GPII 1982 Insegnamenti - Al movimento internazionale "Pax Romana" ricevuto in udienza - Castel Gandolfo (Roma)

Al movimento internazionale "Pax Romana" ricevuto in udienza - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: L'Europa in divenire deve saper coniugare responsabilità etica e fede cristiana

Testo:

Cari membri ed amici del Movimento Internazionale "Pax Romana".

Mentre si svolge la vostra Conferenza sul tema: "Responsabilità etica e fede cristiana in una Europa in mutamento", sono molto lieto di accogliervi e di salutarvi, Signore e Signori, voi che, grazie alla vostra formazione universitaria, avete responsabilità importanti e molteplici nel mondo intellettuale. Chi può negare, infatti, che nei nostri tempi, le ricerche scientifiche, con il progresso che ne deriva, producano considerevoli mutamenti nella vita degli individui e dei popoli?


1. Nel corso degli ultimi secoli, la società ha potuto constatare le lente modificazioni delle relazioni tra la Chiesa e la scienza. Come voi tutti sapete, le incomprensioni e anche i conflitti in questo campo erano frequentemente messi in rilievo. Oggi, almeno per tutti coloro che osservano attentamente le cose, è evidente che queste difficoltà non possono più costituire degli ostacoli. Questa frattura tra la scienza e la fede è in parte colmata dalle esposizioni sempre più convincenti dei risultati scientifici, da una parte, e dal crescente approfondimento della teologia, la quale ha liberato il contenuto della fede da elementi socio-storici dovuti ad epoche differenti. E' per questo, in occasione del mio indimenticabile incontro con gli uomini di scienza e gli studenti, il 15 novembre 1980, nella Cattedrale di Colonia, che ho desiderato ripetere che il Magistero "ha esplicitamente affermato la distinzione degli ordini di conoscenza tra fede e ragione. Ha riconosciuto l'autonomia e l'indipendenza delle scienze e ha preso posizione a favore della libertà della ricerca. Noi non temiamo ed escludiamo anche che una scienza, la quale si fondi su motivi razionali e proceda con rigore metodologico, giunga a conoscenze che entrino in conflitto con la verità di fede. Questo può accadere soltanto quando la distinzione degli ordini di conoscenza viene trascurata oppure negata".


2. Sfortunatamente, si deve riconoscere che questa distinzione tra i campi di applicazione non è ancora completamente accettata dall'opinione pubblica. Avviene perfino che i responsabili o i detentori dei mass-media o provano una certa difficoltà ad ammettere questa diversità di competenze nel vasto ambito del reale, o la contestano categoricamente. Quanto a voi, Signore e Signori, che avete ricevuto una chiamata alla vocazione di intellettuali cattolici, voi non vi siete senza ragione impegnati nell'apostolato del mondo della scienza e della cultura. E mi affretto a sottolineare che, nell'ambito esaminato nel corso della vostra Conferenza, voi avete un ruolo importante da giocare, tanto più che la vostra seria preparazione intellettuale in modo particolare vi mette in grado di portare ciascuno il vostro apporto originale per il ricco risultato dei vostri lavori.

Ciascuno di voi, acquisendo basi scientifiche solide e molto varie, ha una conoscenza profonda della natura e delle leggi che reggono le cose; ciascuno di voi si sforza ugualmente di tenersi al corrente delle ricerche e dei risultati della sua propria disciplina scientifica. Per questo, vi guadagnate veramente la stima professionale dei vostri colleghi.

Questo lavoro professionale, lo svolgete evidentemente in quanto uomini e donne di scienza, ma lo compite anche in quanto credenti. Voi siete perfettamente coscienti delle vostre responsabilità riguardo a questo mondo, ma sapete anche che il destino completo dell'uomo non si esaurisce in questo mondo: voi siete i testimoni, a nome di tutti gli uomini, della speranza di una definitiva realizzazione in Dio. E di questa testimonianza, gli uomini del nostro tempo hanno più che mai bisogno. Oggi non bisogna temere di ripetere spesso il messaggio di san Paolo (1Co 15,19): "Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini".


3. Questa speranza cresce in voi e in noi tutti, se Dio, che è nostra felicità assoluta, ispira ed accompagna tutte le decisioni della nostra esistenza, cioè se il nostro dirci cristiani non è solo un modo di dire ma una convinzione che vivifica tutte le nostre azioni quotidiane. Questa speranza cresce anche se tutti i membri della comunità ecclesiale, attraverso le loro vocazioni necessariamente differenti ma complementari, conservano fedelmente l'unità nella fede e i vincoli fedelissimi con i loro Vescovi e i dicasteri della Sede Apostolica. Infine, essa si sviluppa nella vita di ogni giorno se ciascuno si sforza di vivere un tempo di adorazione, nel corso del quale, distaccandosi spiritualmente da se stesso, rende omaggio a Dio per tutto e per tutti, ricordando l'ammonimento di san Paolo, ad essa indirizzato, "la scienza gonfia" (1Co 8,2).

Questa visione di Dio al centro del vostro impegno per il mondo rende fruttuoso il vostro apostolato. Essa fa di voi dei testimoni viventi della fede e degli araldi della Buona Novella per i vostri fratelli uomini. E questo, in situazioni spesso critiche dove voi percepite pienamente il vento della contestazione e la vostra situazione di stranieri in questo mondo. Ma voi sperimentate anche la gioia di coloro che aiutano gli altri a trovare Dio. Facendo questo, voi non siete solamente dei membri iscritti in un movimento apostolico, ma dei veri apostoli. E a causa di questo impegno, la compatibilita tra fede e scienza non è solo un'idea astratta ma una realtà vissuta da uomini concreti. Con la vostra vita voi dimostrate che la fede non limita lo spazio e la libertà della scienza, ma al contrario che le risposte delle differenti discipline scientifiche non sono che delle risposte parziali per l'uomo profondamente affamato di verità.

Perché la scienza non vuole e non può cogliere che un settore della realtà, tanto più che questa percezione è limitata nuovamente da una delimitazione metodologica, voluta e necessaria.

La fede, per contro, può trascendere le visioni parziali della realtà, se una tale fede le considera come creazione di Dio. In questa prospettiva, le cose create svelano allora il loro senso. L'uomo, in particolare, trova la sua dignità nel fatto che la sua origine e il suo destino ultimo sono in Dio. Un progresso della scienza che nuoccia al valore inalienabile della persona umana deve essere denunciato e combattuto. Le correnti filosofico-religiose che distruggono la libertà umana e promettono il paradiso sulla terra acquistano la fisionomia di ideologie.


4. In quanto uomini e donne di scienza, voi avete una competenza particolare per osservare e orientare la società contemporanea. Voi dovete e noi tutti dobbiamo tener conto dall'ammonimento dell'Apostolo: "Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono" (1Th 5,21). I veri credenti si distinguono sempre per la loro solida perspicacia. Non hanno bisogno di chiudere gli occhi sul mondo, dal momento che vedono tutte le cose alla luce della fede. Già il primo capitolo della Genesi ci assicura che la fede in Dio Creatore rende possibile un incontro senza angoscia con le cose create. La fede purifica l'uomo da ogni sguardo magico o inquieto sulla natura. Essa non appartiene più a potenze demoniache: Dio l'ha messa nelle mani dell'uomo. Ancora una volta, i veri credenti vedono in ogni uomo un essere assolutamente degno di interesse e di sollecitudine poichè ogni uomo senza eccezioni è creato ad immagine di Dio e fatto per lui.


5. Senza alcun dubbio, questo fondamentale orientamento verso Dio costituisce il valore dell'uomo, ma è nello stesso tempo una esigenza radicale. L'uomo, infatti, ha la responsabilità del suo sviluppo permanente e, soprattutto in quanto credente, non può mai accontentarsi di quello che è. Non è vocazione del cristiano aderire solamente ai valori etici ed alla condotta morale proposti dalla società.

Gesù stesso ci avverte del contrario nel "Sermone della Montagna". Conviene ora volgere tutta la nostra attenzione su questo insegnamento capitale riportato in san Matteo.

Leggendo queste pagine, si scopre immediatamente la loro inflessibile severità. Voi ricordate tutti l'uno o l'altro di questi insegnamenti. Gesù non vieta solamente di astenersi dall'uccidere ma biasima l'insulto e la collera verso il prossimo; Gesù non condanna solamente l'adulterio, ma anche lo sguardo di desiderio rivolto ad una donna è considerato da lui come un adulterio del cuore.

Frasi così radicali - come dare ancora il proprio mantello a colui che ha già preso la tunica, presentare la guancia sinistra quando la guancia destra è gia stata colpita, accettare di fare duemila passi con qualcuno quando ne aveva domandato solo mille - tutto questo ci scandalizza o almeno ci urta. Dobbiamo riconoscere che gli appelli di Gesù ci sembrano solo fino ad un certo punto accettabili e ragionevoli. Ma di fronte alla loro radicalità, la ragione dell'uomo si ribella o cerca delle scappatoie. E ciononostante possiamo veramente fuggire davanti alle esigenze insolite del Sermone della Montagna? La Parola di Dio non deve essere riconosciuta e ricevuta malgrado la sua durezza?


6. Abbiamo forse troppo l'abitudine di essere soddisfatti di norme morali derivanti dalla semplice prudenza, propria della maggioranza degli uomini o di un livello medio di opinioni registrate dalle statistiche. Le esigenze del Sermone della Montagna non si deducono da una sorta di statistica media. Esse appaiono al contrario come una protesta verso leggi tendenti a reggere la vita umana in modo mediocre e stagnante. La ragione di questa protesta può essere trovata nel fatto che questi capitoli del Vangelo sono fortemente caratterizzati dalla specifica prospettiva di Gesù che vede tutta la vita dell'uomo alla luce del Padre suo celeste. Le Beatitudini che aprono il Sermone della Montagna esigono infatti la presenza attiva di un Padre che ne compie le promesse. Solo il Padre può essere garante della felicità dei poveri, degli afflitti, degli affamati, dei perseguitati. Se il Padre celeste non esistesse, le sue promesse sarebbero totalmente vuote e non sarebbero che delle pie e deludenti consolazioni.

Lo sguardo continuo di Gesù verso il Padre è per lui la sorgente vitale della sua conoscenza e comprensione di tutto: il Padre non consegna una pietra a chi gli domanda del pane; non dà una serpe a chi gli domanda un pesce; se l'uomo dà un'elemosina, il Padre la vede in segreto; se prega, il Padre lo ricompenserà; e nessuno deve formulare molte parole per pregare, perché il Padre sa già prima ciò di cui noi abbiamo bisogno.

Si ha l'impressione che Gesù non possa fare altrimenti che pensare continuamente al Padre suo e mettere in relazione tutto con lui. così, in modo diretto o indiretto, inculca ai suoi discepoli l'atteggiamento evangelico essenziale; essi devono sempre guardare al Padre, giudicare e agire in ogni istante della loro vita secondo questa relazione d'amore che il Padre offre loro.

Grazie a questo insegnamento, il Signore insegna ai suoi ascoltatori che l'uomo è in grado di comportarsi nei confronti degli altri in maniera che supera la capacità umana e che non è comprensibile agli occhi del mondo. Al termine di questa predicazione, Gesù osa anche presentare la bontà del Padre come norma per l'agire dei suoi discepoli: "Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste" (Mt 5,48).

Di conseguenza, l'etica del Sermone della Montagna diviene una richiesta esigente per tutti i discepoli di Gesù: dobbiamo, seguendola, prendere sul serio le promesse da lui enunciate. Gesù è convinto che l'uomo, nella sua risposta agli appelli e alla bontà del Padre, può superare i limiti abituali. Ci insegna in questo modo che, da parte di Dio, ci possono essere donate forze nuove e inattese.

Così nascerà e si svilupperà un atteggiamento di vita che sfugge alla mediocrità troppo frequente e che si situa molto al di là della semplice ragione umana.


7. Questa meditazione, che ho avuto il piacere di fare con voi, sul messaggio molto esigente di Gesù mi porta ad assicurare ciascuno di voi e la vostra Conferenza nel suo complesso dei miei voti e delle mie preghiere per la fecondità spirituale dei vostri lavori. Possiate porre sempre al cuore dei vostri scambi fraterni il pensiero di Gesù, ricordandovi del suo Vangelo e incontrandolo in modo personale e comunitario, sia nella preghiera silenziosa sia nella celebrazione eucaristica! Sono convinto che in questo modo potrete giungere a purificare progressivamente i differenti modi di vita della nostra epoca dalle infiltrazioni dello spirito del mondo che rischiano sempre di alienarli. Come dice l'Apostolo nella sua lettera ai Romani (12,2): "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo"! così, ho la profonda speranza che questa nuova e importante Conferenza di "Pax Romana" susciterà nel vostro Movimento un impulso positivo e perseverante, a livello dei valori umani e cristiani che voi avete il grave dovere di far penetrare nelle vostre esistenze individuali e a livello delle vostre attività comunitarie.

Di tutto cuore invoco sulle vostre persone e sul vostro Movimento la luce e la forza divine.




1982-09-13 Data estesa: Lunedi 13 Settembre 1982




Ai presidenti delle "Caritas" diocesane d'Italia - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Per una sempre più efficace animazione della moderna attività caritativa

Testo:

Fratelli carissimi!


1. Sono sinceramente lieto di potermi incontrare oggi con voi, responsabili delle "Caritas" diocesane d'Italia, che vi siete riuniti a Roma per il IX Convegno nazionale, a dieci anni dall'inizio dell'attività della "Caritas" italiana, al fine di compiere, nella riflessione comunitaria e nel reciproco confronto, un'attenta e documentata verifica sugli obiettivi, sui contenuti, sugli strumenti organizzativi e sul metodo di lavoro in rapporto agli indirizzi ricevuti dalla Sede Apostolica e dalla Conferenza Episcopale Italiana.

Nel salutare cordialmente il Presidente dell'Organismo, Monsignor Vincenzo Fagiolo e voi tutti rappresentanti delle varie Comunità diocesane, vi esprimo il mio vivo compiacimento per le numerose benemerenze, che la "Caritas" nazionale e quelle locali hanno acquistato in questi dieci anni con la generosità e la tempestività, che hanno dimostrato nell'affrontare gravi problemi ed improvvise calamità - quali i disastrosi terremoti che si sono abbattuti su alcune Regioni d'Italia - dando una incisiva ed efficace testimonianza a tutto il Paese, e dimostrandosi sempre disponibili anche ad aiutare le popolazioni di altre Nazioni, in particolari e drammatiche situazioni di bisogno.

D'altronde l'istituzione della "Caritas", che fa seguito ad altre meritorie opere di assistenza, dettate alla coscienza ecclesiale da necessità di vario tipo, in cui vengono a trovarsi singole persone ed intere comunità, è fondamentalmente legata alla essenza stessa del messaggio cristiano, che è l'annuncio gioioso dell'amore di Dio per l'uomo e dell'impegno dell'uomo nell'amare Dio e gli uomini tutti, figli di Dio e fratelli in Cristo.

La pagina potente del Vangelo secondo Matteo, con la quale ci viene presentato il giudizio universale e definitivo, che Gesù Cristo, Signore e Giudice degli uomini e della storia, compirà alla fine dei tempi, è tutta articolata sul rapporto di carità manifestato per i "poveri", i suoi "fratelli più piccoli" (cfr. Mt 25,31-46); e tale pagina è intimamente collegata col discorso sul "comandamento nuovo", che Gesù rivolge ai suoi seguaci la vigilia della sua passione: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri... Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici... Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri" (Jn 13,55 Jn 15,12-13 Jn 15,17).


2. La "Caritas", sia a livello diocesano che a livello nazionale - come d'altronde tutte le opere assistenziali che la Chiesa continua a promuovere - conserva in pieno la propria validità ed attualità. Come vi ricordava Paolo VI nel discorso del 25 settembre1972, "è vero che l'assistenza pubblica viene man mano a compiere uffici affidati da secoli alla carità della Chiesa, ed è vero anche che la società moderna è più sensibile alle applicazioni della giustizia che all'esercizio della carità. Non per questo, tuttavia, l'azione caritativa della Chiesa ha perduto la sua funzione nel mondo contemporaneo. La carità è sempre necessaria, come stimolo e completamento della giustizia" ("Insegnamenti", X [1972] 989). Anche nella società contemporanea, che cerca di promuovere sia delle legislazioni sia gli strumenti adatti a dare a tutti i cittadini una serena sicurezza in campo economico, sanitario, sociale, esistono purtroppo ancora situazioni di autentica povertà fisica e psicologica: gruppi di persone o singoli individui conducono una vita non certamente adeguata alla loro dignità umana; soffrono atrocemente la solitudine, l'abbandono, l'emarginazione, la discriminazione. Si assiste al fenomeno della emergenza di "nuovi poveri": gli handicappati, per i quali le moderne leggi hanno si già approntato leggi adatte alle loro menomazioni, ma che hanno urgente bisogno dell'affetto e della disponibilità di tutti, di una vera conversione di mentalità nei loro confronti; gruppi di giovani - ed il fenomeno è ormai salito a preoccupanti livelli di guardia - i quali, disillusi, cercano nella droga l'appagamento dei loro sogni spezzati; gli anziani, molti dei quali vivono in situazioni drammatiche, tollerati da una società che invece dovrebbe debitamente onorarli perché da essi ha ricevuto l'esempio di una diuturna dedizione al lavoro e il contributo costante e silenzioso al progresso civile della comunità.

E' qui, nel mondo di tanti e tanti nostri fratelli bisognosi del nostro aiuto, del nostro affetto, delle nostre cure, che si inserisce l'opera permanente, indispensabile, continua, metodica della "Caritas", la quale deve anzitutto formare le coscienze dei fedeli all'imprescindibile esigenza dell'apertura, della disponibilità, della dedizione verso gli altri, con la convinzione che ogni contributo che si dà alla comunità ecclesiale nella sua capacità di donarsi, costituisce un aiuto per la sua crescita nella maturità cristiana e per la incisività della sua testimonianza nel mondo: "Amando il prossimo ed interessandoti di lui - dice sant'Agostino, rivolgendosi quasi a ciascuno di noi - tu camminerai. Quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a Colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per giungere a Colui, con il quale desideri rimanere per sempre" ("Tract. in Ioannis evangelium, XVII,9: PL 35,


1532).


3. Perché le varie "Caritas" siano preparate tempestivamente ed efficacemente sia nei casi di emergenza sia nelle situazioni di necessità permanente, occorrono delle strutture, delle persone, dei mezzi; occorre il coraggio di rinnovare la metodologia, in base alla esperienza, acquisita in questo decennio di intenso e fecondo lavoro. "Organizzarci per meglio animare la carità": è proprio questo il tema di studio del vostro Convegno, al fine di determinare i modi di una sempre più efficace presenza animatrice nell'ambito diocesano e nazionale. E' in questo contesto che si rivela quanto mai opportuna la promozione del volontariato, cercando di superare le inevitabili ed oggettive difficoltà; curando la formazione di quanti sono aperti a quest'opera meritoria; puntando specialmente sui giovani, così pieni di idee e di entusiasmo. Come vi dicevo nel mio incontro del 20 settembre 1979, "converrà... aprire, soprattutto ai giovani, le prospettive di un volontariato della carità, che allo spontaneismo dispersivo e provvisorio sostituisca la funzionalità e continuità di un'organizzazione razionale del servizio, inteso non soltanto come semplice appagamento dei bisogni immediati, ma ben più come impegno volto a modificare le cause, che stanno all'origine di tali bisogni" ("Insegnamenti", II,2 [1979] 337).

L'opera dei Volontari, adeguatamente preparati e formati, sarà preziosa non soltanto per quello che essi opereranno a favore dei poveri e degli emarginati di vario tipo, ma anche per quello che essi offriranno ai fini della maturazione del processo di crescita collettiva ed unitaria della carità di Cristo.

Sono mete queste che esigono un continuo spirito di donazione, di umiltà, di abnegazione, di servizio. La "Caritas" italiana e le "Caritas" diocesane hanno già dato esempi commoventi di dedizione. Continuate con il medesirno entusiasmo, non lasciandovi scoraggiare dalle difficoltà e dalle incomprensioni! A voi tutti presenti, ai vostri collaboratori ed a quanti nelle diocesi e nelle parrocchie d'Italia si impegnano, in silenzio operoso, a servire ed amare Cristo nei fratelli, va la mia benedizione apostolica, pegno di copiose grazie divine.




1982-09-14 Data estesa: Martedi 14 Settembre 1982




Al termine dell'udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Auspici di una pace equa in Medio Oriente nel pieno rispetto dei diritti di tutti i popoli

Testo:

Fratelli e sorelle.

Sono profondamente addolorato per la morte di Bechir Gemayel, Presidente eletto del Libano, provocata ieri da un disumano attentato che ha causato decine di morti e feriti.

Mi associo con spirito di intensa preghiera alla pena della famiglia del Presidente, delle famiglie delle altre vittime, e al lutto del Libano, che alle tragedie di questi ultimi anni vede aggiungersene un'altra, non meno grave, nella persona di chi era stato designato a reggerne le sorti.

La mia riprovazione per un gesto di tale efferatezza è totale; compiango la vita barbaramente troncata di un uomo giovane e prestigioso e dei suoi collaboratori; e mi rattrista, come Capo della Cattolicità, la perdita di un figlio della Comunità Maronita. Il Nunzio Apostolico a Beirut mi ha informato che in un incontro avuto ieri con lui, poche ore prima dell'attentato, il Presidente Gemayel aveva tenuto a confermare al Rappresentante del Papa di sentirsi "un figlio devoto della Chiesa".

Non posso nascondere inoltre la preoccupazione per le conseguenze che il drammatico evento potrebbe avere per il Libano stesso e per la tormentata regione del Medio Oriente.

Desidero qui rivolgermi a tutti i Libanesi, cristiani e non-cristiani, ed esortarli, con paterna sollecitudine ed affetto, a trarre motivo da questa tragica circostanza per rafforzare i loro legami, unirsi per il bene della patria e non consentire assolutamente che si producano reazioni di violenza o divisioni.

Il Libano ha bisogno di recuperare serenità e pace e la sovranità su tutto il suo territorio, nel rispetto dell'autorità legale; a questo fine il Paese necessita della collaborazione leale ed efficace di tutte le sue componenti etniche e religiose.

In queste settimane, concluso il tragico assedio di Beirut, si registra un intenso lavorio diplomatico con un affiorare di proposte per rilanciare il negoziato ed aprire la strada ad una soluzione globale del conflitto del Medio Oriente.

La Santa Sede segue con attentissimo interesse queste iniziative ed apprezza ogni sforzo che si fa per favorire il dialogo, la trattativa, e pervenire, finalmente, ad una composizione del conflitto.

Essa vuole contribuirvi con i mezzi che sono conformi alla sua natura e missione, sul piano dei principi morali, raffrontando ad essi le realtà concrete, per indicare le esigenze che a suo parere dovrebbero essere presenti nella ricerca delle soluzioni pacifiche.

La Santa Sede è convinta anzitutto che non potrà esserci vera pace senza giustizia; e che non ci sarà giustizia se non saranno riconosciuti ed accolti, in modo stabile, adeguato ed equo, i diritti di tutti i popoli interessati.

Tra questi diritti, primordiale ed imprescindibile è quello dell'esistenza e della sicurezza su un proprio territorio, nella salvaguardia della identità propria di ciascuno.

E' un dilemma che si dibatte in forma aspra tra due popoli, l'Israeliano e il Palestinese, i quali hanno visto simultaneamente, o alternativamente, oppugnati o negati tali loro diritti.

Il Papa, la Chiesa Cattolica guardano con simpatia e considerazione a tutti e due i popoli, eredi e custodi di tradizioni religiose, storiche e culturali diverse, ma ambedue ricche di valori parimenti rispettabili.

Qualche mese fa, all'"Angelus" di domenica 4 aprile scorso, ho osato porre questo interrogativo preciso: "E' irreale, dopo tante delusioni, auspicare che un giorno questi due popoli, ognuno accettando l'esistenza e la realtà dell'altro, trovino la via di un dialogo che li faccia approdare ad una soluzione equa, in cui ambedue vivano in pace, in propria dignità e libertà, mutuamente dandosi il pegno della tolleranza e della riconciliazione?". Oggi rilancio con più forza la domanda, e anche con la fiducia che la dolorosa esperienza vissuta in questi mesi possa affrettare la risposta affermativa delle parti, incoraggiate e sostenute dalla solidarietà e collaborazione dei Paesi amici di entrambe, e abbandonando ogni ricorso alla guerra, alla violenza e a tutte le forme di lotta armata, alcune delle quali sono state in passato particolarmente spietate e disumane.

Al culmine di questo faticoso cammino di pace, per la riconciliazione e l'incontro tra popoli diversi, vedo idealmente levarsi come un faro luminoso che invita alla comprensione e all'amore, la Città Santa di Gerusalemme.

E' la Città di Dio, che egli ha fatto oggetto delle sue compiacenze e dove ha rivelato i grandi misteri del suo amore per l'uomo. Gerusalemme può divenire anche la città dell'uomo, nella quale i credenti delle tre grandi religioni monoteistiche - il Cristianesimo, l'Ebraismo e l'Islam - vivano in piena libertà e parità con i seguaci delle altre comunità religiose, nella riconosciuta garanzia che la Città è patrimonio sacro di tutti per attendere alle attività che nobilitano l'uomo: l'adorazione del Dio Unico, la meditazione, le opere di fraternità.

Prego il Signore, e vi invito a farlo con me, affinché per tutto il Medio Oriente, e specialmente per Gerusalemme, per la Terra Santa e per il Libano, si avverino presto questi aneliti ed auspici di pace.




1982-09-15 Data estesa: Mercoledi 15 Settembre 1982




Ai Vescovi del Belgio in visita "ad limina" - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Promuovere e garantire una sana teologia per il benessere del popolo cristiano

Testo:

Cari fratelli in Cristo.


1. Insieme voi avete ripreso il cammino verso Roma, per compiere questa visita "ad limina Apostolorum" che caratterizza l'Episcopato cattolico da tanti secoli e contribuisce in modo singolare alla sua unità. Il ripetersi ogni cinque anni di questa pratica comunitaria potrebbe generare l'abitudine. In realtà questa visita comporta una grazia misteriosa ed efficace che le viene da Cristo stesso e dalla missione espressamente affidata all'apostolo Pietro di confermare i suoi fratelli nella fede. Questa intima comunione col successore del primo Capo del Collegio apostolico ha già avuto luogo con ciascuno di voi. Essa acquisisce in questo momento un volto ancor più comunitario, quello stesso di cui voi date periodicamente testimonianza nel quadro degli incontri della Conferenza Episcopale del Belgio, i quali sono fonte di unità non solo per le diocesi di cui voi avete la responsabilità ma anche per il vostro amato Paese caratterizzato dall'uso della lingua fiamminga e della lingua vallone. Che il Signore, sorgente primaria ed inestinguibile di verità e carità, faccia scendere su questo incontro un soffio di fede ardente e di dinamismo pastorale a beneficio delle vostre rispettive diocesi e della vostra nazione tutta intera! Senza poter toccare tutti gli aspetti della vita ecclesiale in Belgio, vorrei farvi partecipi dei miei più vivi incoraggiamenti in tre ambiti, spesso menzionati nei vostri rapporti ed evocati nei nostri incontri particolari, cioè: la promozione di una teologia della fede che sia molto fedele alla tradizione e aperta alle problematiche contemporanee; il proseguimento dei vostri sforzi per una vera pastorale della chiamata al presbiterato vissuto nel celibato e al diaconato permanente; infine un impulso, già ben avviato, ad impegnare i laici nella cooperazione ai numerosi compiti della vita e della missione della Chiesa.


2. In seno al collegio episcopale, il Vescovo non è solamente il custode di un tesoro di fede ereditato dal passato. Pur vegliando scrupolosamente sull'identità dell'eredità ricevuta dagli Apostoli, ogni Vescovo deve essere il promotore di una intelligenza della fede, che - tenuto conto della trascendenza della Rivelazione divina - possa essere ricevuta dagli spiriti contemporanei, proprio come essi sono, con le loro frequenti esigenze di verifica. So che voi siete solleciti nella promozione di una sana teologia, e a giusto titolo, in un momento che vede sorgere o risorgere gnosi antiche, audaci negazioni che toccano il cuore stesso della fede cattolica, come ad esempio l'assenza o almeno l'incertezza, a proposito di Cristo, della sua chiara identità di Figlio di Dio, e molti altri punti vitali del Credo.

Ci tengo anche a sottolineare che voi avete la fortuna di possedere una doppia e prestigiosa Università Cattolica a Lovanio, con la quale io stesso ho avuto la gioia di familiarizzare.

Direi che i Vescovi - la cui missione apostolica è di conservare il popolo cristiano nell'unità della fede - devono essere teologi presenti nel vivo di ogni situazione, direttamente e quotidianamente, attenti ai mutamenti e alle diversità della vita delle persone, delle diverse comunità, dei movimenti apostolici o altri. Ma è anche indispensabile che i teologi di professione svolgano il compito specifico dell'approfondimento metodologico della fede vissuta, testimoniata, celebrata... Vescovi-teologi e teologi professionisti sono necessariamente complementari. Insieme, grazie ad incontri il più possibile frequenti e fiduciosi, devono permettere alla Chiesa di sfuggire ad una sorta di pericolosa dicotomia tra un pensiero dottrinale unicamente speculativo e chiuso in se stesso ed un pensiero pastorale che si discosti troppo facilmente dalle sue fonti teologiche. C'è bisogno di ripetere che la nostra epoca richiede dovunque Vescovi e teologi che siano insieme precisi e coraggiosi? Non basta riprendere i commenti del passato. Sarà molto dannoso capitolare davanti alla novità e alla complessità dei problemi dottrinali ed etici che voi conoscete, e aggiungo - per sottolineare numerose vostre constatazioni - davanti al liberalismo, all'agnosticismo, all'ateismo, o almeno al secolarismo che colpiscono anche la vostra nazione di tradizione cristiana e suscitano in voi vive preoccupazioni.

Vi incoraggio dunque molto energicamente - e lo dico di frequente agli episcopati - a promuovere una sana teologia per il benessere del popolo cristiano tenendo conto almeno dei quattro punti seguenti.

Continuate a vegliare accuratamente sull'esattezza della "fede che cerca di comprendere", tanto più che numerosi teologi si sforzano di volerla esprimere in formule nuove.

Occupatevi anche del problema della comunicazione. I "dottori della fede" devono fuggire l'ermetismo ed anche un linguaggio semplicemente confuso che possono generare ambiguità. I teologi e i loro collaboratori devono infatti insegnare ai cristiani a ben comprendere gli avvenimenti e i rivolgimenti attraverso i quali la loro fede cristiana e la loro vocazione sono praticamente in causa.

Aggiungo ancora che i Vescovi, garanti della sana dottrina, e coloro che hanno la missione di provvedere a un assennato sviluppo dei dogmi sotto l'indispensabile autorità dei Vescovi, devono mantenere vivo in se stessi un profondo senso dell'unità della Chiesa. Perché non si tratta di voler elaborare tante teologie quanti sono i continenti, le regioni o gli ambienti di vita.

Infine - ed è un segno di evangelica semplicità - le esposizioni dei teologi devono rendere la fede più trasparente, ricordandosi sempre che essa non è fatta solamente per essere racchiusa in volumi e in summe, benché siano anche necessarie, ma per essere vissuta in modo semplice e, oso anche dire, popolare. A questo proposito, il successo di alcune sette può portarci ad una salutare riflessione.


3. Ricordo ora la diminuzione del clero diocesano e la parsimonia della sostituzione sacerdotale che sono per voi, responsabili di diocesi, una preoccupazione maggiore ed una sofferenza, molto spesso condivisa dai vostri fedeli. Non è la prima volta che la Chiesa conosce una tale prova. Ciò che importa, in Belgio come altrove, è mettere e rimettere continuamente a punto una pastorale realista e perseverante delle vocazioni. Ho notato che avete cercato di sviluppare dei giovani gruppi di formazione alla vita spirituale, che si chiamano "gruppi Emmaus" o in altro modo. Con il rispetto e l'ardore che pone in voi il Cristo in persona, voi stessi non avete paura di chiamare. E vi fate aiutare da sacerdoti che possiedono un carisma, non per forzare ma per suscitare e guidare le vocazioni sacerdotali di cui il popolo cristiano ha assoluto bisogno.

Sono persuaso che le vostre diocesi sono ricche in modo sufficiente di giovani, equilibrati, generosi, aperti o capaci di aprirsi all'ideale evangelico.

E' venuto il momento di superare i complessi e le paure generate da interrogazioni eccessive ed equivoche sull'identità del sacerdote o dell'emorragia del clero secolare e regolare degli ultimi decenni. Chiamate al presbiterato giovani adulti, che hanno già maturato la loro personalità, sia perseguendo la loro formazione scolastica e universitaria, sia esercitando una professione. Questo non deve far dimenticare un aspetto importante e troppo trascurato da anni, cioè che le vocazioni si preparano dall'infanzia. Sono profondamente convinto che al giorno d'oggi, come in tante epoche della storia ecclesiale, molti giovani possono essere conquistati da Cristo e consacrarsi esclusivamente ai loro contemporanei. Essi sembrano spesso smarriti come pecore senza pastori in mezzo ad una nuova civiltà che fanno fatica a comprendere ed anche a sopportare, tanto i veri valori, che danno un senso alla vita e alla storia dell'umanità, sono sovvertiti e sostituiti da un seducente sfoggio di false felicità, quando tutto ciò non è che l'insegnamento del non-senso dell'esistenza. Bisogna dire che quanto ricordato vale anche per le vocazioni religiose.

Ricevendovi qui, è come se ricevessi i sacerdoti e i religiosi che operano con voi al servizio del Vangelo. Dite loro da parte mia come mi sono cari e come io conto sulla loro fedeltà. Possano continuare a testimoniare individualmente e collettivamente che sono felici di essere a tempo pieno al servizio esclusivo di Cristo! Sono stato molto confortato dal sapere che in numerose regioni del mondo, il Giovedi Santo o uno dei giorni precedenti questa data memorabile, raduni del presbiterio diocesano sono stati più che mai numerosi e ferventi, in sintonia con il richiamo che avevo indirizzato nelle mie Lettere ai sacerdoti.

La vostra preoccupazione di sviluppare in Belgio il diaconato permanente, al termine di un impegno molto preparato e di una formazione esigente, ha anch'essa tutto il mio appoggio. Senza ricalcare servilmente la Chiesa antica, noi dobbiamo ispirarci a quelle giovani comunità che vivevano come sotto il primo impulso dello Spirito di Pentecoste.


4. I vostri rapporti, come le conversazioni che abbiamo avuto, testimoniano la vostra volontà unanime di proseguire l'opera di capitale importanza della formazione e della associazione di laici cristiani capaci di assumersi i molteplici compiti che si impongono ad una Chiesa in stato di missione. Lo sviluppo di consigli pastorali ed il moltiplicarsi di animatori di attività parrocchiali ne danno prova. La Chiesa, in Belgio, continua così ad essere molto sollecita nell'organizzazione e nella creazione di strutture.

Desidero felicitarmene con voi. Nessuna comunità cristiana, qualunque sia la sua dimensione, può oggi vivere o sopravvivere senza la solidarietà attiva di tutti i suoi membri. Insegnate loro voi stessi e supplicate i vostri sacerdoti di insegnare loro anche ad accettare la diversità tra di loro e a voler essere complementari. Lo sapevo già, ma sono colpito nel vederne la conferma nel corso dei miei viaggi apostolici: in tutte le comunità esistono dei doni estremamente numerosi e diversi che non sono sempre individuati, incoraggiati, fatti fruttificare dai responsabili della comunità. Vi sono coloro che sono capaci di dare delle idee, e coloro che sono in grado di approfondirle mediante la riflessione solitaria e condivisa in seguito con gli altri. Vi sono coloro che sono organizzatori nati e coloro che sono preziosi e perfetti esecutori. Vi sono alcuni dotati in modo particolare nel preventivare e amministrare un budget, e altri che sono abili a far capire la fondatezza di collette di sostegno. Vi è chi possiede una esperienza di vita cristiana ed una saggezza notevoli che li rende capaci di partecipare alla preparazione ai sacramenti e chi è in grado di contribuire all'animazione del culto liturgico. Vi sono coloro che fanno o potrebbero fare meraviglie sul piano dell'introduzione dei piccoli alla religione, e altri che posseggono il dono di incontrare spiritualmente e di guidare gli adolescenti. Vi sono alcuni che hanno ricevuto la grazia di saper guidare gruppi di preghiera, e altri che saranno in grado di organizzare svaghi di ispirazione cristiana. Vi è chi ha la capacità di pensare e di far avanzare soluzioni di problemi sociali e di spargervi il lievito evangelico, e coloro che sono efficienti diffusori o anche redattori della stampa cristiana. Mi sembra che la vostra Chiesa del Belgio è in grado di fare ancora meglio in questo ambito. Deve soprattutto vigilare affinché questi diversi servizi siano compiuti con fede, con senso della Chiesa, e legati alla preghiera, per non cadere nell'attivismo che non sarebbe affatto un rimedio al secolarismo circostante.

L'apostolo Paolo - con l'ardore ed il genio apostolico che gli erano propri - sarebbe stato lieto di incoraggiarvi a scoprire e a far fruttificare tutti i doni già esistenti o solamente potenziali nella vita dei vostri fedeli. Vi avrebbe forse anche incoraggiati ad utilizzare maggiormente i mezzi audio-visivi - e con una estrema sollecitudine per la qualità delle trasmissioni - per la vera formazione dei vostri diocesani sui problemi d'attualità che toccano il dogma e la morale cristiana, o su dei periodi della storia della Chiesa che essi sovente conoscono molto poco o in maniera inesatta. La Chiesa contemporanea guadagnerebbe nell'utilizzare più spesso e meglio i moderni mezzi di comunicazione.

In breve, mi auguro che le vostre diocesi e le vostre parrocchie siano come degli alveari ronzanti, che facciano conoscere al Belgio e anche al di fuori, cos'è veramente il Popolo di Dio, preoccupato di vivere i richiami che gli sono stati rivolti specialmente dal Concilio Vaticano II. E' venuto il momento di superare gli interrogativi e le critiche che hanno indebolito la Chiesa. La promozione del servizio episcopale, del ministero sacerdotale, del diaconato permanente e del laicato si effettuino con una perseveranza ed una armonia tali che le vostre diverse comunità vi attingano una vitalità che è già e sarà sempre più il rimedio al secolarismo generatore di un mondo unidimensionale, agli antipodi della realizzazione integrale dell'uomo! Cari fratelli nell'Episcopato, sia che siate responsabili delle diocesi del Belgio o ausiliari dei vostri Vescovi, siate più coraggiosi e fiduciosi che mai! Il Signore è sempre con coloro che edificano la sua Casa, cioè che edificano il Corpo di Cristo, la Chiesa, segno visibile della salvezza che Dio non cessa di proporre all'umanità.




1982-09-18 Data estesa: Sabato 18 Settembre 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Al movimento internazionale "Pax Romana" ricevuto in udienza - Castel Gandolfo (Roma)