GPII 1982 Insegnamenti - L'omelia alla Messa nella parrocchia di san Gioacchino - Roma

L'omelia alla Messa nella parrocchia di san Gioacchino - Roma

Titolo: La potenza messianica di Cristo e del Vangelo per vincere le difficoltà e le minacce dei tempi

Testo:


1. "Guai a me se non predicassi il Vangelo" (1Co 9,16).

Queste parole ha scritto san Paolo apostolo nella prima lettera ai Corinzi.

Queste parole riecheggiano fortemente in diverse epoche, tra le diverse generazioni della Chiesa.

Nei nostri tempi si sono fatte sentire, in modo particolarmente forte, durante il Sinodo dei Vescovi nel 1974 sul tema della evangelizzazione. Il tema è sorto dal vasto substrato dell'insegnamento del Concilio Vaticano II e dal ricco terreno dell'esperienza della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il frutto dei lavori di quel Sinodo fu trasmesso dai Vescovi partecipanti a Papa Paolo VI, ed ha trovato la sua espressione nella splendida esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi".

"Guai a me se non predicassi il Vangelo", dice san Paolo. Ed aggiunge: "Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere" (1Co 9,15) ...compio soltanto i doveri del ministro! E quindi: non per un vanto, ma anche non per ricompensa! Anzi, la ricompensa è il fatto stesso di poter predicare il Vangelo senza alcuna ricompensa.

E poi scrive: "Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti" (1Co 9,19).

Sarebbe difficile trovare parole, che potrebbero dire di più: predicare il Vangelo vuol dire diventare "servo di tutti per guadagnarne il maggior numero" (1Co 9,19). E sviluppando la stessa idea aggiunge:. "Mi sono fatto debole con i deboli per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro" (1Co 9,22-23).

Il tema che siamo invitati a meditare in occasione dell'odierno incontro è dunque l'evangelizzazione.


2. L'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" di Paolo VI ricorda che il primo evangelizzatore è Cristo stesso.

Guardiamo alla luce dell'odierna pericope liturgica come si presenta un giorno (e una notte) dell'attività evangelizzatrice di Cristo.

Ci troviamo a Cafarnao.

Cristo esce dalla Sinagoga e, insieme con Giacomo e Giovanni, si reca alla casa di Simone e Andrea. Li guarisce la suocera di Simone (Pietro), di modo che quella può subito alzarsi e sevirli.


Dopo il tramonto del sole, vengono portati a Cristo "tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta" (Mc 1,32-33). Gesù non parla, ma compie la guarigione: "Guari molti che erano afflitti da varie malattie e scaccio molti demoni". Contemporaneamente, una significativa osservazione: "non permetteva ai demonidi parlare, perché lo conoscevano" (Mc


1,34).

Forse tutto ciò si protrasse fino a tarda sera.

Di buon mattino Gesù è già in preghiera.


Viene Simone con i suoi compagni, per dirgli: "Tutti ti cercano" (Mc


1,37).

Ma Gesù risponde: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto" (Mc 1,38).

Leggiamo in seguito: "E ando per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni" (Mc 1,39).


3. In sintesi, in base a quella giornata, trascorsa a Cafarnao, si può affermare che l'evangelizzazione condotta da Cristo stesso consiste nell'insegnamento sul regno di Dio e nel servizio ai sofferenti. Gesù ha compiuto dei segni, e tutti questi si componevano nell'insieme di un Segno. In questo Segno i figli e le figlie del popolo, che avevano conosciuto l'immagine del Messia, descritto dai profeti e soprattutto da Isaia, possono scoprire senza difficoltà che "il regnodi Dio è vicino": ecco colui che "si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori" (Is 53,4).

Gesù non soltanto predica il Vangelo come hanno fatto tutti dopo di lui, ad esempio il meraviglioso Paolo, le cui parole abbiamo meditato poco fa. Gesù è il Vangelo! Un grande capitolo nel suo servizio messianico è indirizzato a tutte le categorie della sofferenza umana: spirituali e fisiche.

Non senza motivo leggiamo oggi anche un brano del libro di Giobbe, che illustra la dimensione della sofferenza umana: "Se mi corico dico: Quando mi alzero? / Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all'alba" (Gb 7,4).

Sappiamo che Giobbe, passando per l'abisso della sofferenza, ha raggiunto la speranza del Messia.

Di questo Messia parla il salmista nelle parole della liturgia odierna: "Il Signore ricostruisce Gerusalemme, / raduna i dispersi di Israele. / Risana i cuori affranti / e fascia le loro ferite... / Il Signore sostiene gli umili / ma abbassa fino a terra gli empi" (Ps 147 [146],


2.

3.6).

Questo è proprio il Cristo.

E questo è proprio il Vangelo.

Paolo di Tarso, che è stato uno dei più grandi annunciatori del Vangelo e ne conosce la storia, è pienamente consapevole che egli ne partecipa: "Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe" (1Co 9,23).


4. Con questi sentimenti mi trovo oggi tra di voi, cari fratellie sorelle, membri della comunità parrocchiale, dedicata a san Gioacchino. Desidero manifestarvi la mia profonda gioia per questa mia visita ed altresi rivolgere a tutti voi un cordiale saluto.

Anzitutto ai Padri Redentoristi, che nel lontano luglio del 1896 ricevettero dal mio predecessore Leone XIII la cura pastorale di questa zona e di questa Chiesa, che gli era stata donata dal mondo cattolico in occasione del 50° della sua ordinazione sacerdotale e del 25° di episcopato. Saluto il parroco, Padre Silvino Battistoni, il vice-parroco e i sacerdoti che con zelo collaborano a tutte le attività pastorali. Un saluto ai religiosi, alle religiose e alle anime consacrate, che operano nell'ambito della parrocchia; i Preti della Missione; i "Christian Brothers"; "l'Opus Dei"; i Focolarini; le Figlie della Carità; le Suore della Risurrezione; le Suore della Sacra Famiglia di Bordeaux; le Suore di santa Maria; le Suore Minime del Sacro Cuore; le Suore di sant'Orsola; le Apostole del Sacro Cuore; le Piccole Suore di santa Teresa del Bambino Gesù.


Un affettuoso saluto a tutti i



6.500 fedeli ed alle

2.000 famiglie che compongono la comunità parrocchiale; a tutti i gruppi che con generosità ed entusiasmo sono impegnati nell'opera della evangelizzazione e della catechesi permanente.

Sono sinceramente lieto perché dalla particolareggiata relazione sulla impostazione dell'attività pastorale della vostra parrocchia, ho potuto costatare come essa lavori con impegno per il Vangelo, per parteciparne anzitutto essa stessa, mediante la catechesi continua, la vita liturgica e sacramentaria. Come ho scritto nella esortazione apostolica sulla catechesi nel nostro tempo, "la comunità parrocchiale deve restare l'animatrice della catechesi e il suo luogo privilegiato... Essa deve ritrovare la propria vocazione che è quella di essere una casa di famiglia, fraterna ed accogliente, dove i battezzati e i cresimati prendano coscienza di essere Popolo di Dio. Li il pane della buona dottrina ed il pane dell'Eucaristia sono ad essi spezzati in abbondanza nel contesto di un medesimo culto; di li essi sono rinviati quotidianamente alla loro missione apostolica, in tutti i cantieri della vita del mondo" (CTR 67).


5. Se in occasione dell'odierna visita esprimo la gioia per tutto quello che la vostra comunità fa tuttora per diventare partecipe nel Vangelo, contemporaneamente esprimo anche un fervido augurio (per questo prego qui insieme con voi), affinché l'evangelizzazione si compia veramente nello spirito di san Paolo apostolo. Che essa sia contemporaneamente a misura dei tempi nei quali viviamo; a misura dei bisogni dell'ambiente, che costituisce la vostra parrocchia; anche, a misura delle difficoltà e delle minacce, a misura del male, con il quale si deve incontrare qui la potenza messianica di Cristo e del Vangelo.

Vorrei brevemente riflettere con voi sui tre momenti, che possiamo cogliere in quella che è la giornata di Cristo a Cafarnao. Egli anzitutto mostra una profonda sollecitudine per gli ammalati, sofferenti nel corpo e nello spirito; li guarisce, mostrandosi così come il Messia liberatore del male.

Egli prega a lungo il Padre; in tale atteggiamento di adorazione lo trovano i suoi discepoli al mattino.

Egli predica ed annuncia la venuta definitiva del Regno di Dio nella storia.

In maniera analoga i cristiani debbono trovare nella parrocchia una comunità che ama, una comunità che prega, una comunità che evangelizza.

Nella vostra comunità parrocchiale opera, nel silenzio, un buon gruppo di fedeli del Volontariato Vincenziano, i quali visitano, assistono i fratelli più bisognosi. Inoltre, nella vostra parrocchia, che come è noto è Sede Primaria del Pio Sodalizio dell'Adorazione Riparatrice, esiste la pratica dell'adorazione eucaristica perpetua ed è molto curata la pastorale del sacramento della Riconciliazione. Infine, nella vostra comunità parrocchiale agisce un buon numero di catechisti, che si dedicano in particolare alla preparazione ai sacramenti della iniziazione cristiana.

In tal modo la vostra comunità cristiana si sforza di modellarsi sulla vita e sull'atteggiamento di Cristo. Mentre mi compiaccio per questo impegno, auspico di cuore che essa continui sempre più, con fervore e con generosità, su tale cammino!


6. Atteso che oggi in Italia, per indicazione della Conferenza Episcopale, si celebra la "Giornata per la Vita", che quest'anno ha come tema: "La vita: un dono sempre", desidero in questa visita pastorale alla vostra parrocchia ribadire il gravissimo dovere di proteggere, rispettare, promuovere, difendere la vita in tutte le sue fasi, da quella del nascituro a quella dell'anziano, come ho detto alla preghiera dell'"Angelus". Occorrerà quindi moltiplicare, creare iniziative per la vita, di fronte alla tentazione, sempre risorgente, dell'egoismo individualistico e delle continue minacce alla vita fin dal suo concepimento. E' un impegno che voglio comunicare in particolare oggi a voi, fedeli della comunità parrocchiale di san Gioacchino in Roma.


7. Abbiamo letto nel Vangelo odierno che di buon mattino Gesù perseverava nella preghiera e venne a lui Simon Pietro e gli disse: "Tutti ti cercano".

Come lontano successore di questo Pietro nella Sede romana, desidero ripetere a Cristo in mezzo alla vostra comunità parrocchiale queste parole: Signore, tutti ti cercano! In queste parole trovi conferma, cari fratelli e sorelle, che voi fate "tutto per il Vangelo, per diventarne partecipi".

Così sia!




1982-02-07 Data estesa: Domenica 7 Febbraio 1982




Al Cardinale Arcivescovo di Barcellona e al gruppo di Vescovi spagnoli della provincia ecclesiastica di Tarragona in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa

Testo:

Signor Cardinale Arcivescovo di Barcellona e amatissimi fratelli della provincia ecclesiastica di Tarragona.


1. Con grande gioia vi rivolgo il mio piu cordiale saluto all'inizio di questo incontro con voi, convenuti a Roma per venerare i sepolcri degli Apostoli e per trovare il successore di Pietro "perpetuo e visibile fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della massa dei fedeli" (LG 23).

In questo spirito di comunione fraterna, della quale mi avete dato eloquente testimonianza durante il colloquio privato che ho avuto precedentemente con ciascuno di voi, ho potuto apprezzare la sollecitudine ecclesiale che informa la vostra vita di Vescovi della Chiesa e di guide nella fede delle vostre Chiese particolari.

Per questa vostra sincera esperienza di unità, che è coscienza di fedeltà al disegno del Signore, e per il vostro generoso sforzo di trasmettere ai vostri fedeli, per far si che divengano sempre più saldi nella fede e coscienti, desidero manifestarvi la mia profonda gratitudine nel nome di Cristo. In lui "ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito" (Ep 2,21).


2. Con la vostra visita, Pastori del Popolo di Dio, voi mi portate la presenza delle amate comunità cristiane della Catalogna, che nella gioia e nella speranza compiono il loro cammino verso il Padre.

Permettetemi che nel ricevervi io saluti nello stesso tempo attraverso di voi, con profondo affetto, tutti e ciascuno dei vostri fedeli. E vi incarico fin d'ora di portare il mio cordiale saluto ai sacerdoti che mediante il loro prezioso aiuto vi rendono possibile l'evangelizzazione a vasto raggio della comunità cristiana; ai religiosi, le religiose e le anime consacrate, che mediante la testimonianza della loro vita e il loro impegno nelle opere ecclesiali prestano un valido servizio alla educazione nella fede dei fratelli; ai cristiani impegnati nell'apostolato che, con profonda coscienza della loro piena appartenenza alla Chiesa, indirizzano responsabilmente le loro energie alla causa della verità e del bene; ai giovani, che non chiudono i loro orizzonti e non si piegano in atteggiamenti di critica o di evasione, ma che si sentono responsabili della fede propria e di quella degli altri; ai padri e alle madri di famiglia, accogliente Chiesa domestica, aperta al prossimo e a tutta la Chiesa; a tutti i fedeli che, coscienti della loro debolezza, sanno ricorrere alla potenza di Cristo, per trovare nuove ragioni di vita, di esperienza e di disponibilità cristiana.

Al pensiero di queste vive energie ecclesiali, provo nel cuore un profondo motivo di gioia, che diviene incoraggiamento a non venire meno all'impresa; ma anzi, a rinnovarsi nel proposito di fedeltà alla chiamata di Cristo e della Chiesa, che oggi come ieri deve costituire una testimonianza credibile della Verità rivelata e strumento di salvezza per l'uomo del nostro tempo. E' questa la missione essenziale della Chiesa, è il compito a lei proprio, è una imperiosa necessità che richiede il contributo di tutte le energie ecclesiali disponibili.


3. So bene che il compito da realizzare è immenso. La vostra zona ecclesiale ha una vasta storia di ricca tradizione cristiana che ha lasciato tracce inequivocabili e valide in tante sfere della vita culturale e umana, come nelle arti, nella letteratura, nella storia, nella toponimia, nei costumi delle diverse regioni e nell'intimità dei focolari.

Nelle radici profonde di questa tradizione di fede trovano un terreno fertile numerose figure ecclesiali, uomini e donne, che hanno vissuto la loro vita con un profondo sentimento di universalità e tanto hanno significato per la Chiesa.

E' certo che nel momento attuale la Catalogna, non meno di altre regioni, sperimenta un fenomeno di marcata secolarizzazione. Ciò può porre problemi non indifferenti alla vita cristiana dei vostri fedeli, immersi in un sistema di convivenza pluralista, nel quale deve imperare il mutuo rispetto, il dialogo e la debita libertà di coscienza.

Ma da parte loro deve rimanere chiara la coscienza della loro identità di cristiani e membri della Chiesa, la quale, come anche ricorda l'ultimo Concilio, ha una finalità escatologica, è presente nel mondo "per formare già nella storia dell'umanità la famiglia dei figli di Dio, che deve crescere costantemente fino all'avvento del Signore" (GS 40).

E' evidente che la complessa problematica creata da tale situazione, richiede serie risposte che possano favorire la crescita nella fede del popolo fedele.

Ciò nonostante non date per scontata la scristianizzazione delle vostre comunità, che contano vivaci riserve morali, le quali richiedono, si, una cura intensa, ma che sono sempre pero suscettibili di una nuova fioritura di vita cristiana.

Non ignoro le difficoltà che si frappongono al vostro cammino ecclesiale, ma vi esorto a continuare a lavorare nella speranza e a infonderla in tutti gli operatori della pastorale, affinché il vostro popolo fedele riceva quella formazione religioso-catechetica di cui ha bisogno e sappia ispirarsi alle radici più profonde del suo essere.


4. Per progredire in questo cammino, dovete prestare una diligente attenzione, sia da parte vostra che dei membri delle vostre Chiese, al campo della cultura e dell'insegnamento.

Grazie a Dio potete contare sulla disponibilità di sacerdoti, anime consacrate e fedeli ben formati e ricchi di spirito. Mediante la loro capacità e i loro sforzi dovete garantire una presenza multiforme della Chiesa in questi importanti settori della vita sociale, senza trascurare le possibilità offerte dalla educazione religiosa della gioventù mediante la scuola, pubblica e privata, e il ruolo giocato dalla scuola cattolica. E' questo un campo che può continuare a dare eccellenti frutti e che deve continuare ad essere coltivata, come ho recentemente indicato ai vostri fratelli nell'Episcopato di un'altra zona della Spagna.


5. So che state dedicando una attenzione particolare alla famiglia, convinti della sua importanza nell'ambito sociale come in quello religioso.

Continuate a curare questo importante settore dell'apostolato dando ad esso il maggiore impulso possibile, in accordo alle direttive della esortazione apostolica "Familiaris Consortio".

Promuovete la conoscenza di questi insegnamenti mediante tutti i canali, soprattutto le parrocchie e l'ambiente stesso familiare. Che i focolari cristiani della Catalogna si incarichino della evangelizzazione e sentano che lo Spirito del Signore, nonostante tutte le diffficoltà attuali, è con loro e li guida. Che non temano di vivere con profonda generosità i valori cristiani e che la proclamazione di questi valori umani e religiosi, verso i loro figli e la società, sia generata dalla loro stessa esperienza esistenziale.

So anche che la vostra sollecitudine è zelantemente rivolta alla realtà delle numerose famiglie immigrate. Vi incoraggio a questo proposito, affinché tutte le vostre parrocchie siano, sia nell'aspetto liturgico che in quello pastorale, centri di accoglienza cristiana, di aiuto alla promozione di tali famiglie, di offerta di inserimento nel nuovo ambiente, rispettando sempre le peculiarità della loro condizione e della loro espressione dal punto di vista religioso e sociale.


6. Un altro campo che impegna frequentemente la vostra sollecitudine di Pastori è quello delle nuove vocazioni. Voi sentite questo problema con tanta maggiore urgenza dal momento che molti figli e figlie delle vostre diocesi stanno servendo, con lodevole impegno e profondo sentimento ecclesiale, in altre zone della Chiesa.

Condividendo la vostra preoccupazione, rinnovo il vostro appello a quanti possono contribuire efficacemente alla soluzione di questo problema, con voi prego il Signore che mandi nuovi operai alla sua messe e raccomando questa intenzione alla preghiera particolare delle anime consacrate che vivono in clausura e a quelle di tutti i vostri diocesani.

Che il problema delle vocazioni sia un orizzonte sempre aperto nella pastorale giovanile e che nessun membro della vostra comunità ecclesiale si senta esentato dal dovere di collaborare in questo campo.


7. Per poter rispondere alle numerose sfide e procedere allo studio e alla impostazione più adeguata della problematica che la pastorale solleva ai nostri giorni, non ignoro il fatto che alle vostre riunioni congiunte analizzate, in uno spirito fraterno, temi di interesse comune.

Da questa preoccupazione sono sorti servizi interdiocesani a maggior beneficio del Popolo di Dio.

Mi compiaccio di questa manifestazione di fraternità e di mutua collaborazione, nella quale i doni di una Chiesa particolare completano quelli dell'altra, offerti in atteggiamento di servizio efficace e senza diminuzione alcuna della giusta libertà di ogni diocesi né della debita collaborazione concorde con gli altri membri dell'Episcopato.


8. Concludendo queste riflessioni che ho desiderato condividere con voi, amati fratelli, il mio pensiero si volge, insieme al vostro, alla configurazione di ciascuna delle vostre comunità ecclesiali.

Non ignoro che esse vivono momenti di difficoltà nella fede, che possono sembrare come tentate dallo scoraggiamento. Non ve ne è pero motivo. Non sono sole nella lotta e nelle angustie di ogni giorno, ma la presenza dello Spirito di Cristo le accompagna e con la sua potenza continua a compiere meraviglie, a volte nascoste, di grazia e di santità. Cristo vuole compierle anche con loro, con tutti noi che, nonostante la nostra debolezza, grazie a lui potremo essere testimoni fedeli di Cristo nel mondo di oggi.

Riferite ai vostri sacerdoti, alle anime consacrate in modo particolare a Dio ed ai fedeli, che il Papa ripone la sua speranza nella loro fedeltà. Che vivano in un atteggiamento di apertura verso la piena dimensione ecclesiale, offrendo il loro generoso contributo.

Che la dolce Madre comune, la Vergine santissima di Montserrat, ottenga per tutti noi grazie abbondanti dal Figlio suo affinché ci aiutino a conservarci fedeli a lui e alla sua Chiesa. E sia pegno della costante divina protezione e prova della mia benevolenza la benedizione apostolica che di cuore imparto a voi ed ai vostri fedeli.




1982-02-08 Data estesa: Lunedi 8 Febbraio 1982




Ad un gruppo internazionale di dirigenti sindacali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Senza il rispetto dei diritti dell'uomo è impossibile la normalizzazione del vivere in società

Testo:

Signore e Signori, cari amici.


1. E' con piacere che ho voluto accogliere la domanda, non appena è stata portata alla mia attenzione, di un incontro con voi, responsabili di numerosi sindacati riuniti a Roma con lo scopo di testimoniare la vostra sollecitudine per la Polonia in questa ora in cui molti dei vostri colleghi, i lavoratori e la popolazione intera subiscono prove molto gravi. Il vostro rappresentante ha espresso i sentimenti di solidarietà che vi animano nei confronti della mia patria. Ve ne sono riconoscente. In voi, saluto tutti i lavoratori che, uniti nelle loro associazioni libere, cercano di offrire il loro contributo, non solamente alla costruzione di degne condizioni di lavoro, ma anche alla realizzazione di una società giusta, fondando la loro azione su una concezione del lavoro umano che corrisponde alla verità sull'uomo. La vostra presenza qui testimonia del vostro impegno in favore della dignità del lavoro umano; testimonia anche della solidarietà che vi anima verso tutti i lavoratori, e specialmente verso i lavoratori polacchi che cercano una situazione migliore, rispettosa dell'uomo e dei suoi diritti inalienabili. Il mio pensiero si volge specialmente verso coloro che, in Polonia, sono stati duramente colpiti in seguito alle misure ufficiali imposte da circa due mesi: coloro che hanno perduto la vita, coloro che sono stati feriti, coloro che sono arrestati e detenuti, coloro che sono giudicati e severamente puniti, coloro che perdono il loro impiego a causa delle loro convinzioni. Tutti e tutte sono presenti al nostro spirito e al nostro cuore, come sono presenti quelli e quelle che, in mezzo a gravi difficoltà, custodiscono la speranza e restano fedeli alla volontà di cercare per la Polonia la via della giustizia, dei diritti dell'uomo, della pace e della verità.


2. Avete fatto riferimento alla vostra partecipazione, or sono alcuni mesi, al primo congresso della associazione "Solidarnosc" a Gdansk. Tra voi, vi è del resto qualche membro di questa associazione. E vi ricordo che è un anno ormai che ho incontrato proprio qui, Lech Walesa e altri rappresentanti del sindacato indipendente e autonomo Solidarnosc. A questo incontro assisteva il capo della delegazione del governo della repubblica popolare di Polonia per i contatti permanenti di lavoro con la Santa Sede. Ho espresso allora la mia gioia di sapere che, il 10 novembre 1980, lo statuto del sindacato libero Solidarnosc era stato approvato e dunque che la legittimità dell'esistenza e delle attività specifiche di questo sindacato erano riconosciute. In questa felice occasione, che era così ricca di promesse, ho potuto affermare che "la creazione del sindacato libero è un avvenimento di grande importanza. Manifesta la pronta disponibilità di tutti gli uomini lavoratori della Polonia - che esercitano differenti professioni che comprendono quelle che sono collegate al lavoro intellettuale e anche gli agricoltori - a prendere una responsabilità solidale accanto a differenti branche di attività così numerose, per la dignità del lavoro compiuto sulla nostra terra natale. Essa inoltre dimostra che non c'è - perchè non ci deve essere - contraddizione tra una tale iniziativa autonoma sociale presa dagli uomini del lavoro e la struttura del sistema che fa appello al lavoro umano come al valore fondamentale della vita della società e dello stato" (15 gennaio 1981). Non sfugge a nessuno che il sindacato libero Solidarnosc è nato, in un momento molto difficile per la Polonia, da una parte come manifestazione del senso di responsabilità dei lavoratori e del desiderio di assumere le responsabilità specifiche che derivano dal lavoro, e, d'altra parte, come espressione di una sollecitudine reale per il bene comune di tutta la società. Le speranze momentaneamente deluse, le difficoltà e gli ostacoli che si sono creati, le dure restrizioni di diverse libertà imposte non solamente ai membri di Solidarnosc ma a tutta la popolazione, non possono far dimenticare che questo sindacato ha acquisito, e possiede sempre, il carattere di un'autentica rappresentanza di lavoratori, riconosciuta e confermata dagli organi di potere. E', e resta, un sindacato autonomo e indipendente, fedele alla sua ispirazione iniziale, che rifugge dalla violenza anche oggi nella situazione difficile che vive, preoccupato di essere una forza costruttiva per la nazione.


3. Nessuno meglio di voi, signore e signori, è in grado di vedere come i problemi di Solidarnosc oggi non sono un affare unicamente polacco, ma nelle loro origini e nei loro effetti, sono un affare del mondo del lavoro nella sua totalità. Voi tutti, e particolarmente voi che appartenete a dei sindacati di ispirazione cristiana, sapete come la Chiesa ha sempre proclamato il diritto di libera associazione nel nome della dignità del lavoro umano. Come ho sottolineato nella mia enciclica "Laborem Exercens", "è in quanto persona che l'uomo e soggetto del lavoro. E' in quanto persona che lavora, che compie diverse azioni che appartengono al processo del lavoro; e queste azioni, indipendentemente dal loro contenuto oggettivo, devono sempre servire alla realizzazione della sua umanità, al compimento della vocazione che gli è propria in ragione della sua stessa umanità: quella di essere una persona" (LE 6). Il lavoro possiede un valore etico legato al fatto che colui che l'esegue è una persona cosciente e libera, un soggetto che decide di se stesso e per se stesso. Con il suo lavoro, l'uomo produce delle cose, crea i mezzi di produzione - il capitale -, e trasforma le ricchezze della natura, ma, in ultima analisi, lavora sempre per realizzare la propria umanità, per divenire più umano, per essere più uomo cosciente e padrone del suo destino. Deve dunque restare padrone del suo lavoro. Per questo motivo l'uomo ha la responsabilità - e il diritto - di proteggere la dimensione soggettiva del lavoro; deve assicurare che potrà lavorare "in proprio", vale a dire per sé, per la propria umanità. Tale è il suo diritto in ragione della natura stessa del lavoro, e questo diritto dovrà trovare un posto centrale in ogni organizzazione del mondo del lavoro, nella sfera della politica sociale ed economica, come tra gli obiettivi perseguiti dalle associazioni dei lavoratori.

Da questa verità deriva, tra gli altri, il diritto dei lavoratori di unirsi per assicurarsi di rimanere soggetti del lavoro, per salvaguardare tutti i diritti che derivano dal lavoro. L'uomo al lavoro non può sfuggire alla necessità di difendere la vera dignità del suo lavoro: non può più essergli impedito di esercitare questa responsabilità. Unendosi liberamente tra di loro, i lavoratori assumono la responsabilità, che è loro propria, di difendere non solamente gli interessi vitali, ma anche la dignità stessa del lavoro che è legata a tutte le dimensioni della vita umana. così, i sindacati puntano sui giusti diritti dei lavoratori secondo le diverse professioni essendo tutti guidati ugualmente dal fine del bene comune. Nella difesa della verità del lavoro, i sindacati assumono una funzione specifica che non è politica nel senso della ricerca del potere politico nella società, ma che acquista un'importanza sociale generale.

E' sulla base di queste considerazioni che la Chiesa ha rivendicato per i lavoratori il diritto di costituirsi in associazione indipendenti e autogestite, dalla "Rerum Novarum" (cfr. nn. 21,22), passando per la "Quadragesimo Anno" (cfr. n.11), fino alla mia recente lettera enciclica "Laborem Exercens" (cfr. LE 20).

L'insegnamento della Chiesa non può essere diverso, perché si tratta di un diritto inerente al lavoro umano. La sua dottrina sociale si vuole ovunque così consistente e così valevole: quello che essa propone sul lavoro umano, sui diritti dell'uomo e in particolare sull'uomo che lavora, assume la stessa importanza e lo stesso valore per tutte le situazioni e per tutti i paesi.


4. Bisogna sottolineare tutto il significato che rivestono gli atti con i quali i sindacati liberi esprimono la loro solidarietà con i lavoratori polacchi, così come il gesto che avete fatto venendo qui, nella vostra qualità di rappresentanti di sindacati liberi, per esprimere il vostro appoggio al sindacato Solidarnosc.

Con voi, e con molti altri, io considero l'attuale situazione in Polonia come un avvenimento profondamente triste. Con voi, condivido la convinzione che la restituzione del rispetto effettivo e totale dei diritti degli uomini del lavoro e specialmente del loro diritto ad un sindacato, già creato e legalizzato, costituisce la sola via per uscire da questa situazione difficile. Senza questo rispetto dei diritti dell'uomo, la normalizzazione della vita nella società, lo sviluppo della vita economica e la salvaguardia della cultura in tutte le sue espressioni resta impossibile. Si, è vero, il lavoro deve essere riconosciuto come la chiave della vita nella società, il lavoro liberamente assunto e non imposto con la forza, il lavoro con la sua fatica, ma anche con la sua capacità di rendere l'uomo libero e di farne il vero costruttore della società.

Ecco, signore e signori, quello che la vostra visita di oggi mi ha ispirato di dirvi. Ancora una volta, vi ringrazio e prego il Signore di benedire abbondantemente i vostri sforzi, le vostre organizzazioni, le vostre persone e le vostre famiglie.




1982-02-09 Data estesa: Martedi 9 Febbraio 1982




L'omelia durante la Messa per i malati nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Anche per noi deve realmente verificarsi il contenuto dell'espressione "Ad Iesum per Mariam"

Testo:

"Benedicta tu inter mulieres"! (Lc 1,42)


1. Questo suggestivo saluto mariano, che ripete e fa risuonare nei secoli quello che Elisabetta "ripiena di Spirito Santo... a gran voce" (cfr. Lc 1,41-42) rivolse alla Vergine Madre di Dio, mi sembra, carissimi fratelli e sorelle, particolarmente appropriato per la raccolta assemblea liturgica di questa sera.

Siamo, infatti, convenuti all'interno di questo Tempio per onorare e celebrare Maria santissima nel giorno che ricorda l'evento della sua apparizione all'umile Bernadetta là, nella grotta di Massabielle, per affidarle uno speciale messaggio di misericordia e di grazia. E chi potrebbe affermare che un tale messaggio non conservi anche ai nostri giorni il suo pieno valore? Servendosi di quella sconosciuta fanciulla, Maria intendeva richiamare soprattutto i peccatori alla conversione, sollecitando per essi e per la loro salvezza l'impegno comunitario di tutti i fedeli cristiani. Sta di fatto che un tale appello - come rileva la "Liturgia delle Ore" nella breve nota introduttiva, premessa alla memoria odierna - "suscito nella Chiesa un fervido movimento di orazione e di carità, soprattutto a servizio degli infermi e dei poveri".


2. E' proprio quello che intendiamo fare stasera! Convocandovi per la celebrazione dell'Eucaristia, che è sacramento di pietà e vincolo di carità, ho voluto accanto a me in posizione principale e privilegiata tanti fratelli e sorelle provati dal dolore e dalla sofferenza. Nella luce del messaggio sempre attuale della Vergine di Lourdes, voi siete. qui al primo posto, carissimi ammalati, perché a voi è risevato un ruolo insostituibile nell'economia salvifica, in unione con Colui che, con la sua passione, morte e risurrezione, ne è il protagonista e l'artefice: Gesù Cristo nostro Redentore e Signore.

A voi, pertanto, dopo il saluto che ho rivolto a Maria, va ora il mio affettuoso pensiero, che vuol essere anche espressione di augurio per la vostra salute, come pure un segno di ringraziamento per la vostra presenza, che so non disgiunta da qualche difficoltà e sacrificio. Né posso omettere di salutare con voi tutti coloro che, come vi hanno premurosamente accompagnato fin qui, così vi prestano in ben numerose circostanze il loro fraterno e tanto meritorio "ministero" di assistenza e di cura. Si, io desidero salutare e ringraziare anche voi, cari dirigenti e membri dell'Associazione Nazionale UNITALSI e dell'Opera Romana Pellegrinaggi, dei quali conosco ed apprezzo il lavoro assiduo, discreto, disinteressato e generoso. Non soltanto oggi, ma quotidianamente voi svolgete un lavoro che, al di là di ogni limitatrice qualificazione sociologica o professionale, ha un nome ben definito ed onorato nel vocabolario cristiano: carità, come esercizio di evangelica sollecitudine verso i fratelli più deboli, sollecitudine che vien loro prestata in nome di Dio e del suo Figlio Gesù.


"Infirmus (eram), et visitastis me..." (Mt 25,36). Grazie a voi, anche a nome di chi, talora, non ha voce né forza per dirvelo


3. "Benedicta tu inter mulieres"! Il saluto che, ripetendo le parole "ispirate" di Elisabetta, noi rivolgiamo a Maria per onorarla in questa sua festa non sarebbe completo, se non fosse seguito ed integrato dalle altre parole che - come ci riferisce il Vangelo - furono proferite congiuntamente nella casa di Zaccaria.

Come Elisabetta, senza per nulla distaccare madre e figlio, ma piuttosto intimamente associandoli, subito soggiunse: "et benedictus fructus ventris tui", così anche noi dobbiamo indirizzarci con la prontezza di una fede viva, con la forza di un amore ardente al Signore Gesù. Anche per noi deve dimostrarsi vero, cioè realmente verificarsi il contenuto dell'espressione: "Ad Iesum per Mariam", sicché l'odierna ricorrenza liturgica sia pur essa occasione e tramite per avvicinarci maggiormente a Gesù, confessandolo come il "frutto benedetto del seno di Maria".

Riflettiamo: che cosa significo in quella casa della montagna di Giuda (cfr. Lc 1,39) la presenza di Maria? Fu solo un atto gentile, o una premura delicata verso la "parente che aveva concepito nella sua vecchiaia"? (Lc 1,36). Fu un'opera assistenziale puramente umana? No: fu quella una presenza ben più significativa e spiritualmente feconda, perché Maria apporto alla sua parente i doni incomparabili della grazia, della gioia e della luce, associando in questa elargizione alla madre il futuro precursore. Ecco infatti che l'anziana donna, "non appena ebbe udito il saluto di Maria", non solo senti sobbalzarle in seno il figliolo, ma fu ripiena di Spirito Santo e si senti confortata e, direi anche, entusiasta nel ricambiare il saluto. Né basta: ella soprattutto acquisto, per illuminazione di quello Spirito che l'aveva penetrata, la superiore capacità di ravvisare nella giovane sua parente la Madre stessa del suo Signore.

Sono, questi, doni elettissimi che Maria, la madre della divina grazia, procura anche a noi, mentre ci porta a Gesù, o meglio - a voler dire propriamente - ci porta Gesù. Dobbiamo, dunque, accoglierla, come l'accolse Elisabetta.


4. Il Vangelo, testé ascoltato, oltre ai particolari dell'incontro, ci fa conoscere quale fu allora la risposta di Maria. Proclamata benedetta insieme col "frutto del suo seno", proclamata "beata per aver creduto" (Lc 1,45), ella risponde, si, ma cambiando interlocutore, perché comincia a parlare al Signore, elevando a lui nella sua "umiltà di serva" un mirabile canto di lode. Il "Magnificat", vero cantico dei cantici del Nuovo Testamento, risuona quotidianamente sulle nostre labbra, fratelli; ma procuriamo di intonarlo con particolare fervore nella odierna circostanza, affinché, in unione spirituale con Maria, ripetendolo con lei parola per parola e quasi sillaba per sillaba, apprendiamo alla sua scuola come e perché noi dobbiamo celebrare e benedire il Signore.

Esso ci insegna che Dio solo è grande e, perciò, dev'essere da noi magnificato; egli solo ci salva e, perciò, il nostro spirito in lui deve esultare.

Egli si china verso di noi con la sua misericordia e ci solleva fino a sé con la sua potenza. Grande, invero, ed alta è la lezione del "Magnificat", che ciascuno di noi, in tutte le condizioni di vita, può e deve far suo, per attingerne, oltre a quei doni di grazia e di luce, il conforto e la serenità anche nella prova delle tribolazioni e nelle stesse sofferenze del corpo. Sia esso anche per voi, fratelli ammalati, fonte di consolazione e di pace, e vi sostenga nelle vostre preghiere e nell'offerta delle vostre sofferenze.


5. Ma io questa sera ho un'intenzione speciale da proporvi ed una richiesta particolare da presentarvi. Come certamente sapete, domattina lascero Roma per alcuni giorni e, a Dio piacendo, mi rechero in visita in alcuni paesi Africani.

Questo nuovo viaggio sarà come un ritorno, perché il Signore mi ha già concesso di visitare, nel maggio del 1980, alcune terre di quel grande e promettente Continente. Questa volta mi rechero in Nigeria, nel Benin, nel Gabon e nella Guinea Equatoriale, ed avro in tal modo la possibilità di incontrare le numerose comunità ecclesiali che, grazie all'indefesso lavoro di tante generazioni di benemeriti Missionari, sono ivi stabilite. Viaggio missionario, appunto perché è diretto a queste Chiese giovani, e perché a muovere i miei passi è unicamente il servizio alla causa del Vangelo, nel contatto diretto con i fedeli ed i pastori delle medesime Chiese.

E' proprio qui che cade l'accennata richiesta: perché l'imminente viaggio risponda a questa finalità apostolica io vi invito a pregare per me! Vogliate accompagnarmi, voi tutti fratelli e sorelle che mi ascoltate, col pensiero e con l'affetto, ma soprattutto con la carità di una speciale implorazione, affinché il Signore, che solo può darlo, a me dia l'indispensabile aiuto: è Dio che fa crescere (cfr. 1Co 3,6-7)! Egli che mi ha suggerito questa iniziativa, vorrà anche, grazie alle vostre preghiere, accompagnarla e sostenerla, onde sia efficace quella "conferma" che, in forza del mandato di successore di Pietro, io debbo ai confratelli nell'episcopato (cfr. Lc 22,32), e stimolante la parola di esortazione, che rechero a queIle comunità cristiane.

Voi specialmente, che siete provati dalla malattia, vogliate unire l'offerta delle vostre sofferenze e così seguirmi da vicino durante questo viaggio. Voi potete far molto per me; ancora una volta voi siete in grado di comunicarmi quella forza, di cui già parlai all'indomani della mia nomina alla sede di Roma, e di cui anche nel periodo della mia malattia, ho sperimentato l'interiore potenza.

So bene che neppure questa volta mi mancherà il soccorso delle vostre orazioni, né il merito delle vostre sofferenze, e di tutto questo desidero ringraziarvi fin d'ora. Durante il santo Sacrificio non manchero, a mia volta, nella comunione di carità che è come il respiro della vita della Chiesa, di pregare per voi e per la vostra salute. Così sia.




1982-02-11 Data estesa: Giovedi 11 Febbraio 1982





GPII 1982 Insegnamenti - L'omelia alla Messa nella parrocchia di san Gioacchino - Roma