GPII 1982 Insegnamenti - Ai rappresentanti e alle autorità della città e della regione - Padova

Ai rappresentanti e alle autorità della città e della regione - Padova

Titolo: Collaborazione tra comunità ecclesiale e società civile per alimentare il progresso individuale e sociale

Testo:

Illustri Signori.


1. Ringrazio vivamente il Presidente della Giunta Regionale per le gentili parole, con le quali mi ha qui accolto e rivolgo a tutti voi, rappresentanti dei vari settori della vita sociale e culturale di questa illustre città, il mio più cordiale e deferente saluto.

Da più di sette secoli questo grande edificio civile nel quale ci troviamo è, con la Cattedrale, con la Basilica del Santo e con la vicina Università, uno dei poli simbolici, un importante punto di riferimento non solo per chi viene a Padova, ma anche per chi ami approfondire il significato della città e del suo territorio, delle vicende passate e delle condizioni presenti, in vista di possibili e desiderabili sviluppi futuri.

Con una denominazione consacrata da un uso secolare, voi chiamate "della Ragione" questa Sala, nella quale i vostri padri, rappresentanti delle varie categorie, corporazioni e ceti sociali, "ragionavano", ossia esaminavano e discutevano gli affari e le cause di pubblico interesse ed utilità, e i magistrati amministravano la giustizia, alla luce della ragione.

Un nome così bello e impegnativo non può non suggerire, per analogia, qualche riflessione.

Alla mia memoria, in particolare, esso richiarna un'altra dicitura, che da secoli è scolpita su un portale dell'Università di Cracovia, così cara al mio cuore: "Plus ratio quam vis": val più la ragione che la forza.

A Padova, come a Cracovia, come in ogni luogo ove viva una società che si ispiri al messaggio cristiano, l'uso della ragione, nella vita quotidiana e nei momenti di maggiore impegno politico e sociale, è stato considerato e deve esserlo, ora e sempre, come un indice indispensabile e qualificante di saggezza, di umanità, di civiltà.


2. L'essere noi riuniti in questo luogo, che reca anche nella importante decorazione pittorica i segni della integrazione tra società civile e comunità ecclesiale, non solo ci induce a considerare con rispetto e venerazione le grandi stagioni del passato, singolarmente dense di vicende e spesso ricche di durevoli valori in tutta la terra che con Venezia divide nome e prestigio, ma costituisce una opportuna occasione perché ci domandiamo, davanti a così eloquenti testimonianze storiche ed artistiche, culturali e sociali, religiose e civili, in qual modo ancor oggi uomini e donne, giovani ed anziani, studenti e lavoratori possano vivere concordemente nell'unica comunità umana, che reca in se stessa, distinguibili ma non separabili, le prerogative, i valori, gli aspetti, del religioso e del civile, dell'individuale e del sociale, del materiale e dello spirituale.

Per fermarci ancora un istante a quei tempi, volgiamo lo sguardo alle pareti di questo mirabile spazio architettonico e vediamo come quella società cristiana del Medio Evo, anche se così spesso lacerata da fiere contese, seppe esprimere la propria visione del mondo nella unità della fede in cui erano assunti, pur rimanendo distinti, i valori, le esigenze e le credenze relativi al visibile e all'invisibile, al temporale e all'eterno, alla vita del corpo e a quella dello spirito.


3. Il raggiungimento di quella sintesi non fu agevole, né breve fu il travaglio che lo precedette.

Poco prima che Dante ne costruisse, con "La Divina Commedia", la più alta "summa" poetica, Giotto realizzava una meravigliosa sinfonia cristologica e mariana, nella vostra cappella degli Scrovegni, e il secolo di Francesco, di Antonio, di Domenico e di Tommaso d'Aquino s'era appena concluso.

Ma quante lotte, quale divisione di animi, che dispute accese, che penosi errori, che prolungate tribolazioni di persone e di popoli perturbarono, anche in quei secoli, la Chiesa e la società civile! Da queste vicende storiche si ha una conferma che ogni uomo e la società religiosa e civile a cui appartiene possono e devono svolgere funzioni insostituibili e talora improrogabili.

Non è mia intenzione, a questo proposito, indicare specificatamente i campi nei quali oggi si può, e forse si deve, chiedere alla comunità civile e religiosa, laica ed ecclesiastica di Padova e dell'intera regione veneta, di operare e di progredire in vista di un reale e durevole progresso individuale e sociale, materiale e morale; ritengo tuttavia che non si possano ignorare alcuni temi e problemi emergenti alla luce di fatti e situazioni che son ben presenti a tutti.


4. Il primo è costituito dalla necessità di salvaguardare la dimensione trascendente nella edificazione della "civitas hominis". Questa tensione verso il durevole e l'eterno, di cui furono maestri i vostri santi, comprende da un lato la fondamentalità di Dio e dall'altro la centralità dell'uomo, redento dalla vita e dalla passione del Cristo, morto e risorto.

Questa tensione al trascendente si può tradurre in una raccomandazione viva e sincera: non permettete che il materialismo e l'utilitarismo, che si presentano come ricerca sempre più affannosa dei beni materiali, conducano a smarrire il senso dell'eterno, a perdere di vista i valori prevalenti di Dio e quella visione religiosa e cristiana della vita, che ha distinto le genti venete e le ha spinte a cercare di esprimere anche nell'attività sociale e politica le esigenze del messaggio cristiano.


5. Un secondo problema, molto sentito, è quello di compiere una nuova sintesi culturale, un incontro possibilmente armonico fra la nuova scienza e i diritti della coscienza, fra le attività produttive e le esigenze dello spirito, fra una gestione intelligentemente pragmatica dei vari organismi ed una sincera etica del servizio, fra le generazioni che tramontano e quelle che salgono all'orizzonte della vita: e, infine, tra il dovere di essere fedeli al Vangelo nella Chiesa e l'impegno di farsi promotori e cooperatori di un equilibrato benessere nella società civile.

Padova e il Veneto potrebbero trovarsi in una situazione particolarmente favorevole per attuare un cammino concorde in questa direzione. Anche in questo, il passato ci insegna che una sintesi efficace tra tendenze, esigenze e valori di diversa natura, è possibile solo se si opera in reciproca intesa, con mutuo rispetto, tenendo presente la prospettiva sociale propria del cristianesimo.


6. Un terzo e ultimo punto di questa riflessione vorrei riservare al triste fenomeno della violenza.

Padova e il suo territorio sono stati, negli ultimi anni, afflitti da una serie di fatti preoccupanti. Per questo io oso chiedere propositi di pace e non di eversione, a chiunque ritenga di aver motivi per protestare contro le persone e gli ordinamenti sociali; ma domando insieme che nella società civile, nel mondo del lavoro e della produzione, della scuola e dei servizi, ognuno operi in modo tale da non precostituire motivi, situazioni e sollecitazioni, che vengano a giustificare, se non a promuovere, forme esasperate di conflitto, o che possano, sia pure pretestuosamente, suscitare reazioni contrarie all'uso della ragione e del bene comune.

Non vi è infatti situazione conflittuale, sulla quale le libere volontà delle persone non possano e non debbano intervenire, a prevenire errori, ad adeguare i mezzi reali ai fini possibili, a sanare le ferite, a riconciliare gli animi (cfr. GS 25).

A conclusione di questo incontro, formo di gran cuore voti per la difesa e l'incremento della pace sociale, della concordia civile, della vita spirituale e delle attività lavorative di Padova e delle generose genti venete, assicurando preghiere perché i vari ceti sociali operino solidalmente alla ricerca e salvaguardia del vero bene comune, e perché la fede coerentemente praticata continui a costituire la nota distintiva vostra e del popolo che rappresentate, mentre volentieri invoco la benedizione del Signore.




1982-09-12 Data estesa: Domenica 12 Settembre 1982




Ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai seminaristi nella cattedrale - Padova

Titolo: Consacrazione a Dio e servizio dell'uomo le componenti della personalità dell'apostolo di oggi

Testo:

Carissimi sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi.


1. Il mio incontro con voi, nel quadro della visita alla Chiesa che è in Padova, assume un valore ed un significato tutto particolare. In voi sono lieto di incontrare e di salutare la parte più eletta di questa comunità ecclesiale, coloro che il Signore ha chiamato più intimamente alla sua sequela e che a titolo speciale chiama suoi amici., coloro che portano le fatiche quotidiane del lavoro nella vigna del Signore. Con voi mi sento nella più profonda comunione di spirito.

E' con questi sentimenti che mi rivolgo anzitutto a voi, carissimi presbiteri. Insieme con voi e per voi innalzo a Dio una lode ardente ed un commosso ringraziamento per la grazia dell'ordinazione, in virtù della quale siete stati consacrati e invitati a pascere questa comunità. Insieme con voi desidero rivolgere un pensiero pieno di ammirazione e di riconoscenza ai 45 sacerdoti del vostro presbiterio che svolgono il ministero nelle missioni del Brasile, del Kenya, dell'Ecuador. Saluto ancora ed esprimo la mia gratitudine agli altri 32 sacerdoti che la diocesi di Padova ha donato al servizio della Sede Apostolica e di altre Chiese sorelle. La sensibilità e l'afflato missionario che caratterizzano il vostro presbiterio sono il segno evidente di una generosità, che certamente ha la sua sorgente in un dono dello Spirito Santo. Ed oggi, insieme con voi, prego il Signore perché conservi e alimenti questo carisma che, arricchendo le altre Chiese, impreziosisce la vostra.

Il mio cuore si apre parimenti a voi, carissimi religiosi, carissime suore e appartenenti a Istituti laicali. Voi siete per eccellenza testimoni dell'assoluto di Dio e della trascendenza dei beni del Regno di Dio rispetto a qualsiasi altro valore. Vi esorto con tutte le mie forze a conservare il sapore ed il profumo di un genuino radicalismo evangelico. La vostra vita, che è in se stessa lode stupenda della grazia di Cristo e segno operante della presenza dinamica dello Spirito, diverrà allora un dono prezioso offerto non solo alla comunità cristiana, ma anche a quel mondo che ignora la grandezza della vostra vocazione ed il vostro eminente servizio.

Sono lieto poi di incontrarmi con voi, carissimi seminaristi, gioia e speranza di questa Chiesa. Vedo in voi i chiamati del Signore, coloro che lo Spirito Santo mette a parte per inviare domani, a proclamare il Vangelo come potenza di Dio. Coltivate generosamente il germe della divina vocazione con riconoscenza ed umiltà, nel raccoglimento, nella preghiera, nello studio, nelle prime esperienze di apostolato sotto la guida dei vostri Superiori. La missione che vi attende è così sublime ed affascinante, che deve suscitare in voi il desiderio di mettere fin d'ora tutto il vostro entusiasmo e le vostre energie al servizio di Cristo. Ricordatevi che il tempo del Seminario è decisivo per il vostro futuro ministero: sappiate viverlo intensamente.


2. Carissimi e carissime, guardando a voi tutti qui presenti, in questo momento di intensa comunione nel Signore, il mio spirito si eleva a contemplare la bellezza e la ricchezza della tradizione ecclesiale che vi è stata trasmessa e che oggi si trova affidata al vostro zelo ed alla vostra responsabilità. Da san Prosdocimo, primo padre della diocesi, percorrendo un cammino di secoli, su su fino alla gigantesca figura di san Gregorio Barbarigo, fino ai tempi più recenti, fino a san Pio X, alunno del vostro Seminario, sino al Cardinale Elia Dalla Costa e al beato Leopoldo, fino ai pastori che vi guidano oggi: che serie luminosa di apostoli! E penso ancora alla fioritura di tante famiglie religiose e alle innumerevoli opere sorte nella vostra diocesi, nel campo culturale, educativo, assistenziale.

Voi siete giustamente fieri e riconoscenti di quanto lo Spirito ha operato attraverso i secoli nella vostra Chiesa. Ma voi sapete anche che il miglior modo di apprezzare una eredità è quello di coltivarla e di arricchirla.

In realtà, voi siete chiamati a sviluppare questo prezioso deposito in un tornante tra i più decisivi della storia. Oggi, infatti, stiamo vivendo il travaglio di una nuova sintesi culturale. Una nuova civiltà sta lentamente forgiandosi. Alla vigilia del terzo millennio cristiano, la vostra missione si trova confrontata con profonde e rapide trasformazioni culturali, sociali, economiche, politiche, che hanno determinato nuovi orientamenti e modificato mentalità, costumi e sensibilità.

E a questo mondo, è agli uomini di quest'epoca che voi siete inviati per annunciare la Buona Novella; sono gli uomini di questa generazione che voi dovete riunire per fare di essi il Popolo di Dio pellegrinante nella storia.


3. E' questo, in verità, un tempo nel quale, per conservare, occorre rinnovare in feconda continuità la grande tradizione ecclesiale. E' una missione esaltante la vostra, ma anche esigente. Ci vuole un'anima grande, ci vuole uno spirito ardente, ci vuole un cuore appassionato per vivere all'altezza della missione della Chiesa nel nostro tempo, che pone sfide così radicali a Cristo e al suo Vangelo. Se la mediocrità, la stanchezza, la rassegnazione non hanno mai potuto essere tollerate nella vita della Chiesa, chiamata sempre a rinnovarsi, tanto meno lo possono essere oggi.

Permettetemi, a questo proposito, di richiamarmi alla vostra tradizione.

In un'altra epoca, il Concilio di Trento ha trovato nella vostra diocesi, sotto l'impulso di san Gregorio Barbarigo, un'applicazione tra le più esemplari. Da quella coraggiosa e lungimirante riforma, imperniata sul Seminario, sul rinnovamento della vita spirituale, culturale del clero e diretta principalmente alla catechesi, è nata una comunità ecclesiale che si è distinta per il suo impegno di vita cristiana.

Guardando al presente, sono lieto di costatare che, sotto la saggia guida, prima di Monsignor Bortignon, ed ora di Monsignor Franceschi, voi vi siete dedicati e vi state impegnando con dinamismo apostolico all'opera di evangelizzazione per formare comunità che siano autenticamente ecclesiali. Il mio augurio e la mia preghiera è che continuiate con saggezza, fervore ed unità di intenti in questo sforzo.


4. Per realizzare questa impresa, voi dovete avere una visione chiara della vostra identità e della vostra missione. Il punto costante di riferimento vitale è Gesù Cristo, Colui che il Padre ha consacrato e, unto di Spirito Santo, ha inviato nel mondo.

Voi siete dei consacrati. Tutto il vostro essere, fin nelle sue più intime fibre, è penetrato dallo Spirito Santo che vi ha conformati a Cristo per la gloria del Padre. Voi - mi riferisco in modo particolare ai sacerdoti - voi siete gli uomini di Dio, voi siete configurati a Cristo Buon Pastore non in virtù di una delega o per designazione della comunità, ma per la grazia sacramentale, e, dunque, per un intervento creativo di Dio. Riconoscete e testimoniate con gioia il fatto della vostra consacrazione a Dio.

Ma voi siete nel contempo, inviati al mondo. La vostra consacrazione a Dio non è una separazione al mondo. Il movimento che vi porta a donarvi interamente a Dio, vi porta, in pari tempo verso il mondo. L'autentica consacrazione, essendo partecipazione di quella di Cristo, è un vero impegno per gli uomini e nella storia, a somiglianza di Cristo, che ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la condizione degli uomini.

Dalla sintesi vitale di queste due componenti ugualmente essenziali, la consacrazione a Dio e il servizio dell'uomo, deriva l'autentica personalità del presbitero ed apostolo che la Chiesa desidera oggi. E' la personalità di un uomo che, a somiglianza di Cristo e dei grandi apostoli e profeti, sta da solo sul monte penetrando, con occhi d'aquila, fin nelle profondità del mistero di Dio, e ridiscende poi luminoso e ardente, per portare il messaggio e la grazia di Dio fino alle estreme frontiere dell'attività e delle vicende umane.

Carissimi amici, è davvero esaltante la vostra vocazione e la vostra missione. Ma voi comprendete bene anche quanto sia arduo e quale itinerario ascetico si richieda per realizzare questo equilibrio. In verità, occorre essere nel mondo, ma senza essere del mondo (cfr. Jn 17,11 Jn 17,14 Jn 17,16) Occorre incarnarsi nella vita degli uomini d'oggi e condividere il loro ambiente, ma occorre nello stesso tempo essere testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena (cfr. PO 13).

Nei Seminari, nelle Case di formazione, nelle vostre meditazioni personali e comunitarie, negli incontri di preghiera come in quelli di pastorale, approfondite questa prospettiva biblica e conciliare della vostra identità e della vostra missione.

Nel concludere questo colloquio, del quale rendo grazie a Dio, affido a voi tutti: sacerdoti, religiosi, religiose, anime consacrate al Signore, seminaristi, alla protezione materna di Maria, Madre della Chiesa, perché vi sostenga e vi conforti, mentre con sincero affetto tutti vi benedico.




1982-09-12 Data estesa: Domenica 12 Settembre 1982




Ai giovani del Triveneto, nello stadio Appiani - Padova

Titolo: Solo l'amore e la giustizia possono costruire la pace

Testo:

Cari Giovani del Triveneto, "Pace e bene a tutti"!


1. Ho accolto molto volentieri l'invito a venire tra voi per portarvi una parola di esortazione e di incoraggiamento, a conclusione di questa giornata, alla quale siete stati invitati dai vostri Vescovi, per celebrare l'VIII centenario della nascita di san Francesco.

Sono lieto che per il vostro Convegno abbiate scelto questa città, che ha, in sant'Antonio e nel beato Leopoldo, una particolare presenza francescana, e dove è pure conosciuto e venerato il beato Massimiliano Kolbe.

Nel rivolgere il mio saluto a ciascuno di voi, in questo grande Stadio, il mio pensiero e il mio augurio va anche agli atleti, alle associazioni e ai gruppi sportivi qui rappresentati.

Mi sembra molto significativo che siate voi giovani i protagonisti di questa festa francescana. Si, perché san Francesco dopo 800 anni dalla morte è, e ancora resterà, nella Chiesa di Dio, un segno di giovinezza, per la sua generosità, il suo entusiasmo e la radicalità delle sue scelte. Egli seppe incarnare nelle concrete situazioni ecclesiali e sociali del suo tempo l'eterno Vangelo di Gesù Cristo.

Proprio questo chiede il Signore a noi oggi: essere vangeli viventi nel contesto di una società industriale, secolarizzata, con i problemi dilatati al mondo intero.

La figura di san Francesco suggerisce alcune piste di riflessione sul modo di attuare anche oggi una incarnazione del Vangelo: incontrare Cristo, seguirlo nella Chiesa, amarlo nei poveri, annunciando la gioia e la pace.


2. San Francesco ha incontrato Cristo; si è lasciato conquistare da Cristo. Sta qui la sorgente e la spiegazione della sua singolare e affascinante personalità.

Senza Cristo non si spiega la povertà, la libertà, l'amore, la gioia, la poesia di san Francesco. E' interessante rilevare come le vicende della vita, la prigionia, la malattia, gli abbiano aperto gli occhi sul valore relativo delle cose di questo mondo e l'abbiano preparato a cercare in Cristo il senso pieno della sua vita.

Per alcuni anni Francesco cerco nel silenzio, nella preghiera, nell'esercizio della carità, la sua missione e vocazione, finché intui la strada che il Signore gli aveva preparato e la segui con radicale abnegazione.

Francesco è il giovane ricco che scopre nella sequela di Cristo il tesoro prezioso per cui vale la pena di impegnare tutta la vita.

"Francesco, cos'è meglio: servire il padrone o il servo?", chiedeva la voce, che dialogava con lui una notte ("Fonti Francescane", p. 587).

La domanda è rivolta anche a ciascuno di voi, cari giovani.

Oggi, in una società che presenta il volto della ricchezza ed educa all'evasione del consumismo, non mancano occasioni che fanno riflettere sul senso della vita; anzi, tante situazioni portano i giovani non solo ad interrogarsi sul significato della esistenza, ma a pensare che non vi sia alcun senso.

Il Vangelo non presenta soluzioni immediate dei problemi, ma illumina la mente dell'uomo a trovare il senso globale della vita, della persona, dei valori umani, quali la libertà, l'amore, la famiglia, il lavoro, la cultura, l'arte, lo sport...

Come per Francesco, la scelta di Cristo non è in contrapposizione alle realtà terrene, ma è grazia che dona loro un significato più pieno.

A voi, giovani, l'augurio che possiate incontrare Cristo: il Cristo vero, non una sua immagine deformata secondo le mode correnti, ed insieme l'invito a cercarlo senza stancarvi.

La terra veneta, alla quale appartenete, è erede di una secolare tradizione catechistica, che ha trasmesso per generazioni una fedele immagine di Cristo. Oggi occorre rinnovare questa catechesi, questo incontro serio, intelligente ed impegnativo con Cristo, sotto la guida dei vostri Vescovi.

Vogliate conoscere sempre meglio Cristo per seguirlo con generosità, camminando per le strade di questo nostro mondo.

Voi dovete essere testimoni di Cristo tra i giovani, perché nessuno di essi cerchi nel ricorso alla droga o nella violenza eversiva un senso alla sua vita.


3. Francesco ha incontrato e seguito Cristo nella Chiesa. I suoi erano tempi nei quali, forse più di oggi, poteva nascere la tentazione di una "chiesa di eletti", di una chiesa parallela, fatta di persone che si rifacevano al semplice e puro Vangelo. Francesco chiese al Papa di confermare quella forma di vita evangelica, che il Signore gli aveva ispirato. Egli senti che non poteva essere veramente di Cristo se non si sottometteva allo Spirito, che parla attraverso i Pastori della grande Comunità che è la Chiesa.

A voi giovani del Triveneto, questo amore di Francesco per la Chiesa suona come invito a confermare e rinnovare una felice tradizione. La vostra regione ha conosciuto meno di altre la contrapposizione clero-laicato, per una consuetudine di vita che vide sacerdoti e fedeli condividere povertà, problemi, speranze. A voi oggi il compito di rinnovare, alla luce del Concilio Vaticano II, una più matura presenza del laicato in una Chiesa che si riconosce "comunione", Popolo di Dio, dove tutti sono chiamati a partecipare attivamente e corresponsabilmente.

Scuola di partecipazione alla vita della Chiesa sono per voi le associazioni, i movimenti, i gruppi ecclesiali, che hanno avuto e hanno tuttora un ampio sviluppo in queste terre. Basti ricordare per tutti l'Azione Cattolica, la quale, nata a Bologna nel secolo scorso, trovo a Venezia, a Padova, e in altre città del Veneto, rigogliosa fioritura ed ancor oggi è così validamente presente nelle vostre diocesi.

Non abbiate paura di aderirvi: è una mediazione di vita ecclesiale che va promossa nella giusta direzione di crescita nella fede, di autentica spiritualità laicale, di testimonianza e di missionarietà, in stretta comunione con i Pastori della Chiesa.


4. Infine il comportamento di san Francesco porta a riflettere sul suo amore per "gli ultimi". La sua conversione è segnata dall'incontro con il lebbroso. Voi sapete: non gli diede del denaro, non lo abbraccio per un istante e poi andarsene.

Francesco in quel momento abbraccio uno stile di vita nuova, illuminata dalla povertà di Cristo e della sua Madre. Nella scelta della povertà c'è la scelta delle persone povere, degli ultimi: è sottomettersi con loro e per loro.

I vostri Vescovi hanno dato alle Chiese d'Italia una consegna: "Ripartire dagli ultimi" ("La Chiesa italiana e le prospettive del Paese", documento del 23-10-1981). Essi affermano che affiancandosi nel cammino agli ultimi si scoprirà un genere diverso di vita, che demolirà i falsi idoli e farà emergere i veri valori.

Vi rivolgo quindi l'invito a moltiplicare tutte quelle esperienze di carità che sono presenti nelle vostre Chiese e a lavorare incessantemente perché tutte le strutture ecclesiali e civili siano impostate nell'attenzione all'uomo più indifeso: dal bambino non ancora nato, all'anziano nella solitudine.


5. Quest'opera di amore e di giustizia costruirà la pace. Come Francesco fu uomo di pace, così ai giovani d'oggi è richiesto di essere costruttori di pace.

Francesco costrui la pace riconciliandosi con Dio, con se stesso, con i fratelli, con la natura creata. Per questo il suo passaggio nelle città era motivo di riconciliazione.

Oggi occorrono "volontari della pace", giovani tenaci operatori di pace.

Mi rivolgo anche alle migliaia di giovani che sono in questa terra di confine: sentitevi al servizio della pace; lavorate per il superamento di quella logica che sembra esigere una sempre più agguerrita potenza bellica per difendere la pace.

Nel manifesto per questo vostro Convegno c'è una mano che sta liberando nel volo una colomba: quella mano porta i segni della croce. E' la mano di Cristo, è la mano di Francesco: sia la vostra mano! A consolazione di queste esortazioni e a conferma dei voti espressi imparto di cuore a voi ed alle vostre famiglie una speciale benedizione apostolica.




1982-09-12 Data estesa: Domenica 12 Settembre 1982




L'omelia della Messa in Prato della Valle - Padova

Titolo: Il cristianesimo è la contesa messianica con l'uomo e per l'uomo

Testo:


1. "E comincio a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato... poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare" (Mc 8,31).

Leggiamo queste parole oggi nel Vangelo secondo Marco, in cui gli Apostoli rispondono alla domanda di Cristo: "Chi dice la gente che io sia?" (Mc 8,27).

Conosciamo questa domanda, e conosciamo le risposte che hanno dato gli interlocutori. Alla fine Gesù domando: "E voi chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo", che vuol dire il Messia (Mc 8,29).

Conosciamo anche questa risposta di Pietro nella versione più lunga dell'evangelista Matteo. Pietro professa la dignità messianica di Gesù di Nazaret.

Ed ecco, lo stesso Pietro quando sente che il Messia, il Figlio dell'uomo, deve essere riprovato, martoriato e ucciso prende in disparte Gesù e si mette a rimproverarlo (cfr. Mc 8,32). "Rimproverarlo" significa che cerca di convincerlo che questo non gli accadrà mai (cfr. Mt 16,22).

Così pensa e così dice lo stesso Pietro, che ha professato Gesù di Nazaret come il Messia.

Ed allora Cristo rimprovera Pietro con parole così severe come forse non ha mai usato nei confronti di nessun altro degli Apostoli: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini" (Mc 8,33).

Lo stesso Pietro, che confesso la fede nel Messia, non voleva credere che Egli, "l'Unto di Dio" era, nello stesso tempo, "l'Agnello di Dio"; era "il servo di Jahvè" del Vecchio Testamento, afflitto e umiliato fino alla fine come aveva annunziato il profeta Isaia, secondo il brano ascoltato nella prima lettura d oggi.

E perciò Cristo protesto così categoricamente.


2. Cari fratelli e sorelle! Siamo qui oggi sulle orme dei Santi, che hanno accettato il mistero dell'"Agnello di Dio" e del "Servo di Dio" con tutta l'anima e l'hanno amato con tutto il cuore.

Francesco d'Assisi, del quale ricordiamo l'ottavo centenario della nascita, non poteva forse ripetere con Paolo apostolo le parole: "Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo" (Ga 6,14)? E la stessa fede l'ha professata con il suo Maestro d'Assisi, Antonio di Padova, del quale la Chiesa ha celebrato lo scorso anno il 750° anniversario della morte, particolarmente in questa città, così strettamente legata al suo nome.

Francesco e Antonio non soltanto hanno professato la loro fede nella Croce e nel Crocifisso, ma anche hanno amato Colui che ci ha talmente amati, senza riserva, fino a giungere ad accettare la Croce! Con lo sguardo rivolto a sant'Antonio e al suo Maestro san Francesco, porgo il mio saluto a voi tutti che siete riuniti in questa immensa piazza per la Celebrazione Eucaristica! Saluto in primo luogo il Pastore di questa diocesi, Monsignor Filippo Franceschi, e il suo predecessore, il venerando Monsignor Girolamo Bortignon; saluto cordialmente le Autorità, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i padri e le madri di famiglia, i lavoratori, i giovani, le giovani, i bambini, gli ammalati, tutti i presenti.


3. San Francesco e sant'Antonio hanno meditato nel proprio cuore su tutto ciò che il profeta Isaia aveva scritto sul "servo di Jahvè", e che, parecchi secoli prima, sembra descrivere, in modo così dettagliato e preciso, gli avvenimenti del Venerdi Santo: "Ho presentato il dorso ai flagellatori, / la guancia a coloro che mi strappavano la barba; / non ho sottratto la faccia / agli insulti e agli sputi..." (50,6). Quanto vicine erano al cuore di Francesco e di Antonio queste ferite e offese! Quanto viva era, per ciascuno di loro, questa "contesa", che Gesù di Nazaret affronto per la salvezza dell'uomo: "...non resto confuso, / per questo rendo la mia faccia dura come pietra, / sapendo di non restare deluso... / chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. / Chi mi accusa? Si avvicini a me. / Ecco, il Signore Dio mi assiste: / chi mi dichiarerà colpevole?" (Is 50,7-9).

Francesco e Antonio hanno letto con l'amino e con il cuore, con la fede e con l'amore, questa "contesa messianica", che raggiunse il suo apice nel Getsemani e sul Calvario.

E perciò crescevano in loro non soltanto la fede, la speranza e la carità, ma cresceva insieme quel "vanto nella croce", di cui ha scritto l'Apostolo nella lettera ai Galati.


4. Perché il "vanto nella croce"? Perché non "altro vanto che nella croce di Cristo"? Perché la croce proclama fino alla fine, e al di sopra di ogni misura, al di sopra di ogni argomento dell'intelletto e della scienza, chi è l'uomo, agli occhi di Dio, nel suo eterno piano di amore! Lo proclama una volta per sempre e irreversibilmente. Non si può imparare a fondo la dignità dell'uomo, se non "vantandosi soltanto nella croce". E il senso della vita umana, il senso che essa ha nell'eterno piano di amore, non si può afferrare se non mediante quella "contesa messianica", che Gesù di Nazaret condusse un giorno con Pietro e che continua a condurre con ogni uomo e con tutta l'umanità.

Il cristianesimo è la religione della "contesa messianica" con l'uomo e per l'uomo.

Ce ne rendiamo conto in modo chiaro, specialmente quando ritorniamo sulle orme di quei grandi seguaci di Cristo Crocifisso: Francesco d'Assisi e Antonio di Padova.


5. La Parola di Dio nell'odierna liturgia ci permette di comprendere che quella contesa messianica per l'uomo... con l'uomo, ha sempre la sua dimensione temporale e storica.

Non parla di questo, nella seconda lettura, l'apostolo Giacomo, insegnando che la fede senza le opere è morta in se stessa? "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?" (2,14).

E così, mediante queste semplici e fondamentali parole dell'apostolo, quella contesa messianica con l'uomo e per l'uomo si esprime come il contenuto della vita umana nella dimensione di ogni giorno e di tutta la storia terrestre dell'umanità.

Nella prospettiva della fede sta, in ogni luogo, un altro uomo: "un fratello o una sorella... senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano" (Jc 2,15). L'altro uomo, l'uomo bisognoso in ogni grado della longitudine e della latitudine geografica, costituisce una sfida per la fede.

Quanti sono questi fratelli e queste sorelle nel mondo intero? Quanti sono alla nostra portata immediata? E in quanti modi essi soffrono carenze: la fame, la penuria, l'avvilimento dei loro fondamentali diritti umani? perciò Francesco d'Assisi e Antonio di Padova hanno intrapreso, nei loro tempi, quella contesa evangelica con ogni uomo e per ogni uomo a misura degli Apostoli e dei santi.

perciò anche ai nostri giorni l'enciclica "Redemptor Hominis" ricorda che l'uomo è e non cessa di essere la "fondamentale via della Chiesa" (n. 14), l'uomo contemporaneo, la cui dignità, agli occhi del Creatore e del Redentore, non cessa di testimoniare la Croce di Cristo!


6. Quella contesa con l'uomo... e per l'uomo, che intraprese Cristo, ha, al tempo stesso, un'altra dimensione: in essa si decide il perenne ed insieme eterno destino dell'uomo, come essere creato a immagine e somiglianza di Dio.

Nell'esistenza umana in questo mondo si svolge come un grande dramma della vita e della morte, in conformità con ciò che ci ricorda oggi il Salmista: "Mi stringevano funi di morte, / ero preso nei lacci degli inferi. / Mi opprimevano tristezza e angoscia" (Ps 114 [115],3).

Cristo è venuto nel mondo, per unirsi all'uomo in questo dramma definitivo della sua esistenza. Proprio perciò Paolo di Tarso e dopo di lui Francesco d'Assisi e Antonio di Padova si vantano nella Croce di Cristo. Poiché in essa è la piena risposta a questo grido più profondo dell'uomo consapevole dei suoi destini ultratemporali.

"Egli mi ha sottratto dalla morte, / ha liberato i miei occhi dalle lacrime, / ha preservato i miei piedi dalla caduta. / Camminero alla presenza del Signore / sulla terra dei viventi" (Ps 114 [115],8s).

La fede, nella sua dimensione temporale e storica, vive mediante le opere di carità dell'uomo. La fede, nella sua dimensione definitiva ed eterna, si esprime mediante la partecipazione a questo Amore, che permette di superare il peccato e la morte.

Questo stesso amore di Dio genera la gioia, la gioia illimitata di esistere, di camminare alla presenza di Dio.

Una tale gioia portavano nel mondo, ai loro tempi, Francesco e Antonio e l'eco di tale gioia dura fino a oggi.

"Amo il Signore perché ascolta / il grido della mia preghiera. / Verso di me ha teso l'orecchio / nel giorno in cui lo invocavo" (Ps 114 [115],1s).

Così dunque quella "contesa messianica" con l'uomo... per l'uomo, che ha intrapreso Cristo, si risolve mediante l'amore, e l'amore definitivamente rende l'uomo felice; l'amore di Dio al disopra di ogni cosa, che si manifesta mediante l'amore dell'uomo, di ogni fratello e di ogni sorella, che Dio mette sulla strada del nostro pellegrinaggio terrestre.

Ecco l'eloquenza che anche nei nostri tempi ha, dopo tanti secoli, la testimonianza della vita di Francesco d'Assisi e di Antonio di Padova.

Essi camminano attraverso i secoli, non avendo, ciascuno di loro, altro vanto se non nella Croce di Cristo e dicono alle generazioni sempre nuove quale forza abbia la fede vivificata dall'amore.

E noi che ricordiamo la loro santa vita e le opere, dobbiamo farci una domanda: siamo decisi ad accettare questa contesa che Cristo conduce con l'uomo e per l'uomo?... siamo pronti a partecipare ad essa? E' la domanda circa la nostra fede, l'amore e la carità.

E' la domanda circa il nostro oggi e domani cristiano!




1982-09-12 Data estesa: Domenica 12 Settembre 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Ai rappresentanti e alle autorità della città e della regione - Padova