GPII 1982 Insegnamenti - A Vescovi del Rwanda in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

A Vescovi del Rwanda in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siate i testimoni della libertà della Chiesa agli occhi della nazione

Testo:

Cari fratelli Vescovi,


1. Eccovi a Roma, venuti in pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Da parte mia, vorrei associarmi alla vostra legittima azione di grazia. Gli apostoli hanno conosciuto la gioia di veder germogliare e moltiplicarsi le sementi della parola di Dio. Anche noi possiamo contemplare la bella crescita del grano del Vangelo gettato meno di un secolo fa in terra ruandese. La fede cristiana è oggi ben radicata presso di voi e il suo vigore lascia prevedere dei bei frutti.

Il rapido sviluppo della comunità cristiana in Ruanda ha d'altronde reso necessaria la moltiplicazione regolare delle circoscrizioni ecclesiastiche.

Recentemente, avete avuto la gioia di accogliere dei nuovi membri in seno alla vostra giovane e dinamica Conferenza episcopale. A voi tutti, voglio esprimere il mio affetto fraterno e la mia stima per il vostro lavoro.


2. Ciò che conosco dei lavori della vostra Conferenza testimonia la vostra preoccupazione per l'unità al vostro interno e con il Vescovo di Roma. Non si potrebbe mai troppo sottolineare la sua importanza. Contiene innanzi tutto un invito alla collaborazione per quelli che si impegnano nell'apostolato, fra di loro e con noi. In questo modo, l'unanimità porta al popolo cristiano un esempio di concordia e afferma la forza della persuasione del vostro insegnamento. La vostra coesione sottolinea inoltre la libertà della Chiesa agli occhi dell'intera nazione, nel momento degli interventi pubblici che siete condotti a compiere, anche se, com'è fortunatamente il caso, avete modo di felicitarvi dei buoni rapporti esistenti fra Chiesa e Stato.


3. Per assecondarvi nel vostro apostolato, sapete di poter contare sulla collaborazione di preti, monaci e religiosi; frati che prestano un prezioso concorso; suore appartenenti a numerose diverse congregazioni e la cui carità è instancabile; laici, uomini e donne, impegnati a tempo pieno al servizio della Chiesa. Fra di essi, alcuni sono figli del Ruanda; altri sono venuti da paesi della vecchia cristianità e hanno seguito l'esempio dei missionari che per primi vi hanno portato la fede. So quanto li circondiate tutti con il vostro affetto e quale sia la vostra preoccupazione per fornir loro i mezzi di cui hanno bisogno, sia spiritualmente che materialmente, per la loro formazione e per il loro apostolato.


4. Attenti alla vita dei vostri sacerdoti, avete da poco preso la felice iniziativa di creare, in seno alla vostra Conferenza episcopale, una commissione del clero che viene a completare quella che si occupa dei religiosi. Questo permette di sottolineare la specificità del prete. In seno a questa commissione saranno rappresentati anche i preti "fidei donum". Notate quale sia la stima che con ciò voi dimostrate loro; io la condivido ben volentieri. Questa commissione potrà servire all'adattamento giudizioso dei preti alla realtà ruandese, la presa in considerazione organica delle diverse questioni riguardanti il loro reclutamento, la loro situazione materiale, e le modalità dell'aiuto che essi così generosamente vi portano.


5. Conosco la vostra preoccupazione per le vocazioni sacerdotali e per la formazione dei seminaristi. Questa richiede evidentemente, sia nel piccolo, ma ancor di più nel grande seminario, una diligente cura della loro crescita spirituale, corrispondente alla natura propria della chiamata al ministero. I seminaristi non possono essere assimilati in tutto agli altri giovani della stessa età, e i seminari agli altri istituti d'insegnamento. A questo proposito, comprendo la vostra inquietudine davanti all'eventualità di vederli costretti a partecipare a delle attività suscettibili di mettere in pericolo la loro propria vita, scelta liberamente. Mi auguro che questo allarme sia presto dissipato.


6. Voglio ancora menzionare lo zelo veramente meritorio dei catechisti ruandesi.Operatori apostolici di base, hanno bisogno, anch'essi, d'un approfondimento dottrinale e di una formazione pedagogica adatta all'evoluzione rapida del mondo contemporaneo, formazione che devono avere la possibilità di proseguire. E' questa una delle preoccupazioni maggiori, la cui realizzazione necessita di mezzi materiali e di competenze particolari. Che voi possiate, anche grazie all'eventuale cooperazione di altre diocesi, rinforzare l'azione così ben intrapresa.! Accanto ai catechisti, potete contare parimenti nel numero dei vostri collaboratori degli altri apostoli laici, tanto ruandesi che stranieri. Gli uni e gli altri costituiscono il fermento che permetterà al laicato di assumersi sempre più le proprie responsabilità ecclesiali.


7. Grazie al lavoro generoso di tutti e all'aiuto materiale venuto dal Ruanda o da altre parti della Chiesa, potete sostenere una grande varietà di opere al servizio dello sviluppo del vostro paese. L'insegnamento cattolico chiama innanzi tutto la vostra vigilanza: se esiste una felice collaborazione con le autorità pubbliche, questa deve permettere di salvaguardare il carattere specifico della vocazione delle scuole e delle istituzioni costruite dalla Chiesa. Da canto suo, spetterà a quest'ultima sorvegliare alla formazione e alla competenza degli insegnanti.


8. La Chiesa rende inoltre dei servizi molto apprezzabili nel campo della sanità: ospedali, ambulatori, centri nutrizionali, lebbrosari. A questi vanno aggiunte le vostre opere sociali: centri di formazione artigianale e agricola, case d'accoglienza per handicappati, per anziani e orfani. Tali iniziative manifestano la vostra volontà di rendere sensibile la presenza di Cristo nei diversi settori della vita del vostro paese, soprattutto fra le persone sofferenti. Attraverso la carità e il senso di giustizia dei cristiani, è la verità del Vangelo ad essere attestata agli occhi di tutti.


9. Il vostro zelo di pastori e di dottori vi ha condotti a rilevare diversi pericoli che incombono sulla famiglia ruandese. In primo luogo, avete constatato in diverse regioni una certa disaffezione nei confronti del matrimonio che si traduce in una diminuzione sensibile delle unioni celebrate con il sacramento. Di volta in volta, il gusto per una modernità di bassa lega, la riconquista di vigore di certi costumi, la moltiplicazione delle unioni di ruandesi con stranieri, il lassismo morale, vengono a distruggere lo sforzo compiuto in favore del matrimonio cristiano, indissociabile dall'evangelizzazione. Queste deviazioni spesso nascondono - a parte quando si tratta di semplici negligenze colpevoli - una falsa concezione dei dati antropologici fondamentali. Cristo, richiamando la volontà di Dio manifestata al "principio" dell'umanità, rivela la portata veritiera di quest'ultime. S'inscrivono armoniosamente nel matrimonio, impegno reciproco in vista di un'alleanza indissolubile e monogama. Difendere, come voi fate, tale insegnamento, significa promuovere il progresso autentico dell'uomo, esso stesso intrinsecamente associato alla salvaguardia dei valori familiari.


10. Tuttavia, è consigliabile studiare ed apprezzare ciò che, nei costumi del vostro paese, è atto a tradurre, senza equivoci dottrinali, i valori d'alleanza, di fecondità e d'integrazione nella vita sociale, che sono legati alla fondazione di una nuova famiglia cristiana. Condotta con discernimento e competenza, una tale ricerca in vista di adattamenti eventuali, s'arricchirà dell'esperienza raccolta presso altre chiese, e necessita chiaramente di una stretta collaborazione con gli appositi organismi della Sede Apostolica.


11. Voi siete ugualmente attenti a tutto ciò che riguarda la morale coniugale. Il vostro paese, in effetti, conta una densa popolazione. I rischi della congiuntura economica internazionale causano delle legittime inquietudini riguardo lo sviluppo armonioso in favore di tutti i ruandesi. Tali prospettive suppongono evidentemente, da parte dei responsabili, la realizzazione di una politica familiare. Ma, al fine di venire a capo delle difficoltà, alcuni sono tentati a cedere allo spirito di facilità proponendo al problema demografico delle soluzioni moralmente inaccettabili. Se conviene, certo, aver fiducia nella saggezza delle autorità pubbliche, vi mostrate a giusto titolo vigilanti in quest'ambito.

Pressioni diverse possono farsi strada e, sotto la copertura della cooperazione internazionale in favore dello sviluppo, tendere ad imporre, in modo più o meno mascherato, il ricorso massiccio a metodi e tecniche contraccettive contrarie all'etica familiare in materia di natalità. Avete recentemente deciso, secondo il suggerimento del Consiglio pontificale per la Famiglia, la creazione di un Consiglio dedicato appositamente allo studio delle questioni familiari, presso la vostra Conferenza. Mi auguro che questa iniziativa vi permetta di raccogliere tutte le informazioni utili, e che in questo modo voi possiate proseguire nella via che avete tracciato, sviluppando in seno alla popolazione una chiara presa di coscienza di tutto il valore di questo problema. Esprimo anche i miei auguri affinché voi troviate, sia in Ruanda che fuori, l'aiuto materiale e le competenze utili per sostenere questo lavoro pastorale veramente determinante per l'avvenire delle famiglie ruandesi.


12. Molti altri aspetti della vita della Chiesa in Ruanda meriterebbero di soffermarsi ancora. Mi è parso che questi fossero particolarmente degni di attenzione. Soprattutto, è mio carissimo desiderio assicurare, con la vostra intermediazione, della mia vicinanza ogni famiglia cristiana del vostro paese, così come i vostri collaboratori, i giovani e tutte le persone toccate dalla sofferenza. In primo luogo la mia vicinanza nella preghiera, che non conosce frontiere, ogni volta che noi celebriamo l'eucarestia. Così mi sento vicino alle gioie e alle pene di ognuno.

Non voglio terminare senza nominare la preparazione delle festività per il ventesimo anniversario dell'indipendenza: che il cammino percorso con successo sia garanzia di un progresso incessante, in tutti i campi, perseguito nella pace.

Benedicendovi affettuosamente, penso anche a tutti i cristiani del vostro paese. E invoco su tutti i ruandesi la protezione dell'Altissimo.


[Traduzione dal francese]




1982-05-27 Data estesa: Giovedi 27 Maggio 1982




Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale - La missione è la grazia per ogni Chiesa e condizione di rinnovamento


Venerati fratelli e carissimi figli e figlie della Chiesa! All'avvicinarsi della prossima Giornata Missionaria Mondiale desidero, come ogni anno, rivolgere a voi tutti un mio personale messaggio, che giovi ad una comune riflessione sulla dimensione missionaria, che appartiene all'essenza stessa della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo e Popolo di Dio, ed altresi sul conseguente impegno, che tutti ci coinvolge, perché il Vangelo di Gesù sia predicato ed accolto in tutto il mondo.

Quest'anno il mio messaggio prende lo spunto da un evento particolarmente significativo: il 25° anniversario dell'Enciclica "Fidei Donum" del mio venerato predecessore Pio XII. Con essa aveva inizio, nel campo della pastorale missionaria, una importante svolta, che ha ricevuto, poi, dal Concilio Vaticano II quelle direttrici, lungo le quali la Chiesa, cosciente della propria intrinseca natura e missione e sempre rivolta a studiare i segni dei tempi, continua oggi il suo cammino nell'intento di servire l'uomo e di condurlo alla salvezza dischiudendogli "le imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ep 3,8).

Tale importante documento, pur concentrando la sua attenzione specifica sull'Africa, conteneva delle chiare direttive, valide per l'attività missionaria della Chiesa in tutti i continenti della terra, ed il suo originale contributo è confluito, come è noto, specialmente nel Decreto Conciliare "Ad Gentes" e, ancor più recentemente, nelle "Notae directivae" "Postquam Apostoli" della Sacra Congregazione per il Clero.


1. I vescovi, responsabili della evangelizzazione del mondo L'enciclica "Fidei Donum" richiamava anzitutto solennemente il principio della corresponsabilità dei vescovi, in forza della loro appartenenza al Collegio Episcopale, nella evangelizzazione del mondo.

Ad essi, infatti, quali successori degli Apostoli, Cristo ha affidato ed affida, prima che a chiunque altro, il mandato comune di proclamare e propagare la Buona Novella fino ai confini della terra. Essi, quindi, pur essendo pastori di singole parti del gregge, sono e debbono sentirsi solidamente responsabili, in unione con il Vicario di Cristo, del cammino e del dovere missionario della Chiesa intera; saranno pertanto vivamente solleciti verso "quelle parti del mondo dove la parola di Dio non è stata ancora annunciata o dove, a motivo dello scarso numero di sacerdoti, i fedeli sono in pericolo di allontanarsi dalla pratica della vita cristiana, anzi, di perdere la stessa fede" (CD 6).

Questo principio basilare fortemente approfondito e sviluppato dal Concilio (cfr. LG 23-24 AGD 38), desidero oggi sottolineare ancora una volta, sia per porne in evidenza l'attualità, sia per esortare tutti i miei venerati fratelli nell'Episcopato a prendere sempre più coscienza di questa loro altissima responsabilità, ricordando che essi "sono stati consacrati non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo" (AGD 38).

Tale principio risulterà ancor più chiaro tenendo presenti le mutue e strette relazioni fra le Chiese particolari e la Chiesa universale. Se, infatti, in ogni Chiesa particolare, che ha nel suo vescovo il cardine e il fondamento, "è presente ed agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica, apostolica" (CD 11), ne consegue che essa, nel suo ambiente concreto, deve promuovere tutta l'attività che è comune alla Chiesa universale.

Ogni diocesi è perciò chiamata a prendere sempre più coscienza di questa dimensione universale, cioè a scoprire o riscoprire la propria natura missionaria, allargando "gli spazi della carità fino ai confini della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che ha per coloro che sono suoi membri (AGD 37).

Pertanto ogni vescovo, a capo e guida della Chiesa locale, dovrà impegnare in questo senso le sue energie, dovrà cioè adoperarsi il più possibile per imprimere un vigoroso impulso missionario alla sua diocesi: a lui spetta innanzitutto creare nei fedeli una mentalità cattolica nel senso pieno della parola, aperta alle necessità della Chiesa universale, sensibilizzando il popolo di Dio al dovere imprescindibile della cooperazione nelle sue varie forme; promuovere le opportune iniziative di sostegno e di aiuto spirituale e materiale alle missioni, potenziando le strutture già esistenti o realizzandone di nuove; favorire in modo specialissimo le vocazioni sacerdotali e religiose, aiutando contemporaneamente i presbiteri ad acquistare consapevolezza della dimensione tipicamente apostolica del ministero sacerdotale (cfr. AGD 38).


2. La carenza di apostoli urgenza primaria della missione Forma concreta di cooperazione, cui i vescovi potranno ricorrere per realizzare questa loro corresponsabilità nell'opera di evangelizzazione, è l'invio di sacerdoti diocesani in missione, poiché una delle urgenze più vive di molte Chiese è oggi proprio la preoccupante carenza di apostoli e di servitori del Vangelo.

E' questa la grande novità, cui la "Fidei Donum" ha legato il suo nome.

Una novità che ha fatto superare la dimensione territoriale del servizio presbiterale per destinarlo a tutta la Chiesa, come sottolinea il Concilio: "Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'Ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensi ad una vastissima e universale missione di salvezza "fino agli estremi confini della terra" (Ac 1,8), dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli" (PO 10).

Poiché uno degli ostacoli più gravi alla diffusione del messaggio di Cristo è proprio la carenza di "operai della vigna del Signore", vorrei cogliere questa occasione per esortare tutti i vescovi, nella loro opera di ausilio e promozione delle opere di evangelizzazione, ad inviare generosamente propri sacerdoti in quelle regioni che ne hanno urgente necessità, anche se la loro diocesi non sovrabbondi di clero. "Non si tratta - ricordava Pio XII citando San Paolo - di mettere voi in ristrettezza per sollevare gli altri, ma di dare uguaglianza (2Co 8,13). Le diocesi che soffrono la scarsezza del clero non rifiutino di ascoltare le istanze supplichevoli provenienti dalle missioni che chiedono aiuto. L'obolo della vedova secondo la parola del Signore sia l'esempio da seguire: se una diocesi povera soccorre un'altra povera non potrà seguire un suo maggior impoverimento poiché non si può mai vincere il Signore in generosità".

Ma, oltre ai sacerdoti, la "Fidei Donum" chiamava in causa direttamente anche i laici, la cui prestazione a fianco dei sacerdoti e religiosi in missione si presenta oggi più che mai preziosa ed indispensabile (cfr. AGD 41). Ciò ha creato i presupposti per l'esperienza di quel fenomeno tipico del nostro tempo, che vivamente desidero raccomandare, quale è il volontariato cristiano internazionale.


3. Sviluppo della coscienza missionaria delle Chiese locali L'introduzione di queste forme di cooperazione, nonché il forte richiamo al principio della corresponsabilità del Collegio Episcopale nella evangelizzazione del mondo, hanno avuto il merito indiscutibile di dare l'avvio al rinnovamento missionario della Chiesa, i cui presupposti appaiono già nella lungimirante affermazione di Pio XII secondo la quale "la vita della Chiesa nel suo aspetto visibile", anziché dispiegare di preferenza la sua forza - come in passato - "nei paesi della vecchia Europa donde si spandeva... verso quel che si poteva chiamare la periferia del mondo", si configura oramai, al giorno d'oggi, come "scambio di vita e di energia fra tutti i membri del Corpo Mistico" (Pio XII, Fidei Donum: AAS 49 [1957] 235).

Si è acquisita, anzitutto, sempre più profondamente l'idea base, poi ampiamente sviluppata ed affermata dal Concilio, del dovere imprescindibile per ogni Chiesa locale, di impegnarsi direttamente, secondo le proprie possibilità, nell'opera di evangelizzazione; e si è determinato, quindi, un innegabile approfondimento della coscienza missionaria delle Chiese particolari, essendo state queste sollecitate a superare la mentalità e là prassi di "delega", che aveva in gran parte caratterizzato il loro atteggiamento verso il dovere missionario.

Si è così verificata per codeste Chiese una decisa spinta a divenire sempre più soggetti primari di missionarietà (cfr. AGD 20), responsabili in prima persona della missione (cfr. AGD 36-37), come ho potuto constatare personalmente nei miei viaggi in Africa, America Latina, Asia.

L'aver accentuato, inoltre, questo ruolo di "soggetto di missionarietà", ha spinto le Chiese particolari a porsi in rapporto alle Chiese sorelle sparse nel mondo in quella "comunione"-"cooperazione" che è "tanto necessaria per svolgere l'opera di evangelizzazione" (cfr. AGD 38), e che è una delle realtà più attuali della missione, in un interscambio di valori e di esperienze, che permette alle singole Chiese di beneficiare dei doni, che lo Spirito del Signore va disseminando dappertutto (cfr. AGD 20).

Nessuna chiusura, quindi, da parte delle Chiese particolari, nessun isolazionismo o ripiegamento egoistico nell'ambito esclusivo e limitato dei propri problemi; ché, altrimenti, lo slancio vitale perderebbe il suo vigore portando inevitabilmente ad un pernicioso impoverimento di tutta la vita spirituale.


4. La cooperazione missionaria reciproco scambio di energie ed esperienze Ecco allora delinearsi il concetto nuovo di cooperazione, non più intesa "a senso unico", quale aiuto fornito alle Chiese più giovani dalle Chiese di antica fondazione, bensi quale scambio reciproco e fecondo di energie e di beni, nell'ambito di una comunione fraterna di Chiese sorelle, in un superamento del dualismo "Chiese ricche"-"Chiese povere", come se esistessero due categorie distinte: Chiese che "danno" e Chiese che "ricevono" solamente. In realtà esiste una vera reciprocità in quanto la povertà di una Chiesa, che riceve aiuto, rende più ricca la Chiesa, che si priva nel donare.

La missione diventa così non solo generoso aiuto di Chiese "ricche" a Chiese "povere", ma grazia per ogni Chiesa, condizione di rinnovamento, legge fondamentale di vita (cfr. AGD 37).

Bisogna comunque sottolineare che l'appello rivolto alle Chiese particolari per l'invio di sacerdoti e di laici, non ha voluto significare un superamento delle forme e forze tradizionali di cooperazione missionaria, che continuano a portare il peso maggiore della evangelizzazione. E' stata una novità, che non si è posta in sostituzione o in alternativa, ma in complementarietà, come ricchezza nuova, suscitata dallo Spirito, affiancatasi alle forze tradizionali.

Dopo venticinque anni di queste esperienze, che hanno raggiunto una notevole consistenza e solidità, si incominciano tuttavia ad avvertire alcuni segni di stanchezza, dovuti da una parte al calo delle vocazioni e dall'altra all'urgenza di far fronte alla crisi nella quale si dibattono molte comunità cristiane di antica tradizione. Di fronte al fenomeno della scristianizzazione, può nascere la tentazione di ripiegarsi su se stessi, di chiudersi nei propri problemi, di esaurire la spinta missionaria al proprio interno.

Occorre pertanto un vigoroso rilancio missionario, radicato nella ispirazione più profonda, che proviene alla Chiesa direttamente dal divino Maestro (cfr. EN 50), dettato da una fiduciosa speranza e sostenuto dal comune impegno delle Chiese particolari e di tutti i cristiani.


5. Ruolo prioritario delle Pontificie Opere Missionarie Nella programmazione di questo vigoroso rilancio missionario, fattore indispensabile per la vita stessa e la crescita delle Chiese locali e di tutta la Chiesa, desidero infine raccomandare il ricorso a quello strumento insostituibile della cooperazione missionaria tanto vivamente raccomandato dai miei predecessori, costituito dalle Pontificie Opere Missionarie, cui sempre e dappertutto, come dichiara l'"Ad Gentes" (AGD 38), "deve essere riservato il primo posto" e che è quanto mai opportuno potenziare e sviluppare in tutte le diocesi.

La Giornata Missionaria Mondiale ci fa ricordare, in particolare, la Pontificia Opera della Propagazione della Fede, alla quale spetta il merito di aver proposto a Sua Santità il Papa Pio XI, nel 1926, la felice iniziativa di indire l'annuale Giornata in favore dell'attività missionaria della Chiesa, ed ha l'incarico di promuovere e di organizzare, col concorso delle altre Opere Pontificie e sotto la direzione dei rispettivi vescovi, questa stessa Giornata.

Sia anche dato il debito impulso alla Unione Missionaria del Clero, cui spetta il compito precipuo di animare e sensibilizzare alle urgenze del problema missionario - attraverso la rete capillare dei sacerdoti, religiosi e religiose - tutte le fasce del popolo di Dio.

Da un giusto sviluppo di tale associazione dipenderà in buona parte il grado di "missionarietà" della intera Chiesa locale e, in modo speciale, la sensibilità missionaria dei sacerdoti, cui l'Unione primariamente si dirige, sicché questi saranno naturalmente sospinti - in una presa di coscienza sempre più viva e profonda della apostolicità intrinseca al loro sacerdozio - a valicare non solo spiritualmente, ma anche materialmente, i confini della propria diocesi, per prestare il loro servizio anche nelle Chiese più lontane della terra, laddove più forti si levano invocazioni di aiuto.

A conclusione di questo messaggio, desidero esprimere tutta la mia riconoscenza a quanti - vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici - sovente a prezzo di inimmaginabili fatiche e sacrifici, spendono le loro migliori energie, la loro vita, "in prima linea", ma anche "nelle retrovie", per propagare l'annuncio di salvezza fino ai confini del mondo, sicché il nome di Cristo Redentore sia da tutti conosciuto e glorificato.

A voi tutti, venerati fratelli e carissimi figli e figlie della Chiesa, imparto di cuore la mia paterna apostolica Benedizione, pegno di copiosi favori celesti e segno della mia costante benevolenza.

Dal Vaticano, il 30 maggio, solennità di Pentecoste, dell'anno 1982, quarto di pontificato.



IOANNES PAULUS PP. II




1982-05-30 Data estesa: Domenica 30 Maggio 1982




Lettera al patriarca di Cilicia degli Armeni


Al Venerabile Fratello Sua Beatitudine Hemaiagh Pietro XVII Ghedighian Patriarca di Cilicia degli Armeni Compiuto ormai felicemente il settantaseiesimo anno della Tua vita, hai voluto notificare, Venerabile Fratello Nostro, che sei dispostissimo ed eseguire scrupolosamente la volontà del Concilio Vaticano II, a rimettere, cioè, alla Sede Apostolica, la rinunzia all'ufficio pastorale di Patriarca di Cilicia degli Armeni, poiché hai giudicato prudente beneficio il parere del medesimo Concilio circa l'ultima età dei pastori già in cura d'anime, come stabiliscono il Decreto "Christus Dominus" e la Lettera emanata "Motu Proprio" "Ecclesiae Sanctae".

Noi, insieme con i Fratelli nell'Episcopato e con il Popolo di Dio, non possiamo non lodare tanta magnanimità, con la quale Tu, guardando al solo bene spirituale di tutta la Chiesa Cattolica dell'Armenia, ci chiedesti vivamente di accogliere quella decisione di rinunziare.

In questo giorno pertanto, nel quale ricorre l'undicesimo anno della Tua ordinazione episcopale, acconsentiamo alla Tua deliberazione, si che, rimossi i gravi oneri connessi con l'autorità del Patriarca, Tu possa serenamente attendere alle cose dell'anima e fare la volontà di Dio nel servizio dei fratelli.

Come uomo di Dio destinato dal cieleo alla preghiera e al sacrificio nel continuare d'ora in poi la Tua Opera pastorale nella Chiesa pellegrinante, Ti allieterai con il salmista: "Saldo è il mio cuore... cantero e salmeggero".

Come già facemmo in occasione del Tuo giubileo sacerdotale, così anche ora desideriamo, Venerabile Fratello Nostro, attestare di nuovo i sentimenti dell'animo, molto lieto e riconoscente per i benefici che Ti sono stati concessi da Dio, e che Tu hai copiosamente elargiti ai fratelli nell'Episcopato e al clero di codesto Patriarcato, anzi a tutti i fedeli.

Sappiamo bene che continuerai con gioia la tua attività pastorale là dove avrai deciso di lavorare anche in seguito nella vigna del Signore, per quanti vorranno essere formati dallo Spirito Santo e guidati dalla tua azione pastorale.

Ma ci è gradito al presente ricordare pubblicamente la tua profonda erudizione nelle cose religiose e nella cultura dell'animo, la tua sempre risoluta voglia di agire, l'adempimento dei gravi incarichi e anche le chiare virtù che continuano ad ornare la tua vita. Ci è pure gradito elogiare la tua feconda attività nell'apostolato e l'assidua tutela della fede e dei costumi, l'amore di padre e la sollecitudine per le persone: cose che ti hanno reso simile a Cristo, Maestro divino e Buon Pastore.

Su di Te perciò, venerabile fratello nostro, invochiamo abbondanza di doni celesti e grazie divine, unitamente al conforto del Santo Paraclito e all'aiuto della Vergine Maria Immacolata, Regina degli Armeni e Madre della Chiesa.

Intanto, mentre preghiamo il Dio delle misericordie, perché ti colmi di tutti i beni e ti illumini con la luce del suo volto, e ti conservi in salute nel tuo ministero dedito alla preghiera, ti impartiamo di cuore la nostra Apostolica Benedizione.

Dai Palazzi Vaticani, il 30 maggio, l'anno 1982, quarto del nostro pontificato.


GIOVANNI PAOLO PP. II [Traduzione dal latino]




1982-05-30 Data estesa: Domenica 30 Maggio 1982




L'arrivo all'aeroporto - Gatwick (Gran Bretagna)

Titolo: Questo momento della nostra storia rivela un'urgente necessità di riconciliazione

Testo:

Sia lodato Gesù Cristo!


1. Sono molto sensibile al cordiale benvenuto che Sua Grazia il Duca di Norfolk ha voluto porgermi a nome di Sua Maestà la Regina. Nell'esprimere la mia gratitudine al Signore per l'occasione che mi viene data di trovarmi tra di voi nei prossimi giorni, porgo al popolo di Gran Bretagna il mio saluto di amicizia e di pace.

Voi sapete che ho intrapreso questo pellegrinaggio di fede per fare una visita pastorale alla Chiesa Cattolica di questo paese. I preparativi del viaggio hanno avuto inizio molto tempo fa, e ho atteso con impazienza e con gioia il momento di poter celebrare l'Eucarestia e gli altri sacramenti con i fedeli cattolici delle Chiese locali. Sono anche grato per gli incontri ecumenici che si svolgeranno durante questo viaggio di fede. La promozione dell'unità dei cristiani è estremamente importante perché risponde alla volontà del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Il segno dell'unità tra i cristiani è del resto la via e lo strumento per una efficace evangelizzazione. Elevo quindi la mia fervida preghiera al Signore perché benedica il nostro impegno nel compiere la sua volontà: "Ut omnes unum sint" - perché tutti siano una sola cosa (Jn 17,21).


2. La mia visita ha luogo in un momento di tensioni e di ansietà, un momento in cui l'attenzione del mondo è concentrata sulla delicata situazione del conflitto nel Sud Atlantico. Nelle ultime settimane sono stati fatti dei tentativi per comporre la disputa attraverso negoziati diplomatici, ma nonostante i sinceri sforzi di molti la situazione è precipitata fino a diventare quella di un confronto armato, che ha già mietuto molte vittime umane e minaccia di assumere dimensioni ancora più spaventose. Questa tragica situazione è stata motivo per me di gravissime preoccupazioni, ed ho chiesto ripetutamente ai cattolici di tutto il mondo ed a tutte le persone di buona volontà di unirsi alle mie preghiere per una soluzione giusta e pacifica. Ho anche fatto appello alle autorità delle nazioni coinvolte, al Segretario Generale delle Nazioni Unite e ad altri influenti uomini di stato, sforzandomi sempre di incoraggiare una soluzione che eviti la violenza e lo spargimento di sangue. Oggi rinnovo qui davanti a voi quell'appello dal fondo del mio cuore e prego perché si arrivi presto ad una composizione della vertenza.


3. In questo momento della storia, abbiamo una urgente necessità di riconciliazione: riconciliazione tra nazioni e tra popoli di differente razza e cultura; riconciliazione dell'uomo con se stesso e con la natura; riconciliazione tra persone di differente condizione sociale e di differente fede; riconciliazione tra cristiani. In un mondo lacerato dall'odio e dall'ingiustizia e diviso dalla violenza e dall'oppressione, la Chiesa vuole farsi portavoce nel compito vitale di promuovere l'armonia e l'unità, di forgiare nuovi vincoli di comprensione e di fratellanza.


4. Comincio così la mia visita pastorale in Gran Bretagna con le parole di nostro Signore Gesù Cristo: "La pace sia con voi". Il Dio della pace e della riconciliazione sia con tutti voi. Possa egli benedire le vostre famiglie e le vostre case con la sua pace profonda e duratura.




1982-05-28 Data estesa: Venerdi 28 Maggio 1982




L'omelia nella cattedrale di Westminster - Londra (Gran Bretagna)

Titolo: Vengo al servizio dell'unità nell'amore

Testo:

"Signore, tu sai tutto; sai che ti amo" Cari fratelli e sorelle.


1. Con profonda gratitudine e con amore rendo grazie a nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo per avermi concesso la grazia di essere tra di voi oggi. Oggi, per la prima volta nella storia, un Vescovo di Roma mette piede sulla terra d'Inghilterra. Questa bella terra, una volta avamposto del mondo pagano, è diventata, attraverso la partecipazione del Vangelo, parte diletta e preziosa della vigna di Cristo.

La vostra è una tradizione radicata profondamente nella storia della civiltà cristiana. Il ruolo svolto dai vostri santi, dai vostri grandi uomini e donne; i vostri tesori della letteratura e della musica; le vostre cattedrali e i vostri colleges, il vostro ricco patrimonio di vita parrocchiale - tutte queste cose parlano di una tradizione di fede. Ed è alla fede dei vostri padri - fede ancora viva - che voglio rendere omaggio con questa visita.

Sono felice di poter concelebrare questa Eucarestia con i miei fratelli Vescovi che insieme a me sono i successori degli Apostoli, il cui compito è di santificare e governare la porzione della Chiesa affidata alla loro cura pastorale (cfr. LG 19).


2. Riflettiamo sul significato spirituale di questo momento.

Cristo, "il pastore supremo" (1P 5,4), diede a Pietro - come abbiamo udito proclamare nel passo del Vangelo di san Giovanni - il compito di confermare i suoi fratelli nella fede e nella missione pastorale: "Pasci i miei agnelli...

Pasci le mie pecorelle" (Jn 21,15-16).

Vengo tra voi per rispondere a questo comando del Signore. Vengo per confermare la fede dei miei fratelli Vescovi. Vengo a rammentare a tutti i credenti che sono eredi oggi della fede dei loro padri, che in ogni diocesi il Vescovo è segno visibile e fonte dell'unità della Chiesa. Vengo tra voi come segno visibile e fonte di unità per l'intera Chiesa. Vengo al servizio dell'unità nell'amore: nell'amore umile e realistico del pescatore pentito: "Signore, tu sai tutto; sai che ti amo".

In tutti i tempi i cristiani sono venuti a quella città dove gli apostoli Pietro e Paolo erano morti per dare testimonianza della loro fede e dove furono sepolti. Ma per quattro secoli il flusso costante di pellegrini inglesi alla tomba degli apostoli si è ridotto ad un filo. Roma e il vostro Paese si sono allontanati l'uno dall'altro. Oggi il Vescovo di Roma viene a voi. Vengo realmente al servizio dell'unità nell'amore, ma vengo anche come amico, e vi sono profondamente grato del vostro benvenuto.

Ho sempre ammirato il vostro amore per la libertà, la vostra generosa ospitalità nei confronti di altri popoli in momenti difficili; come figlio della Polonia ho i motivi più profondi e più personali per esprimervi questa ammirazione e il mio ringraziamento.


3. Con questi sentimenti, sono particolarmente felice di fare ciò che Pietro fece nella Chiesa primitiva. Amministrero questa mattina il Battesimo e meditero con voi sul suo significato.

In un modo misterioso ma reale, viene ripetuto e di nuovo presentato in questo luogo consacrato quel momento della vita della Chiesa primitiva in cui, come abbiamo letto negli Atti degli Apostoli, "Pietro si levo in piedi con gli altri Undici e parlo loro a voce alta" (2,14) della necessità di essere battezzati e di ricevere il dono dello Spirito Santo. Di conseguenza molti "accolsero la sua parola" e furono battezzati, e quel giorno si unirono alla famiglia del Dio vivente.


4. Attraverso il Battesimo siamo incorporati in Cristo. Accettiamo la sua promessa e i suoi comandi.Il significato del Battesimo si riflette nel simbolismo del rito sacramentale. L'acqua sparsa su di noi parla della potenza redentrice della sofferenza di Cristo, della sua morte e risurrezione, lavandoci dal retaggio del peccato, liberandoci da un regno di tenebre per introdurci in un Regno di luce e di amore. Con il Battesimo siamo realmente immersi nella morte di Cristo, battezzati, come dice san Paolo, nella sua morte - per risorgere con lui nella sua Risurrezione (cfr. Rm 6,3-5). L'unzione delle nostre teste con l'olio significa che siamo fortificati nella potenza di Cristo e diventiamo templi viventi dello Spirito Santo.

Siamo alla vigilia della Pentecoste, la festa dello Spirito Santo che discende su di noi nel Battesimo. Uno dei passi più belli della liturgia della Pentecoste fu scritto da un inglese, Stephen Langton, Arcivescovo di Canterbury.

In sei brevi e luminosi versi egli invoca lo Spirito Santo perché operi in noi: Lava ciò che è sordido. / Bagna ciò che è arido. / Sana ciò che sanguina. / Piega ciò che è rigido. / Scalda ciò che è gelido. / Drizza ciò che è sviato.

Quasi tutti i mali dei nostri tempi o di qualunque tempo possono essere ricondotti sotto questa preghiera. Essa rispecchia una fiducia senza limiti nella potenza dello Spirito che invoca.


5. Attraverso il Battesimo siamo incorporati nella Chiesa. Il ministro, i nostri genitori e padrini ci segnano con il segno della Croce, il fiero vessillo di Cristo, per testimoniare che è l'intera assemblea dei fedeli, l'intera comunità di Cristo, a sostenerci nella nuova vita di fede e di obbedienza che deriva dal nostro Battesimo, la nostra nuova nascita in Cristo.

Con il Battesimo siamo accolti nella comunità di fede. Diventiamo parte del Popolo di Dio pellegrino che in ogni tempo e in ogni luogo procede nella fede verso l'adempimento della "promessa". E' nostro compito prendere il nostro posto responsabilmente e amorevolmente accanto a coloro che, dall'inizio, "erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli, nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42).


6. Il Battesimo crea un vincolo sacramentale di unità che lega tutti coloro che sono rinati per mezzo di esso. Ma il Battesimo in se stesso è solo un inizio, un punto di partenza, perché è totalmente indirizzato verso la pienezza di vita in Cristo (cfr. UR 22). Il Battesimo è il fondamento dell'unità che tutti i cristiani hanno in Cristo: un'unità che dobbiamo sforzarci di perfezionare. Quando indichiamo chiaramente il privilegio e il compito del cristiano, ci vergognamo di non essere stati tutti capaci di mantenere la piena unità di fede e di carità che Cristo ha voluto per la sua Chiesa.

Noi battezzati abbiamo un lavoro da svolgere insieme come fratelli e sorelle in Cristo. Il mondo ha bisogno di Gesù Cristo e del suo Vangelo - la Buona Novella che Dio ci ama, che Dio il Figlio è nato, è stato crocifisso ed è morto per la nostra salvezza, è risuscitato e noi siamo risuscitati con lui, e che nel Battesimo ci ha impressi con il sigillo dello Spirito per la prima volta, ci ha riuniti in una comunità d'amore e di testimonianza della sua verità.

Questi sono i miei pensieri mentre siamo riuniti per celebrare il sacramento del Battesimo in questo luogo storico. Questa magnifica Chiesa nella quale c'incontriamo è un simbolo della fede ed energia della comunità cattolica inglese nei tempi moderni. La sua architettura è inusitata per questo Paese: evoca memorie di altre parti del mondo cristiano, ci ricorda la nostra universalità.

Domani saro accolto nella Cattedrale molto più antica di Canterbury dove sant'Agostino, inviato dal mio predecessore san Gregorio, costrui dapprima una piccola Chiesa di cui si conservano le fondamenta. Qui tutto parla veramente di antiche tradizioni comuni, che siamo pronti a rinsaldare insieme in questi tempi moderni. Voglio parlare anch'io in quest'ottica - per lamentare la frattura esistente da tanto tempo tra cristiani, per ascoltare lietamente la preghiera e il comando del Signore perché siamo completamente uno, per ringraziarlo di quella ispirazione dello Spirito Santo che ci ha riempiti del desiderio di mettere in disparte le nostre divisioni ed aspirare ad una comune testimonianza del nostro Signore e Salvatore. Il mio profondo desiderio, la mia ardente speranza e preghiera è che la mia visita possa servire la causa dell'unità dei cristiani.


7. Vorrei richiamare un altro aspetto del Battesimo che è forse quello a noi più familiare. Nel Battesimo ci viene dato un nome - lo chiamiamo il nostro nome cristiano. Secondo la tradizione della Chiesa è il nome di un santo, il nome di uno degli eroi tra i discepoli di Cristo - un apostolo, un martire, un fondatore d'un Ordine religioso come san Benedetto i cui monaci fondarono la vicina Abbazia di Westminster, nella quale sono incoronati i vostri sovrani. Il fatto di assumere un nome ci ricorda che veniamo accolti nella Comunione dei Santi, e che nello stesso tempo ci vengono presentati grandi modelli di vita cristiana. Londra è a buon diritto fiera di due grandi santi, grandi uomini anche agli occhi del mondo, uomini che hanno dato un contributo al vostro patrimonio nazionale: John Fisher e Thomas More.

John Fisher, studioso di Cambridge e figura di erudito del Rinascimento, divento Vescovo di Rochester. E' un esempio per tutti i Vescovi per la sua lealtà alla fede e la sua dedizione alle persone della sua diocesi, specialmente ai poveri e agli ammalati. Thomas More fu un modello di laico che visse il Vangelo nella sua pienezza. Fu un grande studioso che fece onore alla sua professione, un marito e padre amorevole, umile nei tempi prosperi, coraggioso nelle avversità, dotato di umorismo e di una profonda spiritualità. Insieme servirono Dio e il loro Paese - un Vescovo ed un laico. Insieme morirono, vittime di un'epoca triste. Oggi abbiamo tutti la grazia di poter proclamare la loro grandezza e ringraziare Dio per aver dato uomini come questi all'Inghilterra.

In questa Inghilterra di persone grandi e generose, nessuno vorrà volerne alla comunità cattolica per essere fiera della sua storia. Nominero dunque per ultimo un altro cristiano, meno famoso ma non meno meritevole di onore. Il Vescovo Richard Challoner guido i cattolici di questo distretto di Londra nel diciottesimo secolo, quando le loro sorti sembravano aprire meno adito a speranze.

Erano in pochi. Avevano poche prospettive di poter sopravvivere. Eppure il Vescovo Challoner levo coraggiosamente la sua voce per annunziare un miglior futuro per il suo popolo. Oggi, due secoli dopo, ho il privilegio di trovarmi qui e di parlarvi non già con uno spirito trionfalistico ma come un amico, grato del vostro cortese benvenuto e pieno d'amore per voi tutti.

Il coraggio del Vescovo Challoner dovrebbe ricordare a noi tutti dove si trovano i semi del coraggio, donde proviene la fiducia in un rinnovamento. E' attraverso l'acqua e lo Spirito Santo che nasce un Popolo Nuovo, per quanto oscuri possano essere i tempi.


8. Come ci ricorda la lettura del profeta Ezechiele, è il Signore stesso che è il vero pastore di questo Popolo Nuovo. Egli stesso porta le sue pecore al pascolo.

Mostra loro dove riposare: "Come un pastore passa in rassegna il suo gregge...

Così io passero in rassegna le mie pecore. Le radunero da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine... Andro in cerca della pecora perduta e ricondurro all'ovile quella smarrita. Fascero quella ferita e rendero forte quella debole" (34,12.16).Possano quelli di noi che rinnovano oggi i loro voti battesimali, come quelli che stanno per essere battezzati, gridare ed elevare la loro preghiera al loro Padre celeste attraverso Gesù Cristo suo Figlio, nostroSignore: "Tu pastore d'Israele, ascolta... / O Signore, vieni in nostro aiuto...

/ Dio degli eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e vedi. / Visita questa vigna / e proteggila, la vigna che la tua destra ha piantato... / Da te più non ci allontaneremo, / ci farai vivere e invocheremo il tuo nome". (Ps 79 [80],2-3.15-1 6.19). Così sia.

Miei cari fratelli e sorelle, mentre continuiamo a celebrare i misteri della fede, non possiamo dimenticare che è in corso un conflitto armato.

Fratelli in Cristo stanno combattendo in una guerra che mette in pericolo la pace nel mondo.

Nelle nostre preghiere ricordiamo le vittime di entrambe le parti, preghiamo per i morti - che possano riposare in Cristo -, e per i feriti e per tutte le famiglie afflitte. Vi chiedo di unirvi a me ad ogni passo della mia visita pastorale, pregando per una soluzione pacifica del conflitto, pregando che il Dio della pace induca il cuore degli uomini a mettere ed a seguire la via del dialogo fraterno. Con tutto il nostro cuore ci rivolgiamo a Gesù, principe della pace.




1982-05-28 Data estesa: Venerdi 28 Maggio 1982





GPII 1982 Insegnamenti - A Vescovi del Rwanda in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)