GPII 1982 Insegnamenti - L'omelia durante la Messa per gli universitari - Città del Vaticano (Roma)

L'omelia durante la Messa per gli universitari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella croce e nella risurrezione la dimensione del mondo si incontra con quella di Dio

Testo:


1. Gloria a te, Verbo di Dio! Questo saluto si ripete quotidianamente nella liturgia della Quaresima.

Esso precede la lettura del Vangelo, e testimonia che il tempo della Quaresima è nella vita della Chiesa un periodo di particolare concentrazione sul Verbo di Dio.

Tale concentrazione era collegata - specialmente nei primi secoli - alla preparazione al Battesimo nella notte di Pasqua, al quale si predisponevano i Catecumeni con crescente intensità.

Pero, non solo in considerazione del Battesimo e del catecumenato la Quaresima stimola ad una così intensa concentrazione sulla Parola di Dio. Il bisogno scaturisce dalla natura stessa del periodo liturgico, cioè dalla profondità del Mistero, nel quale la Chiesa entra sin dall'inizio della Quaresima.

Il mistero di Dio raggiunge le menti e i cuori innanzitutto mediante la Parola di Dio. Ci troviamo, infatti, nel periodo della "iniziazione" alla Pasqua, che è il mistero centrale di Cristo, oltreché della fede e della vita di coloro che lo confessano.

Sono lieto che in questo periodo, anche quest'anno, mi è dato di portare il mio personale contributo alla pastorale dell'ambiente universitario di Roma. Do il mio cordiale benvenuto a tutti i presenti: Professori, Studenti e ospiti che vengono da fuori Roma.

Desidero ricordare, in questa occasione, che i problemi riguardanti la presenza della Chiesa nel mondo universitario della nostra Città, i problemi della specifica pastorale accademica sono stati quest'anno il tema dell'incontro del clero della diocesi di Roma all'inizio della Quaresima. Insieme con i miei fratelli nell'Episcopato e nel presbiterato, che condividono con me la sollecitudine pastorale per i tre milioni di cittadini della Roma degli anni ottanta, ho potuto ascoltare diverse voci di professori, di studenti, di rappresentanti dei singoli ambienti accademici e movimenti, come pure dei loro assistenti ecclesiastici, i quali hanno illustrato numerosi problemi riguardanti l'importante compito della Chiesa di Roma in questo settore.

Spero che questo compito potrà essere svolto in modo sempre più maturo e fruttuoso.


2. Lode a te, Verbo di Dio! Questa parola nella Liturgia della penultima Settimana di Quaresima diventa particolarmente intensa e, direi, particolarmente drammatica. Lo mettono in risalto in modo speciale le letture tratte dal Vangelo di san Giovanni.

Cristo, conversando con i Farisei, sempre più chiaramente dice Chi è, Chi l'ha mandato, e le sue parole non trovano accoglienza. E sempre più, mediante la crescente tensione delle domande e delle risposte, si delinea anche il termine di questo processo: la morte del profeta di Nazaret.

"Tu chi sei?" (Jn 8,25), domandano a lui come una volta domandavano a Giovanni Battista. Questo interrogativo porta con sé quell'eterna inquietudine messianica, alla quale Israele partecipava da generazioni, e che nella generazione di quel tempo pareva ancora accresciuta in potenza.

- Tu chi sei? - "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete..." (Jn 8,28).


3. Sembra che il concetto-chiave dell'odierna Liturgia della Parola di Dio sia quello di "elevazione". Durante la peregrinazione di Israele attraverso il deserto, Mosè "fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta" (Nb 21,9). Lo fece per ordine del Signore, quando il suo popolo veniva morso dai serpenti velenosi "e un gran numero di Israeliti mori" (Nb 21,6). Quando Mosè mise il serpente di rame sopra l'asta, chiunque fosse stato morso dai serpenti, nel guardarlo, "restava in vita" (Nb 21,9).

Quel serpente di rame è divenuto la figura di Cristo "innalzato" sulla croce. Gli esegeti vedono in esso l'annuncio simbolico del fatto che l'uomo, il quale con fede guarda la croce di Cristo, "resta in vita". Rimane in vita...: e la vita significa la vittoria sul peccato e lo stato di grazia nell'animo umano.


4. Cristo dice: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete...": conoscerete, troverete la risposta a questo interrogativo che ora ponete a me, non fidandovi delle parole che vi dico.

"L'innalzare" mediante la Croce costituisce in un certo qual senso la chiave per conoscere tutta la verità, che Cristo proclamava. La Croce è la soglia, attraverso la quale sarà concesso all'uomo di avvicinarsi a questa realtà che Cristo rivela. Rivelare vuol dire "rendere noto", "rendere presente". Cristo rivela il Padre. Mediante lui il Padre diventa presente nel mondo umano.

"Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo" (Jn 8,28).

Cristo si richiama al Padre come all'ultima fonte della verità che annunzia: "Colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui" (Jn 8,26).

Ed infine: "Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite" (Jn 8,29).

In queste parole si svela davanti a noi quella illimitata solitudine, che Cristo deve sperimentare sulla Croce, nella sua "elevazione". Questa solitudine inizierà durante la preghiera nel Getsemani - la quale deve essere stata una vera agonia spirituale - e si compirà nella crocifissione. Allora Cristo griderà: "Eli, Eli, lemà sabactàni", "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46).

Ora, invece, come se anticipasse quelle ore di tremenda solitudine, Cristo dice: "Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo...". Come se volesse dire, in primo luogo: anche in questo supremo abbandono non saro solo! adempiro allora ciò che "Gli è gradito", ciò che è la Volontà del Padre! e non saro solo! - E, inoltre: il Padre non mi lascerà in mano alla morte, poiché nella Croce c'è l'inizio della risurrezione. Proprio per questo, "la crocifissione" diventerà in definitiva la "elevazione": "Allora saprete che Io sono". Allora, pure, conoscerete che "io dico al mondo le cose che ho udito da lui".


5. La crocifissione diventa veramente l'elevazione di Cristo. NellaCroce c'è l'inizio della risurrezione.

perciò la Croce diventa la misura definitiva di tutte le cose, che stanno tra Dio e l'uomo. Cristo le misura proprio con questo metro.

Nell'odierno Vangelo ascoltiamo che cosa dice: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo" (Jn 18,23).

La dimensione del mondo viene, in un certo senso, contrapposta alla dimensione di Dio. Nel colloquio con Pilato Cristo dirà anche: "Il mio regno non è di quaggiù" (Jn 18,36).

La dimensione del mondo s'incontra con la dimensione di Dio proprio nella Croce: nella Croce e nella risurrezione.

Per questo la croce diventa quell'ultimo metro, col quale Cristo misura.

Diventa il punto centrale di riferimento. La dimensione del mondo viene in essa riferita definitivamente alla dimensione del Dio Vivente. E il Dio Vivente si incontra col mondo nella Croce. S'incontra mediante la morte di Cristo. Questo incontro è totalmente per l'uomo.

Perché - a volte ci chiediamo - quell'incontro del Dio Vivente con l'uomo si è compiuto sulla Croce?... perché doveva compiersi così? Cristo, nell'odierno colloquio, ne dà la risposta: "Se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati" (Jn 18,24).

Sopra la dimensione del mondo si mette la dimensione del peccato...

Proprio per questo l'incontro di Dio col mondo si compie nella croce.

C'è bisogno della Croce e della morte, affinché l'uomo "non muoia nei propri peccati".

C'è bisogno della Croce e della risurrezione, affinché l'uomo creda a Cristo, perché accetti questo "mondo" che lui rivela per mezzo di sé.

In Cristo è rivelato all'uomo il Dio Vivente. Dio Padre.

Non solo: in Cristo è rivelato all'uomo - è rivelato fino in fondo - il mistero dell'uomo stesso.


6. Bisogna imparare a misurare i problemi del mondo, e soprattutto i problemi dell'uomo, col metro della Croce e della Risurrezione di Cristo.

Essere cristiani vuol dire vivere nella luce del mistero pasquale di Cristo. E trovare in esso un punto fisso di riferimento per ciò che è nell'uomo, per ciò che è tra gli uomini, ciò che compone la storia dell'umanità e del mondo.

L'uomo, guardando in se stesso, scopre anche - come Cristo dice nel dialogo con i Farisei - ciò che è "di quaggiù" e ciò che è "di lassù". L'uomo scopre dentro di sé (è questa un'esperienza perenne) l'uomo "di lassù" e l'uomo "di quaggiù": non due uomini, ma quasi due dimensioni dello stesso uomo; dell'uomo, che è ognuno di noi: io, tu, lui, lei...

E ognuno di noi - se guarda dentro di sé attentamente, in modo autocritico, se cerca di vedere se stesso nella verità - saprà dire che cosa in lui appartiene all'uomo "di quaggiù", e che cosa all'uomo "di lassù". Saprà chiamarlo per nome. Saprà confessarlo.

Ed infine: in ognuno di noi c'è un certo spontaneo tendere dall'uomo "di quaggiù" verso quello "di lassù". E' questa un'aspirazione naturale. A meno che non la soffochiamo, non la calpestiamo in noi.

E' un'aspirazione. Se con essa cooperiamo, questa aspirazione si sviluppa e diventa il motore della nostra vita.

Cristo ci insegna come cooperare con essa. Come sviluppare ed approfondire ciò che nell'uomo è "di lassù", e come indebolire e vincere ciò che è "di quaggiù".

Cristo ce lo insegna col suo Vangelo e col suo personale esempio.

La Croce diventa qui una misura viva. Diventa il punto di riferimento, attraverso il quale la vita di milioni di uomini passa da ciò che nell'uomo è "di quaggiù" a ciò che è "di lassù".

La Croce e la risurrezione: il mistero pasquale di Cristo.


7. Il primo, elementare metodo di questo passaggio è la preghiera.

Quando l'uomo prega, in un certo senso spontaneamente si rivolge verso Colui che gli offre la dimensione "di lassù". Con ciò stesso prende le distanze da ciò che, in se stesso, è "di quaggiù". La preghiera è un movimento interiore. E' un movimento che decide dello sviluppo di tutta la personalità umana.

Dell'indirizzo della vita.

Con quale chiarezza dà espressione a questo tema il Salmo dell'odierna Liturgia!: "Signore, ascolta la mia preghiera, / a te giunga il mio grido. / Non nascondermi il tuo volto; / nel giorno della mia angoscia / piega verso di me l'orecchio. / Quando ti invoco: presto, rispondimi" (102 [101], 1-3).

L'uomo vive nella ricerca del "volto di Dio", che è nascosto davanti a lui nelle tenebre "del mondo". Eppure, nello stesso "mondo" può scoprire le impronte di Dio. Bisogna solo che inizi a pregare. Che preghi. Che passi da ciò che è "di quaggiù" verso ciò che è "di lassù". Che insieme alla preghiera scopra in se stesso la via che va dall'uomo "di quaggiù" a quello "di lassù".

Mei diletti! Nel nome del Crocifisso e del Risorto vi chiedo: pregate! amate la preghiera!


8. Gloria a te, Verbo di Dio! Che l'amore della preghiera diventi in ognuno di noi il frutto dell'ascolto della Parola di Dio.

"Il seme è la Parola di Dio, il seminatore invece, Cristo; ognuno che lo troverà durerà in eterno", proclama un testo liturgico.

Il seme è il germe di vita. Esso racchiude in sé tutta la pianta.

Nasconde la spiga per la mietitura e il futuro pane.

Il Verbo di Dio è tale seme per le anime umane. Il seminatore ne è Cristo.

Preghiamo che dal seme della parola di Cristo nasca in noi di nuovo questa Vita, alla quale l'uomo è chiamato in Cristo. Chiamato "da lassù".

Questa vita nasce nei sacramenti della fede. Nasce prima nel Battesimo e poi nel sacramento della Riconciliazione.

Cristo è non soltanto Colui che annunzia la Parola di Dio. E' Colui che in questa Parola dà la Vita. Una nuova Vita.

Tale è la potenza delle parole: "Io ti battezzo".

Tale è pure la potenza delle parole: "Io ti assolvo... vai in pace".

Vai! Nella direzione da ciò che è in te "di quaggiù" verso ciò che è "di lassù".

Ancora una volta, vai! E infine la potenza delle parole eucaristiche: "Mangiate e bevetene tutti". Chi mangia... vivrà. Vivrà in eterno.

Guardiamo, cari fratelli e sorelle, "l'elevazione" di Cristo. Guardiamo attraverso il prisma della Croce e della risurrezione la nostra umanità.


Accettiamo l'invito che si racchiude nel mistero pasquale di Cristo. Accettiamo la Parola e la Vita. Amen.

1982-03-30 Data estesa: Martedi 30 Marzo 1982




La preghiera del Papa alla Madonna di Jasna Gora

Testo:

Madre di Jasna Gora! Desidero oggi rivolgere a te la mia preghiera come alla Madre della cultura polacca.

In questo modo ti pregano i miei connazionali.

In questo modo pensano a te gli uomini della cultura, e in questo modo ti venerano.

Ti rendiamo grazie perché all'inizio, dal canto "Bogurodzica", hai aiutato l'anima polacca ad esprimersi; perché ci hai aiutato mediante le opere della cultura: della letteratura, della scienza, delle molte opere d'arte, a creare i contenuti e i valori con i quali si nutrono le generazioni; grazie ai quali abbiamo potuto sopravvivere anche nelle più pesanti prove storiche.

I Vescovi polacchi scrivono: "Significato fondamentale per la creazione di un'intesa sociale hanno la religione e la cultura; è infatti necessario assicurare la piena libertà alla vita religiosa e allo sviluppo della cultura".

Nella religione e nella cultura l'uomo si esprime come essere intelligente e libero. La libertà è pure la condizione per ambedue. In particolare essa è la condizione della vera cultura, mediante la quale la Nazione vive la sua vita autentica.

Per quanto riguarda la vita, chi la risente più profondamente della Madre? E perciò a te, Madre chiaromontana, affido in modo particolare l'oggi e il domani della cultura nazionale.

Continui in essa e si sviluppi sempre più pienamente la vita della Nazione.




1982-03-31 Data estesa: Mercoledi 31 Marzo 1982




A tutti i sacerdoti della Chiesa

Titolo: Preghiera in occasione del Giovedi Santo 1982

Testo:

Cari fratelli nel sacerdozio.

Fin dall'inizio del mio ministero di Pastore della Chiesa universale ho desiderato che il Giovedi Santo di ogni anno fosse un giorno di particolare comunione spirituale con voi, per condividere con voi la preghiera, le ansie pastorali, le speranze, per incoraggiare il vostro servizio generoso e fedele, per ringraziarvi a nome di tutta la Chiesa.

Quest'anno non vi scrivo una lettera, ma vi invio il testo di una preghiera dettata dalla fede e nata dal cuore, per rivolgerla a Cristo insieme con voi nel giorno natale del mio come del vostro sacerdozio e per proporre una comune meditazione, che da essa sia illuminata e sorretta.

Possa ciascuno di voi "ravvivare il dono di Dio che egli porta in sé per l'imposizione delle mani" (cfr. 2Tm 1,6), e gustare con fervore rinnovato la gioia di essersi donato totalmente a Cristo.

Dal Vaticano, il 25 marzo, Solennità dell'Annunciazione del Signore, dell'anno 1982, quarto di pontificato.


GIOVANNI PAOLO PP. II I





1. Ci rivolgiamo a te, o Cristo del Cenacolo e del Calvario, in questo giorno che è la festa del nostro sacerdozio.

Ci rivolgiamo a te noi tutti - Vescovi e presbiteri - riuniti nelle assemblee sacerdotali delle nostre Chiese ed insieme associati nell'universale unità della santa ed apostolica Chiesa.

Il Giovedi Santo è il giorno natale del nostro sacerdozio. E' in questo giorno che tutti noi siamo nati. Come un figlio nasce dal seno della madre, così siamo nati noi, o Cristo, dal tuo unico ed eterno sacerdozio. Siamo nati nella grazia e nella forza della nuova ed eterna alleanza - dal Corpo e dal Sangue del tuo sacrificio redentore: dal Corpo, che è "dato per noi" (cfr. Lc 22,19), e dal Sangue, che "per noi tutti viene versato" (cfr. Mt 26,28).

Siamo nati nell'Ultima Cena e, al tempo stesso, ai piedi della Croce sul Calvario: li, dove c'è la fonte della nuova vita e di tutti i Sacramenti della Chiesa, ivi è pure l'inizio del nostro sacerdozio.

Siamo nati anche insieme a tutto il Popolo di Dio della nuova alleanza, che tu, prediletto del Padre (cfr. Col 1,13), hai fatto "un regno di sacerdoti per il tuo Dio e Padre" (cfr. Ap 1,6).

Siamo stati chiamati come servitori di questo popolo, che agli eterni tabernacoli di Dio tre volte Santo porta i suoi "sacrifici spirituali" (cfr. 1P 2,5).

Il sacrificio eucaristico è "fonte ed apice di tutta la vita cristiana" (LG 11). E' un sacrificio unico che tutto comprende. E' il bene più grande della Chiesa. E' la sua vita.

Ti ringraziamo, o Cristo: - perché ci hai scelti tu stesso, associandoci in maniera speciale al tuo sacerdozio e segnandoci con un carattere indelebile, che rende idoneo ciascuno di noi ad offrire il tuo proprio sacrificio come sacrificio di tutto il popolo: sacrificio di riconciliazione, nel quale tu offri incessantemente al Padre te stesso e, in te, l'uomo e il mondo; - perché ci hai fatti ministri dell'Eucaristia e del tuo perdono; partecipi della tua missione evangelizzatrice; servitori del popolo della nuova alleanza.


II


2. Signore Gesù Cristo! Quando il giorno del Giovedi Santo dovesti separarti da coloro che avevi "amato sino alla fine" (cfr. Jn 13,1), tu promettesti loro lo Spirito di verità. Dicesti: "...è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma, quando me ne saro andato, ve lo mandero" (Jn 16,7).

Te ne sei andato mediante la Croce, facendoti "obbediente fino alla morte" (cfr. Ph 2,8) e "spogliando te stesso" (cfr. Ph 2,7) per l'amore col quale ci hai amato fino alla fine; così, dopo la tua risurrezione, è stato dato alla Chiesa lo Spirito Santo, che è venuto ed è rimasto ad abitare in essa "per sempre" (cfr. Jn 14,16).

E' lo Spirito che "con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione" con te (cfr. LG 4).

Consapevoli - ciascuno di noi - che mediante lo Spirito Santo, operante in forza della tua Croce e Risurrezione, abbiamo ricevuto il sacerdozio ministeriale per servire la causa della umana salvezza nella tua Chiesa, - imploriamo oggi, in questo giorno così santo per noi, il continuo rinnovamento del tuo sacerdozio nella Chiesa, mediante appunto il tuo Spirito che deve "ringiovanire" in ogni epoca della storia questa tua Sposa diletta; - imploriamo che ognuno di noi ritrovi nel proprio cuore e confermi ininterrottamente con la propria vita l'autentico significato, che la sua personale vocazione sacerdotale ha sia per lui stesso sia per tutti gli uomini, - affinché in modo sempre più maturo veda con gli occhi della fede la vera dimensione e la bellezza del sacerdozio, - affinché persista nel ringraziamento per il dono della vocazione come per una grazia non meritata, - affinché, ringraziando incessantemente, si consolidi nella fedeltà a questo santo dono, il quale, proprio perché è del tutto gratuito è tanto più obbligante.


3. Ti ringraziamo per averci configurati a te, come ministri del tuo sacerdozio, chiamandoci ad edificare il tuo Corpo, la Chiesa, non solo mediante l'amministrazione dei sacramenti, ma anche, e prima ancora, con l'annuncio della tua "parola di salvezza" (cfr. Ac 13,26), facendoci partecipi della tua responsabilità di Pastore.

Ti ringraziamo per aver avuto fiducia in noi, nonostante la nostra debolezza e fragilità umana, infondendoci nel Battesimo la chiamata e la grazia della perfezione da conquistare giorno per giorno.

Imploriamo di saper sempre assolvere ai nostri sacri impegni secondo il metro del cuore puro e della retta coscienza. Che siamo "fino alla fine" fedeli a te, che ci hai amati "fino alla fine" (cfr. Jn 13,1).

Che non trovino accesso nelle nostre anime quelle correnti di idee, che sminuiscono l'importanza del sacerdozio ministeriale, quelle opinioni e tendenze che colpiscono la natura stessa della santa vocazione e del servizio, al quale tu, o Cristo, ci chiami nella tua Chiesa.

Quando il Giovedi Santo, istituendo l'Eucaristia ed il sacerdozio, lasciavi coloro che avevi amati fino alla fine, promettesti loro il nuovo "Consolatore" (Jn 14,16). Fa' che questo Consolatore - "lo Spirito di verità" (Jn 14,17) - sia con noi con i suoi santi doni! Che siano con noi la sapienza e l'intelletto, la scienza e il consiglio, la fortezza, la pietà e il santo timor di Dio, affinché sappiamo sempre discernere ciò che proviene da te, distinguere ciò che proviene dallo "spirito del mondo" (cfr. 1Co 2,12) o, addirittura, dal "principe di questo mondo" (cfr. Jn 16,11).


4. Fa' che non "rattristiamo" il tuo Spirito (cfr. Ep 4,30): - con la nostra poca fede e mancanza di disponibilità a testimoniare il tuo Vangelo "con i fatti e nella verità" (1Jn 3,18); - con il secolarismo e col voler ad ogni costo "conformarci alla mentalità di questo secolo" (cfr. Rm 12,2); - con la mancanza, infine, di quella carità, che "è paziente, è benigna...", che "non si vanta..." e "non cerca il suo interesse...", che "tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta...", di quella carità che "si compiace della verità" e solo della verità (1Co 13,4-7).

Fa' che non "rattristiamo" il tuo Spirito: - con tutto ciò che porta con sé tristezza interiore e inciampo per l'anima, - con ciò che fa nascere complessi e causa rotture, - con ciò che fa di noi un terreno aperto ad ogni tentazione, - con ciò che si manifesta come una volontà di nascondere il proprio sacerdozio davanti agli uomini e di evitarne ogni segno esterno, - con ciò che, alla fine, può portare alla tentazione della fuga sotto il pretesto del "diritto alla libertà".

Oh, fa' che non depauperiamo la pienezza e la ricchezza della nostra libertà, che abbiamo nobilitato e realizzato donandoci a te e accettando il dono del sacerdozio! Fa' che non distacchiamo la nostra libertà da te, a cui dobbiamo il dono di questa grazia ineffabile! Fa' che non "rattristiamo" il tuo Spirito! Concedici di amare con quell'amore col quale il Padre tuo ha "amato il mondo", quando ha dato "il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).

Oggi, giorno in cui tu stesso hai promesso alla tua Chiesa lo Spirito di verità e di amore, noi tutti, unendoci con coloro i quali, durante l'Ultima Cena, per primi ricevettero da te la consegna di celebrare l'Eucaristia, gridiamo: "Manda il tuo Spirito... e rinnova la faccia della terra" (cfr. Ps 104 [103],30), anche di quella terra sacerdotale, che tu hai reso fertile col sacrificio del Corpo e del Sangue, che ogni giorno rinnovi sugli altari mediante le nostre mani, nella vigna della tua Chiesa.


III


5. Oggi tutto ci parla di questo amore, col quale "hai amato la Chiesa e hai dato te stesso per lei, per renderla santa" (cfr. Ep 5,25s).

Mediante l'amore redentore della tua donazione definitiva hai fatto tua sposa la Chiesa, conducendola sulle vie delle sue esperienze terrene, per prepararla alle eterne "nozze dell'Agnello" (cfr. Ap 19,7) nella "casa del Padre" (Jn 14,2).

Quest'amore sponsale di Redentore, questo amore salvifico di Sposo, rende fruttiferi tutti i "doni gerarchici e carismatici", con i quali lo Spirito Santo "provvede e dirige" la Chiesa (cfr. LG 4).

E' lecito, Signore, che noi dubitiamo di questo tuo amore? Chiunque si lascia guidare da viva fede nel fondatore della Chiesa può forse dubitare di questo amore, al quale la Chiesa deve tutta la sua vitalità spirituale? E' lecito forse dubitare - che tu possa e desideri dare alla tua Chiesa veri "amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1), e, soprattutto, veri ministri dell'Eucaristia? - che tu possa e desideri risvegliare nelle anime degli uomini, specialmente dei giovani, il carisma del servizio sacerdotale, così come esso è stato accolto ed attuato nella tradizione della Chiesa? - che tu possa e desideri risvegliare in queste anime, insieme con l'aspirazione al sacerdozio, la disponibilità al dono del celibato per il Regno dei cieli, di cui in passato hanno dato e ancor oggi danno prova intere generazioni di sacerdoti nella Chiesa cattolica? E' conveniente - contro la voce del recente Concilio Ecumenico e del Sinodo dei Vescovi - continuare a proclamare che la Chiesa dovrebbe rinunciare a questa tradizione ed a questa eredità? Non è invece dovere di noi sacerdoti vivere con generosità e gioia il nostro impegno, contribuendo con la nostra testimonianza e con la nostra opera alla diffusione di questo ideale? Non è nostro compito far crescere il numero dei futuri presbiteri al servizio del Popolo di Dio, adoperandoci con tutte le forze per il risveglio delle vocazioni e sostenendo l'azione insostituibile dei Seminari, ove i chiamati al sacerdozio ministeriale possano prepararsi adeguatamente al dono totale di sé a Cristo?


6. In questa meditazione del Giovedi Santo oso porre ai miei fratelli un tale interrogativo, che va tanto lontano, proprio perché questo sacro giorno pare esigere da noi una totale ed assoluta sincerità di fronte a te, eterno Sacerdote e buon Pastore delle nostre anime! Si. Ci rattrista che gli anni dopo il Concilio, indubbiamente ricchi di fermenti buoni, prodighi di iniziative edificanti, fecondi per il rinnovamento spirituale di tutte le componenti della Chiesa, abbiano visto, d'altro lato, il sorgere di una crisi ed il manifestarsi di non rare incrinature.

Ma... possiamo forse, in qualsiasi crisi, dubitare del tuo amore? di quell'amore col quale "hai amato la Chiesa dando te stesso per lei" (cfr. Ep 5,25)? Questo amore e la potenza dello Spirito di verità non sono forse più grandi di ogni umana debolezza, anche quando questa sembri prendere il sopravvento, atteggiandosi per di più a segno di "progresso"? L'amore, che tu doni alla Chiesa, è destinato sempre all'uomo debole ed esposto alle conseguenze della sua debolezza. Eppure, tu non rinunci mai a questo amore, che rialza l'uomo e la Chiesa, ponendo all'uno ed all'altra precise esigenze.


Possiamo noi "sminuire" questo amore? Non lo sminuiamo noi tutte le volte in cui, a causa della debolezza dell'uomo, sentenziamo che si deve rinunciare alle esigenze che esso pone? IV


7. "Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai alla sua messe..." (cfr. Mt 9,38).

Nel Giovedi Santo, che è giorno natale del sacerdozio di ognuno di noi, vediamo con gli occhi della fede tutta l'immensità di questo amore, che nel Mistero pasquale ti ha comandato di diventare "obbediente fino alla morte" - ed in questa luce vediamo anche meglio la nostra indegnità.

Sentiamo il bisogno di dire, oggi più che mai: "Signore, non sono degno...".

Veramente "siamo servi inutili" (Lc 17,10).

Procuriamo, pero, di vedere questa nostra indegnità e "inutilità" con una semplicità tale che ci renda uomini di grande speranza. "La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato" (Rm 5,5).

Questo Dono è proprio frutto del tuo amore: è il frutto del Cenacolo e del Calvario.

Fede, speranza e carità devono essere il metro adeguato per le nostre valutazioni e per le nostre iniziative.

Oggi, nel giorno dell'istituzione dell'Eucaristia, noi ti chiediamo con la più grande umiltà e con tutto il fervore, di cui siamo capaci, che essa sia celebrata su tutta la terra dai ministri a questo chiamati, affinché a nessuna comunità dei tuoi discepoli e confessori manchino questo santissimo sacrificio e questo nutrimento spirituale.


8. L'Eucaristia è soprattutto il dono fatto alla Chiesa. Indicibile dono. Anche il sacerdozio è un dono alla Chiesa, in considerazione dell'Eucaristia.

Oggi, quando si dice: la comunità ha diritto all'Eucanstia, si deve particolarmente ricordare che tu hai raccomandato ai tuoi discepoli di "pregare il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe" (cfr. Mt 9,38).

Se non si "prega" con fervore, se non ci si adopera con tutte le forze perché il Signore mandi alle Comunità buoni ministri dell'Eucaristia, si può allora affermare con convinzione interna che "la comunità ha diritto"...? Se ha diritto..., allora ha il diritto del dono! E un dono non può essere trattato come se dono non fosse. Si deve pregare incessantemente per avere tale dono. Si deve chiederlo in ginocchio.

Bisogna dunque - atteso che l'Eucaristia è il più grande dono del Signore alla Chiesa - chiedere sacerdoti, poiché anche il sacerdozio è un dono alla Chiesa.

In questo Giovedi Santo, riuniti insieme con i Vescovi nelle nostre assemblee sacerdotali, ti preghiamo, Signore, affinché siamo sempre compenetrati della grandezza del dono, che è il Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue.

Fa' che noi, in interiore conformità con l'economia della grazia e con la legge del dono, continuamente "preghiamo il padrone della messe"; e che la nostra invocazione scaturisca da un cuore puro, avendo in sé la semplicità e la sincerità dei veri discepoli. Allora tu, Signore, non respingerai la nostra supplica.


9. Dobbiamo gridare a te con una voce così potente, quale esigono la grandezza della causa e l'eloquenza della necessità dei tempi. E così, imploranti, gridiamo.

Eppure, abbiamo la consapevolezza che "nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare" (Rm 8,26). Non è forse così, dal momento che tocchiamo un problema che tanto ci supera? Eppure, questo è il nostro problema. Non ce n'è alcun altro che sia così nostro come questo.

Il giorno del Giovedi Santo è la nostra festa.

Pensiamo al tempo stesso a quei campi, che "già biondeggiano per la mietitura" (Jn 4,35).

E perciò abbiamo fiducia che lo Spirito verrà "in aiuto alla nostra debolezza", esso che "intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26).

Poiché è sempre lo Spirito che "fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo" (LG 4).


10. Non ci è detto che nel Cenacolo del Giovedi Santo fosse presente la tua Madre.

Tuttavia noi ti preghiamo specialmente per sua intercessione. Che cosa può esserle più caro del Corpo e del Sangue del proprio Figlio, affidato agli Apostoli nel Mistero eucaristico - il Corpo e il Sangue che le nostre mani sacerdotali offrono incessantemente in sacrificio per "la vita del mondo" (Jn 6,51)? Dunque, per il tramite di lei, specialmente oggi, noi ti ringraziamo e per il tramite di lei imploriamo - che si rinnovi nella potenza dello Spirito Santo il nostro sacerdozio, - che pulsi in esso costantemente l'umile, ma forte certezza della vocazione e della missione, - che cresca la prontezza al sacro servizio.


Cristo del Cenacolo e del Calvario! Accoglici tutti, noi che siamo i Sacerdoti dell'Anno del Signore 1982, e col mistero del Giovedi Santo nuovamente santificaci. Amen.

1982-04-01 Data estesa: Giovedi 1 Aprile 1982




Ai Vescovi della regione dell'Est della Francia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Affievolimento dei valori morali e necessità della pratica sacramentale

Testo:

Cari fratelli nell'Episcopato.


1. Dopo avervi ascoltato l'uno dopo l'altro in un dialogo personale, sono lieto di accogliervi tutti insieme, pensando alle pesanti responsabilità pastorali che portate ciascuno nella vostra diocesi, o a livello regionale, o a livello nazionale, nelle commissioni e comitati, o perfino, per Monsignor Jean Vilnet, alla Presidenza della Conferenza Episcopale. Conoscendo il vostro coraggio che non risparmia alcuno sforzo, vi auguro un ministero insieme fecondo e sereno, grazie alla speranza che ci viene dal mistero pasquale. Prego il Signore per tutte le vostre intenzioni, e per l'intenzione dei sacerdoti, religiosi e fedeli dell'Alsazia, della Lorena e della Franca Contea.

Sono province francesi che hanno, per la loro storia ricca di vicissitudini, una fisionomia particolare, molto interessante. Il mio paese natale ha avuto legami molto stretti con loro, e specialmente con Nancy e la Lorena. Esse sono state al crocevia delle civiltà franca e germanica; rimangono una porta sempre aperta sulla Germania, la Svizzera e il Lussemburgo; le diverse confessioni cristiane, così come la religione ebraica vi si incontrano naturalmente. Tutto ciò spiega o determina le caratteristiche che voi avete rilevato nei vostri rapporti descrivendo la situazione umana e religiosa: una certa crisi economica che tocca settori vitali; una vocazione europea molto marcata; forti tradizioni religiose; un regime concordatario per due diocesi; un modo particolare di sentire e di vivere le relazioni ecumeniche. Ognuno di questi aspetti potrebbe costituire l'oggetto di uno scambio interessante e di una appropriata trattazione, che non sarebbero possibili oggi. Ma è molto utile che, su questi importanti punti, voi possiate confidare i vostri problemi al Papa e ai Dicasteri romani, che anche se non portano soluzioni precise ed immediate al vostro caso, li registrano nella memoria dello spirito e del cuore come questioni poste alla Chiesa per la sua pastorale comune.

Ho notato anche la vostra preoccupazione per l'invecchiamento e la rarefazione dei sacerdoti, di fronte al carico di molte piccole parrocchie e di mutamenti difficili per loro. Questo resta sicuramente un grosso problema, per voi come per tutto il vostro paese. Non bisogna mai smettere di sperare, di pregare e di agire in favore delle vocazioni, a livello delle famiglie e dei giovani; e, nello stesso tempo, portare, come voi fate, il vostro sostegno e il vostro affetto a questi sacerdoti meritevoli, avendo la preoccupazione della loro formazione permanente. Tutti voi avete peraltro sottolineato una gioiosa partecipazione dei laici all'apostolato e alla vita delle comunità cristiane, in particolare alla catechesi; ma la vostra preoccupazione rimane viva a proposito delle giovani generazioni. Non posso ritornare con voi su questi due importanti temi - quello dei laici e dei giovani - poiché li ho già lungamente trattati con i vostri confratelli del centro della Francia.

Oggi ho preso in esame due altri settori della pastorale: il senso dei valori morali presso i vostri fedeli, e in particolare presso i giovani, perché voi stessi notate nei vostri rapporti come esso si stia seriamente abbassando; e la rigenerazione delle coscienze mediante i sacramenti, e in particolare mediante il sacramento della riconciliazione, perché la festa della Pasqua, ormai molto prossima, incentra tutta la nostra attenzione sul perdono e il rinnovamento dei cuori.


2. Il vacillamento e l'abbassamento dei valori morali vissuti deve infatti preoccupare tutti i Pastori. Ciò che voi costatate in diversi ambiti, specialmente in quello che concerne il matrimonio, non è tanto l'ignoranza dell'etica cristiana, tanto più che si tratta in generale di credenti; ma piuttosto la mancanza di interesse, di convinzione a questo proposito, la rimessa in questione ben fondata, o molto semplicemente la volontà di conservare su questo punto una indipendenza di giudizio e di azione; e persino, come uno di voi ha detto riguardo ai giovani, una allergia verso le esigenze morali richiamate dalla Chiesa.

Voi non mancate di analizzarne le cause. E' tutto il contesto sociale che spiega questa situazione. Non si tratta di lamentarsi dell'immoralità della nostra società. Vi è senza dubbio nell'uomo di oggi il medesimo fondo di generosità e il medesimo fondo di malizia che in quello vissuto mille o duemila anni fa. Ogni uomo che nasce è obbligato a riprendere a sua volta gli sforzi di ordine morale e spirituale che avevano compiuto i suoi genitori e i suoi antenati.

Ma il problema è piuttosto quello del senso, dei fondamenti e dei criteri dell'atteggiamento morale. Le nostre regioni occidentali erano per così dire impregnate di un'etica che affondava le sue radici in una lunga storia che rassicurava, in una tradizione culturale cristiana che aveva i suoi precisi punti di riferimento in comunità abbastanza omogenee per sostenere i propri membri. Ora la società è divenuta pluralista e appare come "spaccata", aperta a tutte le correnti di pensiero, a tutti i comportamenti e a tutti i costumi che può tollerare l'"ordine" pubblico. Se i mass-media possono aiutare a riflettere e a mettersi in comunione con nobili preoccupazioni largamente condivise nel mondo, essi possono anche rafforzare il carattere relativo dei "valori". Molte informazioni, problemi, sollecitazioni vanno a colpire l'intelligenza dei nostri contemporanei, la loro immaginazione e la loro sensibilità, tanto che molti si sentono come estranei a se stessi, imbarcati in una società che vive nel suo insieme in uno stato di choc per aver perso i suoi punti di riferimento morale.

Più ancora, bisognerebbe ricordare i problemi e le rimesse in questione prodotte dalle innovazioni scientifiche e le loro applicazioni pratiche, le nuove concezioni storiche e filosofiche, gli sconvolgimenti sociali o lo spettacolo quotidiano della violenza. In breve, diciamo, perlomeno, che la lucidità e il coraggio morale richiedono oggi una forte personalità.

Nella misura in cui le convinzioni sono scosse, in cui non si vuole riferirsi ad esperienze del passato, e in cui la società è tollerante e permissiva, che cosa in fondo va a determinare il comportamento? Molti sono tentati o di darsi un criterio puramente soggettivo, spontaneo, in funzione dell'interesse e del piacere immediati ed evidenti, o di accettare i nuovi conformismi sociali, o di esaltare le vie del rischio, della libertà, delle esperienze di ogni genere.


3. Ma se tali analisi delle cause hanno una loro utilità, esse non forniscono pero, di per se stesse, le soluzioni. Ciò che importa è di cercare come, nelle condizioni di oggi, si possa esaminare ed operare una rinascita morale, preparare l'avvenire delle nuove generazioni.

Notiamo innanzitutto che è necessario verificare in quale senso utilizziamo la parola "etica". Ogni ideologia pretende di avere una sua etica e una società pluralista può difficilmente raccogliere tutti i propri membri in un'etica comune, o si tratta di un minimo necessario alla vita nella società ed a una certa giustizia. Ma si può fondare un'etica completa, una scienza del bene e del male, senza Assoluto, senza trascendenza, senza la giustificazione del carattere sacro della persona umana? Noi pastori, abbiamo qui in mente l'etica secondo la quale l'uomo scopre al fondo della sua coscienza vera e retta una legge che egli non si è dato da solo, e tende a conformarsi alle norme oggettive della moralità (cfr. GS 16). E più precisamente, noi vi ravvisiamo l'etica della Rivelazione: Dio ha dapprima interpellato il popolo eletto mediante la Legge di Mosè, perché esso fosse fedele al dono dell'alleanza aspettando di inscrivere questa Legge nel loro cuore (cfr. Jr 31,33); poi Gesù Cristo ha chiamato tutti gli uomini a conformarsi alle Beatitudini come cammino di salvezza e di vita. "Il giogo è dolce ed il carico leggero" per chi ha fede, e l'ha riposta nello Spirito Santo; altrimenti, le esigenze possono apparire difficili o impossibili. Cioè non si può pretendere di suscitare una pratica di valori morali cristiani senza suscitare prima e nel medesimo tempo un rinnovamento di fede.

L'etica cristiana non può sussistere senza una fede profonda, che l'alimenta come un terreno che nutre, capace di molteplici fecondità; una fede che cresce nell'accoglimento del Vangelo, nella preghiera, nei sacramenti e in un quotidiano impegno.


4. Tuttavia, vi è un livello specifico di formazione morale che è necessario assicurare, perché per i credenti stessi, una fede o una preghiera che trascuri le esigenze etiche è illusoria. E coloro che sono indifferenti alla fede o coloro che credono in modo imperfetto hanno bisogno anche di conoscere le vie e i fondamenti dell'etica, nell'attesa che "operando la verità, essi pervengano, se Dio lo vuole, alla luce" (cfr. Jn 3,19 Jn 3,21). Bisogna dunque, come abbiamo avuto modo di dire, "individuare e definire i fondamenti della coscienza".

Per questo, ci sono delle attitudini fondamentali, delle convinzioni preliminari, sulle quali è importante innanzitutto ottenere il consenso dei giovani o di coloro che sono invitati ad un risveglio morale. Per esempio, bisogna far comprendere loro che la morale non è il "legale". Bisogna coltivare la lucidità sugli slogan che si diffondono quasi fossero delle evidenze quando invece sono spesso falsi. Bisogna convincere che la verità non è per forza affare della moltitudine, che essa non coincide con la percentuale derivata dai sondaggi, con l'attitudine dell'"uomo medio"; bisogna far prendere coscienza della schiavitù dell'opinione. Allo stesso modo bisogna imparare a valutare ciò che vale la spontaneità del giudizio e del desiderio; bisogna liberare dalle catene del soggettivismo e del neo-positivismo.

Bisogna soprattutto introdurre al vero senso della libertà. Questa libertà è uno degli elementi costitutivi della dignità umana; ma non è in sé un fine: essa è il mezzo, la via, per giungere al vero bene, il bene oggettivo, in modo responsabile. La permissività rigetta questa sana visione, e spinge a cercare la libertà per se stessa, come un assoluto. E' importante dunque insegnare alle nuove generazioni la bellezza e le esigenze della libertà e della responsabilità.

In particolare, è buona cosa far loro valutare a che punto l'idolatria si connetta oggi al denaro, al potere, al sesso, e ciò a detrimento dei valori della persona e della verità dei rapporti interpersonali, della comunicazione.

Possano le giovani generazioni prendere coscienza anche delle trappole e dei limiti del materialismo, e della società del consumo che limita l'orizzonte alla soddisfazione dei bisogni immediati! Possano riconoscere al contrario il prezzo del superamento di sé, del servizio, della fedeltà che soli sono degni dell'uomo e salvano l'uomo! Penso che tutta questa educazione di base sgombri il cammino per giungere ad accettare con fiducia e coraggio le esigenze dell'etica in generale, e ancor più dell'etica cristiana, che è essenzialmente e principalmente amore a Dio sopra tutto e amore del prossimo per amore di Dio.


5. E' in questa ottica, su questi fondamenti, che è possibile allora affrontare i diversi settori della vita morale e farsi convinzioni rinnovate, ad esempio un nuovo modo di accostarsi alla sessualità, con una sana teologia del corpo e della relazione interpersonale nel matrimonio; un'etica delle relazioni familiari; un'etica dei rapporti sociali e politici, un'etica delle relazioni tra i paesi europei sul piano economico, legislativo e culturale; un'etica dei rapporti nord-sud e dei rapporti con il Terzo Mondo. Sono questi altrettanti capitoli che io non posso evidentemente sviluppare oggi.

Ma, direte, come trovare i mezzi di questa educazione? Come fare udire la voce della Chiesa in mezzo a tutte le altre voci? Non è come supporre il problema risolto, poiché è la fede che aiuta ad accettare e a vivere l'etica, ma che precisamente è la fede che manca? Certo, la Chiesa ha mezzi limitati; essa potrà solamente aiutare i giovani che lo vogliono e che si rivolgono ad essa. Ma non deve temere di proseguire arditamente la sua pastorale in questo campo etico, senza alcun complesso. Possiede numerose istanze in cui può essere posta l'educazione morale, alle differenti età: gruppi di catechesi, per bambini, adolescenti e giovani; movimenti, sessioni, ecc. Essa deve soprattutto contare sulla responsabilità degli educatori e dei professori nei differenti tipi di insegnamento. La scuola cattolica, in particolare, può mettere in opera tutto un programma educativo coerente. La Chiesa dovrebbe utilizzare sempre un maggior numero di moderni mezzi della comunicazione sociale e le riviste. So che molte diocesi francesi fanno tentativi in questo campo. Ma in ogni caso, dal momento che si tratta di una convinzione personale, è la testimonianza dell'uomo all'uomo che, congiunta al sostegno comunitario, costituirà un appello a superare i compromessi, a conquistare una libertà esigente e responsabile, a creare il clima di un'etica più cristiana. Se il magistero deve continuare a tracciare con chiarezza la strada del risveglio morale dei giovani, questi, mi sembra, saranno convinti soprattutto grazie a molteplici testimoni nella cui vita l'etica cristiana sviluppa veramente la parte migliore dell'uomo.


6. Per dei cristiani, uno dei test del senso morale è la coscienza del peccato, il desiderio del perdono, il cammino della penitenza. Lo ricordavo domenica scorsa all'"Angelus": lo Spirito Santo è venuto a convincere il mondo del peccato, della giustizia, del giudizio; e la missione della Chiesa è di fare prendere coscienza di ciò, dando ai peccatori la possibilità di essere perdonati, liberati, reintegrati. Il prossimo Sinodo sarà consacrato a questo momento essenziale della penitenza, e comprendete come alla soglia della Settimana santa io mi soffermi un poco su questo aspetto che completa quello della formazione delle coscienze e che ne è anche un mezzo privilegiato, comportando la grazia divina del perdono. C'è bisogno del coraggio di riconoscere i propri errori davanti a Dio, perché i peccati sono sempre delle offese fatte a Dio, anche quando si tratta di torti fatti al prossimo; ci vuole il coraggio di rendere conto alla Chiesa che ha ricevuto il ministero del perdono; e coloro che hanno in qualche aspetto perso il senso del peccato e della Chiesa provano evidentemente fatica ad accettare un tale cammino penitenziale. Ma esso è necessario oggi come ieri, e porta dei frutti notevoli quando è ben compiuto. Ne siete ben convinti. Durante l'assemblea plenaria di Lourdes, nell'ottobre 1979, avete adottato un testo sul "ministero della penitenza e della riconciliazione". Numerosi Vescovi francesi hanno consacrato la loro Lettera pastorale per intero o in parte a questo soggetto.

Questa settimana i vostri sacerdoti consacreranno, spero, molto del loro tempo a questo capitale ministero, che prepara i loro fedeli alla comunione pasquale. E' a loro che io penso specialmente, perché li vorrei incoraggiare, con voi, ad accogliere come conviene i peccatori.


7. Il nuovo rituale della penitenza mette in rilievo il carattere ecclesiale della caduta e del perdono, e il posto della Parola di Dio, che permette di meglio porsi di fronte all'amore esigente del Signore. Esso ha così contribuito ad un rinnovamento di vita spirituale e a una presa di coscienza nuova del valore del sacramento, malgrado l'atmosfera generale assai scristianizzata. E se le confessioni sono attualmente meno numerose, sono senza dubbio più serie e ferventi.

Ma bisogna riconoscere anche l'esistenza di una certa crisi del sacramento della penitenza. Molti non vedono più in che cosa hanno peccato e, ancor meno, in che cosa hanno eventualmente peccato gravemente; né soprattutto perché essi debbano domandare perdono davanti ad un rappresentante della Chiesa; altri affermano che le confessioni sono troppo intaccate dalla routine e dal formalismo, ecc. Ci sono del resto serie ragioni di stupirsi e di aver timore nel vedere, in certe regioni, tanti fedeli ricevere l'Eucaristia, quando solo un piccolo numero è ricorso al sacramento della riconciliazione. Su questo punto, una buona catechesi deve condurre i fedeli a mantenere la coscienza del proprio stato di peccatori, a comprendere la necessità e il senso di una scelta personale di riconciliazione prima di ricevere, con l'Eucaristia, tutti i suoi frutti di rinnovamento e di unità con Cristo e la sua Chiesa.

Si obietta a volte che i preti, assorbiti da altri compiti e spesso poco numerosi, non sono disponibili per questo tipo di ministero. Che essi ricordino l'esempio del santo curato d'Ars e di tanti pastori che, ancora ai nostri giorni, grazie a Dio, praticano ciò che si può chiamare "l'ascesi del confessionale".

Perché noi siamo tutti al servizio dei membri del Popolo di Dio affidati al nostro zelo e, direi, di ciascuno di loro.


8. Questo aspetto della confessione individuale davanti al prete mi porta a ricordare certi problemi di pastorale liturgica e sacramentale relativi alle celebrazioni penitenziali comunitarie. Anche in questo campo, allorquando comportino l'assoluzione individuale, voi stessi avete potuto constatare dei progressi; una catechesi ben fatta conduce allora i fedeli a scoprire il senso comunitario dei propri atti, e più ancora del proprio stato di peccatori davanti a Dio e davanti ai fratelli e a rendere grazie insieme. C'e allora la celebrazione del perdono. Tale è veramente la grazia di questo tempo di quaresima: un approfondimento del senso del peccato che ci rende schiavi e, nella stessa misura, un pressante desiderio di liberazione e di vita nuova con Cristo, vita condivisa nella gioia, il servizio e l'amore fraterno.

Ma bisogna anche stare attenti: l'entusiasmo dei fedeli, e soprattutto dei giovani, per l'aspetto comunitario della vita cristiana, può portarli a dimenticare le azioni individuali che necessariamente si impongono. E' il caso delle celebrazioni penitenziali con assoluzione generale. Come sapete, non bisogna fare ricorso a queste ultime che in casi eccezionali in cui ci sia l'impossibilità fisica o morale, in casi di grave necessità (cfr. "Normae pastorales circa absolutionem generali modo impertiendam", III). Non si può dunque farvi ricorso per rinnovare la pastorale ordinaria del sacramento della penitenza. Inoltre l'assoluzione collettiva non dispensa dalla confessione individuale e completa delle colpe. Questa deve ancora intervenire ogni qualvolta dei peccati gravi saranno stati rimessi con una assoluzione collettiva (cfr. "Normae pastorales circa absolutionem generali modo ompertiendam", VII). Il legame tra la confessione e il perdono, già iscritto nella natura delle cose, dipende infatti dall'essenza del sacramento. Non insistero dunque mai abbastanza sulla necessità di questa confessione personale dei peccati gravi seguita dall'assoluzione individuale, che, essendo innanzitutto una esigenza di ordine dogmatico, è anche un'azione liberatrice ed educatrice, perché permette a ciascuno di riorientare concretamente la propria vita verso Dio. Infatti, il cristiano non esiste solamente come membro della comunità: è una persona individuale, con le sue tendenze e i suoi problemi, il suo luogo e la sua fisicità propria, le sue tentazioni e le sue cadute, la sua coscienza e la sua responsabilità davanti a Dio e davanti ai fratelli. Il Popolo di Dio non è una massa uniforme: ciascuno dei suoi membri è un essere unico davanti a Dio; lo è anche davanti al suo pastore, che è, per ogni fedele, padre, maestro e giudice da parte di Dio.


9. Raggiungendo in spirito tutti i sacerdoti delle vostre diocesi dell'Est, io auguro loro di essere sempre sacerdoti giovani, malgrado il peso degli anni o talune difficoltà del ministero attuale. Auguro ugualmente loro di celebrare con un fervore nuovo le prossime feste pasquali, che saranno una volta di più l'affermazione della vittoria di Cristo sul peccato, sulla morte e su tutte le forze di disgregazione dell'uomo e della società. I miei auguri vanno anche ai vostri diocesani. Che questa celebrazione della Risurrezione sia per loro un'occasione per scegliere nuovamente Cristo e il suo Vangelo. A voi, miei fratelli nell'episcopato, ridico la mia piena solidarietà nei vostri impegni, nelle vostre fatiche, nelle vostre speranze di Pastori delle Chiese affidate alla vostra vigilanza e al vostro affetto. Vi benedico di tutto cuore.




1982-04-01 Data estesa: Giovedi 1 Aprile 1982





GPII 1982 Insegnamenti - L'omelia durante la Messa per gli universitari - Città del Vaticano (Roma)