GPII 1982 Insegnamenti - Ad un pellegrinaggio dell'OFTAL - Città del Vaticano (Roma)

Ad un pellegrinaggio dell'OFTAL - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La sofferenza rende l'uomo più partecipe del mistero della croce di Cristo

Testo:

Venerati fratelli nell'Episcopato! e voi tutti Appartenenti all'Opera Federativa per il Trasporto degli Ammalati a Lourdes!


1. Sono lieto di accogliervi in questa Udienza speciale, in occasione del vostro Pellegrinaggio a Roma, col quale intendete ricordare il 50° anniversario della vostra benemerita Opera. Vi esprimo il mio compiacimento e il mio vivo interesse per codesta attività destinata a portare conforto ed assistenza umana e cristiana agli ammalati delle vostre Comunità diocesane di Vercelli, Acqui, Albenga, Alessandria, Aosta, Biella, Casale, Milano, Novara, Nuoro, Pontremoli, Torino, Tortona e Vigevano. Nel prendere visione delle principali tappe di codesta Organizzazione, ho costatato come essa, in questi anni di vita, si sia proposta come scopo "la cura saggia ed amorosa di dare alle sue pie spedizioni un carattere veramente religioso, risultante dalla preghiera, dall'amorevole assistenza ai malati, dal culto specialmente illuminato e fiducioso alla Madonna santissima", come bene si esprimeva nel 1959, allora Arcivescovo di Milano, il Cardinale Montini, nella lettera di adesione ufficialeall'OFTAL.



2. La vostra Opera, infatti, nata nel 1932, ad iniziativa del compianto Monsignor Alessandro Rastelli, ha segnato nel servizio agli ammalati un crescendo meraviglioso per la dedizione evangelica dimostrata da Vescovi, sacerdoti, barellieri e dame, che accompagnano ogni anno migliaia di fratelli sofferenti ai piedi della Vergine santissima a Lourdes, a Banneux, a Oropa e a Loreto. E' con animo commosso che ho appreso che solo nel periodo aprile-ottobre dell'anno scorso voi avete trasportato in quei Santuari mariani oltre


10.000 ammalati, accompagnati da 10 Vescovi e da un grandissimo numero di sacerdoti, di barellieri, di dame, medici e farmacisti, e che dalle origini fino ad oggi avete trasportato oltre 300.000 persone. Sono cifre queste che di per sé dicono dello zelo che anima la vostra carità ed accende i vostri cuori, e rivelano di conseguenza una chiara testimonianza di vita ecclesiale vissuta in pienezza di amore e in intensità di preghiera. Ne prendo atto con soddisfazione, e colgo volentieri l'occasione per incoraggiarvi a ben continuare in questa opera tanto meritoria. "Ero ammalato e mi avete visitato" (Mt 25,36), vi dirà un giorno il Signore. Questa speranza, anzi questa certezza, vi sostenga sempre, ma soprattutto nelle difficoltà che potrete incontrare nello sforzo di rendere sempre più efficiente il vostro servizio; sappiate offrire il tempo, le energie e le capacità umane e professionali in favore degli infermi con tali atteggiamenti esteriori e, soprattutto, con siffatti sentimenti interiori da creare intorno ad essi una festosa e confortante atmosfera di serenità, di pace e di letizia, e da far loro percepire la gioia propria dei fratelli che vivono insieme e in comunione col "Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, che ci consola in ogni nostra tribolazione, affinché noi stessi siamo in grado di consolare coloro che sono nell'afflizione" (2Co 1,3-4).


3. Questo incontro mi è anche e soprattutto caro per la significativa presenza di circa 300 malati, che avete portato qui sapendo di farmi cosa gradita; ma ancor più gradito è il dono del loro dolore, che mi portano di persona.

Cari ammalati, potete ben immaginare con quale animo riverente mi rivolgo a voi e quanto tempo vorrei avere a disposizione per intrattenermi a lungo con voi! Vi assicuro che non cesso di pregare per tutti e per ciascuno di voi, affinché codesto viaggio rechi un grande conforto non solo alla vostra anima, ma anche al vostro corpo sofferente; e auspico che la vostra venuta al centro della cristianità, accresca la vostra fede, dia vigore al vostro spirito e merito alla vostra sofferenza.

Da parte vostra, siate sempre consapevoli che la vostra condizione vi fa più direttamente partecipi al mistero della Croce, la quale nella prossima Settimana santa sarà salutata come "unica speranza" e come "bilancia del grande riscatto"; per questo potete e dovete voi pure offrire al Cristo il vostro contributo per la salvezza del mondo.


4. Desidero estendere un saluto particolarmente affettuoso anche al gruppo delle persone anziane ospiti presso Villa Lazzaroni, nella nona Circoscrizione di Roma.

Carissimi, vi ringrazio della vostra presenza e vi esprimo l'augurio che possiate trascorrere i vostri giorni, così propizi per la preghiera e per la riflessione delle verità della fede, in serenità e in pace. Sia sempre la vostra casa un'oasi tranquilla in cui regni il mutuo rispetto e la cordiale collaborazione fatta di piccole cose, che rendono felice la vostra vita e più leggero il peso degli anni.

A tutti, assistenti ed assistiti, apro il mio cuore ed esprimo la mia benevolenza, che desidero avvalorare con la benedizione apostolica, che ora impartisco a voi e a quanti vi sono di aiuto e di sostegno spirituale e materiale.




1982-03-27 Data estesa: Sabato 27 Marzo 1982




Ad un pellegrinaggio della diocesi di Agrigento - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Coerente testimonianza evangelica per essere autentici missionari

Testo:

Fratelli e sorelle carissimi!


1. Siete venuti a Roma, insieme col vostro Vescovo, Monsignor Luigi Bommarito, per dirmi il vostro grazie per la beatificazione del vostro condiocesamo, il domenicano Fra Giacinto Giordano Ansalone, nato nella vostra diocesi, nella città di santo Stefano Quisquina.

Sono sinceramente lieto per questo incontro, che mi fa ricordare la solenne cerimonia, svoltasi a Manila il 18 febbraio dello scorso anno, nel corso del mio pellegrinaggio apostolico in Estremo Oriente, quando, dinanzi ad una immensa folla di fedeli festanti e commossi, ho dichiarato beati il vostro concittadino ed altri sedici religiosi dell'Ordine Domenicano e laici cristiani, che per la fede subirono il martirio in Giappone tra il 1633 ed il 1637. Oggi ho la felice occasione di rivolgermi ai figli di quella terra generosa, che ha avuto la fortuna e l'onore di dare alla Chiesa un grande missionario ed un coraggioso testimone del messaggio evangelico.


2. Il Beato nasce - come è noto - il 1° Novembre del 1598 nella ridente cittadina menzionata, ed è battezzato lo stesso giorno ricevendo il nome di Giacinto, in onore di san Giacinto Odrawatz di Cracovia, il grande domenicano morto nel 1257, iniziatore delle missioni domenicane della Rutenia, e canonizzato da Clemente VIII nel 1594.

Giacinto Ansalone fin dall'adolescenza sente di esser chiamato da Dio nell'Ordine dei Frati Predicatori. Nel 1615 nel convento domenicano di Agrigento riceve l'abito religioso e, nello stesso tempo, un nuovo nome, quello di Giordano, in onore del beato Giordano di Sassonia. Arde di un solo, grande desiderio: recarsi nei Paesi lontani per predicare Cristo. Inviato in Spagna, sente parlare della grande persecuzione che in Giappone infuria contro i cristiani. C'è bisogno di missionari, che sostituiscano i vuoti lasciati da chi ha già dato la vita. Fra Giordano vibra di fervore; vuole andare a sostenere, aiutare, rinvigorire quella giovane Chiesa tormentata. E finalmente nel 1625 può partire. Dopo una tappa di alcuni mesi a Città del Messico, salpa per Manila: qui riceve il compito di predicare nelle missioni di Cagayan, al nord dell'isola di Luzon; dopo un anno è destinato all'ospedale di san Gabriele di Binondo alla periferia di Manila, ove si prodiga per la cura e l'assistenza materiale e spirituale degli infermi.

Nell'estate del 1632 può finalmente imbarcarsi per il Giappone, dove fra continui pericoli comincia a svolgere nella clandestinità il suo instancabile apostolato, assistendo quella cristianità che si trova nella tempesta della persecuzione. Ai primi di agosto del 1634 viene arrestato vicino a Nagasaki: è tenuto per tre mesi e mezzo in una grande gabbia; sottoposto a varie, terribili torture; andando verso l'estremo supplizio porta attaccato alle spalle il cartello con la motivazione della condanna: ha predicato ed insegnato la dottrina di Cristo in Giappone! Dopo sette giorni di agonia raggiunge in cielo quel Gesù, che sulla terra ha amato per tutta la vita: è il 17 novembre del 1634. Il martire ha 36 anni.

3. La scarna sintesi della vicenda umana del beato Giordano, spesa tutta instancabilmente per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime, è una ulteriore conferma della ben nota affermazione di Tertulliano: "semen est sanguis Christianorum" ("Apologeticus", 50). Il sangue dei Cristiani è un seme! Coloro che uccisero il beato Giordano credettero di eliminarne il ricordo, bruciando il suo corpo e spargendo le ceneri nel mare. Ma egli, vivendo eternamente in Dio, continua ad essere una guida ed un esempio, per quanti ancora cercano Dio e la verità, nell'ambito delle religioni non cristiane e per quanti, segnati dal Battesimo, debbono nel loro pellegrinaggio terreno, giorno dopo giorno, rendere pubblicamente ragione della loro speranza cristiana (cfr. 1P 3,15).

La sanguinosa e gloriosa testimonianza resa dal beato Giordano Ansalone e dai suoi compagni Martiri non può rimanere semplicemente una edificante e commovente pagina di storia della Chiesa, ma deve ricordare al cristiani di oggi - e in particolare a voi, suoi concittadini - che la coerente testimonianza evangelica è una componente fondamentale dell'esser cristiani, e che i fedeli della fine del secondo Millennio del Cristianesimo devono essere autentici missionari, non solo nella generosa disponibilità a seguire la chiamata di Dio per l'evangelizzazione di terre lontane, ma altresi nell'impegno continuo, quotidiano per la realizzazione di tutte le esigenze, che il Vangelo di Gesù comporta nella vita personale, familiare, professionale, sociale.

Siate pertanto, ad imitazione del vostro Beato, cristiani di fede profonda, di forte speranza, di carità operosa, legittimamente fieri di aver dato alla Chiesa un Martire, cioè un autentico testimone - fino al dono della propria vita - della Morte e della Risurrezione di Gesù.

Con tali auspici, invoco su di voi dal Signore, per l'intercessione del beato Giordano Ansalone, l'effusione di abbondanti favori celesti, mentre vi imparto di gran cuore la mia benedizione apostolica, che estendo ai vostri cari, ai fedeli di santo Stefano Quisquina, ed alla diocesi di Agrigento.




1982-03-27 Data estesa: Sabato 27 Marzo 1982




L'omelia alla Messa per i dipendenti della reverenda fabbrica di san Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rinnoviamo ogni giorno la nostra identità cristiana

Testo:


1. "Se il chicco di grano caduto a terra non muore, rimame solo; se invece muore, produce molto frutto" (Jn 12,24).

Cari fratelli, con queste parole di Gesù, riportate dal Vangelo secondo Giovanni e proposteci dalla Liturgia della odierna Quinta Domenica di Quaresima, siamo più da vicino e più decisamente orientati verso la Settimana santa e la celebrazione dei misteri supremi della nostra salvezza. Voi, oggi, terminate la settimana dei vostri annuali Esercizi Spirituali e, insieme all'Arcivescovo Lino Zanini, zelantissimo Delegato della reverenda Fabbrica di san Pietro, ed al Predicatore Monsignor Pietro Parducci, sono lietodi salutarvi e di concludere così la vostra preparazione alla prossima Pasqua.

Ogni anno questa solennità unica ritorna provvidenziale a ricordarci e a farci rivivere il centro della fede cristiana e, certamente, anche voi negli incontri svolti vi siete di nuovo confrontati con i misteri essenziali di questa nostra fede, di cui la morte e la risurrezione di Gesù sono il punto focale, il perno ed il fondamento. E mi auguro che ne abbiate tratto decisioni fattive per la vostra vita individuale, familiare e sociale.


2. Il paragone del chicco di grano, formulato da Gesù, vale innanzitutto per lui stesso. Lui, infatti, è caduto a terra. Lui, soprattutto, è morto, lui, perciò, è carico di frutti abbondanti e saporosi per la salvezza degli uomini, per la nostra salvezza. Davvero quel chicco si è trasformato in spiga, ricca e feconda, perché solo Gesù è il vero frumento che ci nutre e ci sostenta. Lo sentiamo dalle sue stesse labbra nel medesimo Vangelo secondo Giovanni: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (Jn 6,35).

Egli, cioè, viene incontro alle domande e alle necessità più profonde della nostra anima e della nostra vita. Risponde ai nostri interrogativi; illumina il nostro cammino; moltiplica le nostre energie; in una parola, soddisfa la nostra fame e la nostra sete di vita eterna, ponendoci in una situazione di comunione filiale con Dio. Ma tutto ciò egli fa mediante la sua morte, che è una morte di croce. Abbiamo anche letto queste sue parole nel Vangelo: "Quando saro elevato da terra, attirero tutti a me. Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire" (Jn 12,33). La nostra salvezza passa per il suo sacrificio. E, in verità, solo una totale donazione di sé fatta con amore possiede la forza di "attirare", cioè di soggiogare le nostre menti e i nostri cuori, quasi di calamitarci, poiché veramente "non c'è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13). Ed è precisamente ciò che ha fatto Gesù per noi.


3. Ma il paragone del chicco di grano vale anche per noi, come per tutti i cristiani. Infatti, le parole di Gesù proseguono così: "Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo" (Jn 12,26). Noi, con il nostro Battesimo, siamo stati tutti posti in una comunione di servizio con Gesù e per Gesù. Ciascun battezzato è chiamato a vivere responsabilmente nella Chiesa come soggetto attivo, nella piena coscienza della sua dignità di Figlio di Dio e dei doveri della sua testimonianza cristiana, secondo un continuo progresso spirituale (cfr. Ap 2,19).

La prima Lettura biblica, tratta dal profeta Geremia, ce lo ha ricordato in termini chiarissimi: "Porro la mia legge nel loro animo, la scrivero sul loro cuore... Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore" (Jr 31,33 Jr 31,34). Ciò è avvenuto per noi con il Battesimo; ma ogni giorno siamo chiamati a rinnovare la nostra identità cristiana, mediante la riaffermazione umile e gioiosa della nostra fede e della nostra adesione ferma e viva al Signore Gesù. Viene spontaneo, di fronte a queste realtà altissime, di chiederci con assoluta sincerità se noi davvero seguiamo Gesù Cristo dovunque vada. "Dove sono io, là sarà anche il mio servo". Fino a che punto facciamo nostra la sua totale donazione di amore? Fino a che punto dimostriamo il nostro disinteresse per lui, per gli altri, per la Chiesa, come egli lo ha dimostrato con la croce? Infatti, solo con il nostro servizio, che è anche sempre rinuncia, possiamo produrre, come lui, "molto frutto".


4. Cati fratelli, questi pensieri ci ispira la Parola di Dio nella Liturgia odierna. Cerchiamo di trasformarli in preghiera, perché penetrino sempre di più dentro di noi.

Da parte mia, voglio approfittare dell'occasione per ringraziarvi tutti per il lavoro, nascosto ma preziosissimo, che prestate alle dipendenze della reverenda Fabbrica di san Pietro, per il decoro della grande Basilica che custodisce il "Sepulcrum beati Petri"; e, mentre vi assicuro la mia benevolenza, vi incoraggio paternamente a proseguire sempre con entusiasmo e laboriosità nel vostro impegnativo servizio. E il Signore, di cui invoco la benedizione, vi ricompensi largamente, assistendo sempre con la sua grazia ciascuno di voi, i vostri familiari e tutti i vostri cari.




1982-03-28 Data estesa: Domenica 28 Marzo 1982




Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Riconciliazione e Penitenza

Testo:


1. In occasione della preghiera dell'"Angelus" ripeteremo oggi le parole del Salmo responsoriale della liturgia di questa domenica: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; / nella tua grande bontà cancella il mio peccato. / Lavami da tutte le mie colpe, / mondami dal mio peccato. / Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. / Non respingermi dalla tua presenza / e non privarmi del tuo santo spirito. / Rendimi la gioia di essere salvato, / sostieni in me un animo generoso. / Insegnero agli erranti le tue vie / e i peccatori a te ritorneranno" (Ps 50 [51], 3-4.12-15).


2. Queste parole ci vengono da secoli lontani. Precedono la venuta di Cristo.

Eppure sono sempre nuove, sempre attuali. Non vanno in prescrizione. Esse si trovano nel tesoro delle parole che la Chiesa ripete più spesso; che ripete l'uomo.

Queste parole, come testo della letteratura universale, sono senz'altro un capolavoro. Tuttavia prima di diventare un testo letterario, esse furono iscritte nella coscienza. Sono una testimonianza del peccato e della conversione.

Si manifesta in esse un uomo che fa penitenza e cerca la riconciliazione con Dio.

perciò ci soffermeremo su queste parole nel tempo di Quaresima, quando la Chiesa e l'uomo cercano più intensamente la riconciliazione con Dio e fanno penitenza. Ci soffermiamo su di esse in relazione al tema del prossimo Sinodo, sul quale, durante la Quaresima, cerchiamo di portare avanti la riflessione.

Difficilmente si potrebbe trovare un testo che attesti in modo più eloquente quanto profondamente umano è il tema della "riconciliazione e della penitenza"; quanto inseparabilmente esso sia legato con la storia dell'uomo, con tutta la sua esistenza terrena.


3. "Costituito da Dio in uno stato di santità, l'uomo pero, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abuso della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio". Così la costituzione "Gaudium et Spes" riassume brevemente l'inizio della storia dell'uomo - e della storia del peccato. Questo inizio ha il suo seguito di generazione in generazione.

La storia del peccato passa attraverso il cuore di ogni uomo e al tempo stesso descrive intorno a lui cerchi sempre più vasti, imprime il suo marchio sulla vita delle famiglie, delle nazioni e di tutta l'umanità.

"Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio - continua la stessa costituzione "Gaudium et Spes" - l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine, e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e verso tutte le cose create" (GS 13).


4. "Quando sarà venuto / lo Spirito di verità, / gli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio" (Jn 16,8). Meditiamo sulla riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa.

Ai fondamenti di tale missione sta il "convincimento del mondo quanto al peccato". A volte il mondo contemporaneo sembra esserne convinto tanto poco. E ciò benché sia tanto obiettiva nel mondo la presenza del peccato e dei suoi terribili effetti.

Quanto, quanto immensamente è necessario che lo Spirito di verità convinca il mondo quanto al peccato...: quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.

Questo "convincimento" sta alla base della missione della Chiesa, particolarmente nel tempo di Quaresima. Sta anche alla base dei lavori del futuro Sinodo.

Saluto ai fedeli di Assisi attraverso la Radio Vaticana In questo "Anno centenario di san Francesco", la città di Assisi ogni domenica è collegata mediante la Radio Vaticana con questa Piazza, per la recita dell'"Angelus". Saluto quanti sono colà e, in particolare, le persone ivi convenute per la "Giornata Nazionale dell'Ecologia e della Zoologia".

Ho già avuto modo di sottolineare l'amore, col quale san Francesco si volgeva alle creature animate ed inanimate, salutandole coi dolci nomi di "fratello" e di "sorella". E tutti ricordano gli episodi suggestivi della sua vita, nei quali il Poverello ci è presentato in lieto colloquio con gli animali, esortandoli al rispetto degli altri ed alla lode del Creatore.

Come non vedere in tale esempio un insegnamento particolarmente urgente per questo nostro tempo, nel quale l'uomo, con preoccupante leggerezza, sta lentamente distruggendo l'ambiente vitale, che la sapienza del Creatore ha costruito per lui? La testimonianza di Francesco induca gli uomini di oggi a non comportarsi da "predatori" dissennati nei confronti della natura, ma ad assumersi la responsabilità di essa, avendo cura che il tutto rimanga sano ed integro, tale cioè da offrire un ambiente accogliente e confortevole anche agli uomini che verranno.

A tutti i pellegrini convenuti ad Assisi imparto di cuore la mia apostolica benedizione.

A gruppi di giovani italiani Un affettuoso saluto rivolgo anche ai numerosi bambini della parrocchia romana "Santa Maria Immacolata di Lourdes", che si stanno preparando alla Prima Comunione; come pure ai ragazzi ed alle ragazze della parrocchia della "Natività di Maria santissima", che si avviano al sacramento della Confessione.

Desidero poi salutare il gruppo dei fedeli, provenienti da Vanza di Trabileno in provincia di Trento, insieme con il loro parroco. Vi auguro, carissimi fratelli e sorelle, che la vostra fede cristiana sia sempre forte ed ardente, e che guidi sempre tutta la vostra vita. Con la mia benedizione apostolica.

Ad un gruppo giapponese Sono presenti in questa Piazza anche dei giovani giapponesi, i quali sono venuti a Roma per ringraziarmi della visita che nel febbraio dello scorso anno ho compiuto nella loro nobile Nazione, e degli incontri, che in quel pellegrinaggio apostolico ho avuto con i giovani.


[Omissis, ai polacchi, pronunciato in lingua polacca]




1982-03-28 Data estesa: Domenica 28 Marzo 1982




Durante la visita all'istituto don Guanella - Roma

Titolo: Trasformate la vostra "passione" in un atto di amore redentore

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle nel Signore!


1. In questa Quinta Domenica di Quaresima, con profonda commozione mi trovo qui, in mezzo a voi, in questo luogo così umanamente segnato dalla sofferenza e tuttavia, alla luce della fede cristiana, così privilegiato e spiritualmente ricco. E' anche questa una visita pastorale che compio, come ogni domenica, quando mi è possibile, ad un settore della vasta diocesi di Roma; anche questa Casa si può dire una "parrocchia", in verità molto speciale, nella quale, invece del frenetico brusio della vita del mondo, si trova il nascosto fluire del dolore, della pazienza, della fiducia. Ma anche voi, malati e persone che vi curano, siete cittadini ben vivi e preziosi, siete fedeli insostituibili nel tessuto della società e della Chiesa, siete membra efficaci del Corpo di Cristo! Ben volentieri, pertanto, ho accolto l'invito di visitare quest'opera grandiosa ed edificante, intitolata al beato Luigi Guanella, il genio della carità che, seguendo l'impulso del suo animo profondamente sensibile all'umana sofferenza e la vocazione chiaramente ispirata da Dio, tanto bene opero e, mediante le sue istituzioni, continua tuttora ad operare a Roma, in Italia e all'Estero.

Desidero pertanto rivolgere il mio sentito ringraziamento, insieme al più cordiale saluto, al signor Cardinale Ugo Poletti, Vicario Generale per la Città di Roma e distretto; al Vescovo Ausiliare Monsignor Fiorenzo Angelini, Delegato per la Pastorale negli ospedali e nelle case di cura; a Don Tito Credaro, Superiore Provinciale della Congregazione dei Servi della Carità dell'Opera Don Guanella; a Don Domenico Saginario, Direttore del Seminario Teologico; a Don Pietro Ferrari, Direttore della Casa san Giuseppe.

Saluto poi con uguale deferenza e cordialità le altre Autorità che hanno voluto intervenire a questa cerimonia, i medici ed il personale paramedico, i terapisti ed i vari tecnici, che con amore e perizia dedicano il loro tempo agli handicappati. Rivolgo pure il mio paterno saluto ai familiari, al sacerdoti ed alle religiose addette alla Casa, al Gruppo Volontari, ai Cooperatori, al Centro giovanile, agli allievi ed alle Maestranze del Centro Formazione Professionale, ai benefattori ed a tutti coloro che in qualche modo sostengono l'Opera e vengono in aiuto ai suoi ospiti, con squisita delicatezza umana e cristiana; il Signore che è identificato col debole, col malato, col sofferente, con l'emarginato, vi faccia sempre gustare la gioia di amare e di servire, e vi prepari la ricompensa eterna promessa nel Vangelo. Continuate con coraggio e con premura nei vostri civili e cristiani impegni di carità, di fraternità, di solidarietà!


2. Ma sono qui specialmente per salutare ed abbracciare voi, sofferenti di tutte le categorie, piccoli ed adulti, fratelli prediletti di Cristo sofferente.

E' con animo sinceramente commosso che mi avvicino a voi, ed è per voi soprattutto che sono venuto in questa casa.

Vorrei esprimervi in questo momento tutta la profonda simpatia che sento per ciascuno di voi, tutta la mia comprensione per la malattia che portate nel vostro corpo e nel vostro spirito; vorrei parlare con voi a uno a uno per infondervi conforto e incoraggiamento.

La vostra esistenza di persone handicappate costituisce una grande prova; una prova per voi anzitutto, una prova anche per i vostri genitori, per tutti coloro che vi vogliono bene e per quanti si domandano: perché questa infermità? La vostra in realtà è una prova che è anche un mistero.

Penso in questo momento a Gesù che, percorrendo le strade di Palestina, si avvicinava di preferenza, come solo lui sapeva fare, con la sua infinita compassione umana e divina, ai poveri, ai sofferenti, ai malati di corpo e di spirito, e a tutti recava consolazione, apriva il cuore alla speranza e talora offriva anche il dono della guarigione.

Anche oggi soltanto a lui dobbiamo rivolgerci se vogliamo ricevere la luce che sveli almeno un poco il mistero della sofferenza e la grazia di saperla accogliere pazientemente.

Il Signore non ci domanda di chiudere gli occhi dinanzi all'infermità.

Essa è ben reale e dobbiamo averne lucida consapevolezza. Egli ci domanda di guardare più in profondità, di credere che in questi corpi sofferenti palpita non solo la vita umana con tutta la sua dignità ed i suoi diritti, ma anche, in virtù del battesimo, la stessa vita divina, la vita stupenda dei figli di Dio. Se agli occhi esteriori degli uomini, voi apparite deboli e infermi, dinanzi a Dio voi siete grandi e luminosi nel vostro essere. Don Guanella vi chiamava "le mie perle" e vi definiva "i prediletti della Provvidenza".

Vi è ancora un'altra realtà molto importante che Gesù ci rivela.

Nella società degli uomini le persone potenti e colte occupano i primi posti e appaiono più in vista; nel Regno di Dio invece succede il contrario: i primi ed i più grandi - ci dice Gesù - sono i bambini, i deboli, i poveri, i sofferenti. La maniera di agire di Dio è proprio sconcertante per l'uomo.

L'apostolo san Paolo ci dice: "Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti" (1Co 1,27).

Questa verità, che ci lascia stupiti, diventa credibile se guardiamo all'esempio stesso di Gesù. Gesù non si è accontentato di aprirci il mistero della sofferenza. Egli ci ha dato la risposta più convincente prendendo su di sé le nostre infermità, divenendo l'Uomo dei dolori e che conosce il soffrire (cfr. Is 53,3).

Quando allora noi chiediamo a Dio: perché questo innocente deve soffrire? Dio a sua volta rivolge a noi una domanda: Non mi vedi tu presente nel fratello che soffre? E che cosa fai tu per me e per lui?


3. Carissimi! La mia visita pastorale, ormai vicini alla Settimana santa, diventa così una meditazione sulla "Passione di Cristo" e sulla "Passione dell'uomo": riflettendo sul Verbo Divino che passa attraverso l'angoscia del Getsemani e l'agonia della Croce per redimere l'uomo dalle tenebre dell'errore e del male, si comprende perché anche l'umanità debba passare attraverso il calvario della sofferenza. Fino al nuovo avvento di Cristo, si sta realizzando, giorno per giorno, la Redenzione. Colgo l'occasione per esprimere il mio vivo compiacimento per tutte le moderne risorse adottate allo scopo di venire incontro ai malati, di sviluppare le loro possibilità, di renderli per quanto è sperabile autosufficienti, interessandoli e responsabilizzandoli; e nello stesso tempo esorto ed incoraggio ad usufruire con impegno e buona volontà di tutte le tecniche fisio e psicoterapiche. Tuttavia mi preme anche ricordare che, nonostante tutte le conquiste della scienza, perdura nella storia la "Passione di Cristo", insieme con la "Passione dell'uomo", in funzione e nella prospettiva della Risurrezione finale in Cristo per quanti hanno creduto in lui e con lui hanno amato e sofferto. Don Guanella al termine della sua vita, nello spasimo della sua ultima malattia, un giorno usci in questa espressione: "Dev'essere un grande male il peccato se ha portato sulla terra dolori così terribili". Era la manifestazione della sua fede semplice, ma ferma e sicura, che gli aveva fatto scoprire il "tesoro nascosto", per cui aveva abbandonato tutto e che, prima di morire, gli suggeri ancora la sintesi del suo messaggio: "Omnia in caritate!". "Paradiso, paradiso"! Trasformate anche voi, malati, familiari ed amici la vostra "passione" in un atto di amore redentore; offritela ogni giorno e innalzatela all'Altissimo come il sacerdote all'altare offre l'Ostia pura e santa ed il calice della Salvezza eterna! Vi aiuti in questo proposito il beato Luigi Guanella, che nella felicità del cielo rimane sempre vigile sentinella nelle sue Opere e specialmente in questa Casa. Vi accompagni l'affetto materno della Vergine santissima, Maria della Provvidenza, la cui devozione deve essere preminente nel programma della vostra vita e della vostra giornata. Vi sostenga anche la mia preghiera, che di cuore vi assicuro, mentre a tutti imparto la mia benedizione.




1982-03-28 Data estesa: Domenica 28 Marzo 1982




Il discorso per la comunità religiosa dell'opera don Guanella - Roma

Titolo: Il vasto ed eroico programma di carità del beato Luigi Guanella

Testo:

Carissimi figli e figlie di Don Guanella!


1. Dopo aver compiuto il lungo itinerario in questa Città dell'amore e del dolore, eccoci riuniti ora in questo breve ma significativo incontro, riservato proprio per voi, che avete seguito più da vicino le orme e gli ideali di colui che consacro tutta la sua vita per amare ed aiutare i sofferenti.

Voi, religiosi "Servi della Carità", e voi, suore "Figlie di santa Maria della Provvidenza", che festeggiate quest'anno il primo Centenario di Fondazione, dovete gioire di poter imitare l'esempio del beato Fondatore, continuando a realizzare le opere di carità da lui ideate e iniziate.

Don Guanella, fin da fanciullo, senti fortemente questa chiamata all'amore verso i poveri e gli abbandonati. Consacrato sacerdote a Como (26 maggio 1866), egli aveva già ben chiaro il suo piano di lavoro e di apostolato. Uomo estremamente sensibile alla situazione degli emarginati, degli handicappati, degli orfani, degli anziani, degli invalidi, delle persone senza casa e senza affetti, egli volle essere sempre e per tutti il Buon Samaritano del Vangelo e dedico completamente la sua vita alle opere di misericordia. Voi ben sapete quanto dovette soffrire per poter realizzare questo suo sublime tormento. Intelligente, ingegnoso, industrioso, ricco di coraggio e di generosità, con una formazione intellettuale e ascetica sicura e granitica, semplice e di vasti orizzonti, egli fu indubbiamente una straordinaria personalità, che nonostante le innumerevoli e continue difficoltà, le contraddizioni, le umiliazioni, le persecuzioni, le calunnie e le diffidenze, riusci, con la sua tenacia e la totale confidenza in Dio, ad effettuare il suo vasto ed eroico programma di carità.


2. Paolo VI nel discorso per la sua Beatificazione affermo che "la vicenda avventurosa, complicata e febbrile della vita prodigiosa" di quest'uomo di Dio, fu sostenuta sempre da "una grande pietà, una assidua preghiera, uno sforzo di continua comunione con Dio" ("Insegnamenti", II [1964] 611ss). Egli volle essere soltanto un servo fedele, una manifestazione della Bontà divina, un segno della Divina Provvidenza. Di qui nacque la sua ansia apostolica, prima come sacerdote in cura di anime, indi, dal 1882 in poi, come fondatore e costruttore di Case e di centri per il ricovero dei più emarginati, cominciando da Pianello Lario e poi a Como e, in seguito, in altre località della diocesi, in Italia, a Roma, in America. Consolatore degli afflitti, egli diceva a voi suoi figli e figlie spirituali, e dice tuttora: "Tutto il mondo è patria vostra... Fermarsi non si può, finché vi sono poveri a ricoverare e bisogni a provvedervi". E soggiungeva: "La miseria non basta soccorrerla, bisogna andarla a trovare". Ma sottolineava pure che: "L'anima e il segreto dell'Opera è la confidenza nel Signore". Paolo VI esclamava con ardente entusiasmo: "L'opera di Don Guanella è opera di Dio! E, se è opera di Dio, essa è meravigliosa, essa è benefica, essa è santa!" ("Insegnamenti", II [1964] 611ss).


3. Dobbiamo ascoltare ed accogliere il messaggio dei santi! Essi, illuminati in modo speciale dall'Altissimo, con la loro vita e con le loro intuizioni, sono la risposta ai nostri interrogativi e ai nostri problemi. Dai santi noi possiamo comprendere che l'unica cosa che conta è l'amore di Dio verso gli uomini e viceversa e che, in particolare, essi costruiscono la storia della Chiesa e la vivono di giorno in giorno, incarnando davanti al mondo l'insegnamento del Vangelo. Il messaggio specifico che Don Guanella ci ha lasciato è quello della "paternità" di Dio, cioè del suo amore, della sua provvidenza, della sua affettuosa e misericordiosa presenza nella vicenda degli uomini. "E' Dio che fa.

Tutto è di Dio - egli affermava -. Anche se il Signore d'ordinario vuole che tutto quaggiù segua le vie comuni". "Come può Dio non pensare a ciò che lui ha voluto?".

Pur usufruendo di tutti i ritrovati e i mezzi della previdenza e della provvidenza umana, Don Guanella era convinto che essere autentici "Servi della Carità" significa essere prima di tutto e sempre "Servi della Verità". Per questo motivo non troviamo in lui vacua retorica: egli pregava ed agiva; faceva pregare e faceva agire! Fermo nella dottrina perenne della Chiesa, fedele al Magistero solenne di Pio IX, di Leone XIII e di Pio X, suo grande amico, egli passo indenne attraverso la bufera insidiosa del positivismo, del razionalismo, del modernismo; fu scrittore e apologeta limpido e persuasivo, e proprio in quell'epoca, sconvolta da terribili dolori e segnata da tante lacrime, volle essere una prova concreta e vivente dell'amore di Dio. Le tenebre esistono solo perché possa risplendere la luce; il male e il dolore permangono nella storia umana solo affinché ognuno possa amare, sentendo la nostalgia di Dio e dell'eternità beata! così egli diceva: "Ci vogliono in tutto delle vittime e ci vogliono specialmente vittime conformi alla grande Vittima del Calvario, ad innalzare torri di salvezza per le anime". Servo della Verità per essere veramente servo della Carità, Don Guanella comprese che per amare in modo concreto ed efficace era necessario far perno sull'Eucaristia e sull'attesa della Vita Eterna. Così esortava le sue Suore: "Bisogna non far conto dei disagi della vita, delle malattie, della morte. Fatevi vittime per Iddio e per l'opera di Dio...". "Voi dovete marcire nell'orazione e nel nascondimento come il frumento che dà il pane a tutti".

E' certamente un messaggio austero, e talvolta eroico, quello del beato Luigi Guanella; eppure quanto mai attuale. La divina Bontà vuole essere oggi visibile e presente anche mediante il nostro amore: questa è la consegna che ha lasciato Don Guanella.


4. Affido alla Vergine santissima, alla "Madonna del Lavoro", come veniva da lui invocata, i vostri propositi, le vostre opere, tutti i vostri confratelli e consorelle sparsi nel mondo, e soprattutto le vocazioni per le due Congregazioni, affinché siano sempre scelte e numerose per continuare con coraggio e fiducia la testimonianza dell'amore di Dio nel mondo. Vi accompagni e vi conforti la mia propiziatrice benedizione apostolica.




1982-03-28 Data estesa: Domenica 28 Marzo 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Ad un pellegrinaggio dell'OFTAL - Città del Vaticano (Roma)