GPII 1982 Insegnamenti - L'incontro con i Vescovi del Gabon - Libreville (Gabon)

L'incontro con i Vescovi del Gabon - Libreville (Gabon)

Titolo: Rinnovato impegno collegiale dei Vescovi per rendere autoctona la Chiesa nel Gabon

Testo:

Carissimi fratelli nell'Episcopato.


1. Il tempo non mi permette di visitare le vostre diocesi di Franceville, di Mouila, di Oyem; tutti i nostri incontri si svolgono nell'arcidiocesi di Libreville, la capitale, ma mi rivolgo naturalmente all'insieme dei vostri sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, dei fedeli, ai quali trasmetterete i sentimenti del mio profondo affetto. Ringrazio voi, ringrazio loro per questa accoglienza così cordiale.

Il Gabon meritava questa visita pastorale perché è veramente da qui che è partita l'evangelizzazione verso la maggior parte dei paesi dell'Africa equatoriale ed occidentale. Ho ancora il ricordo di quella carta che il vostro Presidente, Monsignor Felicien Makouaka, mi ha portato esattamente dodici giorni fa per illustrare questo progredire che non cessa di stupirci ed ammirarci.

Ammirazione per lo zelo dei missionari, impazienti di portare la Buona Novella ai loro fratelli d'Africa; ammirazione per le vostre popolazioni che hanno creduto nel Vangelo e accettato il Battesimo. Siete realmente la primizia della messe evangelica in tutta questa regione. Ne sono orgoglioso insieme a voi.


2. La Chiesa nel Gabon si distingue anche per il numero relativamente considerevole dei suoi membri rispetto al totale della popolazione, per la fitta rete delle sue scuole cristiane, delle sue associazioni cattoliche, e per la libertà di cui gode.

Ma avete chiaramente in mente i limiti di questi aspetti positivi e mi avete fatto conoscere con molta semplicità, nelle vostre relazioni scritte e verbalmente, le vostre preoccupazioni pastorali: la scarsità di sacerdoti e di religiose indigeni, la difficoltà della perseveranza nelle vocazioni, la mancanza di educatori profondamente cristiani, l'abbandono della pratica religiosa da parte di molti, le esitazioni davanti al matrimonio cristiano, la difficoltà di fare presa sul clima morale e sociale, il carattere ancora insufficientemente autoctono della Chiesa. Le cause sono molte e svariate. Temete sia una ripresa di determinate pratiche pagane, sia l'influenza nefasta di alcuni aspetti della mentalità europea che, lungi dall'essere un progresso, sono in realtà una degradazione della fede o dei costumi.

In una situazione come questa è necessario che ci attacchiamo ai segni positivi, e ve ne sono tanti, come non cesso di sottolineare in tutti i miei discorsi. Senza voler minimizzare le esigenze evangeliche, bisogna conservare una viva speranza: la speranza che Dio può suscitare grandi cose nella sua Chiesa, in proporzione alla nostra fede e alla nostra fedeltà. Tornero su questo argomento domani, nell'omelia della Messa. Consentitemi di trattare con voi quattro punti.


3. Per quanto riguarda i laici, come potremmo non rellegrarci della vitalità di certi gruppi di preghiera, di movimenti cristiani molto diversi? Si osserva soprattutto, in un numero sempre maggiore di fedeli, il desiderio di assumersi - in sintonia con il sacerdote e senza voler sconfinare nel suo ruolo specifico - l'intera responsabilità nelle loro comunità cristiane per quanto riguarda la catechesi e l'animazione, ed il desiderio di meglio comprendere il nesso tra la loro fede ed i loro impegni professionali e sociali. Se questi laici sono esigenti nella loro riflessione cristiana o nelle iniziative che vogliono prendere, rallegriamocene. E provvediamo a procurare loro l'approfondimento spirituale e dottrinale di cui hanno bisogno. Aiutiamoli anche a scoprire il senso dei sacramenti e più particolarmente della partecipazione regolare ed attiva alla Messa domenicale: devono capire infatti che si crea qui la loro unione, l'unione di tutta la loro vita, con Gesù Cristo; che questa partecipazione è una esigenza di santità ma anche un mezzo, un rimedio alla loro debolezza. Impegniamoci affinché la liturgia sia degna e orante.


4. Il secondo aspetto è quello della pastorale della famiglia. Anche questa richiede un grande discernimento e un fermo impegno. Avete analizzato bene la situazione complessa delle famiglie in vista del Sinodo romano. Nella prospettiva attuale molti casi resteranno senza dubbio difficili, e non è possibile minimizzare quanto riguarda il mistero cristiano del matrimonio e le sue esigenze per risolvere tali casi. Ma nessuna famiglia deve sentirsi esclusa dalla Chiesa o incapace di camminare con decisione verso la pienezza cristiana dell'amore coniugale, come ho avuto occasione di scrivere nell'esortazione "Familiaris Consortio". Ciò che soprattutto importa è di far brillare l'ideale della famiglia cristiana, non soltanto nella sua teoria ma quale viene vissuto nei focolari che l'hanno accettato. Non farete mai abbastanza per la pastorale della famiglia: non è forse questo il luogo per eccellenza in cui affondano le loro radici le virtù cristiane - che la catechesi s'incaricherà di far sbocciare - ed anche le virtù del cittadino?


5. Ma ciò che giustamente vi sta più a cuore è il problema delle vocazioni sacerdotali e religiose. Si resta abbastanza sconcertati: come mai hanno portato così scarsi frutti gli sforzi di ogni genere intrapresi da tanti anni? (il Padre Bessieux se n'era preoccupato al suo arrivo, e un piccolo seminario fu inaugurato già nel 1856). Lo ripeto, si tratta di un problema veramente fondamentale, della prova della vitalità religiosa e della condizione di questa vitalità. So bene quanto state cercando la soluzione, anche se per ora sacerdoti "espatriati", come li chiamate, vi aiutano a tal punto da garantire talvolta quasi la totalità del ministero, come avviene nella diocesi di Franceville. Sono d'altra parte lieto dell'intesa fraterna e fiduciosa che regna tra di voi. Ma è necessario affrettare la presa di responsabilità più completa da parte di un clero africano.

La preparazione delle vocazioni consiste innanzitutto nel far apprezzare e desiderare il sacerdozio; vi contribuirà meglio di tutto la testimonianza di una vita sacerdotale zelante, che s'irradia, disponibile. Importa far conoscere l'urgenza, la bellezza del ministero apostolico, che risponde all'attesa profonda dei fedeli. Ciò che è essenziale è soprattutto di suscitare un grande amore per Cristo, uno spirito di preghiera, un clima di generosità, che faccia accettare la rinuncia alla vita familiare e ad una situazione profana indubbiamente meglio retribuita, per il più alto servizio di Dio e dei fratelli. Del resto conviene forse associare ancora di più i vostri sacerdoti gabonesi alle responsabilità ecclesiali, affinché si abituino a sostituirsi a tutti i livelli. Possano essi convincersi infine che sarebbe malsano trasporre in Africa gli aspetti meno accettabili della rimessa in discussione del sacerdozio da cui sono afflitti alcuni settori della Chiesa in Europa ed altrove. Non sarebbe forse come introdurre un "corpo estraneo" nel vostro paese, alieno ai suoi problemi? Molte di queste osservazioni, delle quali siete certamente già pienamente convinti, potrebbero essere valide anche per le vostre religiose autoctone. Come sarebbe meraviglioso il ruolo che potrebbero svolgere presso le donne africane con la loro disponibilità per tutti, se fossero più numerose e venissero dalle generazioni più giovani.


6. Per quanto riguarda le vostre responsabilità di Vescovi infine, fratelli carissimi, vi incoraggio ad unire i vostri sforzi in una collegialità sempre più profonda, più affettiva e più efficace. So bene che i problemi sono molti: dovete affrontare tanti problemi, e con mezzi così ridotti. Ma questo potrebbe essere un invito a gerarchizzare le vostre attività. Come voi chiedete senza dubbio ai vostri sacerdoti di liberarsi da determinati compiti per consacrarsi interamente all'evangelizzazione, così vi auguro di trovare i mezzi per liberarvi il più possibile da incombenze troppo esclusivamente amministrative che potrebbero essere assunte con voi da sacerdoti o da laici competenti, così da dedicarvi alle cose che sono fondamentali per il Vescovo: la predicazione, le visite pastorali, il sostegno cordiale, spirituale e dottrinale ai vostri sacerdoti, gabonesi o altri, e il dialogo con tutti gli operatori apostolici affinché si sentano incoraggiati e aiutati nel discernimento e negli impegni da prendere. Il vostro ruolo principale, come il mio, è di confermare i vostri fratelli.

Portero nella preghiera tutte le vostre intenzioni pastorali, e vi benedico con tutto il mio fraterno affetto.




1982-02-18 Data estesa: Giovedi 18 Febbraio 1982




Incontro Ecumenico - Libreville (Gabon)

Titolo: Non dobbiamo fermarci nel nostro cammino

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo.


1. E' per me motivo di grande gioia spirituale incontrarvi oggi, nel corso del mio pellegrinaggio apostolico tra i miei fratelli e le mie sorelle della Chiesa cattolica nel Gabon. L'incontro con i fratelli cristiani delle Chiese o delle Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica è una componente dei miei pellegrinaggi apostolici. E' un segno della volontà della Chiesa cattolica di proseguire con fermezza nel suo impegno nel movimento ecumenico, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II.

Anche se brevi questi incontri vogliono essere, nei confronti di coloro che non condividono la nostra fede cristiana o che non sono credenti, la testimonianza della nostra comune appartenenza a Cristo Signore.


2. In molti dei suoi documenti, e in particolare nel Decreto sull'Ecumenismo il Concilio ha sottolineato la collaborazione che deve esistere tra i fratelli cristiani sparsi in tutto il mondo. E nel documento sull'attività missionaria della Chiesa, il Concilio insiste su questa collaborazione: "...In rapporto poi alla obiettiva situazione religiosa, va promossa un'azione ecumenica tale che i cattolici, esclusa ogni forma sia di indifferentismo e di sincretismo, sia di sconsiderata concorrenza, attraverso una comune - per quanto è possibile - professione di fede in Dio ed in Gesù Cristo di fronte ai non credenti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati, secondo le norme del Decreto sull'Ecumenismo. Collaborino soprattutto per la causa di Cristo, che è il loro comune Signore: sia il suo nome il vincolo che li unisce. Questa collaborazione deve stabilirsi non solo tra persone private, ma anche, secondo il giudizio dell'Ordinario del luogo, a livello delle Chiese o comunità ecclesiali, e delle loro opere" (AGD 15).

Per quanto mi riguarda, nel compito d'insegnamento che mi compete ho spesso rilevato questo aspetto. Nella mia esortazione sulla catechesi, per esempio, ho voluto sottolineare in particolar modo la dimensione ecumenica di questo compito essenziale della Chiesa e l'importanza, a questo proposito, di una sana collaborazione con i fratelli cristiani.


3. So bene che questa collaborazione viene realizzata nel vostro paese, manifestando i buoni rapporti che intercorrono tra la Chiesa cattolica e la Chiesa evangelica del Gabon. Penso specialmente, per la sua grande importanza, alla collaborazione già antica tra cattolici e protestanti evangelici nel campo della radiotelevisione. Me ne rallegro di cuore, come di una testimonianza data in comune e che reca un grande contributo alla causa dell'unità.

So anche che ogni anno la Settimana di preghiera per l'unità è vissuta qui profondamente. Un mese fa, in occasione dell'udienza settimanale ai pellegrini e visitatori convenuti a Roma, ricordavo che la settimana di preghiera ci offre seri motivi di gioia e di speranza, ma che dobbiamo purtroppo anche costatare con amarezza che non tutte le nostre divergenze sono state superate. Voglio ripetervi oggi, carissimi fratelli e sorelle cristiani del Gabon, le parole che pronunciai quel giorno davanti ai pellegrini e visitatori di lingua francese: "Bisogna veramente pregare, supplicare lo Spirito Santo, dopo essere diventati consapevoli - attraverso una adeguata catechesi - che la divisione è contraria alla volontà di Dio... E' nella presenza del Signore, nell'obbedienza alla sua volontà, che si cammina verso l'unità".

Non fermiamoci dunque nel nostro cammino. Cerchiamo di realizzare la collaborazione in tutte le sue forme possibili. Cerchiamo l'unità come la vuole il Signore, e per questo, lasciamo che il nostro cuore si converta sempre più alle esigenze del suo Regno.

Con questi sentimenti imploro su di voi e su tutti i vostri cari la benedizione di Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo.




1982-02-19 Data estesa: Venerdi 19 Febbraio 1982




L'omelia della Messa - Libreville (Gabon)

Titolo: La Chiesa nel Gabon invita i suoi figli alla partecipazione responsabile

Testo:

Cari fratelli e sorelle del Gabon. Siete stati liberati dalla potenza del Male donando la vostra fede a Dio nostro buon Pastore: vivete fiduciosi nel suo amore! Siete stati accolti dalla Chiesa come membri a parte intera: assumetevi le vostre responsabilità, per edificare in voi questa Casa spirituale! Nella vostra vita familiare, siete stati associati al mistero dell'amore di Dio e al dono della sua vita: questo mistero è grande! Il Cristo vi chiama, come san Pietro, a superare i vostri timori e le vostre debolezze, per seguirlo sul cammino esigente delle beatitudini: camminate nella speranza, con la forza dello Spirito Santo! Ecco quattro aspetti della Buona Novella di Gesù Cristo, che vorrei meditare con voi.


1. Prima di tutto, questo apostolo Pietro, al quale Gesù risorto, sulle rive del lago di Galilea ha detto: "Sii il pastore delle mie pecore", ha terminato, come sapete, la sua vita terrena a Roma, martire della sua fedeltà all'amore di Cristo.

Ma, come sulla sua tomba è stata costruita una splendida Basilica, è sulla sua fede che l'immensa Chiesa di Gesù Cristo si è fondata da venti secoli. Da Cracovia, Dio mi ha chiamato a Roma, io, suo indegno servo per ereditare la responsabilità di Pietro, che è quella di mantenere riunite attorno a Cristo, vero Pastore, le pecore sperdute.

Nel compimento di questa missione, mi piace rileggervi qualche parola che proprio l'apostolo Pietro scriveva da Roma a dei cristiani dell'Asia minore, convertiti dal paganesimo: "Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce.

Un tempo voi non eravate il suo popolo, ora invece siete il popolo di Dio. Eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia" (1P 2,9-10).

Cari fratelli e sorelle, ecco un messaggio confortante, un messaggio di pace! E' anche per voi che avete dato la vostra fede a Cristo. Certamente Dio non è mai stato lontano dai vostri avi, che d'altronde avevano le loro virtù naturali, ma non conoscevano, come voi, il suo volto di Salvatore. Voi lo conoscete. Voi siete stati battezzati nel suo nome, liberati nel più profondo delle vostre anime dal dominio del Maligno che, fin dal peccato originale, tiene l'uomo nella sua schiavitù, nel maleficio, nella menzogna e nella paura. Voi avete ricevuto lo Spirito Santo che vi consente di rivolgervi a Dio chiamandolo come Gesù: "Abbà, Padre!" (Rm 8,15). Già il profeta Ezechiele ci annunciava un Dio che si preoccupava di tutte le sue pecore, che cercava quella sperduta, che fasciava quella ferita e curava quella malata (cfr. Ez 34,16). E Gesù ci ha rivelato, meglio di qualunque altro, il volto di suo Padre, un volto di misericordia, sofferente per il peccato, ma pronto a perdonare al peccatore, a rialzarlo, a reintegrarlo nella casa paterna. Ciò che egli chiede prima di tutto, come Gesù disse a Pietro, è l'amore: "Mi ami tu veramente?". Si, Gesù ci permette di avvicinarci a questo Dio misericordioso, di pregarlo con fiducia perché continui a liberarci dal male, esercitando noi stessi la misericordia.

Certo, la nostra vita, come quella di tutti gli uomini, come quella di tutti i cristiani, rimane sottomessa a numerose prove. E' perché, a causa del peccato originale, il genere umano ha ereditato una situazione storica di disordine, di rottura con Dio, come lo rivela la Bibbia, in un modo globale e misterioso; e le cause immediate e concrete di queste prove sono da ricercare nei limiti normali di questo mondo creato, a volte nelledifficili condizioni climatiche, nel nostro stato di creatura mortale, nelle nostre imprevidenze, nelle nostre negligenze e, a volte, anche nelle ingiustizie sociali sostenute da altri.

Con il Cristo, l'"uomo dei dolori", esse possono essere accolte, offerte, superate con coraggio; bisogna evitaredi lasciarsi ossessionare dalla malevolenza degli altri, e più ancora di provare una morbosa paura di Dio "che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" (Mt 5,45).

Voi, cari fratelli e sorelle, pur rinunciando al peccato - la sola cosa che si deve temere! - bandite ogni fatalismo, ogni inutile paura. Pur operando ardentemente per allontanare le sofferenze e le difficoltà naturali della vita, con tutti i mezzi che Dio vi ha dati, mettete sempre la vostra fiducia nel Salvatore, in lui solo, ricorrendo a lui con tutta semplicità. Cercate appoggio nella vita comunitaria del vostro prossimo e in particolare dei cristiani che Dio ha chiamati a vivere come fratelli.

Ecco il primo aspetto della Buona Novella: la pace in Dio.


2. Ora, dedicatevi a edificare la Chiesa nel Gabon, "nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica", come in ogni Chiesa particolare CD 11).

L'unica Chiesa di Cristo vi ha preceduti. Istituita da lui, si è manifestata pubblicamente nella prima Pentecoste cristiana a Gerusalemme. Essa "ha per fondamenta gli Apostoli e i profeti, e la pietra angolare è lo stesso Cristo", come ci ricorda san Paolo. Essa è unica, anche se purtroppo i cristiani sono a volte divisi. E' la Chiesa che invia alcuni suoi membri in missione, per fondare nuove comunità, come i missionari l'hanno fatto qui da voi circa centoquaranta anni fa. "Voi siete stati integrati nella costruzione... per diventare anche voi, per mezzo dello Spirito Santo, dimora di Dio". "Voi non siete più stranieri, né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio" (Ep 2,19-22).

Coloro che sono venuti a portarvi il Vangelo, come l'avevano essi stessi ricevuto, l'hanno fatto per amore vostro. Nella fede, voi non eravate stranieri per essi. Felicemente, voi continuate a beneficiare dell'aiuto fraterno di questi missionari venuti da un'altra patria, ma questa Chiesa, edificata dai figli di questo Paese e per essi, deve anche contare sempre di più sulla vostra responsabilità: sui vostri Vescovi - la Santa Sede ha fatto in modo che ora siano tutti gabonesi - e sui vostri sacerdoti, sui religiosi e religiose di questo paese, sui laici, catechisti o responsabili a qualsiasi titolo, insomma, su tutti gli operatori apostolici ai quali ho parlato l'altro giorno in Cattedrale, ma anche su tutti gli altri battezzati e cresimati, che assumono le loro responsabilità con spirito cristiano nella loro famiglia, nella loro scuola, nella loro professione, nella società civile. Perché ciascuno possa entrare, a modo suo, nella costruzione della Chiesa nel Gabon. Ne va del suo radicamento duraturo. Ne va della sua vitalità. Ne va della sua autenticità, perché possa toccare profondamente l'anima gabonese e produca dei frutti che abbiano il sapore di questo paese. Il tema di questa Messa è proprio quello della Chiesa locale. Ogni Chiesa locale, soprattutto quando è riunita in preghiera attorno al suo Vescovo, successore degli Apostoli e rappresentante di Cristo in mezzo ad essa, è la principale manifestazione del mistero della Chiesa (cfr. SC 41). Nella persona di monsignor Fernand Anguillé, Arcivescovo di Libreville, di monsignor Félicien Makouaka, Vescovo di Franceville, di monsignor Cyriaque Obamba, Vescovo di Mouila, di monsignor Francois Ndong, Vescovo di Oyem e del suo coadiutore, monsignor Basile Mvé Engone, saluto affettuosamente ciascuna delle vostre Chiese locali che insieme formano la Chiesa del Gabon. Queste Chiese locali dovranno certamente evitare sempre il ripiegamento su se stesse. Voi comprendete molto bene - e me ne rallegro - la necessità della vostra comunione con le altre comunità ecclesiali del mondo intero, e con colui che presiede il collegio dei Vescovi, il successore di Pietro. Questa comunione significa anche, in pratica, la condivisione della stessa fede, della stessa etica cristiana, degli stessi sacramenti, della disciplina essenziale comune a tutta la Chiesa. Questi legami saranno d'altronde sempre, per voi stessi, una condizione della vostra fedeltà al Vangelo, dell'autenticità della vostra appartenenza alla Chiesa cattolica. Ma, all'interno di questi legami, si deve sviluppare la vostra personalità gabonese.

può darsi che qualcuno dica: come potremo trovare i mezzi per assumerci la responsabilità della nostra Chiesa, finché non disporremo sufficientemente, da noi stessi, di pastori, di religiose, di mezzi pedagogici, di risorse finanziarie? Senza dubbio il passaggio non potrà che essere progressivo. Ma non è tanto questione di un aumento di mezzi: molte Chiese oggi hanno dovuto accontentarsi di poveri mezzi, come all'origine, come ad ogni crisi storica sperimentata dalla Chiesa e seguita da un rinnovamento. E' molto più di una questione di vigore interiore, di linfa spirituale, come la linfa generosa dei vostri magnifici alberi, che fa spuntare il loro fogliame. E, con questa, avete già i mezzi spirituali. Bisogna che regni anche un clima di fiducia e di corresponsabilità, che permetta di associare alle iniziative apostoliche quelli che si accontenterebbero di ricevere, spesso dall'estero, un'assistenza. Non è il cammino che, grazie a Dio, un certo numero di laici sta per cominciare da voi, o sperano di poterlo fare presto? Dio voglia che essi trovino il sostegno spirituale di cui hanno bisogno e che tra essi fioriscano molte vocazioni sacerdotali e religiose! Si, lo Spirito di Dio saprà suscitare questa maturità a misura della vostra fede.


3. Dopo la pace ricevuta da Dio e la vitalità della Chiesa locale, affronto il terzo aspetto della Buona Novella. In effetti, è un luogo dove la Chiesa deve trovare la sua espressione privilegiata: la famiglia. Il Concilio Vaticano II non ha esitato a chiamare la famiglia cristiana la "Chiesa domestica", una Chiesa in miniatura.

I costumi ancestrali, nel Gabon come in parecchi paesi africani, segnano ancora profondamente molte famiglie. Esse hanno inculcato a queste un certo numero di valori che possono essere molto preziosi per gli sposi cristiani; in particolare, permettono di evitare alla coppia di limitarsi a una prospettiva troppo individualista, mantenendola per esempio solidale con le famiglie degli sposi: queste possono apportare il loro contributo alla fondazione della nuova famiglia e sono suscettibili di manifestare anche il loro aiuto nell'educazione dei bambini o di fronte alle prove che sopravvengono. Nella misura in cui tali pratiche favoriscono la stabilità e l'unità delle coppie, pur lasciando ai fidanzati la libertà del loro consenso e del loro impegno personale, la Chiesa non può che rallegrarsene.

Ciò che la Chiesa chiede ai cristiani di capire bene, è l'incomparabile dignità dell'unione dell'uomo e della donna nel piano originale di Dio, e il senso del sacramento del matrimonio cristiano: questo ha lo scopo di elevare l'unione degli sposi similmente all'alleanza d'amore tra Cristo e la sua Chiesa, di associarli al dinamismo del mistero pasquale del Salvatore e di apportare così a tutta la loro vita di coniugi, una santificazione e un irradiamento che si diffondono sulle loro persone, sui loro figli, sulla vita della Chiesa e della società.

Mi manca il tempo di riprendere qui quello che esponevo lungamente, appena due anni fa, alle famiglie cristiane di Kinshasa, quello che i Vescovi del mondo intero hanno testimoniato al Sinodo dell'autunno del 1980, e quello che io stesso ho scritto per tutta la Chiesa nella mia recente esortazione apostolica.

Lascio ai vostri Pastori di offrirvi i mezzi concreti per familiarizzarvi con la natura del matrimonio cristiano, e permettervi di viverlo fin d'ora.


Pensate, per esempio, al vero amore coniugale, sorgente e forza di una comunione indissolubile, la cui fedeltà ricorda l'incrollabile fedeltà di Dio alla sua alleanza con gli uomini. Pensate alla cura che ha la Chiesa di fare in modo che la persona - in particolare la donna - non sia mai trattata come "oggetto" di piacere, né come un semplice mezzo di fecondità, ma che meriti di essere amata per se stessa da parte del coniuge, anche se sfortunatamente è sottomessa alla prova della sterilità. Pensate anche ai valori di rispetto, di delicatezza, di perdono, di misericordia, di cui la visione cristiana arricchisce il matrimonio. Pensate alla dignità del compito di padre e di madre, in cui i coniugi diventano cooperatori del Dio creatore dando la vita, e alla loro comune responsabilità per allevare fino alla maturità affettiva e spirituale i figli che hanno messo al mondo.

Per proteggere tutto questo, la Chiesa ricorda delle esigenze, delle esigenze gravi, certo, che hanno il loro fondamento nel Vangelo e che necessitano di sforzi e della conversione del cuore. Ma essa vorrebbe che i cristiani percepiscano anzitutto il sacramento del matrimonio come una "grazia". Essa comprende con misericordia coloro che incontrano delle difficoltà a corrispondervi in pienezza, e non vuole allontanare nessuno da "un cammino pedagogico di crescita" che deve condurli più lontano, "giungendo a una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo mistero nella loro vita" (FC 9). Alle famiglie del Gabon, come l'ho già scritto nell'esortazione, dico: "Famiglia, diventa ciò che sei!" (FC 17). Mi felicito con le famiglie cristiane che già danno questa bella testimonianza: ve n'è un certo numero in questo paese. E le invito a condurre le altre famiglie nel loro solco, mediante un apostolato da coppia a coppia, come invito tutta la Chiesa del Gabon a promuovere un'adeguata pastorale della famiglia.


4. Concludendo, cari fratelli e sorelle - ed è il culmine della Buona Novella che vi annunciavo - chiedo per voi al Signore una viva speranza, sul cammino della santità delle beatitudini.

Abbiamo appena ricordato alcune esigenze della vita cristiana. In questi ultimi giorni ne ho ricordate altre, ad ogni categoria del popolo di Dio, ma sempre con fiducia e su un tono positivo. Tutte queste esigenze concretizzano il duplice comandamento fondamentale: amare Dio con tutte le forze, amare il prossimo come noi stessi, o, piuttosto, come Gesù ci ha amati. Va da sé che la preghiera, la partecipazione ai sacramenti e specialmente alla celebrazione eucaristica della domenica, ne sono l'espressione e gli alimenti essenziali.

Alcuni hanno tentato di chiedere alla Chiesa di mitigare le sue esigenze, sia, per esempio, per il matrimonio cristiano o per il sacerdozio. In realtà, voi tutti l'intuite, la Chiesa allora cesserebbe di essere il sale e il lievito di cui parlava Gesù; essa sarebbe ancor meno credibile, il suo messaggio sarebbe insipido, ambiguo, e la sua testimonianza molto meno vigorosa. Cristo non ha proposto un cammino facile, ma un sentiero scosceso, la porta stretta delle beatitudini, che è follia agli occhi di certi uomini, ma che è sapienza di Dio e forza di Dio: lo spirito di povertà, la purezza, la sete di giustizia, la mitezza, la misericordia, la ricerca della pace, la pazienza nella prova, la perseveranza nella persecuzione a causa di Gesù e, in sovrappiù, la gioia, si, la gioia più profonda: "Beati!". Ecco che cosa è capace di rinnovare il mondo attuale, malato delle sue incertezze o dei suoi surrogati di felicità. Non è quindi sul denaro, il potere e la seduzione della facilità, che la Chiesa può veramente contare per risolvere i suoi problemi, ma sulla pratica dei mezzi spirituali che corrispondono alle beatitudini. E quando ha l'audacia di crederlo e di rischiare il suo impegno, allora un nuovo orizzonte, una nuova Pentecoste si apre davanti ad essa. Il cammino che sembrava condurla al fatalismo, allo scoraggiamento, che avrebbe potuto ripiegarla sulla sua "crisi", cambia senso. Tutto è possibile, anche se il peccato è ancora vicino, anche se le tentazioni rimangono, anche se ci si sente ancora deboli, quando si è umili e pieni di fiducia.

Ed ecco che la scena evangelica che abbiamo appena contemplata ce lo conferma. L'apostolo Pietro è appena tornato dalla sua umiliazione durante la Passione. Una conversazione profonda s'intreccia con Gesù risorto, una specie di contrattazione che sfocia in un contratto in tre tempi. Gesù conosce la sua debolezza. Ma di fronte alla triplice dichiarazione d'amore, gli dice: "Sii il pastore dei miei agnelli, sii il pastore delle mie pecore". E gli affida il cammino di tutto il gregge, di tutta la Chiesa. Il Signore vi affida oggi, cari Pastori del Gabon, il cammino della vostra Chiesa.

Quanto a me, sono qui per confermarvi nella vostra fede, nel vostro cammino, e tessere dei legami di comunione ancor più solidi tra voi e la Chiesa universale che è solidale con voi. Un'ultima parola vi spiegherà il senso della mia missione. Quando l'apostolo Pietro si fermo davanti allo storpio della Porta Bella di Gerusalemme, gli disse: "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina" (Ac 3,6). Oggi, in senso spirituale, vedendo la vostra buona volontà, il successore di Pietro dice a tutta la Chiesa del Gabon: non sono venuto a portarti né oro né argento. Ma non temere. Abbi fiducia. Nel nome di Gesù Cristo, alzati e cammina!




1982-02-19 Data estesa: Venerdi 19 Febbraio 1982




La partenza dall'Africa - Libreville (Gabon)

Titolo: Guidare lo sviluppo dell'Africa in un più vasto sistema di relazioni

Testo:

Mentre sto per lasciare questo paese, sono lieto di ripetere la mia soddisfazione. Nel mio periplo africano era giusto riservare una visita pastorale al Gabon, che è stato il punto d'origine dell'evangelizzazione in tutta questa regione dell'Africa; l'albero della Chiesa si è seriamente sviluppato a partire da questa terra. Era anche opportuno onorare questa nazione che ha notevoli capacità e che si sforza di progredire con slancio.

Rinnovo la mia gratitudine a tutti coloro che hanno organizzato questa magnifica accoglienza al Papa: a sua eccellenza il signor Presidente della Repubblica, ai membri del Governo e dell'Amministrazione, ai responsabili di questa grande città di Libreville, a tutta la popolazione che mi ha manifestato stima, calore, e attenzione alle mie parole; ai cristiani così vicini nella fede, e in particolare ai cattolici così felici di ricevere il Vicario di Cristo. Saluto e ringrazio specialmente i Vescovi, miei fratelli. Durante questi tre giorni, io vi ho aperto il mio cuore, per ricevere la vostra testimonianza e darvi quello che avevo di meglio. Che ciascuno di voi si senta ormai più vicino al Papa, amato, riconfortato e incoraggiato nella via del bene! Da parte mia non vi dimentichero.

Come dice un proverbio mbédé: "Otcwi Holwodo mvudu a nde ha moni" ("La mente sogna l'uomo che ha visto").

Dio benedica il Gabon! Permettetemi ora di aggiungere un messaggio a tutta l'Africa, poiché è da questo luogo che alla fine del mio secondo viaggio lascio il continente. Questo soggiorno ha confermato le impressioni che ho espresso il 12 maggio 1980 alla partenza d'Abidjan. Voi sapete bene che a Roma noi seguiamo da vicino la vita dei paesi africani, tramite le visite che riceviamo, dai rapporti che ci mandano i Vescovi o i rappresentanti pontifici. Ma una visita tra gli abitanti fa acquisire una nuova sensibilità. E di questo, rendo grazie a Dio.

Il vostro continente, cari amici africani, persegue ammirabili sforzi di sviluppo, sotto molti aspetti. E' stato sorprendente in Nigeria, è evidente qui e in tanti altri paesi. Le ricchezze naturali, per lungo tempo trascurate, sono attivamente sfruttate, a volte, è vero, da società straniere. La protezione sanitaria progredisce, e ciò procura un risveglio di speranza in questi paesi equatoriali dal clima così estenuante. La maturità politica si rafforza, malgrado qualche scompiglio abbastanza frequente. Le città si sviluppano, spesso purtroppo a detrimento di zone rurali, i cui prodotti sarebbero molto utili. Molte persone accedono all'istruzione, su di un modello più universale, spesso importato da fuori, ma nello stesso tempo aumenta la presa di coscienza di una cultura africana. I rapporti tra paesi si allacciano in modo più stretto a livello di regioni, di continente, e del resto del mondo. Ovunque si registra un desiderio di progredire, un entusiasmo evidente.

Ma, oltre i limiti di questo progresso, s'incontrano anche dei timori e, a volte, delle stanchezze, delle delusioni, come pure delle regressioni in questo entusiasmo. In nome della Chiesa esperta in umanità, ovunque io vada, ripropongo le domande fondamentali: Quale progresso cercate? Quali bisogni dell'uomo volete soddisfare? Quale uomo volete formare? Interpello i cristiani, ma anche tutti gli uomini di buona volontà. Perché tutti sentono l'imperiosa necessità di guidare questo sviluppo.

L'uomo africano, come del resto gli altri, ma con le sue caratteristiche particolari e ad un grado intenso, ha bisogno di uno spazio di libertà, di creatività e, nello stesso tempo, ha un senso comunitario molto profondo, nella famiglia, nella tribù, nell'etnia. Senza il calore dell'amicizia, egli deperisce.

L'anonimato di certe città, la lontananza dai propri familiari, sono per lui particolarmente deprimenti e degradanti.

Per l'uomo africano, i problemi della fame sono lungi dall'essere risolti in molte regioni dell'Africa, soprattutto quando la calamità della siccità o le spaventose ripercussioni delle guerre si aggiungono a questo dramma. Ma egli aspira anche ad essere meglio considerato, meglio rispettato nel suo essere africano, meglio stimato nei suoi valori.

Egli ha bisogno d'istruzione per sviluppare il suo spirito e per prepararsi a svolgere un lavoro interessante e utile al suo paese. E deve raggiungere una maturazione che si armonizzi con la sua cultura tradizionale.

Egli ha un senso acuto della giustizia e vuole vivere in pace. La vita umana è per lui un grande dono di Dio. Tutti coloro che attizzano in lui l'opposizione razziale o ideologica, anche l'odio, la guerra e il desiderio di sterminio, fanno pensare ai cattivi pastori di cui parlava Cristo, che vengono a sgozzare e a distruggere, invece di costruire e favorire la vita.

L'uomo africano ha soprattutto il senso del mistero, del sacro, dell'assoluto. Anche se qualche volta questo istinto ha bisogno d'essere purificato ed elevato, è una ricchezza invidiabile. Egli aspira dunque a vivere d'accordo con il Padrone della Natura, liberato dai timori alienanti, ed è pronto ad entrare in comunione profonda con il Dio della pace.

Aggiungiamo un'ultima osservazione: ciò che era relativamente facile risolvere a livello di villaggio, di tribù, di etnia, deve ora trovare la sua soluzione umana in relazioni molto più vaste, a livello nazionale e anche internazionale. E' un programma difficile, che esige un'etica trasposta. Ne va della qualità degli uomini e della loro civiltà.

Ecco, rievocati a grandi linee, i punti che mi sembrano più importanti per i nostri amici africani. Di conseguenza, davanti ai modelli di società che vengono loro presentati da altri paesi, è normale che gli africani diffidino di un "umanesimo" riduttore. Ben volentieri accetteranno l'aiuto fraterno, umanitario, economico, culturale, di cui hanno certo bisogno, ma nel rispetto della loro dignità e del loro ideale; ed essi vogliono essere riconosciuti come capaci di apportare ad altri il meglio di loro stessi.

Io spero che queste preoccupazioni siano condivise da un gran numero d'uomini di buona volontà, in tutto questo continente. Coloro che adorano Dio con cuore sincero dovrebbero essere particolarmente sensibili a questi voti che raggiungono la sua volontà. Coloro che condividono la fede cristiana trovano in essa lo stimolo più forte per servire così l'uomo nel quale Cristo si è identificato, e servire Cristo nell'uomo. Quanto ai figli della Chiesa cattolica, sono sicuro che impiegheranno tutte le loro forze per promuovere questo sviluppo integrale.

A tutti, i miei auguri calorosi di felicità e di pace! Il mio addio di oggi non è che un arrivederci. Dio benedica l'Africa e tutti i suoi abitanti!




1982-02-19 Data estesa: Venerdi 19 Febbraio 1982




Il ritorno - Roma

Titolo: I fermenti evangelici vivifichino i valori della tradizione africana

Testo:


GPII 1982 Insegnamenti - L'incontro con i Vescovi del Gabon - Libreville (Gabon)