amore, ha raggiunto il culmine del suo significato la figura dell'agnello pasquale.

Della sua istituzione parla l'odierna lettura dal libro dell'Esodo: "Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. E' la Pasqua del Signore!".

"Il vostro agnello sia senza difetto... lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità di Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case...".

"In quella notte io passero per il paese d'Egitto... io vedro il sangue e passero oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio quando io colpiro il paese d'Egitto" (Ex 12,11 Ex 12,5-7 Ex 12,12-13).

Questa è la Pasqua dell'antica alleanza.

Il ricordo del "Passaggio", attraverso l'Egitto, della mano punitrice del Signore.

Il ricordo della "salvezza", mediante il sangue dell'agnello innocente.

Il ricordo della liberazione dalla schiavitù.

Ogni anno, il giorno 14 di Nisan, Israele celebra, ancora una volta, la Pasqua. Cristo, da parte sua, celebra con gli Apostoli l'Ultima Cena.

Meditano sulla liberazione dalla schiavitù mediante il sangue dell'agnello innocente.

Ed ecco, Cristo dice sul pane: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo che è dato per voi. Dopo dice sul vino: Prendete e bevete. Questo è il calice del mio sangue che viene versato per voi. Per voi e per tutti (cfr. Mt 26,26-28 Lc 22,19-20).

Nella cornice di queste parole appare già il compimento della figura dell'agnello dell'antica alleanza.

Ed ecco che, nella storia dell'umanità, nella storia della salvezza entra l'Agnello della nuova alleanza, l'Agnello più innocente: l'Agnello di Dio.

Entra mediante il suo Corpo e Sangue; mediante il Corpo che sarà dato, mediante il Sangue che sarà versato. Entra mediante la morte che libera dalla schiavitù della morte del peccato. Entra mediante la morte che dà la Vita.

Il sacramento dell'Ultima Cena è il segno visibile di questa Vita. E' il cibo della vita eterna.


3. E' successo "prima della festa di Pasqua". Quella fu l'ora di Cristo: l'ora "di passare da questo mondo al Padre".

In quell'ora, "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine". "I suoi nel mondo" - forse soltanto coloro che erano insieme con lui nell'ora dell'Ultima Cena? Non soltanto. Ha amato tutti "i suoi"; tutti coloro che doveva redimere. Tutti dall'inizio fino alla fine del mondo. Tutti - "dappertutto".

E allora lavo loro i piedi: a quelli che erano nel cenacolo. Per primo a Pietro.

Allora, nel momento della prima Eucaristia, ha desiderato per loro la purezza: una purezza più grande di quanto essi stessi avevano pensato; di quanto aveva pensato Pietro.

E desidera questa purezza per tutti.

L'amore lo costringe a desiderare la purezza per tutti - dappertutto.

"Se non ti lavero, non avrai parte con me" (Jn 13,8).

Cristo nell'Eucaristia desidera condividere la sua Vita con me: desidera la comunione.

Nella prospettiva di tale comunione con l'uomo, desidera la purezza della sua anima.

Ecco, è l'ora dell'Ultima Cena. L'ora di Cristo. L'ora del grande illimitato desiderio del suo cuore; egli desidera la comunione con l'uomo e desidera la purezza dell'anima umana.

Possiamo respingere questo desiderio?




1982-04-08 Data estesa: Giovedi 8 Aprile 1982




Alla "via crucis" (al Colosseo) - Roma

Titolo: La croce è il segno della vita che nasce dalla sofferenza e dalla morte

Testo:


1. "Crucem tuam adoramus".

Ecco il giorno in cui adoriamo in modo particolare la Croce.

La Croce di Cristo.

Questo segno: strumento di morte infame, è spuntato sin dall'alba, innanzi a noi e penetra le ore del Venerdi Santo, durante le quali ci affrettiamo solleciti, col pensiero e col cuore, dietro la passione del Signore: la via dal Pretorio di Pilato al Calvario; l'agonia sul Calvario. La morte.

Queste ore, colme di religioso silenzio, si son fatte udire tutte più tardi, nell'eloquenza della liturgia pomeridiana: l'adorazione della Croce.

Ed ora, nella tarda sera, veniamo al Colosseo per abbracciare ancora una volta tutto l'insieme: La "Via Crucis": crocifissione - morte - sepoltura.


2. Nel Colosseo la croce, piantata tra rovine monumentali, ci ricorda con efficacia tutti coloro che nelle prime generazioni della Chiesa furono condannati alla croce, gettati in pasto alle belve, in diversi altri modi torturati, martirizzati a morte.

Cadevano essi in terra come seme che deve morire, per portare frutti - e, guardando la Croce di Cristo, ripetevano forse senza parole: "Crucem tuam adoramus".

La Croce è diventata per loro il segno della Vita che nasce dalla sofferenza e dalla morte: "et sanctam resurrectionem tuam laudamus et glorificamus".


3. Per quanti luoghi della terra è passata questa Croce? Per quante generazioni? Per quanti discepoli di Cristo è diventata il punto principale di riferimento nel pellegrinaggio terreno? Quanti ha preparato alla sofferenza e alla morte? Quanti al martirio per Cristo? alla testimonianza cruenta o incruenta? E quanti continuamente prepara a tutto ciò? La storia della Chiesa, nei vari continenti e nei diversi paesi, può registrare una parte soltanto di questo "martirologio".

Gli altari delle Chiese non hanno potuto accogliere nella loro gloria quanti hanno reso testimonianza a Cristo mediante la croce. Basterebbe pensare a quelli vissuti in questo nostro secolo.


4. "Crucem tuam adoramus, Domine".

Si. Sulla Croce Cristo si è dimostrato Signore: ha accettato la morte ed ha dato la vita.

Non è semplicemente "morto", ma "ha dato la vita".

"Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13) Egli ha dato la vita! Ha accolto la morte ed ha dato la vita.

Le sue ultime parole sulla Croce: "Padre, nelle tue mami consegno! ...consegno il mio spirito" (cfr. Lc 23,46). Ha dato la sua vita per noi. Per tutti gli uomini. "Noi" siamo soltanto una piccola parte di tutti coloro, per i quali Cristo ha dato la vita. Non vi è un uomo, dall'inizio sino alla fine del mondo, per il quale egli non abbia dato la vita.

Egli ha dato la vita per tutti. Ho redenti tutti. La Croce è segno della redenzione universale: "ecce enim propter lignum venit gaudium in universo mundo".


5. "Venit gaudium...".

La Croce è la porta, attraverso la quale Dio è entrato definitivamente nella storia dell'uomo. E permane in essa.

La Croce è la porta, attraverso la quale Dio incessantemente entra nella nostra vita.

Proprio per questo ci segniamo col segno della Croce, e diciamo contemporaneamente "nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo".

E mentre tracciamo il segno della Croce sulla fronte, tra le spalle e sul cuore, pronunciamo anche le parole.

Queste parole sono un invito a Dio, affinché venga. E le uniamo al segno della Croce, perché Dio entri nel cuore dell'uomo mediante la Croce.

E così egli entra in ogni lavoro, pensiero e parola: in tutta la vita dell'uomo e del mondo.

La Croce ci apre a Dio. La Croce apre il mondo a Dio.


6. E nel segno della Croce è data anche la benedizione.

Così fanno Vescovi e sacerdoti. Così fanno i genitori sul bambino. Per la Croce di Cristo aspettiamo il bene definitivo da Dio stesso e tutti i beni che a quello ci avvicinano.

Tutto ciò è espresso da ogni benedizione. Anche da quella che tra breve vi impartiro.

"Stat crux, dum volvitur orbis".

Tutto passa; permane la Croce tra il mondo e Dio.

Mediante la Croce Dio permane nel mondo.

"Crucem tuam adoramus, Domine".


7. Carissimi fratelli e sorelle! Che questo giorno del Venerdi Santo, dedicato al mistero della Croce, che noi oggi abbiamo meditato, ci avvicini sempre più al Dio Vivente: Padre, Figlio e Spirito Santo.


Il segno della morte di Cristo vivifichi in noi la sua presenza e la sua forza. Amen.

1982-04-09 Data estesa: Venerdi 9 Aprile 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Al segretario generale delle Nazioni Unite - Città del Vaticano (Roma)