GPII 1982 Insegnamenti - Ad un gruppo di sportivi

Ad un gruppo di sportivi

Testo:

Carissimi.

Nella trasferta a Roma per la vostra attività agonistica avete desiderato di potervi incontrare con il Papa. Sono sinceramente lieto per questa vostra presenza, che porta nel palazzo apostolico come l'eco degli ideali, dei problemi, dell'incidenza sociale del fenomeno dello Sport, che coinvolge l'attenzione e l'interesse di enormi folle del mondo contemporaneo.

In questa lieta circostanza rivolgo il mio fervido saluto al Presidente, Franco Vacondio, all'Assistente spirituale, don Giorgio Gualtieri, ai Dirigenti ed a voi, Giocatori della Squadra calcistica la "Reggiana", come pure ai vostri Familiari.

Siete veramente i benvenuti nella casa del Papa, che desidera esprimervi, con molta schiettezza, la stima e l'apprezzamento per la vostra attività professionale, a cui auspica di essere sempre animata da una seria e retta concezione etica, dando una pubblica testimonianza di rispetto, di correttezza, di disinteresse, cioè di vere virtù umane e cristiane, dalle quali anche lo sport non può non essere imbevuto.

Nel clima spirituale del periodo liturgico, in cui ci troviamo, desidero indirizzarvi anche un sentito augurio pasquale, nel nome del Cristo Risorto: un augurio a voi, perché la vostra vita quotidiana sia illuminata dalla "fede", confortata dalla "speranza", aperta alla "carità"; un augurio alle vostre famiglie, perché in piena adesione al disegno primigenio di Dio, custodiscano, rivelino e comunichino l'amore, quale vivo riflesso e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo per la Chiesa sua sposa (cfr. FC 17).

Con questi voti invoco su voi tutti e sui vostri familiari l'abbondanza delle grazie del Signore, e imparto di cuore la mia benedizione apostolica.




1982-04-24 Data estesa: Sabato 24 Aprile 1982




Ad un pellegrinaggio di bergamaschi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Esprimere la fede nella cultura cioè in "vita" nel senso più profondo

Testo:

Carissimi Bergamaschi!


1. Al compiersi di un anno dalla mia venuta nella vostra terra per commemorare il centenario della nascita di Papa Giovanni XXIII, ci ritroviamo di nuovo insieme.

Con profonda fede cristiana e con squisita gentilezza avete voluto ricambiare la mia Visita pastorale con questo grande pellegrinaggio che mi commuove e mi conforta.

Desidero innanzi tutto ringraziarvi sentitamente di tanta vostra bontà e cortesia. Porgo il mio riconoscente e cordiale saluto al Vescovo, Monsignor Giulio Oggioni; esprimo poi il mio deferente benvenuto a Monsignor Clemente Gaddi, che per tanti anni ha retto con dedizione la diocesi, e a tutte le Autorità civili e religiose, al signor Prefetto, ai Sindaci, ai Presidenti delle varie Amministrazioni, agli esponenti del mondo politico, culturale, imprenditoriale e sindacale, ai Parroci ed ai Responsabili dei settori di vita religiosa. In modo speciale sono lieto di salutare voi tutti, fedeli della terra bergamasca, lavoratori, artigiani, impiegati, madri di famiglia, bambini e soprattutto giovani, venuti così numerosi e pieni di entusiasmo, affrontando anche disagi e sacrifici! Siate tutti benvenuti nella Casa del Papa. Tutti stringo al mio cuore, mentre invoco dal Signore l'abbondanza delle sue grazie su di voi e sui vostri propositi, ed estendo, per il vostro tramite, il mio saluto e il mio sentimento di gratitudine a tutta la gente di Sotto il Monte e della vasta diocesi e Provincia di Bergamo.


2. E' consolante per me ripensare a quella giornata trascorsa con voi, nei luoghi cari e familiari a Papa Giovanni! Nonostante la pioggia e il grigiore del tempo, i vostri occhi erano colmi di attesa, i vostri animi ardenti di letizia e di calore, le vostre voci dimostravano fede e devozione. La mia era una visita di amicizia, di preghiera comune, di riflessione sul messaggio del grande Pontefice vostro concittadino, di conoscenza reciproca più umana e immediata; e con quanta commozione ricordo tuttora i vari momenti di quella intensa giornata e la profonda fede cristiana che ho letto sui vostri volti.

Da allora è passato un anno, ricco certamente di tante gioie e consolazioni, ma purtroppo anche denso di ben tragici avvenimenti. Ma Bergamo è rimasta nel mio cuore!


3. Avete desiderato questo odierno incontro anche per sentire di nuovo la mia parola, al fine di riconfermare la vostra fede e ritemprare i vostri propositi. Ed io volentieri, richiamandomi alla catechesi svolta durante la mia visita, vi lascio alcune brevi esortazioni.

Prima di tutto vi dico con san Paolo: "Siate saldi e mantenete le tradizioni che avete appreso" (2Th 2,14). Papa Giovanni, nell'Udienza concessa al grandioso pellegrinaggio della diocesi di Bergamo l'8 novembre 1958, confidava che nella sua lunga vita più e più volte gli era giunto all'orecchio "l'elogio della fede radiante e della pietà distinta e generosa della gente bergamasca", e soggiungeva felicemente: "La fedeltà alla tradizione del passato è garanzia di felice avvenire" ("Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII", I [1958] 73; 75). Nelle encicliche "Mater et Magistra" e "Pacem in Terris" egli descrisse realisticamente la drammatica situazione del mondo moderno e le difficoltà talvolta immani della Chiesa nell'annunziare il Vangelo: "La nostra epoca - diceva - è percorsa e penetrata da errori radicali, è straziata e sconvolta da disordini profondi; pero - soggiungeva - è pure un'epoca nella quale si aprono allo slancio della Chiesa possibilità immense di bene" (MM 274). Mantenere ferme e convinte le tradizioni della fede cristiana cattolica significa oggi sentire la necessità impellente e continua di formare autentiche "coscienze" illuminate e praticanti, che sappiano affrontare il futuro, certe e sicure, nonostante conflitti e contrasti. Avere una coscienza cristiana significa essere convinti che la verità viene da Cristo: è a lui, e a lui solo che bisogna ricorrere, se vogliamo conoscere il significato della nostra esistenza e della storia intera. Ricordiamo ciò che scrisse l'apostolo san Giovanni: "La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Jn 1,17); egli è la "vera luce, quella che illumina ogni uomo" (Jn 1,9).

Affinché tale luce di verità risplendesse per sempre, Gesù volle e fondo la Chiesa. Avere una coscienza cristiana significa anche essere convinti che solo Cristo può dare all'uomo la vera vita spirituale, la grazia, che fa partecipi della stessa vita di Dio e rende idonei alla risurrezione gloriosa. In conseguenza, dona pure la gioia della verità e della carità, che si sente così preziosa e necessaria specialmente nelle circostanze dolorose della vita. Gesù infatti si pone come unico e vero consolatore dell'umanità nei travagli della sua peregrinazione: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi ed io vi ristorero" (Mt 11,28). La formazione delle coscienze cristiane è un compito grande ed essenziale, che deve assillare oggi ogni comunità cristiana.


4. Vi esorto poi a mantenere sempre aperto e confidente il dialogo tra giovani e adulti. Questo è un tema di viva attualità. Il segreto del dialogo autentico e costruttivo per il cristiano si trova nel "sacramento" su cui si fonda la famiglia. Come ben mette in evidenza la esortazione "Familiaris Consortio", complicati e non piccoli sono i problemi che angustiano il focolare domestico nella società moderna, causando poi disagi in tutti i settori del consorzio umano.

Bisogna far forza sulla realtà del "sacramento", da cui nasce la famiglia cristiana e su cui si sostiene. E' il valore essenziale del "segno sacramentale" che deve essere meditato a fondo, riaffermato in tutta la sua portata dogmatica, morale e ascetica, e vissuto in tutto il suo contenuto di grazia, di luce, di amore, di ideale, di forza, di gioia. Allora si instaura e si mantiene un clima di vero dialogo, consolante e corroborante, come ne è splendido esempio la vita di Giovanni XIII.


5. Infine, impegnatevi con coraggio e perseveranza a trasformare la vostra fede in cultura, e cioè in "vita" nel senso più profondo e ampio della parola. Infatti la cultura, in sintesi, è l'espressione dell'atteggiamento spirituale dell'uomo di fronte alla vita. Vi sono perciò molti tipi di cultura, legati ai tempi, alle epoche, ai luoghi, alle correnti ideologiche predominanti, ecc. La "cultura cristiana" è quella permeata dalla "presenza" di Cristo. E' quindi certamente, e innanzitutto, una dottrina filosofica, teologica, morale, ascetica, giuridica, che esige una conoscenza completa e profonda; ma è una conoscenza che diventa amore, fiducia, preghiera, adorazione, comunione personale con Cristo Crocifisso e Risorto e perciò dialogo con la santissima Trinità; è una conoscenza che si fa "sequela di Cristo", e perciò "cultura", ben incarnata nelle vicende del tempo, ma sempre con la prospettiva dell'al di là. Nel discorso già citato, Papa Giovanni diceva con profonda saggezza: "Il mistero della nostra vita è nelle mani di Dio.

Ciò che importa è camminare con giustizia e santità innanzi al cielo, innanzi alla nostra coscienza, in esemplarità di atti caritatevoli e puri". La fede cristiana, rettamente compresa e coerentemente vissuta, deve diventare visione globale di tutte le realtà, e cioè deve farsi "cultura", con tutto il fascino e la pienezza che le derivano dalla verità che è Cristo, il Verbo incarnato: questo è l'auspicio che formulo per voi; questa è la consegna che vi lascio.


6. Carissimi! Tra pochi giorni inizia il Mese dedicato a Maria santissima. Voi sapete quanto profonda e fiduciosa fu la devozione di Papa Giovanni alla Madre celeste.

Sul suo esempio coltivate anche voi un'autentica devozione alla Vergine santa; mantenete nelle vostre mani la corona del Rosario, come faceva il grande Pontefice, affinché quella brace che cova nel carattere bergamasco, sia sempre anche luce e fiamma di fede e di amore cristiano! Con questi voti, con grande effusione vi imparto la benedizione apostolica, pegno di copiosi favori celesti, che estendo a tutti i fedeli della diocesi.




1982-04-24 Data estesa: Sabato 24 Aprile 1982




Recita di "Regina coeli" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preghiamo per la soluzione pacifica del conflitto tra Argentina e Gran Bretagna

Testo:


1. "Pace a voi!" disse Cristo entrando nel cenacolo quella sera del primo giorno dopo il sabato, cioè il giorno della risurrezione.

"Pace a voi!" disse di nuovo, ed aggiunse: ""Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". Dopo aver detto questo, alito su di loro e disse: "Ricevete lo SpiritoSanto"" (Jn 20,21-22).

Abbiamo meditato su queste parole del Signore Risorto, recitando il "Regina Coeli", una settimana fa a Bologna, durante la grande riunione della gioventù.

Ritorniamoci sopra ancora oggi, per ricordare e rinnovare la meditazione del giorno della Pentecoste dell'anno scorso. Ecco le parole pronunziate allora:


2. "Oh, quant'è buono il Signore! Egli diede loro (agli apostoli) lo Spirito Santo, che è Signore e dà la vita..., e con il Padre e il Figlio riceve la stessa gloria e adorazione... Egli uguale nella Divinità. Gesù diede loro lo Spirito Santo; disse "ricevete". Ma, più ancora, non ha forse dato, non ha affidato loro stessi allo Spirito Santo? può l'uomo "ricevere" il Dio Vivente e possederlo come "proprio"? Allora Cristo affido gli Apostoli, che erano all'inizio del nuovo Popolo di Dio ed il fondamento della sua Chiesa, allo Spirito Santo, allo Spirito che il Padre doveva mandare nel suo nome (cfr. Jn 14,26), allo Spirito di verità (Jn 14,17 Jn 15,26 Jn 16,13), allo Spirito, per mezzo del quale l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (cfr. Rm 5,5); li ha dati allo Spirito perché a loro volta lo ricevessero come il Dono; Dono ottenuto dal Padre per l'opera del Messia, del Servo sofferente di Jahvè, di cui parla la profezia di Isaia.

E, perciò, egli "mostro loro le mani e il costato" (Jn 20,20), cioè i segni del sacrificio cruento, e poi aggiunse: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi; e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Jn 20,23).

Con queste parole egli confermo il Dono".


3. Le suddette parole sono state pronunziate un anno fa in occasione del 1600° anniversario del primo Concilio di Costantinopoli.

Le ripeto nell'odierna domenica del periodo pasquale. Essa uniscono con un profondo legame la Pasqua di Risurrezione con la solennità di Pentecoste.

Queste parole ci dicono che il Dono del Consolatore è stato dato alla Chiesa per l'uomo che porta in sé il peso dell'eredità del peccato: per ogni uomo e per tutti gli uomini.

Esse dicono che Cristo nella sua Risurrezione ha affidato la Chiesa allo Spirito Santo per tutti i tempi; la Chiesa che è inviata a tutto il mondo.

Nel corso dell'anno giubilare il mistero dello Spirito Santo è stato il tema del simposio, che ha riunito i teologi della Chiesa Orientale e Occidentale, quelli delle Chiese della "Riforma" intorno alla verità professata da tutti i cristiani.

Occorre che, nel tempo di Pasqua, nel periodo in cui si passa dalla Pasqua alla Pentecoste, ancora una volta ci rendiamo conto del significato che hanno le parole del Risorto: "Ricevete lo Spirito Santo". Occorre che viviamo della pienezza del mistero pasquale.


4. Ripetutamente in questi giorni, ed ancora una volta, nel ricevere la delegazione del Cile e dell'Argentina nel quadro della mediazione della Santa Sede nella controversia sulla zona australe, ho manifestato le mie preoccupazioni ed espresso i miei voti per una pacifica soluzione del conflitto che oppone uno di quei due Paesi, l'Argentina, alla Gran Bretagna per il possesso delle isole Falkland o Malvinas.

Oggi il mondo guarda allarmato alla possibilità che tale conflitto possa da un momento all'altro precipitare in uno scontro armato, deplorevole in sé e minaccioso di conseguenze non facilmente prevedibili in tutta la loro estensione.

Invito voi e tutti i cattolici nel mondo, in particolare quelli che vivono nei due Paesi coinvolti nella vertenza, ad unirsi alla mia preghiera perché il Signore ispiri, ai governanti responsabili, decisione e coraggio nel cercare, in quest'ora forse decisiva, le vie dell'intesa, con sapienza e magnanimità, al servizio del bene insostituibile della pace dei loro popoli e per la tranquillità del Continente americano.

Sostenga la Vergine Maria i loro sforzi, e quelli di quanti si adoperano per favorire soluzioni di pace! La celebrazione della "Giornata per l'Università Cattolica del Sacro Cuore".

Oggi si celebra la "Giornata per l'Università Cattolica del Sacro Cuore", che quest'anno ha per tema: "Cultura è servizio all'uomo".

Tra i bisogni fondamentali, che caratterizzano l'uomo in quanto uomo, v'è quello di conoscere: conoscere se stesso e il senso del proprio esistere nel mondo. La cultura intende soddisfare tale bisogno con le risposte che offre a quegli interrogativi. A nessuno sfugge quanto sia importante che queste risposte rispecchino la piena verità sull'uomo, sia come singolo che come parte di una comunità.

All'elaborazione di tali risposte, nell'orizzonte dei risultati acquisiti dalle scienze umane e dei superiori apporti della rivelazione divina, è particolarmente impegnata l'Università Cattolica. In questo sta lo specifico servizio all'uomo, che essa è chiamata a rendere. I cattolici italiani sono oggi invitati a prendere rinnovata coscienza del dovere di sostenere con la preghiera, con la simpatia, con la generosità concreta l'attività di questa benemerita Istituzione, perché essa possa sempre meglio servire l'uomo, facendo cultura nella luce della verità piena che brilla sul volto di Cristo.

Un appello per la liberazione dell'ingegnere Giorgio Bortolotti.

Ancora una volta sento il dovere di elevare la mia voce in favore di un sequestrato, l'Ingegner Giorgio Bortolotti, di Saronno, sottratto ai suoi familiari ed al suo lavoro ormai da lunghi mesi.

Mi rivolgo ai suoi sconosciuti rapitori, perché vogliano far prevalere nel loro animo quel senso di umanità, che non può essere spento.

Vogliano aver comprensione anche del dramma che stanno vivendo gli afflitti familiari, che con tanta ansia attendono che il loro congiunto sia restituito incolume alla gioia della libertà.

Alla banda dell'"Associazione Musicanti Pianellesi".

Porgo ora un saluto affettuoso all'"Associazione Musicanti Pianellesi", che accoglie nel suo complesso giovani e bambini, e che ha eseguito alcuni brani musicali.

Carissimi fratelli, vi ringrazio della vostra presenza e benedico di cuore voi e i vostri familiari.

Gratitudine ai Bolognesi.

Il mio pensiero e il mio saluto vanno ora, con particolare intensità di sentimento, alla città in cui ho recitato il "Regina Coeli" domenica scorsa: Bologna.

Desidero esprimere la mia viva gratitudine per la calorosa accoglienza che mi è stata riservata. Ringrazio il Cardinale Poma e tutti i Vescovi della Regione, le Autorità civili ed i Docenti Universitari, il clero, i religiosi e le religiose, e tutta la cara popolazione e specialmente i giovani.

A tutti assicuro che l'incontro con loro ha lasciato un profondo ricordo nel mio animo, nel quale ormai i figli di Bologna e dell'Emilia-Romagna occupano un posto particolare.

Con sincero affetto rinnovo ad essi la mia benedizione apostolica.




1982-04-25 Data estesa: Domenica 25 Aprile 1982




L'omelia alla Messa nella parrocchia dei santi Marcellino e Pietro - Roma

Titolo: Per essere cristiani oggi serve la stessa fede degli apostoli

Testo:


1. Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto! (cfr. Ps 4,7) Con tali parole prega la Chiesa nell'odierna liturgia. Chiede la luce divina. Chiede il dono di conoscere la Verità. Chiede la fede.

La fede è la conoscenza della Verità, che nasce dalla testimonianza di Dio stesso.

Al centro della nostra fede si trova la risurrezione di Cristo, mediante la quale Dio stesso ha reso testimonianza al Crocifisso. La testimonianza del Dio Vivo ha confermato nella risurrezione la verità del Vangelo, che Gesù di Nazaret proclamava. Ha confermato la verità di tutte le sue opere e di tutte le sue parole. Ha confermato la verità della sua missione. La risurrezione ha dato la definitiva e più completa espressione di quella potenza messianica, che era in Gesù Cristo. Veramente egli è l'inviato da Dio. E divina è la parola che proviene dalle sue labbra.

Quando, oggi, terza domenica di Pasqua, invochiamo: "risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto" (cfr. Ps 4,7), chiediamo che mediante la risurrezione di Cristo si rinnovi in noi la fede, che illumina le vie della nostra vita e le indirizza verso il Dio Vivo.


2. Contemporaneamente, la liturgia dell'odierna domenica ci indica come si costruiva - e continua a costruirsi - questa fede, la quale, essendo un vero dono di Dio, ha al tempo stesso la sua umana dimensione e forma.

La risurrezione di Gesù di Nazaret è la principale sorgente di irradiazione di questa luce, dalla quale si sviluppa in noi la conoscenza della Verità rivelata da Dio. La conoscenza e l'accettazione di essa come verità divina.

Per formare l'umana dimensione di fede, Cristo stesso ha scelto tra gli uomini i testimoni della risurrezione. Questi testimoni dovevano diventare coloro che, sin dall'inizio erano a lui legati come discepoli, tra i quali lui solo aveva scelto i Dodici facendoli suoi apostoli.

Anche a loro Gesù di Nazaret, a loro che erano testimoni della sua morte in croce, appariva vivo dopo la sua risurrezione. Con loro parlava e in diversi modi li convinceva dell'identità della sua persona, della realtà del suo corpo umano.

"Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho" (Lc 24,38-39).

Così parlava loro quando "stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma" Lc 24,37).

"Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangio davanti a loro" (Lc 24,41-43).

Così si formava la schiera dei testimoni della risurrezione. Furono gli uomini che personalmente conobbero Cristo, ascoltarono le sue parole, videro le sue opere, vissero la sua morte in croce e, in seguito, lo videro vivo e si intrattennero con lui come con un vivo, dopo la risurrezione.


3. Quando questi uomini, gli apostoli e i discepoli del Signore, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo cominciarono a parlare pubblicamente di Cristo, quando cominciarono ad annunziarlo agli uomini (prima a Gerusalemme) innanzitutto si richiamarono ai fatti comunemente conosciuti.

Lo "avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo - così diceva Pietro agli abitanti di Gerusalemme - voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino" (cioè Barabba)! (Ac 3,13-14). Dagli eventi riguardanti la morte di Cristo l'oratore passa alla Risurrezione: "...avete ucciso l'autore della vita. Ma Dio l'ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni" (Ac 3,15).

Pietro prende la parola da solo - ma al tempo stesso parla a nome di tutto il collegio apostolico: "siamo testimoni" (Ac 3,15). Ed aggiunge: "Ora fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi" (Ac 3,17).


4. Dalla descrizione degli eventi, dalla testimonianza della risurrezione, l'apostolo passa all'esegesi profetica.

A tale esegesi della morte e della risurrezione i suoi discepoli erano stati preparati da Cristo stesso. Ne abbiamo la prova nell'incontro descritto dall'odierno Vangelo (secondo Luca). Il Risorto dice ai discepoli: "Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi" (Lc 24,44).

"...E disse: così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni" (Lc 24,46-48).

E l'evangelista aggiunge: "Allora apri loro la mente all'intelligenza delle Scritture" (Lc 24,45).

Dal discorso di Pietro desunto dagli Atti degli Apostoli, che leggiamo nell'odierna liturgia, si vede quanto efficace sia stata questa "apertura della loro mente".

Pietro, dopo aver presentato gli avvenimenti collegati con la morte e la risurrezione di Cristo continua: "Dio pero ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto.

Pentitevi dunque e cambiate vita perché siano cancellati i vostri peccati..." (Ac 3,18-20).

Troviamo in queste parole dell'apostolo la chiara eco delle parole di Cristo: dell'illuminazione, che i discepoli hanno sperimentato nell'incontro con il Signore Risorto.

Così dunque si edificava la fede della prima generazione dei confessori di Cristo: della generazione dei discepoli degli apostoli. Germogliava direttamente dalla dichiarazione dei testimoni oculari della Croce e della Risurrezione.


5. Che cosa vuol dire essere cristiano? Vuol dire: continuare ad accettare la testimonianza degli Apostoli, testimoni oculari. Vuol dire: credere con la stessa fede, che è nata in loro dalle opere e dalle parole del Signore Risorto.

Scrive l'apostolo Giovanni (è questa la seconda lettura dell'odierna liturgia): "Da questo sappiamo d'averlo conosciuto (cioè Cristo) se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: "Lo conosco" e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto" (1Jn 2,3-5).

L'apostolo parla di fede viva. La fede è viva mediante le opere che sono ad essa conformi. Sono queste le opere di carità. La fede è viva mediante l'amore di Dio. L'amore si esprime nell'osservanza dei comandamenti. Non ci può essere contraddizione tra la conoscenza ("lo conosco") e l'azione di un confessore di Cristo. Solo colui che completa la sua fede con le opere rimane nella verità.

Così dunque l'apostolo Giovanni si rivolge ai destinatari della sua prima lettera con l'affettuosa parola "figlioli", e li invita "a non peccare" (cfr.2,1). Contemporaneamente pero scrive: "Ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati: non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo" (1Jn 2,1s).

Giovanni, apostolo ed evangelista, proclama nelle parole della sua lettera, scritta verso la fine del I secolo, la stessa verità, che Pietro proclamava poco dopo l'ascensione del Signore. E' questa la verità sulla conversione e sulla remissione dei peccati con la forza della morte e della risurrezione di Cristo.


6. Che cosa vuol dire essere cristiano? Essere cristiano - oggi allo stesso modo come allora, nella prima generazione dei confessori di Cristo - vuol dire continuare ad accettare la testimonianza degli apostoli, testimoni oculari. Vuol dire credere con la stessa fede, che è nata in loro dalle opere e dalle parole di Cristo, confermate con la sua morte e la risurrezione.

Anche noi, appartenenti alla presente generazione di confessori di Cristo, dobbiamo chiedere di avere la stessa esperienza dei due discepoli di Emmaus: "Signore Gesù, facci comprendere le Scritture; che ci arda il cuore nel petto quando ci parli" (cfr. Lc 24,32).

Che "arda il cuore"!: perché la fede non può essere solo un freddo calcolo dell'intelletto. Essa deve essere vivificata dall'amore. Viva mediante le opere in cui si esprime la verità rivelata da Dio come verità interiore dell'uomo.

Allora anche noi - anche se non siamo stati testimoni oculari delle opere e delle parole, della morte e della risurrezione - ereditiamo dagli Apostoli la loro testimonianza. E noi stessi diventiamo anche testimoni di Cristo.

Essere cristiano è essere anche testimone di Cristo.


7. Allora anche la fede - la fede viva - si forma come un dialogo tra il Dio Vivo e l'uomo vivo; di tale dialogo troviamo alcune espressioni nel Salmo dell'odierna liturgia: "Quando ti invoco, rispondimi, Dio, / mia giustizia: / dalle angosce mi hai liberato; / pietà di me, ascolta la mia preghiera" (4,2). "...il Signore mi ascolta quando lo invoco. / Tremate e non peccate, / sul vostro giaciglio riflettete e placatevi. / Offrite sacrifici di giustizia / e confidate nel Signore. / Molti dicono: "Chi ci farà vedere il bene?" / Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto. / Hai messo più gioia nel mio cuore / di quando abbondano vino e frumento. / In pace mi corico e subito mi addormento: / tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare" (4,4-9).

E lo stesso salmista aggiunge: "Sappiate che il Signore fa prodigi per il suo fedele" (4,4).


8. Cari fratelli e sorelle, accogliete questa meditazione sulla Parola di Dio dell'odierna Liturgia, che faccio insieme con voi, in occasione della Visita pastorale nella vostra parrocchia dei santi Marcellino e Pietro, dedicata a due gloriosi Martiri, l'uno presbitero, l'altro esorcista, che furono decapitati per la fede cristiana sotto l'imperatore Diocleziano agli inizi del quarto secolo.

Il mio cordiale ed affettuoso saluto si rivolge al vostro parroco, Monsignor Franco Coppari, ed ai sacerdoti suoi collaboratori, che con tanto zelo si dedicano alla cura pastorale di questa zona; un saluto anche ai religiosi ed alle religiose, che con la loro presenza operosa danno nell'ambito della Comunità parrocchiale una edificante testimonianza: i Fratelli delle Scuole Cristiane dell'Istituto "Pio XII"; i Padri Cavanis; i Padri Scalabriniani; le Suore della Sacra Famiglia di Bergamo; le Suore Rosarie di Udine; le Figlie di san Camillo; le Cooperatrici Oblate Missionarie dell'Immacolata.

Un saluto alle più di 3.500 famiglie ed ai 15.000 fedeli della parrocchia; ai membri dell'Oratorio maschile e femminile; dell'Agesci Roma 97; al Gruppo Liturgico; al Gruppo Vincenziano e Caritativo; al Gruppo Giovanile; al Gruppo Catechisti; al Gruppo Missionario; a quello dell'Apostolato della Preghiera ed ai membri del Consiglio Pastorale Parrocchiale.

Un pensiero di augurio, nel nome di Cristo Risorto, al padri ed alle madri, ai giovani ed alle giovani, ai ragazzi ed alle ragazze, ai bambini ed alle bambine, agli anziani ed agli ammalati.

A tutti e singoli i fedeli di questa parrocchia l'espressione del mio paterno affetto! E permettetemi, cari parrocchiani, di concludere con le parole di quell'apostolo che fu il primo Pastore della Chiesa in questa Roma: "Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri Padri ha glorificato il suo servo Gesù: Dio l'ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni" (Ac 3,13 Ac 3,15).

"O Signore! Risplenda su di noi la luce del tuo volto!" (cfr. Ps 4,7).

Amen.




1982-04-25 Data estesa: Domenica 25 Aprile 1982




All'associazione "Nova Spes" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Promuovere lo sviluppo qualitativo dell'uomo

Testo:

Signore, Signori.


1. Sono felice di ricevere di nuovo il vostro gruppo, che ha praticamente la responsabilità della Fondazione internazionale "Nova Spes", e di raccogliere da voi le conclusioni della riunione che avete tenuto a Roma. Già a tre riprese, avevo avuto l'occasione di intrattenermi con i responsabili che ben conoscono la stima che nutro per questa iniziativa e le speranze che pongo in essa.

Siete alla ricerca di un nuovo umanesimo. Certo, le analisi della situazione contemporanea non mancano, sul piano sociologico, economico, politico, filosofico e morale. Tutti parlano di "crisi". Si cerca, con buona volontà, di scrutare le ingiustizie, di ridefinire i diritti di ciascuno, in generale i diritti riguardo all'"avere". Ma questo spesso non fa che spostare i problemi, rimanendo nello stesso orizzonte di un progresso quantitativo, come se si aggiustassero le brecce di un muro, quando sono danneggiate le fondamenta.


2. Se si vuole un umanesimo autentico, plenario, concreto, bisogna giungere ad un'antropologia più profonda e più globale, che consideri l'uomo come un soggetto personale, che trascende la sua esistenza e che opera egli stesso la sintesi di tutte le dimensioni del suo essere, senza isolarle le une dalle altre, senza lasciare che si sviluppino alcune a detrimento delle altre. Perché l'uomo è contemporaneamente un essere che ha bisogno di accrescere le proprie conoscenze scientifiche, di rispondere all'appello e alle esigenze dell'Assoluto attraverso la fede, la preghiera e la condotta morale, di comunicare con gli altri in un dialogo interpersonale, di lavorare e di trasformare l'universo per rispondere ai suoi bisogni e a quelli degli altri. E' dall'unità di tutte queste dimensioni, dalla loro integralità, che dipende la salvezza dell'uomo, il rimedio ai suoi mali. In effetti non si è troppo privilegiato l'"avere" a dispetto del valore qualitativo dell'"essere", non si è troppo concepito l'uomo come possessore di cose, e praticamente si è ridotto l'uomo a porre se stesso e i suoi simili in un mondo di cose, con la volontà di potenza, la paura, la lotta delle classi che ne derivano? Anche sul piano della scienza e della storia, l'uomo ha la tendenza a considerarsi come un risultato, il risultato del suo proprio processo evolutivo o dei meccanismi della vita sociale, come spossessato della propria soggettività, quando invece è creatura di Dio, libero di realizzare l'unità del proprio essere, di promuovere i valori umani fondamentali. Si tratta di ricomporre eticamente la personalità di ciascuno e della comunità.


3. Questa visione antropologica potrebbe apparire un ideale teorico astratto, senza presa reale sull'evoluzione della società e delle sue istituzioni; in realtà - ed è vostra responsabilità di portarne una dimostrazione convincente - essa tocca profondamente il modo di affrontare tutti i problemi umani, tra i quali voi segnalate i rapporti tra gli uomini, il suo lavoro, i mezzi di comunicazione sociale... E' sotto questa angolatura personalista che io stesso mi sono sforzato di trattare, tra gli altri, dell'amore umano, del lavoro umano. Si, la vostra iniziativa può rappresentare una nuova speranza, "nova spes", poiché comporta il progetto di sviluppo qualitativo dell'uomo nel senso originario del suo essere, nella sua integralità, nel dinamismo della sua esistenza.


4. Il problema è quello di trovare il modo di far passare questa speranza nella realtà; come suscitare, per questa antropologia e le sue implicazioni etiche, l'adesione del mondo della cultura, dell'opinione pubblica, di coloro che hanno delle responsabilità; come infine fare in modo che la vita delle persone e delle comunità, le loro scelte, le loro decisioni ne siano segnate. E' precisamente la seconda fase, la fase operativa, che affronta oggi la Fondazione "Nova Spes".

Poiché si tratta di ricomporre l'unità dell'uomo la cui essenza costitutiva è quella di pensare, credere, comunicare e lavorare, è cosa buona, come voi avete in progetto, invitare ad una riflessione comune e ad una collaborazione specialisti di scienza, di religione, del mondo delle comunicazioni sociali e dell'economia, al fine di promuovere una "alleanza" che attualmente manca. Tutta una serie di problemi etici fondamentali e di diritti umani potranno allora divenire l'oggetto dei vostri dibattiti, delle vostre risoluzioni, e delle vostre testimonianze.

Avete il compito di far maturare il vostro generoso progetto, in un linguaggio che parli ai nostri contemporanei e di mettere a punto una strategia adeguata, trovando soprattutto i mezzi concreti e gli intermediari efficaci sul piano nazionale ed internazionale.

Da parte mia, vi ridico il mio incoraggiamento. Prego lo Spirito Santo affinché vi mandi i suoi doni di luce e di forza, per proseguire questa impresa insieme umana e cristiana, e di tutto cuore vi benedico, con coloro che collaborano con voi.




1982-04-26 Data estesa: Lunedi 26 Aprile 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Ad un gruppo di sportivi