GPII 1982 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La grande causa dell'evangelizzazione non trovi insensibile la comunità ecclesiale

Testo:

Sia lodato Gesù Cristo!


1. Oggi il nostro pensiero ha un punto di riferimento obbligato: poiché in tutta la Chiesa si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, noi non possiamo fare a meno di riflettere intorno alla grande causa dell'evangelizzazione dei popoli. Si tratta di una causa tanto vasta quanto tutta la terra (cfr. Mt 28,19 Mc 16,15), tanto importante e vitale da identificarsi, prima che con l'azione, con la stessa ragion d'essere della Chiesa di Gesù Cristo. Non per nulla il Concilio Vaticano II, nel fondamentale Decreto dedicato alla problematica delle missioni nel mondo d'oggi, ha così parlato con scultorea evidenza: "La Chiesa, quaggiù pellegrina, è per sua natura missionaria" (AGD 2).


2. Ma che cosa significa - dobbiamo chiederci - riflettere intorno al problema delle missioni? Significa precisamente, partendo dal principio ora ricordato dell'essenziale dimensione missionaria della Chiesa, avere un'attenzione sempre vigile ed un interesse diretto per le missioni; significa condividere, nella sintonia della carità, con tutte le forze della Chiesa la pertinenza, il rapporto, il collegamento che ciascuno di noi, come e perché figlio della Chiesa, ha con ciascuno dei fratelli che operano nelle missioni lontane.

Dinanzi a questa causa poco valgono le distamze geografiche e le pur notevoli differenze etnico-culturali: ciascuno di noi, in una Giornata come l'odierna, deve sapere e volere indirizzare con speciale intenzione la sua mente e il suo cuore a coloro - uomini e donne, religiosi e laici - che, a costo di innumerevoli e tanto spesso nascosti sacrifici, operano a servizio del Vangelo nelle diverse regioni del mondo. Sarà, un tale pensiero, come un attivo esercizio, e, direi anche, un significativo "test" dell'esistenza di una concreta comunione ecclesiale.


3. Da parte mia, memore del gravissimo dovere che, in forza del ministero di successore di Pietro, ho nei confronti delle missioni cattoliche, desidero inviare uno speciale saluto all'eletta schiera dei Missionari e delle Missionarie, sparsi nel mondo. Ad essi, come fratelli e sorelle prediletti, col saluto e l'augurio, vanno il mio elogio, il mio incoraggiamento, il mio ringraziamento. Sono sentimenti che amo pubblicamente esprimere, nella certezza di interpretare in pari tempo quelli di voi tutti, presenti in questa piazza o a noi uniti mediante la radio e la televisione. Su tutti questi sentimenti - debbo aggiungere - prevale quello della riconoscenza, perché è grazie all'opera dei Missionari che la Chiesa di Cristo, secondo la dinamica del buon seme e del buon lievito evangelico, si accresce e si espande (cfr. Mt 13,31-33).


4. La Giornata Missionaria significa, soprattutto, preghiera a Gesù Salvatore, che "ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l'immortalità per mezzo del Vangelo" (2Tm 1,10). Noi tutti, cioè, siamo invitati a supplicare il Signore non solo a spirituale conforto di questi nostri fratelli e sorelle, ma anche a rinnovata implorazione per affrettare l'avvento del Regno di Dio sulla terra. Tra le invocazioni, contenute nel "Pater noster", oggi deve assumere più forte rilievo quella che ci fa dire: "Venga il tuo regno". Ci aiuti ad esprimerla con le labbra e con la vita, in atteggiamento di fede profonda, la Madre stessa del Signore Gesù.

Ad un gruppo di fedeli provenienti dall'Olanda Di cuore saluto il Cardinale Alfrink, come pure i religiosi ed i terziari dell'Ordine Carmelitano e tutti gli altri fedeli che sono venuti dai Paesi Bassi a Roma nell'occasione del 40° anniversario della morte del Servo di Dio Tito Brandsma.

Auspico che la commemorazione del Padre Brandsma e la vostra venuta alla tomba di san Pietro contribuiscano a nuova fioritura della fede e della Chiesa nella vostra patria ed alla comunione più stretta con il Vicario di Cristo. Per questo accordo volentieri la mia benedizione apostolica a voi qui presenti a piazza san Pietro e a tutti i fedeli nei Paesi Bassi.

[Omissis, ai fedeli di lingua inglese, pronunciato in lingua inglese] A pellegrini provenienti da Scanno (Sulmona) Rivolgo un cordiale saluto al gruppo di persone provenienti dalla parrocchia di Scanno, in diocesi di Sulmona.

Mi sono note, carissimi fratelli, le vostre antiche tradizioni religiose, la fede cristiana a cui desiderate ispirare la vostra attività. Date sempre più generosamente testimonianza di fedeltà ai principi del Vangelo specialmente negli ambienti di lavoro dove vivete ed operate e siate araldi di concordia e di pace.

Con la mia benedizione apostolica che imparto a voi ed alle vostre rispettive famiglie.




1982-10-24 Data estesa: Domenica 24 Ottobre 1982




Omelia alla parrocchia di santa Maria della Presentazione - Roma

Titolo: Siamo tutti chiamati a vivere la dimensione missionaria della Chiesa

Testo:


1. "Grandi cose ha fatto il Signore per noi!".

Quali sono le "grandi cose", di cui vuole dare testimonianza la liturgia dell'odierna domenica? Leggiamone con attenzione le parole! La prima "grande cosa" è la messe, il raccolto dei campi. Ascoltiamo le parole del Salmo, che ci presenta, anzitutto, chi semina nelle lacrime, per mietere poi con giubilo (cfr. Ps 125 [126],5). E in seguito aggiunge: "Nell'andare se ne va e piange, / portando la semente da gettare, / ma nel tornare, viene con giubilo, / portando i suoi covoni" (v. 6).

Grande cosa: l'intera opera della creazione, il mondo e la terra destinata all'uomo, insieme alle sue risorse nascoste. La terra, che produce il suo frutto, le spighe dei campi e il grano nelle spighe, per fare il pane, come cibo per gli uomini.

E tanti, tanti altri beni dell'opera della creazione, destinati all'uso dell'uomo in questo mondo. Pero, a condizione che egli sappia utilizzarli bene in modo giusto.


2. Ma andiamo avanti, guidati dall'odierna liturgia! Ecco, nel Vangelo, un uomo non vedente, il mendicante cieco, Bartimeo, figlio di Timeo (cfr. Mc 10,46) e sulle sue labbra il grido: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!"(v. 47). Gesù gli rivolge la domanda: "Che vuoi che io ti faccia?". La risposta: "Rabbuni, che io riabbia la vista!" (v. 51). La parola di Gesù: "Va', la tua fede ti ha salvato" (v. 52). E dopo la parola, il miracolo.

Bartimeo vede il mondo, il mondo creato da Dio, il mondo che il Creatore ha offerto agli occhi, alle mani, ai pensieri umani.

E Bartimeo dell'odierno Vangelo aderisce alle parole del Salmo: "Grandi cose ha fatto il Signore per me!".

Grandi cose ha fatto il Signore per noi!


3. La restituzione della vista al cieco è un segno. Uno tra molti segni che Cristo ha compiuto, per aprire ai suoi ascoltatori la vista dell'anima, perché vedano con essa che il Signore ha cambiato la sorte di Sion, perché vedano interiormente e scorgano quanto "grandi cose ha fatto il Signore" per l'uomo, non soltanto mediante l'opera della creazione, ma ancor più mediante l'opera della Redenzione.

Quanto è "grande cosa" che "il Signore abbia salvato il suo popolo, un resto di Israele", come leggiamo nel libro del profeta Geremia (cfr. 31,7).

"Dio infatti ha tanto amato il mondo / da dare il suo unico Figlio, / perché chiunque crede in lui non muoia, / ma abbia la vita eterna", secondo le parole del Vangelo di san Giovanni (3,16).

Quanto è "grande cosa" l'Incarnazione, la Redenzione mediante la croce e la risurrezione, la santificazione mediante l'invio dello Spirito, il Paraclito! Occorre soltanto che a tutto ciò si aprano gli occhi dell'anima umana, e che l'uomo lo veda!


4. Occorre che l'uomo apra gli occhi e che veda, con lo sguardo della fede, Cristo, il quale è Mediatore e Sacerdote della nuova ed eterna alleanza. Di questo Mediatore e Sacerdote ci parla oggi la lettera agli Ebrei: "Scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio" (5,1); - è stato costituito "per offrire doni e sacrifici per i peccati" (v. 1); - è stato costituito per "sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore" (v. 2).

Ed ecco, Cristo "divenne" un tale Mediatore e Sacerdote - e lo è! E ciò è stato fatto dal Padre, che gli ha detto: "Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato" (v. 5) - e in altro passo: "Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek" (v. 6).

Bartimeo, guarito miracolosamente dalla cecità, apri gli occhi e scorse davanti a sé Gesù, il Figlio di Davide.

Apriamo lo sguardo della nostra fede, per vedere Cristo nella piena luce del Vangelo. E guardando con gli occhi della fede colui che è Mediatore e Sacerdote - l'unico Mediatore e Sacerdote tra Dio e gli uomini e Sacerdote alla maniera di Melchisedek - ripetiamo ancora una volta, e ripetiamo con il trasporto più grande e la più grande forza di convinzione: Il Signore ha fatto grandi cose per noi!


5. Oggi la Chiesa celebra la "giornata missionaria".

Sembrano parlarne le parole del profeta Geremia, nella prima lettura: "Ecco, li riconduco dal paese del settentrione / e li raduno dall'estremità della terra; / fra di essi sono il cieco e lo zoppo, / ...

Ritorneranno qui in gran folla. / Essi erano partiti nel pianto, / io li riportero tra le consolazioni; / li condurro a fiumi d'acqua / per una strada diritta in cui non inciamperanno; / perché io sono un padre..." (Jr 31,8-9).

Oggi è la domenica missionaria. La Chiesa vuole che tutti noi apriamo più largamente lo sguardo della fede e guardiamo alla missione della Chiesa in tutta la terra. E che noi tutti apriamo altresi più largamente i nostri cuori e amiamo di più questa missione; che tutti ci sentiamo chiamati a prendervi parte.

L'intera Chiesa è missionaria.

Il Salvatore nostro Cristo Gesù "ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l'immortalità per mezzo del Vangelo" (2Tm 1,10).

E, insieme a tutto questo, il nostro Signore Gesù Cristo ha costituito la missione della Chiesa.

Che tutti ci sentiamo chiamati a questa missione. Tutta la Chiesa è missionaria.


6. In questa domenica il Vescovo di Roma adempie il mandato missionario della Chiesa, visitando la parrocchia di "Santa Maria della Presentazione", la vostra parrocchia.

Sono venuto fra voi proprio perché la vostra è una parrocchia giovane - ha circa dieci anni di vita - e "missionaria", con una intensa e dinamica vita; una parrocchia che si trova anche in mezzo a varie difficoltà, non ultima quella della carenza di un tempio "visibile".


Desidero pertanto porgere il mio saluto cordiale e il mio sincero incoraggiamento al vostro parroco, don Pietro Beccaria, il quale con zelo instancabile ha lavorato in tutti questi anni per edificare interiormente la vostra comunità. Auguro che presto possa sorgere una Chiesa bella, ampia, decorosa, adatta alle esigenze pastorali delle circa 2.500 famiglie e dei 10.000 fedeli appartenenti alla parrocchia. Desidero salutare anche i sacerdoti, che danno la loro collaborazione al parroco, e i membri degli Istituti Religiosi maschili e femminili, che operano nell'ambito di questo territorio: l'Ordine Antoniano Maronita; i Salesiani Ucraini con il Seminario Pontificio; i Sacerdoti Ucraini con l'Università Ucraina; i Padri di Santa Croce; i Padri del Mondo Migliore; i Missionari del Sacro Cuore; le Pie Suore della Redenzione; le Suore dell'Immacolata di Genova; le Suore Passioniste e le Figlie della Provvidenza; le Suore Serve di san Giuseppe; le Suore dell'Angelo Custode; le Suore Trinitarie Ucraine; le Suore della Sacra Famiglia; le Suore di san Basilio; le Suore Ucraine dell'Immacolata; a tutti ed a tutte l'invito a voler con sempre maggiore dedizione dare un generoso contributo di disponibilità e di energie per le varie iniziative della parrocchia.

Saluto anche quanti sono impegnati generosamente nel lavoro apostolico: il Consiglio Pastorale; il gruppo dei Catechisti e delle Catechiste; gli Itineranti, il gruppo del Venerdi; il Gam; il gruppo Ricerca; il gruppo Fedeltà; i Cantori; i Lettori; i Ministranti della parrocchia.

Né posso dimenticare, in questa significativa circostanza della mia visita pastorale, i padri, le madri, i giovani, le giovani, i poveri, gli ammalati e, in particolare, i bambini e le bambine, che sono la grande gioia e la viva speranza della Chiesa e della società. Ho letto con interesse e con emozione le letterine, che essi mi hanno voluto indirizzare nell'attesa di questo nostro incontro. Mi hanno manifestato il loro affetto, i loro limpidi ideali - la bontà, la pace e la concordia tra i popoli - e mi hanno chiesto di farmi portavoce di fronte alla Chiesa ed al mondo di queste loro esigenze. Un bambino del secondo anno di catechismo mi ha scritto una frase, che sintetizza magnificamente i vostri sentimenti più profondi: "La nostra è una parrocchia modesta, ma vi troverai tanto amore".

Grazie! Grazie per la vostra gioiosa presenza alla mia visita!


7. Fratelli e sorelle carissimi! Davvero possiamo dire insieme: "Grandi cose ha fatto il Signore per noi!". Anche la vostra parrocchia, quale viva cellula della Chiesa e partecipe della sua missione, è "una grande cosa".

E' necessario che la guardiamo con occhi di fede e che, costruendola interiormente mediante la costante testimonianza della nostra vita cristiana, collaboriamo con Cristo, il quale "ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l'immortalità per mezzo del Vangelo" (2Tm 1,10).

Amen!




1982-10-24 Data estesa: Domenica 24 Ottobre 1982




Al pellegrinaggio guanelliano nel centenario di fondazione delle Figlie della Provvidenza - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sull'esempio del vostro fondatore operate per lo sviluppo integrale dell'uomo

Testo:

Carissimi tutti nel Signore!


1. Con questa Udienza speciale avete voluto concludere la settimana delle celebrazioni centenarie della Congregazione delle Figlie di santa Maria della Provvidenza, l'Istituzione femminile fondata dal beato Luigi Guanella.

Ho accolto con vivo piacere questo vostro desiderio, manifestato dalla Superiora Madre Rosa Costantini, insieme col Padre Generale dei "Servi della Carità" e vi ringrazio di cuore sia per questa vostra visita, sia per i sentimenti di fedeltà alla Chiesa ed al Papa che essa esprime.

Ricevete pertanto il saluto, colmo di affetto, che porgo a voi tutti singolarmente: ai Superiori Generali ed ai loro Collaboratori e Consiglieri, nonché ai Religiosi ed alle Religiose, che mantengono vivo lo spirito del Fondatore e ne perpetuano e dilatano le attività caritative; agli assistiti infermi, anziani, malati psico-fisici, che furono sempre i prediletti di don Guanella; agli alunni della Scuola materna, elementare, media che ci allietano con la loro vispa innocenza; ai familiari degli assistiti e degli alunni, ai cooperatori ed agli amici, che formano la grande e benemerita famiglia "guanelliana"; e infine ai fedeli delle varie parrocchie affidate ai sacerdoti della Congregazione. Tutti saluto con profonda simpatia, pensando anche a coloro che non hanno potuto essere presenti.



2. La conclusione del Centenario e la vostra odierna presenza mi offrono l'occasione di manifestarvi anche il mio vivo compiacimento per la smisurata opera di carità, svolta in questo lungo periodo di tempo. Quanto bene è stato compiuto! Quante lacrime sono state asciugate! A quante persone sono stati ridati speranza, coraggio, fede, consolazione! Voi ben conoscete i particolari di quell'umile inizio nel novembre del


1881, quando, dopo tante traversie, sofferenze e contraddizioni, don Guanella fu mandato parroco nel Paese di Pianello Lario, sul lago di Como, per succedere a don Carlo Coppini, colà defunto, sfinito dal lavoro, dalle penitenze e dallo zelo.

Egli aveva dato vita ad un piccolo Ospizio di carità e ad un minuscolo gruppo di Suore, che vedendolo vicino a morire, gli si erano strette attorno angosciate. Ma egli, pienamente fiducioso nella Provvidenza, aveva loro detto: "State paghe dei voleri di Dio! Dopo di me verrà un altro che farà assai più di me". Il sacerdote scelto e mandato dalla Provvidenza era don Guanella. Come sempre, il piccolo seme veniva gettato in silenzio e di nascosto nel campo della nostra storia: esso doveva germogliare e portare frutti ben grandi nella Chiesa e nella società! Da quel piccolo paese, e in seguito da Como, si sono moltiplicate le Case per anziani, gli Istituti Medico-psico-pedagogici per handicappati interni e ambulatoriali, le Scuole materne, elementari e medie, le aziende agricole, i Centri giovanili, le parrocchie, le colonie estive. Le Figlie di santa Maria della Provvidenza e i Servi della Carità operano attualmente in vari Continenti, presenti con 387 opere. Don Guanella fu un'anima forte e decisa, coraggiosa e imperterrita, che con fede pura e limpida nella paternità di Dio e nella fratellanza in Cristo, in tempi difficili, seppe lavorare infaticabilmente per il bene dei fratelli. "Non ci sono limiti per la carità" - diceva ai suoi figli -. "I nostri confini sono quelli del mondo!". "Pregare e patire" era il suo programma.

Il suo motto: "Pane e paradiso" conteneva già in sintesi ciò che oggi si dice "Evangelizzazione e promozione umana", e cioè lo sviluppo integrale dell'uomo, perché la scienza con le sue scoperte e la politica con le sue strategie per il progresso sociale non possono da sole soddisfare le esigenze profonde ed essenziali del cuore umano.

Ringraziamo insieme il Signore per tutto ciò che, con la sua grazia, si è compiuto in questi cento anni, e nello stesso tempo riflettiamo come in realtà la storia della Chiesa è quella della Verità e della Santità! Non le parole e neppure le vane critiche servono ad aiutare l'umanità, ma le opere concrete di carità e la testimonianza della propria fede cristiana, professata e vissuta.


3. E ora mi rivolgo in particolare a ciascuno di voi, nei quali vedo, in vario modo, il riflesso dell'azione e dello spirito di don Guanella.

A voi, Religiosi e Religiose, mi piace sottolineare la sua esortazione alla fiducia ed alla confidenza: "Non abbiate timore - diceva - il Signore vi esaudirà benignamente se nelle vostre azioni come nelle vostre preghiere diffiderete di voi e confiderete solo e interamente in Dio".

Don Guanella era all'altezza dei tempi e voleva che la scienza e la carità andassero di pari passo, anche nel campo degli ultimi ritrovati tecnici e pedagogici per il recupero degli infermi e per lo sviluppo integrale di ogni assistito. Ma conosceva anche le difficoltà di ogni epoca e di ogni animo, le depressioni, la fatica morale e spirituale, le frustrazioni, la stanchezza. E allora richiamava il pensiero alle verità eterne e trascendenti, che unicamente possono aiutare e ispirare nell'impegno quotidiano: "L'anima e il segreto dell'opera è la confidenza nel Signore". "Vale più un grano di confidenza che cento di previdenza e di provvidenza umana".

A voi, infermi, e a quanti sono in vari modi assistiti nelle opere di don Guanella rammento la sua speciale sensibilità. Diceva: "Un cuore cristiano che crede e che sente, non può passare innanzi alle indigenze del povero senza soccorrervi. In questo si conosce che uno è un vero seguace di Gesù Cristo, se ha carità per i poveri ed i sofferenti, nei quali è più viva l'immagine del Salvatore". Certamente, la sofferenza è un grande mistero, specialmente la sofferenza degli innocenti. Ma don Guanella vedeva in chi soffre il volto di Cristo, vedeva l'amore di Colui che è sempre e per tutti Padre: e perciò ci incoraggia ad accettare con fiducia questo mistero di amore e di dolore. E' la soluzione cristiana ed è il supremo conforto nel cammino della nostra esistenza.

Infine a voi, piccoli e adulti, amici e cooperatori, a voi, appartenenti alla grande famiglia "guanelliana", richiamo una sua saggia affermazione: "Il maggior tormento è odiare il fratello; la maggior consolazione è sollevarlo dalle sue miserie". La storia umana, a causa del peccato, purtroppo è sempre contrastata e lacerata dalle passioni e dagli interessi. Proprio in questa storia così drammatica, voi cristiani portate l'amore, la bontà, il perdono, ricordando ciò che scriveva san Paolo e che fu programma di don Guanella: "La carità è paziente, la carità è benigna, la carità non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto spera, tutto sopporta" (1Co 13,4-7).


4. Carissimi! A conclusione del primo secolo di vita e di attività della Congregazione femminile fondata dal beato Luigi Guanella, auguro che tutte le sue opere possano perseverare e crescere nella carità e nel perfezionamento spirituale con sempre maggior fervore ed efficacia. Vi illumini, vi assista, vi conforti Maria santissima, così teneramente da lui amata e venerata.

Con questi voti di gran cuore imparto a tutti voi la propiziatrice benedizione apostolica.




1982-10-25 Data estesa: Lunedi 25 Ottobre 1982




Lettera al Vescovo - Macerata

Titolo: Nel IV centenario dell'arrivo di padre Matteo Ricci in Cina

Testo:

Al venerato fratello Tarcisio Carboni, Vescovo di Macerata.


Ricorre quest'anno la data anniversaria di un avvenimento di grande rilievo nella storia della evangelizzazione cristiana e negli annali delle relazioni culturali tra i popoli: il IV Centenario dell'inizio della missione in Cina del padre Matteo Ricci, che ricevette i natali in Macerata, il 6 ottobre


1552, due mesi prima della morte del grande apostolo dell'Oriente, san Francesco Saverio, avvenuta il 3 dicembre, alle soglie di quel grande ed allora impenetrabile Continente.

A giusto e speciale titolo, quindi, codesta città, rendendosi anch'essa interprete di un'ammirazione universale sottolineata autorevolmente da tante parti, intende ricordare il grande concittadino con manifestazioni solenni di carattere religioso e culturale, alle quali sono lieto anch'io di partecipare con animo sollecito e vivo fervore, indirizzandomi con lo scritto a lei, esimio Pastore di codesta Comunità diocesana, ed a tutti i fedeli affidati alle sue cure spirituali.

Il mio venerato predecessore Paolo VI, il 10 novembre 1964, in occasione di analoga commemorazione centenaria, quella dell'arrivo a Macao del primo gruppo di Missionari nel 1564, inviava una lettera al Cardinale da Costa Nunes, suo delegato personale per le solenni celebrazioni. In tale missiva, dopo aver descritto le circostanze storiche che avevano reso possibile l'avvenimento, affermava che esso era "giustamente considerato di grande importanza, perché ferace di frutti e di successi notevoli per il costante e diuturno lavoro di quei pionieri e perché da quegli inizi nasceva e si sviluppava, in tempi recenti, la luce del Vangelo nell'immenso paese della Cina e nelle regioni vicine" (cfr. AAS 57 [1965] 158).

Propriamente a Macao, che Paolo VI, nel citato documento definisce "porta quanto mai adeguata per la diffusione del Vangelo" (p.158) nel continente cinese, arrivava il 7 agosto 1582 il padre Matteo Ricci, che per santità di vita, per ricchezza di cultura, per originalità di metodi apostolici, fu giustamente esaltato dai posteri come insigne missionario e grande scienziato. A lui ed al confratello padre Michele Ruggeri, dopo diversi e vani tentativi, fu concesso finalmente di porre piede per primi e di prendere stabile dimora nella città di Sciaochin, nella provincia di Canton, la più meridionale della Cina.

Cominciava in quel giorno, 10 settembre 1583, la gloriosa e feconda epopea dei Gesuiti in Cina.

Non posso quindi che esprimere il mio piu vivo compiacimento per le celebrazioni in programma anche a Macerata. E poiché la Cina è tanto cara al mio cuore e la sollecitudine per quella Chiesa "è divenuta particolare e costante assillo del mio pontificato" ("Lettera a tutti i Vescovi della Chiesa universale", 6 gennaio 1982: "Insegnamenti", V,1 [1982] 177) formo vivissimo auspicio che la figura di quest'uomo di Dio sia sempre meglio conosciuta ed apprezzata, per i meriti acquisiti nei suoi 57 anni di vita, di cui ben 28 spesi in quella vasta regione.

L'opera letteraria di Matteo Ricci, indubbiamente eccezionale, è ancora poco conosciuta; tuttavia non mancano studiosi ed esperti, cinesi ed occidentali, impegnati nell'approfondirne gli aspetti più rilevanti. Il numero straordinario di scritti, spesso di singolare valore, che egli ha lasciato, in cinese, in portoghese ed in italiano, è tale, da richiedere uno studio diffuso e qualificato.

Tali scritti - come quelli dei sommi artisti e letterati del Rinascimento, ai quali il Ricci si può ben paragonare - vanno dai trattati di argomento religioso a quelli filosofici; dalle opere storiche e letterarie sulla Cina a quelle di diffusione delle scienze matematiche, fisiche, geografiche e cosmografiche; da saggi sulla morale cristiana allo studio dei principi etici di Confucio; dalle relazioni inviate ai suoi Superiori alle lettere personali indirizzare a parenti ed amici. Come è stato rilevato recentemente, la sua attività si è estesa anche all'arte pittorica nella quale ha pure lasciato segni del suo genio multiforme.

Lo scopo del padre Ricci in questa mirabile attività - come è ben noto - era di far conoscere l'affascinante mondo cinese ai popoli occidentali e l'Occidente alla Cina, in vista di un proficuo scambio culturale, che favorisse una corrente di reciproca comprensione. Ben si comprende che padre Ricci, apostolo com'era, si attendesse, al termine di questo processo, che i cinesi, toccati dalla grazia divina, si disponessero ad accogliere il messaggio cristiano, e che l'Occidente concepisse un sentimento di stima verso la millenaria tradizione culturale della Cina.

Il padre Ricci aveva assimilato la lingua cinese a tal punto da poter esprimere esattamente anche i contenuti di una cultura differente e in uno stile - grazie anche alla collaborazione di amici del luogo - molto apprezzato dai lettori cinesi del suo tempo e di quello odierno. Non v'è dubbio che il padre Ricci pervenne a tale risultato per un doppio impulso del suo spirito: da una parte, la propria ammirazione per i nobili valori della cultura cinese, dall'altra, il desiderio di attirare la stima e la considerazione, anche da parte dei ceti più alti ed influenti: mandarini, bonzi e lo stesso Imperatore, per il messaggio cristiano, del quale egli era umile seguace e fervido araldo.

A proposito di tale atteggiamento di rispetto per la realtà culturale e storica del popolo cinese - atteggiamento che informo tutta l'opera poliedrica di Matteo Ricci - mi piace ricordare quanto ebbi a dire a Manila il 18 febbraio 1981, rivolgendomi alle Comunità Cattoliche Cinesi in Asia: "Il vostro Paese è grande non solo in termini di estensione geografica e di popolazione, ma specialmente a motivo della sua storia, per la ricchezza della sua cultura, e per i valori morali che il suo popolo ha coltivato attraverso i secoli. Il gesuita padre Matteo Ricci comprese e apprezzo pienamente la cultura cinese fin dagli inizi, e il suo esempio dovrebbe servire di ispirazione a molti" ("Insegnamenti", IV,1 [1981] 384).

In mezzo ad una cultura tanto diversa da quella europea, padre Matteo Ricci seppe, in una parola, operare una "mediazione", che anticipo i tempi, ed il cui spirito e metodo sono stati confermati dal Concilio Vaticano II, ove esso dichiara che bisogna "conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo, che in esse si nascondono" (AGD 11).

Pur attraverso difficoltà, il suo "dialogo con la Cina" andava sviluppando ampi consensi nel Paese; ne furono testimonianza le attenzioni straordinarie di cui fu circondato anche a Corte, e gli onori eccezionali, che gli furono tributati dopo la morte. Oggi ancora la figura del padre Ricci è viva presso il popolo cinese col nome di "Li Ma-tou", come è stato ricordato anche un paio d'anni fa in occasione delle solenni celebrazioni Ricciane presso codesta Università. Il padre Ricci costituisce, dunque, una comune eredità della Chiesa e della Cina e si presenta come solido ed emblematico punto di riferimento per un dialogo costruttivo rivolto al futuro, giacché - come dissi nella circostanza sopra ricordata - "è al futuro che dobbiamo guardare" ("Insegnamenti", IV,1 [1981] 384).

Le intuizioni del padre Ricci non furono sempre valutate, in seguito, nel loro giusto significato. Di esse dobbiamo dire, con l'immagine del Vangelo, che sono state un seme, soggetto si alla morte sotto terra, ma solo per svilupparsi in albero rigoglioso carico di frutti.

Nutro viva speranza che dalle celebiazioni in suo onore possano derivare copiosi vantaggi non solo all'azione missionaria della Chiesa, ma anche a tutto il diletto popolo cinese, al quale la Sede Apostolica - come scrissi nella summenzionata Lettera - "guarda con particolare simpatia ed affetto" per "tutta la mirabile realtà di tradizioni e di cultura, di alta umanità e di ricca spiritualità, che forma il retaggio storico ed attuale della grande Nazione cinese" ("Lettera a tutti i Vescovi della Chiesa universale", 6 gennaio 1982: "Insegnamenti", V,1 [1982] 179).

Con questi sentimenti, invoco dal Signore i più preziosi doni della grazia divina per un anno centenario ricco degli auspicati frutti di bene per le anime e di incremento culturale, mentre di gran cuore imparto a lei, ai Promotori delle celebrazioni, al clero ed ai fedeli della diletta diocesi di Macerata la mia benedizione apostolica.

Data a Castel Gandolfo, il 13 Settembre dell'anno 1982, IV di pontificato.




1982-10-25 Data estesa: Lunedi 25 Ottobre 1982




Ai partecipanti al convegno di studio nel IV centenario dell'inizio della missione di padre Matteo Ricci in Cina - Roma

Titolo: Padre Ricci stabili tra la Chiesa e la cultura cinese un ponte che appare ancora solido e sicuro

Testo:


1. Rivolgo il mio cordiale saluto ai signori Cardinali ed ai venerati fratelli nell'Episcopato, che con la loro gentile presenza hanno voluto onorare questo incontro. Saluto poi con deferenza il Senatore Amintore Fanfani, Presidente del Senato della Repubblica, le Autorità Accademiche dell'Università di Macerata ed i Membri del Centro di Studi Ricciani operante in quella città; con essi saluto altresi le Autorità Accademiche, i Professori e gli Alunni di questa Pontificia Università Gregoriana, a cui desidero rinnovare l'attestato del mio affetto all'inizio di un anno scolastico che auguro ricco di frutti. Vada, infine, il mio saluto ai rappresentanti degli Enti promotori ed a tutti i partecipanti al Congresso Internazionale di Studi Ricciani, col quale questo Ateneo ha inteso onorare un suo antico alunno, e la Città di Macerata un suo glorioso figlio.

E' per me motivo di grande gioia potervi incontrare, illustri Signori, al termine di questo vostro Congresso, e manifestarvi con questa mia visita il vivo apprezzamento che nutro per la figura del grande umanista e missionario gesuita padre Matteo Ricci. Mi sembra giusta e appropriata iniziativa che si sia voluto celebrare il IV centenario dell'arrivo in Cina del padre Ricci tanto nell'insigne città di Macerata, ov'egli nacque e apprese i primi elementi del sapere, quanto nell'Università Gregoriana, dove il giovane Ricci acquisi la formazione umanistica, filosofica e teologica, nonché le conoscenze scientifiche nel campo della matematica, fisica e astronomia, che più tardi si rivelarono un prezioso strumento per i suoi scambi culturali con la civiltà cinese.

In quel tempo gli studi alla Università Gregoriana - allora Collegio Romano - univano in perfetta sintesi la ricerca filosofica e teologica (dove emergevano uomini come Suarez e Bellarmino) con quella delle scienze positive, le quali iniziavano in Europa i primi travagliati passi di quel prodigioso cammino di scoperte e di acquisizioni scientifiche, che stanno all'origine dell'alto livello a cui sono giunte le cognizioni teoriche e le applicazioni tecniche di oggi.

Uno dei professori del Collegio Romano era allora il padre Clavius, eminente scienziato, che preparo la riforma del calendario fatta dal mio predecessore Gregorio XIII - in quello stesso anno1582 - e fu l'antesignano di quella schiera di illustri matematici ed astronomi, i quali resero famoso l'osservatorio astronomico di Castel Gandolfo.


2. Ma, accanto a queste due città, Macerata e Roma, ve n'è una terza, particolarmente cara a Matteo Ricci: Pechino, dove il grande umanista e missionario svolse la sua attività più feconda e dove si trova la sua tomba, custodita con venerazione da tante generazioni cinesi.

L'arrivo in Cina del padre Matteo Ricci rappresento il coronamento del sogno che aveva animato il suo confratello, Francesco Saverio, morto a soli 47 anni su un'isoletta alle porte della grande Cina trent'anni prima, nel dicembre del 1552. Quando questi spiro, senza veder realizzato il suo desiderio, era già nato a Macerata, da meno di due mesi, il futuro missionario che, ricalcando le sue orme, sarebbe entrato in Cina guadagnandosi le simpatie del popolo cinese, così da occupare poi un posto nella storia della sua cultura.

Già altri europei, come Marco Polo e i francescani Giovanni da Montecorvino e Giovanni di Pian del Carpine, avevano avuto contatti con la Cina, nei secoli precedenti. Tuttavia, Matteo Ricci fu il primo che riusci ad inserirsi nel vivo della cultura e della società cinesi, facendo conoscere tanto a quel grande Paese la scienza e la tecnica dell'Europa, quanto all'Occidente la civiltà e le ricchezze culturali del popolo cinese.

Vero umanista, dotato di cultura filosofica, teologica ed artistica e, al tempo stesso, provvisto di un notevole corredo di cognizioni matematiche, astronomiche, geografiche e di applicazioni tecniche tra le più avanzate dell'epoca, padre Ricci riusci ad acquisire, con un impegno tenace, umile e rispettoso, la cultura classica cinese in un modo così vasto e profondo da fare di lui un vero "ponte" tra le due civiltà, europea e cinese.

Frutti importanti in questa opera di mediazione culturale restano: i numerosi scritti in lingua cinese, portati a termine con l'aiuto intelligente e indispensabile dei suoi discepoli (soprattutto di Xu Guangqi e di Li Zhizao); il contributo di lui (e quello dei suoi collaboratori cinesi) all'introduzione e alla modernizzazione della scienza e della tecnica in Cina; le opere e le lettere scritte in lingua italiana sui vari aspetti della cultura cinese.

Ed è proprio per questa mediazione altamente significativa che il popolo cinese ha riservato al grande umanista e missionario maceratese un posto importante nella sua storia.


3. Un contributo di tale valore non poteva essere dato, se non dopo un lungo e impegnativo periodo di preparazione culturale e attraverso un profondo processo di inculturazione nelle realtà cinesi. Per questo padre Ricci si diede con notevoli sacrifici a studiare la lingua, le abitudini ed i costumi cinesi così da farli propri. Il suo compagno, padre Michele Ruggieri, in una lettera ad un amico scriveva: "Ci siarno fatti cinesi, "ut Christo Sinas lucrifaciamus"".

Il padre Ricci, giunto a Macao nel 1582, fu inviato in missione a Zhaoqing, nella Cina meridionale, dove inizio un lungo periodo di esperienze, di tentativi, di riflessione sul contesto culturale in cui doveva svolgere la sua missione. Solo dopo 24 anni di paziente tirocinio riusci a giungere nel cuore della Cina ed a raccogliere con gioia a Pechino, dal 1601 al 1610, i frutti di ciò che con tanta fatica aveva seminato.

All'inizio il padre Ricci, come gli altri missionari, pensava di conformarsi all'abito e alla condizione sociale dei monaci buddisti, perché era convinto che così facendo sarebbe stato ritenuto per quello che veramente era, vale a dire "uomo di religione". In seguito, pero, si rese conto che la concezione religiosa dell'ambiente in cui viveva era notevolmente diversa da quella occidentale: i monaci infatti erano persone che vivevano, in certo modo, al margine della società; i loro stessi luoghi di culto erano di solito costruiti fuori dai centri abitati.

Padre Matteo Ricci, insieme con i suoi compagni, decise allora di portare la sua testimonianza religiosa nel cuore stesso della società e, per far questo, adotto lo stile di vita dei letterati, impegnati come lui nella vita sociale della comunità. Così facendo, intendeva mostrare che la fede religiosa non portava ad una fuga dalla società, ma ad un impegno nel mondo, in vista del perfezionamento della vita sociale fino all'apertura verso la redenzione in Cristo e verso la vita di grazia nella Chiesa.


4. Padre Ricci, come certo è stato illustrato in questo Congresso, volle innanzitutto aprire ai Cinesi una solida via per migliorare i loro sforzi di progresso scientifico, e con vero coraggio tradusse in cinese la geometria di Euclide. Si trattava di un contributo prezioso offerto dall'Occidente al mondo cinese. Ma, ovviamente, il maceratese mirava anche ad altri obiettivi, perseguiti sempre con profondo rispetto verso i suoi interlocutori. Nel parlare del Vangelo egli seppe trovare il modo culturale appropriato a chi lo ascoltava. Iniziava con la discussione dei temi cari al popolo cinese, cioè, la moralità e le regole del vivere sociale, secondo la tradizione confuciana, di cui riconosceva con simpatia i grandi valori umani ed etici. Quindi introduceva, in modo discreto ed indiretto, il punto di vista cristiamo dei vari problemi e così, senza volersi imporre finiva col portare molti ascoltatori alla conoscenza esplicita e al culto autentico di Dio, Sommo Bene.

Tale messaggio, così concreto e pieno di speranza, ma nello stesso tempo rispettoso di tutti i valori positivi del pensiero classico cinese, fu compreso dai suoi discepoli e intuito dai numerosi amici e visitatori.

Fu grazie a tale lavoro di inculturazione che padre Matteo Ricci riusci, con l'aiuto dei suoi collaboratori cinesi, a compiere un'opera che sembrava impossibile: elaborare, cioè, la terminologia cinese della teologia e della liturgia cattolica e creare così le condizioni per far conoscere Cristo, e incarnare il suo messaggio evangelico e la Chiesa nel contesto della cultura cinese.


5. L'inculturazione compiuta dal padre Matteo Ricci non ebbe luogo soltanto nell'ambito dei concetti e del lavoro missionario, ma anche della testimonianza personale di vita. Occorre innanzitutto mettere in evidenza la sua vita religiosa esemplare, che contribui in maniera determinante a far apprezzare la sua dottrina presso quanti lo frequentavano.

Convinto dell'importanza che nella cultura cinese hanno l'amabilità e l'affabilità del tratto e della conversazione, come espressione di gentilezza dell'animo, metteva tutto il suo impegno nel coltivare tali virtù esercitandole, in particolare, negli incontri con quanti facevano visita alla residenza dei missionari; tali visite si succedevano senza soste, e spesso richiedevano molto tempo, con grande sacrificio per i missionari e, in particolare, per il padre Ricci, a motivo della sua conoscenza della lingua e della cultura cinese. In sintonia con questo stile, egli offerse ai suoi interlocutori una propria rielaborazione in cinese del "De amicitia" di Cicerone.

Degna di nota fu anche la sua capacità straordinaria di guadagnarsi la stima e l'amicizia di un gran numero di letterati e uomini di governo. Spesso furono proprio costoro che favorirono la diffusione del Vangelo e l'attività dei missionari in quelle parti della Cina dove per volontà dell'Imperatore essi si recavano per offrire il proprio contributo nell'amministrazione dello Stato.

Già agli inizi della sua attività missionaria il padre Ricci si rese conto di. essersi lanciato in un'avventura non facile. Particolarmente penosi dovettero riuscirgli l'incomprensione ed i sospetti di alcuni dei suoi stessi confratelli a Macao riguardo a metodi missionari, che per essi erano nuovi ed inconsueti. Con umiltà ed abbandono in Dio fu sempre pronto a modificare le proprie idee ed i propri metodi di lavoro, quando l'esperienza gli mostrava che si trovava su una via inopportuna.

Padre Ricci ebbe sempre chiarissimi il concetto e la pratica della missione, nella convinzione di non fare opera puramente personale, ma di compiere un lavoro affidatogli dalla Sede Apostolica, per il tramite dei Superiori religiosi della Compagnia di Gesù, come indicano le Costituzioni di questa.

Proprio nel lavoro missionario fu forse questo l'elemento determinante che assicuro fecondità alla sua opera, diede a lui la forza di superare difficoltà e scoraggiamenti, gli impedi di incamminarsi verso scelte erronee, di isolarsi o forse anche di irrigidirsi nelle sue idee, compromettendo così la sua autentica fecondità missionaria.


6. Dall'inculturazione personale, padre Ricci e i suoi compagni passarono naturalmente e spontaneamente alla inculturazione del messaggio evangelico. Io stesso ho avuto più volte occasione di ritornare su questo concetto, così fondamentale, nell'opera missionaria della Chiesa.

Nel febbraio dello scorso anno, parlando a Manila ai rappresentanti delle Comunità cinesi dell'Asia, dissi: "Fin dall'antichità la Chiesa ha saputo esprimere la verità di Cristo servendosi dei concetti e adattandosi alle culture dei vari popoli. Il messaggio che essa proclama è destinato infatti a tutti i popoli e a tutte le nazioni, e non è proprietà esclusiva di un gruppo o di una razza" ("Insegnamenti", IV,1 [1981] 385).

Impresa senza dubbio ardua ed esaltante ad un tempo, tanto più se si considerano le connotazioni proprie della civiltà e della cultura cinesi, tra le più antiche e celebrate del mondo, autonome nella loro originalità di pensiero, di espressione linguistica e letteraria, di tradizioni e di costumi, così da costituire uno tra i più ricchi centri di elaborazione di valori intellettuali ed umani della storia universale.

Non è ardito pensare che padre Matteo Ricci debba aver sentito la grandezza dell'impresa non meno di come la sentirono il filosofo e martire san Giustino e Clemente di Alessandria ed Origene nel loro sforzo di tradurre il messaggio della fede in termini comprensibili alla cultura del loro tempo.

Come già i Padri della Chiesa per la cultura greca, così padre Matteo Ricci era giustamente convinto che la fede in Cristo non solo non avrebbe portato alcun danno alla cultura cinese, ma l'avrebbe arricchita e perfezionata. I suoi discepoli cinesi, alcuni dei quali divennero eminenti uomini di governo, mostrarono di essere convinti che accettare la fede cristiana non implicava affatto l'abbandono della propria cultura, né una diminuita lealtà al proprio Paese e alle sue tradizioni, ma anzi che la fede permetteva loro di offrire alla patria un servizio più ricco e qualificato.


7. A 400 anni dal suo arrivo in Cina, la figura e l'opera del padre Ricci appaiono assumere oggi una grande attualità per il popolo cinese, proteso com'è in un impegno di modernizzazione e di progresso. E' un momento in cui per la nazione cinese si rivela evidente sempre più al mondo l'unità fondamentale dei valori umani e culturali del suo popolo, nella quale tutti i cinesi del mondo si riconoscono. Anche la Chiesa, sensibile alle doti spirituali di ogni popolo, non può non guardare al popolo cinese - il più numeroso della terra - come ad una grande realtà unitaria, crogiuolo di elevate tradizioni e di fermenti vitali, e, quindi, nello stesso tempo come ad una grande e promettente speranza.

Ciò che il popolo cinese ammira in modo particolare nell'opera scientifica di Matteo Ricci in Cina è il suo atteggiamento umile, onesto e disinteressato, non ispirato da secondi fini e libero da legami con qualsiasi potenza economica o militare straniera.

Alla luce dello spirito di dialogo e di apertura che caratterizza il Concilio, il metodo missionario di padre Ricci appare quanto mai vivo ed attuale.

Il decreto conciliare "Ad Gentes" sembra alludervi, quando descrive l'atteggiamento che devono avere i cristiani: "Essi devono stringere rapporti di stima e di amore con gli uomini del loro tempo, riconoscersi membra vive di quel gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prendere parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell'esistenza umana, alla vita culturale e sociale. Così devono conoscere bene le tradizioni culturali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che in loro si nascondono..." (AGD 11).

Anch'egli porto in un lontano Paese la fede che egli aveva ereditato dalla sua famiglia e dal suo popolo, e la scienza che aveva assimilata in questa Università Gregoriana per offrirle ad un popolo ricco di alte tradizioni morali e di una nobile civiltà mentre il suo metodo di evangelizzazione contribui anche ad arricchire la Chiesa di elementi culturali tanto diversi, ma così raffinati e preziosi.

Egli riusci a stabilire tra la Chiesa e la cultura cinese un ponte che appare ancora solido e sicuro, nonostante le incomprensioni e le difficoltà verificatesi nel passato e tuttora rinnovatesi. Sono convinto che la Chiesa può orientarsi senza timore per questa via, con lo sguardo rivolto all'avvenire.

Possiamo aver fiducia che gli ostacoli potranno appianarsi e che si troverà una maniera appropriata e le strutture adeguate per riallacciare il dialogo e tenerlo costantemente aperto. In tal modo tutti i credenti cinesi potranno sentirsi a loro agio sia nella comunità nazionale che nella Chiesa. Siamo sicuri che ciò tornerà a vantaggio anche di tutta la nazione cinese, che la Chiesa profondamente stima ed ama.


8. Padre Matteo Ricci è rimasto in Cina anche dopo la sua morte. Il terreno per la costruzione della sua tomba fu donato dallo stesso Imperatore, e a chi si meravigliava di una decisione non ancor mai avvenuta nella storia della Cina, il Cancelliere dell'Impero rispose: "E neppure è mai capitato nella storia della Cina che sia venuto uno straniero così eminente di scienza e di virtù come il dottor Ricci".

Oltre al terreno per la tomba, l'Imperatore dono ai Gesuiti anche una residenza con lo spazio per un luogo di culto: così facendo egli accordo la sua protezione alla Chiesa cattolica in Cina, che in seguito poté lavorare con serenità e frutto.

Mi auguro che la Compagnia di Gesù, ispirata ed incoraggiata dall'esempio del suo illustre figlio, e guidata dalle vie imperscrutabili dello Spirito Santo, abbia la possibilità di portare ancor oggi il suo contributo efficace all'opera di cultura e di evangelizzazione del popolo cinese.

La tomba di Matteo Ricci a Pechino ci rammenta il chicco di grano nascosto nel seno della terra per portare frutto abbondante. Essa costituisce un appello eloquente, sia a Roma che a Pechino, a riprendere quel dialogo da lui iniziato 400 anni fa con tanto amore e con tanto successo.

Invito tutti voi ad avvalorare questo fervido augurio con una preghiera incessante, mentre di cuore imparto la mia particolare, propiziatrice benedizione apostolica.




1982-10-25 Data estesa: Lunedi 25 Ottobre 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)