GPII 1982 Insegnamenti - L'incontro con la comunità polacca - Lagos (Nigeria)

L'incontro con la comunità polacca - Lagos (Nigeria)

Titolo: In servizio della patria pur essendone lontani

Testo:

Ringrazio cordialmente il Signor Ambasciatore che ha voluto esprimere in modo conciso e cordiale i pensieri ed i sentimenti di tutti i partecipanti al nostro incontro. Ringrazio Dio che quest'odierno incontro abbia potuto avere luogo. E' in un certo senso l'incontro conclusivo, in quanto non è certamente il primo, sulla strada della mia permanenza in Nigeria. Infatti, già nel primo pomeriggio della mia visita, durante la prima santa Messa che ho celebrato qui, a Lagos, allo stadio nazionale, ho potuto incontrare i miei connazionali, così come nelle tappe successive a Onitsha, a Enugu e soprattutto nel Nord, a Kaduna, dove, allo stadio, in mezzo a centinaia di migliaia di partecipanti ivi radunati per le ordinazioni sacerdotali, un gruppo di polacchi era contraddistinto dagli stendardi, dalle scritte e anche dai canti polacchi, del resto ben eseguiti anche dai non polacchi. A cantare "Sto lat" era una corale accademica nigeriana. Ed io l'ho ringraziata in polacco, perché non è facile ringraziare per "Sto lat" in un'altra lingua; pero, nello stesso tempo, ho ringraziato i miei connazionali.

Infine, ieri, durante la visita ad Ibadan, ho avuto l'opportunità di incontrare un altro gruppo di connazionali che lavorano nelle Università del Paese; e con alcuni di essi ho potuto intrattenermi abbastanza a lungo, così come era avvenuto anche a Kaduna.

Sono lieto di quest'incontro odierno, perché ancora una volta posso incontrarvi in un diverso paese del mondo, e soprattutto in un altro paese dell'Africa. Questo dipende dall'emigrazione, la quale può apparire come una certa dispersione di forze, ma dev'essere anche guardata come una missione e comunque come un servizio. Il mondo è così organizzato che nessuna nazione mai vive in un completo isolamento e anzi sarebbe male se vivesse così. In realtà, come ciascun uomo vive per gli altri, così anche le Nazioni vivono in rapporto reciproco, l'una per l'altra, e l'emigrazione, se convenientemente intesa, secondo le adeguate premesse della morale sociale, politica, internazionale, è un'espressione di queste reciproche prestazioni della società e delle Nazioni.

Credo che l'emigrazione polacca qui, in Nigeria, abbia appunto questo carattere; lo indica la composizione dei connazionali che ci vivono, il loro carattere sociale e professionale. E voglio aggiungere ancora una cosa: le prime relazioni riguardanti voi, polacchi che vivete qui, le ho avute da Vescovi nigeriani, quando questi giungevano "ad limina Apostolorum" per informare il Papa sui problemi della loro Chiesa. Tutti, uno dopo l'altro, mi parlavano dei polacchi che vivono in questo paese, e parlavano di loro come di una parte viva della Chiesa che è in Nigeria. E' una particolare testimonianza resa anche alla nostra patria; non solo alla Chiesa in Polonia, ma anche semplicemente alla Polonia.

Perché - com'è noto - la storia della nostra patria nell'arco di mille anni è in modo strettissimo legata alla Chiesa e al cristianesimo. Gli ultimi difficili secoli sono un particolare periodo di prova di questa alleanza tra la Nazione e la Chiesa. Aggiungerei: in modo particolare gli ultimi anni.

Voglio dirvi che essendo nella storia il primo della stirpe polacca, figlio della terra polacca, ad essere diventato successore di Pietro, Pontefice non solo polacco, ma Slavo, provo un particolare debito nei confronti della mia patria, e pertanto di tutti i miei connazionali. Penso che la patria, la sua storia, la storia della Chiesa, la storia della Nazione mi abbiano in un modo eccezionale preparato ad essere solidale con le diverse nazioni del mondo. Non per nulla i polacchi, durante la loro storia, hanno cercato alleanze, si sono uniti con i loro vicini più stretti; non per nulla, poi, combattevano "per la nostra e la vostra libertà". Tutto ciò appartiene all'eredità spirituale del Papa venuto dalla Polonia. E proprio grazie a questa eredità mi è facile provare una solidarietà particolare verso quelle genti, quelle nazioni che soffrono, che nella grande famiglia dei popoli sono in qualsiasi modo discriminate, oppresse, private della libertà, private della sovranità nazionale, private, nella vita di tutti i giorni, oppure a motivo di un intero sistema, della sufficiente giustizia sociale; mi è facile essere immediatamente con loro perché ho imparato fin da piccolo ad essere in sintonia con la nostra Nazione che ebbe una storia non facile ed ha pure non facile il suo presente.

Incontrandomi con voi e parlandovi, colgo l'occasione per dirvi queste cose. Perché anche voi avete parte, in tutto ciò; e dal momento che anche voi siete fuori dalla patria, così come il Papa si trova fuori dalla patria, potete capirlo in modo particolare. Aggiungo che stando al di fuori della patria, stabilmente a Roma ed a volte fuori di Roma, sono tuttavia molto vicino alla mia patria, vivo molto profondamente tutti gli avvenimenti che vi succedono, soprattutto gli avvenimenti difficili, e ad alta voce esprimo ciò a cui i polacchi hanno diritto da parte dei loro vicini e di tutte le nazioni, soprattutto di quelle nazioni con le quali la storia del nostro continente li ha legati, fin dalle origini. L'ho espresso durantegli ultimi mesi e nelle ultime settimane, riguardo allo stato di emergenza, allo stato di guerra in Polonia; l'ho manifestato rivolgendomi sia alle autorità statali, sia a tutti i rappresentanti degli Stati e delle Nazioni, specialmente di quelli dai quali maggiormente dipende che i diritti degli uomini e delle nazioni siano rispettati.

Carissimi connazionali, fratelli e sorelle, questi diritti sono per noi una eredità secolare. Non li abbiamo appresi solamente con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dell'Uomo, dopo la seconda guerra mondiale. Li abbiamo appresi nel corso dei secoli. Con tale messaggio giungeva al Concilio di Costanza Pawel Wlodkowic. E' un'eredità secolare. E' difficile essere polacco senza portare dentro di sé questa eredità.

Concludendo questa meditazione che, come vedete, è pure indirizzata alla nostra comune Patria e al suo posto nel mondo, desidero rivolgermi a voi che siete fuori della patria e che rappresentate qui, in Nigeria, la Polonia e tutto ciò che è polacco.

Il mio augurio è che voi possiate attuare questa rappresentanza nel modo migliore, nel modo più fruttuoso per questa società in via di sviluppo, una società che ha già conseguito grandi successi, ma che si trova tuttora all'inizio della sua storica via come Stato, quello della Federazione Nigeriana. Vi auguro che possiate compiere bene questo servizio, perché in questo modo altrettanto bene adempirete al servizio nei confronti della vostra patria. E' un insegnamento che traggo dalla mia propria vita e insieme dalla mia missione. Credo che compiendo nel modo migliore possibile la mia missione nella Sede di Pietro, anch'io servo la mia patria, così come ne sono capace. E' un nostro diritto ed è un nostro dovere.

Che Iddio conceda a ciascuno di noi di portare tale diritto nella propria coscienza e adempierlo nelle opere. A questo aggiungo il più caloroso augurio e la più affettuosa benedizione, che va a tutti i presenti, ma anche a tutti coloro che non prendono parte alla nostra riunione. Certamente è maggiore il numero degli assenti di quanti non siano quelli che hanno potuto giungere fin qui. Si parla di circa duemila polacchi che vivono e lavorano in tutta la Nigeria. Vorrei anche rivolgere il mio augurio a ciascuno e ciascuna di voi distintamente, e in particolar modo alle vostre famiglie, e alle giovani generazioni, che vedo qui presenti. Desidero, per così dire, incontrarmi con ciascuna famiglia, con ogni connazionale direttamente, ma anche con ciascun connazionale diventato tale tramite un altro connazionale. Perché vedo davanti a me anche queste combinazioni: quelle dei matrimoni misti tra polacchi e nigeriani oppure tra polacchi e cittadini di altri paesi.

Ed ora desidero che noi concludiamo il nostro incontro: con una comune preghiera e che voi riceviate la benedizione che vi do in questa circostanza. In unione con tutti i miei connazionali prego, per quanto possibile, tutti i giorni, recitando l'"Angelus Domini". perciò anche adesso lo diro insieme con voi.




1982-02-16 Data estesa: Martedi 16 Febbraio 1982




Agli operatori delle comunicazioni sociali - Lagos Nigeria)

Titolo: Sincerità, onestà, verità, per l'autentico progresso dell'Africa

Testo:


1. Per la prima volta, dopo l'ultimo 13 maggio, io posso avere un contatto diretto con un gruppo di rappresentanti della stampa, della radio e della televisione. Ed io sono lieto che questo incontro avvenga con voi che siete stati con me durante il mio più recente viaggio in Africa, il primo che io abbia fatto fuori dall'Italia dopo l'attentato alla mia vita.

Molti di voi sono stati a Roma la scorsa estate per informare i vostri lettori, spettatori e ascoltatori sul corso della mia convalescenza. Io desidero ringraziarvi ancora una volta per l'interesse che voi avete dimostrato durante quell'episodio. Io attribuisco il suo felice esito alla speciale protezione del Signore e alla intercessione della Vergine.


2. Ed ora la Provvidenza di Dio ha fatto si che nello spazio di meno di due anni io potessi fare una seconda visita nel continente africano. Questo incontro con voi in particolare, giornalisti e rappresentanti della radio e della televisione dei Paesi dell'Africa, mi offre una opportunità di riflettere con voi sulla importanza dei mezzi di comunicazione sociale in Africa, oggi.

Voi qui siete alla fase iniziale di sviluppo dei vostri mezzi di comunicazione, mentre i paesi più industrializzati hanno già raggiunto un alto livello in questo settore. Questa situazione accresce le vostre responsabilità, mentre vi offre una occasione unica. Con la vostra azione, la vostra onestà professionale e la vostra dedizione alla causa della verità, voi potete dare un contributo decisivo a questo continente. Orientando i mass-media decisamente al servizio dell'uomo e in favore di una informazione obiettiva, l'Africa può determinare il suo futuro sviluppo.


3. Noi sappiamo che oggi, in questo settore, come in altri, ci sono dannosi squilibri e che diverse organizzazioni internazionali hanno parlato chiaro su di essi. C'è una tendenza verso un esercizio di pressione esterna sul mondo della stampa, della radio e della televisione con l'imposizione, da parte delle nazioni più potenti, non soltanto della tecnologia ma anche delle idee.

Per tale ragione io penso che è importante sottolineare che la sovranità nazionale è salvaguardata attraverso un uso corretto dei mezzi di comunicazione, proprio perché questi mezzi possono diventare strumenti di pressione ideologica. E questa pressione ideologica è più dannosa ed insidiosa di molti mezzi più evidentemente coercitivi.


4. La Chiesa Cattolica continuerà a richiamare l'attenzione sul ruolo delle comunicazioni sociali. Dopo il Concilio Vaticano II essa ha moltiplicato i suoi sforzi in questo settore. Quest'anno segna il 10° anniversario della pubblicazione della istruzione pastorale "Communio et Progressio".

In questo documento si riscontrano tre parole che emergono di preferenza: sincerità, onestà e verità. Se ciascuno di voi seguita a versare questi principi nella pratica della vita, ciascuno nella sua sfera di competenza, allora i mezzi di comunicazione sociale diverranno realmente per tutta l'umanità i mezzi dell'avanzamento sociale e culturale, i mezzi per un vero progresso.

Questa è la speranza che accompagna le espressioni della mia gratitudine, per tutti i sacrifici e servizi che voi avete così generosamente compiuto durante il mio pellegrinaggio pastorale in Nigeria che ora sta per terminare.

Dio benedica voi e le vostre famiglie e conceda a tutti voi di conoscere il suo amore e di fare l'esperienza della sua pace.




1982-02-16 Data estesa: Martedi 16 Febbraio 1982




La partenza dalla Nigeria - Lagos (Nigeria)

Titolo: Messaggio di fraternità e amore per ciascun bambino nigeriano

Testo:


1. Signor Presidente, Eminenza, confratelli Vescovi, Esponenti del Governo e voi, gente meravigliosa della Nigeria.

E' venuto il momento per congedarmi da voi e dirvi addio.

Sono colmo di gratitudine. Il mio cuore trabocca di gioia. Non avete risparmiato sforzi per organizzare magnificamente il mio viaggio, le celebrazioni e gli incontri.

Desidero ringraziare il Presidente, il Vice-Presidente e tutti i funzionari del Governo a tutti i livelli per la loro accoglienza ed ospitalità così cordiale, per la loro generosa assistenza.

Ringrazio i Vescovi cattolici e tutti i comitati cattolici che hanno lavorato con tanta dedizione e competenza. La mia gratitudine va a tutti i piloti, conducenti, uomini della sicurezza, e ad ogni uomo, donna e bambino che hanno manifestato un così alto spirito di ospitalità e un così vivo interesse.


2. Porto con me il ricordo molto vivo di una grande nazione, di un popolo generoso, di una Chiesa dinamica, di una gioventù entusiasta e dotata di molti talenti, di un Paese che onora la famiglia, rispetta gli anziani e guarda ai figli come ad una benedizione. Insomma, porto con me il ricordo indimenticabile di un paese che fa onore all'Africa, al mondo e alla Chiesa di Gesù Cristo. Anche se devo partire ora, il mio cuore resta con tutti voi. Mi sarà possibile tornare un giorno nella Nigeria? Vorrà la Provvidenza di Dio Onnipotente e Misericordioso disporre che io torni a baciare il vostro suolo, abbracciare i vostri bambini, incoraggiare i vostri giovani e camminare ancora una volta circondato dall'amore e dall'affetto del nobile popolo del vostro paese? Noi lasciamo il futuro nelle mani di Dio, alla sua sapienza e alla sua cura paterna. E' a lui, il Dio Creatore e Padre di tutti noi, che io affido il futuro e il destino della Nigeria.


3. Ed ora desidero rivolgere una parola finale ad una persona molto speciale che è tra di voi, dovunque io guardi. E' il bambino nigeriano: ciascun bambino e ciascuna bambina creata ad immagine e somiglianza di Dio. E' al bambino di questo grande Paese, al bambino dotato di dignità umana e di diritti inalienabili, al bambino che riflette l'amore di Dio nei suoi occhi e lo esprime attraverso il suo sorriso, che lascio il mio messaggio di fratellanza, di amicizia e di amore. Io ti chiedo, bambino caro, - so infatti che mi stai ascoltando - di trasmettere questo messaggio ai tuoi fratelli e alle tue sorelle ed ai bambini che verranno dopo di te.

Chiunque tu sia, questo messaggio d'amore appartiene alla tua religione come appartiene alla mia: dico che tu, ed ogni altro bambino, siete amati da Dio e degni di amore. E che questo amore deve diffondersi dovunque e prendere possesso di ogni cuore. L'amore di cui sto parlando significa che devi amare Dio in contraccambio del suo amore; e questo lo fai amando ogni altro figlio di Dio su questa terra. Questo amore vuol dire che non vi è posto per l'egoismo, la menzogna, la meschinità, l'odio, la discriminazione, la violenza in questo mondo.

Significa che tu ed ogni altro bambino sulla terra avete la stessa dignità agli occhi di Dio: qualunque sia la vostra età, la vostra razza, la vostra nazionalità; che siate maschio o femmina, ricchi o poveri, forti o deboli, sani o malati o handicappati. L'amore che vi chiedo di avere per ogni fratello e sorella, per ogni persona vivente, è l'amore di generosità e di bontà, di sacrificio, di amicizia e di pace.

Tutte queste cose possono essere riassunte in poche parole, e possono essere dette in diversi modi. Ma lasciate che le dica alla mia maniera, nella maniera che ho appreso, come mi è stata insegnata da mia madre, la quale mi diceva quando ero bambino: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,12). Caro bambino della Nigeria: agendo in questa maniera hai più potere di tutte le centrali nucleari del mondo, perché hai il potere di portare pace e felicità al mondo. Parlo del potere che è tuo perché ti viene da Dio, ed è il potere di amare, il potere di amare ogni altro bambino. Caro bambino, Dio ti ha amato; ora devi amare anche tu in contraccambio.

Addio, e che Dio benedica tutta la Nigeria.




1982-02-17 Data estesa: Mercoledi 17 Febbraio 1982




L'omelia della Messa - Cotonou (Benin)

Titolo: Approfondite l'evangelizzazione e rimanete uniti tra voi

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. Rendiamo grazie a Dio! Che la Buona Novella di Gesù sia sempre la vostra gioia! Che il suoVangelo penetri sempre, con la sua luce e la sua forza, nel profondo dei vostri cuori, delle vostre famiglie, dei vostri costumi, di tutte le realtà della vostra vita di Beninesi! Che esso sia la vostra salvezza! E che vi mantenga molto uniti! Cari Beninesi, ecco il messaggio che mediteremo. Ma innanzi tutto una parola di cordiale saluto. Voi siete rinomati per la vostra squisita ospitalità di cui anche io godo questa mattina. Consentitemi allora, a mia volta, di cominciare col salutare gli stranieri vostri ospiti, i nostri amici Togolesi.

Cari figli e figlie del Togo, voi siete venuti appositamente, insieme con i vostri Vescovi, per pregare con il Papa, come due anni fa ad Accra. Leggo pero nel vostro sguardo un po' di tristezza: purtroppo, anche in questa occasione, non potro rendervi visita. Spero di farlo un giorno, se Dio lo permetterà. Io so che nel vostro Paese avete delle comunità cristiane numerose e piene di vita, e voi siete già molto presenti nei miei pensieri e nel mio cuore. Ditelo ai vostri compatrioti quando sarete ritornati a casa. E l'omelia che rivolgero ora ai vostri vicini del Benin, si riferirà, in gran parte, anche a voi.


2. "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19).

Cari figli e figlie del Benin, la Buona Novella affidata dal Cristo ai suoi Apostoli il giorno dell'Ascensione, è giunta fino a qui. Il Benin, a sua volta, dopo tanti altri popoli come quello di Roma di cui io sono il Vescovo, come quello della Polonia dove ho le mie radici, ha accolto i messaggeri della Buona Novella. "Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!" dice la Scrittura citata da san Paolo (Rm 10,15). Accadde centoventi anni or sono: i missionari che arrivarono da voi non venivano per conto loro, erano stati inviati. "E come annunzieranno [il Signore], senza essere prima inviati?" (Rm 10,15). Essi erano inviati dalla Chiesa in nome del Cristo che aveva detto: "Andate... [in] tutte le nazioni" (Mt 28,19). Date gratuitamente quanto voi stessi avete gratuitamente ricevuto.

Il vostro Paese aveva vissuto a lungo senza conoscere il Vangelo. "E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?" (Rm 10,14). E tuttavia, nel suo lento progredire, il Benin non era privo di valori umani, di valori religiosi. Una saggezza ancestrale presiedeva ai rapporti familiari, alla vita del villaggio e dello Stato. Uno spirito profondamente religioso caratterizzava, e tuttora distingue, gli abitanti del paese. Dio non era lontano da ciascuno di loro perché anch'essi erano della sua stirpe, come affermava san Paolo nei riguardi degli Ateniesi. Erano stati maturati e preparati dalla loro storia millenaria, che si perde nella notte dei tempi, e da prove indubbie. Mistero della Provvidenza, la quale permise in ogni caso che il vero volto del Salvatore fosse loro rivelato per dissipare le ombre e le incertezze, per convertire ciò che, come presso altri popoli adepti di una religione naturale, doveva essere corretto, purificato, elevato per instaurare nei cuori l'amore di Dio e l'amore verso i fratelli quale Gesù aveva insegnato. Una nuova tappa aveva inizio.


3. Oggi, prima di ogni altra cosa, noi rendiamo grazie a Dio per questi centoventi anni di evangelizzazione. Già il mio predecessore Giovanni XXIII vi indirizzava, l'8 settembre 1961, per il centenario, una bella Lettera portatavi dal Cardinale Decano del Sacro Collegio. Io faccio mio quel messaggio. Oggi il Papa viene fisicamente in mezzo a voi per celebrare le meraviglie di Dio e confermare il vostro cammino nella fede. Così mi è stato concesso dalla Provvidenza che mi ha salvato dall'attentato del 13 maggio scorso, ed anche di questo voi rendete grazie insieme con me.

Chi potrà mai descrivere gli sforzi segreti, cosparsi di gioia e di sacrifici, dei pionieri del Vangelo e dei loro successori, durante questo periodo di Cristianesimo? Hanno avuto bisogno di molta pazienza, di molta fede, soprattutto di molto amore verso i Beninesi, per farli accedere a poco a poco alla pienezza della vita cristiana e delle responsabilità nella Chiesa. I loro corpi riposano nella terra di questo Paese. "Se il chicco di grano caduto in terra... muore, produce molto frutto" (Jn 12,24). Oggi la Chiesa, simile a un albero dalle radici robuste, è cresciuta, a cominciare dai figli di questo popolo. Ella ha ormai i suoi sacerdoti e i suoi Vescovi, i suoi religiosi indigeni. Ed anche un membro del Sacro Collegio dei Cardinali! Senza rifarne tutta la storia, guardiamo piuttosto la Chiesa del Benin quale si presenta attualmente.

Porre in rilievo gli aspetti positivi che, grazie a Dio, le sono propri e che sono motivi di speranza su cui deve fondarsi il suo progresso, non è cedere al trionfalismo. La Chiesa nel Benin ha conosciuto ritardi, sofferenze, tentazioni e forse abbandoni. Ella continua ad essere lucidamente cosciente delle sue debolezze e deficienze, ma non è evidente che sta ritrovando un vigore nuovo, una nuova vitalità? Un movimento di conversione non cessa di operarsi fra voi, cari fratelli e sorelle del Benin. La fede diventa più forte e più profonda in molti di voi, e voi ne sentite maggiormente l'esigenza. Avete imparato e imparerete a conoscerla meglio, a renderne conto. Sapete il valore e la vitale necessità della partecipazione alle celebrazioni religiose. Si vedono anche moltiplicarsi gruppi di preghiera di giovani e di adulti. Le vocazioni sacerdotali - ecco un buon segno - fioriscono più numerose. Parecchi laici acconsentono, a titolo gratuito, ad essere catechisti dei loro fratelli. Altri si preparano ad un apostolato da attuare nel proprio ambiente studentesco, operaio o rurale. Gli strumenti della catechesi sono oggetto di rinnovamento mediante la utilizzazione delle vie più consone alla vostra geniale inclinazione, come il celebre canto regale "hanyé".

Nello stesso modo, la liturgia è viva, con riti espressivi che nulla tolgono alla dignità e alla preghiera. La testimonianza della carità seguita a manifestarsi in alcuni campi della vita sociale, là dove è possibile, in particolare nelle attività di assistenza sanitaria, negli ospedali e nei dispensari. Insieme con i vostri compatrioti, voi vi preoccupate seriamente di promuovere la giustizia, la pace e la prosperità del vostro Paese.

E' necessario dire che una nuova primavera si apre per la Chiesa nel Benin? Io me lo auguro di tutto cuore con voi. Affidiamo tale primavera alla grazia di Dio. Ed io vengo per prima cosa proprio ad incoraggiare questa rinascita, invitandovi a farla crescere, a fortificarla.


4. Tuttavia, fratelli e sorelle del Benin, siate vigilanti! Una nuova tappa si presenta davanti a voi. L'evangelizzazione deve proseguire, estendersi ad altri e, soprattutto, penetrare più profondamentenel le realtà della vostra vita personale.

Non ci sono forse molti vostri compatrioti che non conoscono ancora e veramente il Vangelo, e che non possono pertanto prestargli fede? Certamente, l'obbedienza alla fede (cfr. Rm 10,16) deve sempre compiersi nel mistero della coscienza, immune da ogni costrizione esterna. Ma in concreto, come si può aderire liberamente alla Chiesa di Cristo se non si è avuto occasione di sentir predicare la fede e, specialmente, di vederla vissuta da una comunità di vicini, di amici? Penso in particolare ad alcune regioni del Nord del paese dove tuttora la prima evangelizzazione non è stata realmente effettuata. Sebbene, grazie a Dio, dei missionari stranieri vi diano un aiuto prezioso, spetta sempre più ai Beninesi, in modo speciale ai sacerdoti e alle suore, di andare a portare la Buona Novella ad altri Beninesi, di diocesi in diocesi, ed anche, perché no, al di là dei vostri confini, per esempio ad altri Africani. Io vi esorto a questa condivisione della fede. Il fatto che il Cardinale Gantin sia stato chiamato a Roma, dapprima a servizio della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, quindi per promuovere la giustizia e la pace in tutti i Paesi, non sprona la vostra Chiesa ad essere sempre più missionaria?


5. Ma desidero parlare maggiormente della seconda tappa dell'evangelizzazione. E' certo che san Paolo va all'essenziale quando afferma: "...se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" (Rm 10,9). E questa è la fede nella quale siete stati battezzati. Ma lo stesso Apostolo visitava spesso le comunità da lui fondate, affinché il battesimo, cioè l'iniziazione del cristiano, avesse una risonanza in tutta la vita, ed egli dedicava la seconda parte di ogni sua lettera a descrivere il progresso dei costumi cristiani. Anche Gesù non aveva detto soltanto: "Battezzate", ma insegnate "loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,20). Evangelizzare significa dunque pervadere dello spirito delle beatitudini - semplicità di vita, rettitudine, purezza, giustizia, pace, coraggio e, al di sopra di tutto, amore - le relazioni quotidiane delle persone tra di loro e con Dio, quelle tra gruppi, e i rapporti nelle famiglie e nella società; e questo fino a dare un'impronta profonda, dal di dentro, mediante la luce e la forza del Vangelo, alle realtà più intime e più radicate, alle abitudini, ai criteri di giudizio, ai valori determinanti, ai centri d'interesse, alle linee di pensiero, alle fonti d'ispirazione e ai modelli di vita (senza eccettuare le istituzioni che tutto influenzano): in una parola, alle diverse culture (cfr. EN 19-20). L'innesto del Vangelo fa produrre nuovi frutti all'albero nutrito di linfa africana. In tal modo gli uomini e le donne acquisiscono la loro autentica personalità umana e cristiana, in coerenza con se stessi, cioè con la propria anima africana.

In questa maniera, per esempio, bisogna estendere l'evangelizzazione dagli individui alle famiglie o, meglio, a tutta la vita familiare, affinché - innestati sulle altre virtù ancestrali quali la solidarietà tra famiglie e la gioia della fecondità - rifulgano sempre maggiormente l'amore personale dei coniugi vissuto nel rispetto, nell'unità e fedeltà assoluta della coppia; la cura dell'educazione dei figli e tutto quanto deriva dal Vangelo, come ho ricordato, in seguito al Sinodo, nella mia ultima esortazione apostolica.

L'evangelizzazione deve inoltre illuminare, purificare ed elevare il complesso dei costumi e delle tradizioni che permeano così fortemente l'animo dei vostri compatrioti, allo scopo di assumerne tutto ciò che può concorrere a una vita più conforme alla fede cristiana e, in definitiva, più profondamente umana.

Le coscienze devono essere aiutate con sollecitudine in quest'opera di discernimento: così, affrancati dal timore, i fedeli potranno progredire in pace portando a pieno sviluppo la parte migliore di se stessi, con il patrimonio culturale che essi possono e devono conservare, ma accettando le esigenze e, all'occorrenza, le rotture imposte dal Vangelo. Per conseguenza, i cristiani saranno allora veramente degni del Cristo, mantenendo l'efficacia del sale o del lievito nella pasta, e la loro fede non diventerà insipida nell'ambiguità di un pericoloso sincretismo.

E' necessario anche evangelizzare le realtà del lavoro, della vita sociale. I cristiani sapranno criticare con lucidità il materialismo e la preoccupazione smodata del guadagno che rischiano non solo di far perdere loro l'anima (PP 40-41), ma anche di deteriorare i rapporti sociali, di favorire l'inganno, di corrompere la coscienza professionale, di far trascurare il senso del dovere - ciascuno limitandosi a reclamare i propri diritti -, di far perdere il senso del bene comune e quello della gratuità nelle relazioni umane, tanto caro ai Beninesi. Si, i cristiani, a causa della loro fede e per amor di patria, devono essere in prima fila tra quanti vogliono, costi quel che costi, promuovere o ristabilire quei valori senza i quali la società verrebbe a degradarsi.

E diano i cristiani anche l'esempio d'una grande attenzione nei confronti dei poveri, contribuendo validamente perché questi possano avere sempre di che nutrirsi, vestirsi, curarsi, istruirsi e vivere da figli di Dio.


6. Se ne avessi avuto il tempo, mi sarebbe piaciuto rivolgere, a tutte le categorie del Popolo di Dio, incoraggiamenti dettagliati in funzione dei principi di evangelizzazione ora esposti. Ma i vostri Vescovi, che hanno tutta la mia fiducia, avranno cura di sviluppare, nel medesimo spirito, questo colloquio. Sono felice di avere intorno a me Monsignor Christophe Adimou, Arcivescovo di Cotonou, e il suo coadiutore Monsignor Isidore de Souza; Monsignor Lucien Agboka, Vescovo di Abomey, Monsignor Nester Assogba, Vescovo di Parakou, Monsignor Vincent Mensah, Vescovo di Porto Novo, Monsignor Robert Sastre, Vescovo di Lokosso e Monsignor Patient Redois, Vescovo di Natitingou.

Io mi accontento dunque di dirvi insieme con loro: Cari "sacerdoti", rinnovate con gioia il dono meraviglioso della vostra vita al Signore. Il popolo cristiano vi venera, vi ama e conta su di voi. Con il Signore, siate quindi i buoni pastori, sempre disponibili e vicini al vostro popolo, sia degli ambienti umili, sia di quelli colti. Siate disposti ad ascoltare molto i laici cristiani la cui fiducia e generosità faranno da trampolino al vostro sacerdozio. Approfondite anche lo studio delle realtà e delle culture che incontrate, per determinare con i vostri Vescovi una pastorale pertinente e il dialogo adatto a tutti coloro che credono in Dio.

Cari "seminaristi", io mi rallegro di veder aumentare il vostro numero, tanto nel grande Seminario di Ouidah che nei piccoli Seminari d'Adjatokpa, di Djimé, di Parakou: per l'avvenire della Chiesa è di capitale importanza. E, coincidenza provvidenziale, oggi, esattamente sessantotto anni fa, si inaugurava il Seminario di Ouidah che avrei desiderato visitare! Esso ha formato praticamente i maggiori di voi: tutti i sacerdoti, sette Vescovi beninesi - dico sette perché bisogna contare pure il Cardinale Gantin - e i Vescovi del Togo. L'albero si riconosce dai suoi frutti! Voglio rievocare anche le mirabili figure di sacerdoti che hanno raggiunto la casa di Dio: Padre Thomas Moulero, Padre Gabriel Kiti, Padre Dominique Adeyemi, Padre Lucien Hounongbé e il venerato Monsignor Moïse Durand che ci ha lasciati di recente.

Considerate come una grazia insigne il fatto di servire il Popolo di Dio nel sacerdozio, con la sola ambizione di consacrarvi interamente all'urgente opera di evangelizzazione di cui vi ho parlato, e di donare ai vostri compatrioti la vita stessa di Dio.

Che i "diaconi" e i "fratelli" religiosi sappiano anch'essi continuare con zelo il loro ministero o il loro servizio che ha un posto rilevante nella Chiesa.

E a voi, care "Suore", dico una parola particolare: alla gioia che si irradia così spontanea dal cuore e dal volto dei cristiani beninesi, voi aggiungete palesemente quella di essere libere di amare il Signore con un cuore offerto a lui solo, per condurre una vita semplice, evangelica, che reca i segni della fiducia in Dio, dell'amore verso i poveri, del servizio alla Chiesa, del senso missionario. Che la vostra testimonianza possa risplendere sempre di più.

Non dimentico i "religiosi contemplativi", Trappisti di Kokoubou e Benedettini di Zagnanado, Trappiste di Parakou e Benedettine di Toffo. Ringraziamo questi uomini e queste donne di pregare giorno e notte per il Benin e per tutta la Chiesa, in quegli alti luoghi di adorazione e d'intercessione che manifestano la gratuità dell'amore di Dio.

Cari "laici cristiani", padri e madri di famiglia, bambini e giovani, catechisti, animatori di comunità, uomini e donne che esercitate molteplici forme d'apostolato, la Chiesa conta molto su di voi. Io vi esorto a completare la formazione che vi consente di compiere ancora meglio il vostro servizio nella Chiesa. Continuate a testimoniare senza timore la vostra fede che merita il rispetto e la stima di tutti i vostri compatrioti. Assumete, d'accordo con i sacerdoti, le responsabilità necessarie per sostenere la fede, la preghiera e l'azione cristiana dei vostri fratelli e sorelle, e per evangelizzare le realtà concrete e quotidiane che sono la vostra sorte. Penso particolarmente al magnifico ruolo che le donne possono svolgere nella famiglia, in parrocchia e accanto alle altre donne africane.

Infine, che tutti coloro che sono impediti dalla malattia, dalla sofferenza fisica o morale, da prove d'ogni specie, dal carcere, si sentano vicini al cuore del Papa il quale vorrebbe portare loro il conforto che Gesù dava di preferenza agli afflitti. Nessuna delle loro pene è perduta nella comunione dei santi!


7. Prima di terminare vi lascio una consegna, che è l'ultima consegna di Gesù, e quella così sovente ripetuta dagli apostoli Pietro e Paolo: Rimanete molto uniti fra voi. A questo proposito, siate vigilanti, al di dentro e al di fuori. Oh, si, che tra voi l'unità di fede e di carità abbia sempre il sopravvento sulla diversità dei metodi, sui torti che possono manifestarsi tra cristiani, sulle gelosie, sullo spirito settario che danneggerebbe la Chiesa! E ricordatevi che la Chiesa ha conosciuto, all'inizio della sua storia come adesso, difficoltà e prove d'ogni genere di cui la divisione non è stata la minore. Consentire a lasciar infiltrare tra cristiani fermenti di diffidenza e di contrasto è sempre fatale alle comunità cristiane che non tarderanno a subirne le conseguenze diventando deboli e vulnerabili. Testimoniate, al contrario, in pace e senza odio per nessuno, la vostra fraterna solidarietà. Sarete così uniti fra voi, uniti intorno ai vostri Vescovi, uniti al successore di Pietro, mallevadore della fedeltà e dell'unità.

Per ultimo esorto i cattolici a mantenere i buoni rapporti che hanno con quanti condividono la fede nel Cristo.


8. Tutto questo programma è troppo ambizioso o troppo pesante? Per le nostre umane forze, potrebbe sembrare di si. Ma il Cristo ci ha detto nel Vangelo di oggi: "...io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). E la lettera di san Paolo diceva anche: "Chiunque crede in lui non sarà deluso" (Rm 10,11). Se voi sarete fedeli al Cristo, egli non potrà abbandonarvi. Né cesserà di cooperare, misteriosamente, a tutta la vostra opera di evangelizzazione. Non temete. Con lui, siate nella speranza, nella pace, oso dire nella gioia, questa gioia dei cristiani da cui siete già apertamente animati.

Il Cardinale Gantin si rammenta sicuramente, insieme con molti altri Beninesi, delle tre parole-chiave che amava ripetere Monsignor Parisot, suo predecessore nella sede di Cotonou. Esse non hanno certo la pretesa di sintetizzare il mistero cristiano, tuttavia sono espressione significativa di una profonda vita spirituale: "La Croce, l'Ostia, la Vergine". "La Croce": certamente voi la porterete, la portate fin d'ora, ma non da soli, con il Cristo, con tutti i vostri fratelli della Chiesa universale alcuni dei quali sono duramente provati; essa allora diviene sorgente di vita. "La Vergine": voi la pregate, soprattutto presso la Grotta di nostra Signora d'Assa, e la pregherete ancora meglio; ella guida immancabilmente i suoi figli sul cammino del Figlio suo, e ottiene per loro lo Spirito Santo; veglierà su di voi come veglia sul mio paese. "L'Ostia": non è forse il vertice del nostro culto? E' il Cristo vivente che ora ci riunisce, che si offre per noi, che ci trasmette la sua Vita.

E ni kpa Mawu - E ni kpa Gesù Cristù - E ni kpa Maria (Iddio sia lodato - Sia lodato Gesù Cristo - Lodata sia Maria).

Amen!




1982-02-17 Data estesa: Mercoledi 17 Febbraio 1982





GPII 1982 Insegnamenti - L'incontro con la comunità polacca - Lagos (Nigeria)