GPII 1982 Insegnamenti - Città del Vaticano (Roma)

Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'incontro col presidente della Guinea Equatoriale

Testo:

Signor Presidente, Caro fratello nell'episcopato, Carissimi fratelli e sorelle, Con grande piacere ricevo la vostra visita, che rinnova in me il ricordo del viaggio fatto al vostro bel Paese, il giorno 18 febbraio del corrente anno.

Innanzi tutto mi rallegro per la presenza del signor Presidente, cui si deve l'iniziativa di formare questa delegazione, la quale viene a nome di tutti gli abitanti della Guinea Equatoriale, sia delle isole che del continente, per ringraziarmi della visita apostolica nel loro Paese.

Desidero manifestarvi che apprezzo profondamente questo gesto filiale, degno della vostra sensibilità umana e del vostro sincero affetto per la Chiesa e per colui che la guida per volontà del Signore. Inoltre voglio dirvi che, malgrado la brevità, la mia permanenza tra di voi ha avuto per me un particolare significato.

Infatti, nell'insieme del continente africano, siete una Nazione con maggioranza cattolica. perciò vi è richiesta una esemplarità maggiore davanti alle altre nazioni, tanto in quello che si riferisce alla vita privata di ciascun cristiano, famiglia o gruppo, quanto nella vita pubblica.

E' necessario, come vi ho detto durante la mia permanenza nel vostro Paese, che dopo le sofferenze del passato, tutti voi sappiate creare un ambiente di fratellanza e concordia crescenti.

E che, al di sopra di qualunque divisione di origine o geografica, collaboriate nella costruzione di una società in cui vengano rispettati sempre i valori religiosi, le norme morali e i diritti delle persone.

Per questo, ciascun cristiano deve sentirsi impegnato a collaborare efficacemente nella realizzazione di un clima di fede più autentica, di maggiore moralità, di più perfetta giustizia.

Così potrete costruire quella società che tutti desideriamo e che deve essere la meta del vostro impegno costante. Amate, dunque, il vostro Paese, il vostro valore e la vostra gente e mettete al servizio della causa comune, con vero senso cristiano, la vostra capacità di donazione.

Permettete che prima di concludere queste parole di saluto, rinnovi la testimonianza della mia profonda stima a Monsignor Rafael Nzé Abuy, vostro Pastore, che continua a prodigarsi per il bene della comunità cristiana e per tutti i suoi concittadini.

Tramite lui invio il mio ricordo a tutti i sacerdoti, religiosi e laici della Guinea Equatoriale, che sono da voi qui rappresentati.

Chiedo a Dio che illumini Lei, signor Presidente, e benedica tutto il Suo amato popolo, affinché viva giorni di pace, di cristiano benessere e di serena convivenza.


[Traduzione dallo spagnolo]




1982-09-25 Data estesa: Sabato 25 Settembre 1982




Il discorso - Concesio (Brescia)

Titolo: E' stato il Papa della Chiesa, del dialogo, dell'umanità

Testo:

Carissimi!


1. Grande è la mia gioia nel trovarmi oggi qui, a Concesio, parrocchia del Bresciano, nella quale il 26 Settembre di 85 anni fa nasceva il mio indimenticabile predecessore, Giovanni Battista Montini, diventato Papa col nome di Paolo VI.

Porgo un affettuoso saluto a tutti: al caro fratello Monsignor Luigi Morstabilini, al signor Sindaco, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, agli uomini, alle donne, ai giovani, ai bambini di questo fortunato paese, che ha avuto l'onore di dare i natali ad un grande Papa. Il mio saluto si estende poi ad ognuno dei presenti, fra i quali so che vi sono molti della Val Trompia.

Carissimi, sarà compito degli storici analizzare i multiformi aspetti di quei 15 anni di servizio pontificale, in un periodo certamente esaltante per la vita della Chiesa e dell'Umanità, ma attraversato anche da inquietudini e tensioni, di cui alcune fanno ancora sentire il loro peso.

Noi tutti, qui, a Concesio, desideriamo anzitutto ricordare nella preghiera Paolo VI, ma, allo stesso tempo, vogliamo rivivere alcuni aspetti salienti della sua ricca e complessa opera e riascoltare la sua parola di alto Magistero.


2. Paolo VI è stato il Papa della Chiesa: egli, da Sacerdote, da Minutante della Segreteria di Stato, da Assistente Nazionale della FUCI, da Sostituto della Segreteria di Stato, da Pro-Segretario di Stato, da Arcivescovo di Milano, da Papa amo la Chiesa con intensità e con dedizione incrollabili; ne illustro la natura e le funzioni con una profondità, che si nutriva della Parola di Dio e della grande Tradizione patristica e teologica; lavoro instancabilmente perché essa apparisse veramente come l'immacolata sposa di Cristo, senza macchia e senza rughe (cfr. Ep 5,27). Nella sua prima enciclica sottolineava come "questa sia l'ora in cui la Chiesa deve approfondire la conoscenza di se stessa, deve meditare sul mistero che le è proprio, deve esplorare, a propria istruzione e a propria edificazione, la dottrina... sopra la propria origine, la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale" ("Ecclesiam Suam", 10).

Ed ecco che la Chiesa, nella sua realtà teandrica, vive in pellegrinaggio su questa terra. Di qui la necessità del dialogo: "La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio" ("Ecclesiam Suam", 67).


3. E Paolo VI fu veramente il Papa del dialogo: ha dialogato con l'umanità, anche non credente; con quelli che adorano il Dio unico e sommo, quale noi adoriamo, vale a dire con i figli del popolo ebraico; e con gli adoratori di Dio secondo la concezione monoteistica, quella musulmana in particolare; con gli appartenenti alle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche, favorendo in maniera magnifica i rapporti ecumenici, specialmente mediante incontri personali e dichiarazioni comuni con i Capi di tali Chiese e Comunità.

Ha raccomandato e realizzato il dialogo all'interno della Chiesa Cattolica, confermando per tutti i suoi membri la grande responsabilità, che scaturisce dal fatto di "essere Chiesa". Così non si stanco di parlare ai Sacerdoti della loro sublime ed impegnativa missione ecclesiale. "La vita sacerdotale esige - diceva - una intensità spirituale genuina e sincera per vivere dello Spirito e per conformarsi allo Spirito, un'ascetica interiore ed esteriore veramente virile" ("Sacerdotalis Caelibatus", 78).

Così, con pressante invito, raccomandava ai Religiosi di dare la testimonianza che il Popolo di Dio attende da loro: "Uomini e donne capaci di accettare l'incognita della povertà, di essere attratti dalla semplicità e dall'umiltà, amanti della pace, immuni da compromessi, decisi all'abnegazione totale, liberi e insieme obbedienti, spontanei e tenaci, dolci e forti nella certezza della fede: questa grazia vi sarà data da Gesù Cristo in proporzione del dono completo che avete fatto di voi stessi, senza più riprenderlo" ("Evangelica Testificatio", 31).

Ed ai Laici, uomini e donne, non si stancava di illustrare ed inculcare che vivessero la loro vocazione specifica e che esercitassero una forma singolare di evangelizzazione. Il loro compito primario ed immediato è la "messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti ed operanti nelle realtà del mondo" (EN 70).

Questa Chiesa che si fa dialogo, che si fa colloquio, per Paolo VI è anche una Chiesa essenzialmente missionaria. Dal primo radiomessaggio per la "Giornata Missionaria Mondiale" (19 agosto 1963) fino alla grandiosa esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi", dell'8 dicembre 1975, Paolo VI ha trasfuso nel cuore dei suoi fratelli - Vescovi, sacerdoti, religiosi, laici - il suo incontenibile ardore missionario: "Evangelizzare... è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella santa Messa, che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione" (EN 14).


4. In questa prospettiva ecclesiologica deve essere considerata ed esaltata l'opera straordinaria che Paolo VI ha svolto nei confronti del Concilio Ecumenico Vaticano II: egli lo continuo, lo porto a termine e lo attuo con una costanza e con una lungimiranza veramente sorprendenti. Realizzo la riforma liturgica; quella della Curia Romana; la creazione di nuovi Organismi - Segretariati, Consigli, Commissioni - che, affiancati ai già esistenti Dicasteri, portassero a realizzazione le indicazioni emerse dai dibattiti e dalle decisioni conciliari; istitui il "Sinodo dei Vescovi" - espressione della Collegialità - che, sotto il suo pontificato, tenne ben quattro Assemblee Generali; e, con mano salda e ferma, seppe mantenere nella giusta rotta il timone della nave di Pietro in mezzo ai flutti ed ai marosi, che potevano vanificare gli autentici intendimenti del Concilio.

Per tutto questo la Chiesa gli deve perenne e doverosa gratitudine!


5. Paolo VI è stato il Papa dell'Umanità: se egli ha amato intensamente la Chiesa, con non minore sincerità ha amato, rispettato, esaltato e difeso l'Uomo.

Si è veramente fatto tutto a tutti per portare a tutti la salvezza di Cristo (cfr. 1Co 9,22) perché - com'egli diceva - "nessuno è forestiero nella Casa del Padre" ("Discorso", 24 ottobre 1963: "Insegnamenti", I [1963] 256).

In tutti egli ha visto il riflesso dell'immagine di Dio. perciò accolse l'invito a recarsi alla sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, per parlare dell'uomo e della pace. Con commossi e potenti accenti profetici, in quella prestigiosa sede, egli fece sentire la voce della Chiesa e del suo Capo visibile: "Non l'uno sopra l'altro! Mai più gli uni contro gli altri, mai, mai più! Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità!... Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno!". E l'annuale "Giornata Mondiale della Pace" - da lui con felice intuito istituita - è divenuta per tutti l'occasione di riflettere su questi temi, che investono il destino stesso dell'umanità sulla terra.

A difesa dell'uomo sfruttato, umiliato ed offeso nei suoi fondamentali diritti, egli si faceva carico del grido e dell'angoscia dei poveri, ed auspico la promozione, su scala universale, di un "umanesimo plenario", cioè dello "sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini" (PP 42). Spinto da tale sollecitudine, egli non manco di riversare nel corso di tutto il suo pontificato una speciale attenzione ai problemi del mondo del lavoro, svolgendo una costante azione per la difesa e la promozione dei diritti dei lavoratori.

Egli aveva, del resto, guardato sempre con viva simpatia e sincera amicizia al mondo del lavoro fin da quando era Sostituto della Segreteria di Stato e poi Arcivescovo di Milano. Quando divenne Papa, non si limito a ricevere gli operai, ma ando a visitarli di persona nelle loro stesse fabbriche: nei cantieri edili di Pietralata a Roma, nel centro siderurgico di Taranto, dove trascorse la Notte di Natale del 1968, e poi fra i minatori della galleria del Monte Soratte nel Natale del 1972.

Il suo insegnamento al riguardo, tanto pieno di sincero affetto per i lavoratori e di solidarietà con le loro preoccupazioni e legittime aspirazioni, ebbe il suo vertice nell'enciclica "Populorum Progressio" (26 marzo 1967), per lo sviluppo integrale dell'uomo e lo sviluppo solidale dell'umanità, e nella lettera apostolica "Octogesima Adveniens", scritta nell'80° anniversario della "Rerum Novarum".

Fu ancora per proteggere la dignità dell'uomo che Paolo VI riaffermo il valore altissimo dell'amore coniugale, il quale "rivela la sua vera natura e nobiltà quando è considerato nella sua sorgente suprema, Dio, che è Amore, il Padre, da cui ogni paternità, in cielo ed in terra, trae il suo nome" (HV 8).

L'ardore apostolico di annunciare il messaggio di Cristo a tutto il mondo spinse Paolo VI a compiere memorabili viaggi in Continenti e Nazioni, in cui nessun Papa era ancora stato. Sulle sue orme e sul suo esempio, anch'io ho inteso continuare tali pellegrinaggi, come messaggero di pace per tutti gli uomini.


6. Ripensando al cammino terreno di quel Papa, emerge la grandezza che lo ha caratterizzato. La Chiesa deve a lui molto.

Se poi ci chiediamo quale sia stato il punto segreto e propulsore della sua azione pontificale, penso che la risposta non sia difficile: il papato di Paolo VI fu un papato eminentemente "cristocentrico". Egli visse profondamente in unione con Gesù; annuncio instancabilmente Gesù. Ricordiamo le sue vibranti parole all'apertura della seconda sessione del Concilio Vaticano II: "Cristo, nostro principio, Cristo, nostra vita e nostra guida! Cristo, nostra speranza e nostro termine... Nessun'altra luce sia librata in questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo; nessun'altra verità interessi gli animi nostri, che non siano le parole del Signore, unico nostro Maestro; nessun'altra aspirazione ci guidi, che non sia il desiderio per essere a lui assolutamente fedeli" ("Discorso", 29 settembre 1963: "Insegnamenti", I [1963] 171).

Il tema della riconciliazione nel Cristo, insieme con quello del rinnovamento interiore, fu la finalità spirituale dell'Anno Santo del 1975, durante il quale milioni di pellegrini si raccolsero attorno a Paolo VI per accogliere il suo invito all'amore, all'unione reciproca, nel vincolo dell'unica carità di Cristo.

Nelle sue omelie, nelle sue catechesi del mercoledi, egli parlava di Cristo, con accenti degni dell'apostolo Paolo.

Ma accanto a Gesù, ecco apparire la figura della sua Madre Maria. Paolo VI ebbe per la Madonna, che egli proclamo "Madre della Chiesa", una devozione tenera e forte. Come pegno di essa valga il ricordo della sua visita alla Basilica Liberiana, l'11 ottobre 1963, dove, circondato dai Padri Conciliari, si reco a rendere omaggio a Maria santissima, "Salus Populi Romani", ad un anno dall'inizio del Concilio Vaticano II. E come non ricordare il suo settimanale pensiero mariano all'"Angelus" domenicale; i suoi Documenti sulla Madonna ed infine la sua mirabile esortazione apostolica "MarialisCultus" del 1974? Fondato su queste serene certezze Paolo VI seppe guardare ed affrontare anche la morte, a cui ando incontro da uomo, da cristiano, da Papa! Nell'osservare che "la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena", egli ringraziava il Signore e scriveva nel suo Testamento: "Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica, chiamando ancora una volta su di essa la divina bontà".


7. Carissimi fratelli e sorelle di Concesio! In questo nostro incontro, qui, nel paese in cui egli ha aperto gli occhi alla luce del sole ed è nato alla grazia nel battesimo, se volessimo sintetizzare, a nostro conforto e a nostro ammaestramento, i quindici anni del pontificato di Paolo VI, potremmo dire che sono stati un messaggio di speranza ed anche di gioia: "La gioia di essere cristiano, strettamente unito alla Chiesa "nel Cristo", in stato di grazia con Dio, è davvero capace di riempire il cuore dell'uomo", così egli scriveva durante l'Anno Santo del 1975 nell'esortazione apostolica "Gaudete in Domino". Egli, come pochi, ha amato e stimato il suo tempo, desiderando ardentemente di condurlo a Cristo.

A voi, che avete il privilegio di essere suoi concittadini, il compito di essere degni di così grande Pontefice, accogliendo e mettendo in pratica la preziosa eredità di insegnamenti che egli ci ha lasciato con la sua parola e col suo esempio.

A questo vuole incoraggiarvi la mia visita e la mia benedizione.




1982-09-26 Data estesa: Domenica 26 Settembre 1982




Agli ammalati nell'ospedale civile - Brescia

Titolo: Condividete con Cristo il peso della croce

Testo:

Appena giunto in questa Città, il mio primo saluto è per voi, carissimi ammalati, ricoverati in questo grande Ospedale Civile. E' un saluto particolarmente affettuoso per ciascuno di voi. Esso si rivolge, poi, al personale dirigente, medico, paramedico ed ausiliario, nonché alle religiose Ancelle della Carità che, sull'esempio della loro Fondatrice, santa Maria Crocifissa di Rosa, spendono le loro energie a sollievo e conforto di tanti ricoverati in questo luogo di cura.

Cari ammalati, voi occupate un posto speciale nel mio cuore, perché, pur essendo umanamente deboli e poveri, arricchite la Chiesa con le vostre sofferenze, sopportate in unione con Cristo Crocifisso. Nel dire questo io so di annunciare il mistero centrale del cristianesimo: il mistero "incredibile" del Figlio di Dio che, per salvarci, assunse la condizione di servo, divenendo simile a noi e facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Ph 2,7-8).

Voi ammalati partecipate in modo tutto speciale a tale mistero, condividendo con Cristo il peso della croce, il cui duro legno sentite premere sulle vostre carni, tormentate dalla malattia. Ma voi sapete anche di avere, proprio per questo, un ruolo privilegiato nella edificazione della Chiesa, alla cui espansione e purificazione recate un contributo insostituibile.

Entrando nell'area di questo ospedale ho stretto la mani di coloro che mi erano più vicini. In loro ho inteso stringere le mani di tutti per manifestarvi il mio desiderio profondo di essere unito a ciascuno di voi. Io conto sul vostro sostegno spirituale: la vostra sofferenza è la mia forza, perché nella vostra sofferenza opera la forza redentrice della croce di Cristo. Siatemi vicini con l'offerta delle vostre preghiere e dei vostri sacrifici! Fin d'ora vi ringrazio e con un grande abbraccio tutti vi stringo al mio cuore.

Il mio apprezzamento e la mia stima vanno altresi a quanti vi assistono con cura premurosa ed assidua. Auspico che essi abbiano sempre più viva nel loro animo la coscienza della loro nobile missione a servizio della vita. Sentano essi ogni giorno di più quanto sia bello consacrare la propria esistenza al servizio della vita umana; e quanto sia meritorio ridare salute, sorriso e gioia di vivere a tanti fratelli.

Vi assista il Signore in questa vostra opera, carissimi, e vi dia il coraggio di essere fedeli a quei principi deontologici che fanno sacra la vostra professione medica.

Benedico tutti nel nome del Signore.




1982-09-26 Data estesa: Domenica 26 Settembre 1982




Alle autorità civili in piazza Cesare Battisti - Brescia

Titolo: Fede cristiana e giustizia sociale: luci sul cammino dell'uomo

Testo:

Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, signor Sindaco!


1. Ringrazio vivamente per le cortesi espressioni, con le quali, interpretando i sentimenti sia del Presidente della Repubblica Italiana e del Governo, sia dei cittadini di Brescia, hanno voluto darmi il benvenuto in questa Città, tanto illustre per le sue nobili tradizioni civiche, culturali e religiose, e per il suo costante impegno in campo sociale e in favore dell'umano progresso.

Il mio saluto e la mia gratitudine si estendono a tutti voi, cari Bresciani, che siete qui convenuti per manifestarmi il vostro caloroso omaggio, ben degno dell'alto senso di ospitalità e della schietta cordialità, propri della gente lombarda.


2. Con questa visita, com'è noto, intendo rendere onore alla memoria benedetta del caro Pontefice Paolo VI, mio predecessore e Maestro, che in seno a questa illustre Comunità è nato e cresciuto; educato da genitori esemplari, egli è stato formato qui da insigni uomini di Chiesa e di cultura ad una solida pietà religiosa ed a profonde virtù spirituali e morali, attingendo quel carattere fatto di sincerità e di operosità, di coraggio e di generosità, che è caratteristico dei figli di questa Città e che in lui si profilo con lineamenti distinti e vigorosi.

La sollecitudine illuminata e diuturna, con cui svolse il suo servizio alla Sede Apostolica ed alla Chiesa universale, trova le sue radici anche nel benefico influsso di un ambiente ricco di preziosi valori, costantemente alimentati - come egli ebbe a dire in una Udienza a voi cara - dalle "fulgide, elette e genuine tradizioni cristiane e cattoliche di Brescia: città fedele, la quale merita di essere indicata alle nuove generazioni... nel suo spirito, nella sua sincerità, nella sua unione a Cristo vivo e nella sua aderenza ai bisogni palpitanti del nostro mondo moderno, così sofferente ma tanto aperto al messaggio evangelico" ("Insegnamenti", III [1965] 131).


3. La mia visita intende anche rendere omaggio a questa Città e a questa Comunità diocesana, che si distinguono per le vicende gloriose del loro passato, per le prestigiose figure di uomini e di donne che ne hanno animato la vita civile e religiosa, con influssi benefici per l'Italia intera, ed infine per la vigile attenzione che sempre vi si è prestata ai problemi sociali, affrontati con senso vivo della giustizia e in atteggiamento di operosa dedizione al dovere.

Brescia possiede un prezioso patrimonio spirituale, culturale e sociale, che deve essere gelosamente custodito e vigorosamente incrementato, poiché esso, come nel passato, costituisce anche oggi il presupposto indispensabile per un saggio ordinamento civile e per un autentico sviluppo dell'uomo.

Le odierne, molteplici forme di malessere sociale, ricordate dal vostro Sindaco, e lo stesso triste fenomeno della violenza, che ha avuto anche in questa Città - come ha sottolineato con commossa rievocazione l'onorevole Presidente del Consiglio - un tragico olocausto di vittime innocenti, trovano il loro antidoto più efficace nei valori umani e cristiani, sui quali Brescia è stata edificata nel corso dei secoli passati. In quei valori deve cercare, pertanto, ispirazione ed orientamento la presente generazione, se vuol consegnare ai posteri una Città di cui essi possano ancora sentirsi fieri.


4. A Brescia, dunque, che nel corso dei secoli ha saputo tenere alto il proprio nome, auguro di conservare sempre la propria leale adesione "fidei et iustitiae", come ricorda l'iscrizione scolpita sulla facciata del Palazzo Comunale. Si, cari Bresciani, siate sempre fedeli alla fede ed alla giustizia, alla fede cristiana ed alla giustizia sociale, a queste due grandi luci che devono guidare ininterrottamente il cammino dell'uomo su questa terra.

Desideroso che la mia presenza qui costituisca un segno di speranza e sia di incitamento al bene, elevo la mia preghiera, affinché nell'animo di tutti si approfondisca il proposito di costruire un avvenire prospero ed operoso, nel rispetto dei più alti valori dello spirito. Su questi ardenti voti scendano abbondanti le benedizioni di Dio.




1982-09-26 Data estesa: Domenica 26 Settembre 1982




Ai giovani in piazza Duomo ora intitolata a Paolo VI - Brescia

Titolo: Sentitevi debitori verso tutti dell'amore di Cristo che vi ha raggiunti

Testo:

Carissimi Giovani!


1. Ho ardentemente desiderato questo incontro con voi. Dall'intimo del cuore vi rivolgo il mio affettuoso saluto.

In questo momento, festoso e cordiale, mi sento vicino a tutta la cara gioventù bresciana: a quanti formano il tessuto giovanile della vasta e popolosa Chiesa dei santi Faustino e Giovita, nelle tre valli bresciane, nella città e nei suburbi, nella pianura.

Giovani di ogni ceto e condizione, appartenenti al mondo studentesco e a quello del lavoro nei campi e nelle fabbriche, sappiatevi tutti presenti nel cuore del Papa e da lui caldamente salutati e benedetti.


2. Il nostro incontro avviene in questa piazza intitolata a Paolo VI e attorniata da grandi memorie, le quali partendo da epoche remote, configurano il volto storico di Brescia, città romana e neoclassica, comunale e risorgimentale, devota e intrepida. E' il volto di Brescia cattolica, le cui secolari radici sono testimoniate dalla vetusta Rotonda dell'antico Duomo, mentre le robuste e vaste espansioni dei secoli successivi sembrano trovare perfetta raffigurazione nelle linee alte e nitide del Duomo nuovo.

Vi è di più. Quest'ambiente richiama al nostro commosso ricordo la fanciullezza e la giovinezza del vostro grande concittadino e mio indimenticabile predecessore, il Papa Paolo VI.

E' qui che egli si preparo alla vita, protetto dapprima dal dolce e fervido contesto familiare di via delle Grazie, inserito poi in istituzioni di provato valore e di non comuni benemerenze, quali il collegio Arici, l'oratorio filippino della Pace e il seminario diocesano.

Quella giovinezza serena e pensosa, che qui conobbe le prime esperienze dell'amicizia, dell'apostolato, delle battaglie giornalistiche, ebbe il suo sbocco nell'ordinazione presbiterale, che don Giovanni Battista Montini ricevette in questa Cattedrale: di qui prese avvio il successivo itinerario, che lo allontano da Brescia e lo porto, via via, attraverso sempre più impegnativi ministeri, alla missione di Pastore della Chiesa universale.

Ma nel variare di tempi e di luoghi, i pensieri del vostro grande Conterraneo tornavano con frequenza agli anni giovanili, "sempre custoditi nella memoria e nella riconoscenza al Signore, per le tante grazie di cui furono ricchi" ("Insegnamenti", III [1965] 1021).

Da quei ricordi Papa Paolo ricavo un principio di vita che mi piace qui richiamare. Parlando ai sacerdoti di questa diocesi, egli disse un giorno: "Dalla misura del tempo passato trae la sua ragion d'essere ed il pio segreto della sua bellezza, il culto che dobbiamo alla tradizione. Alla tradizione, nel suo significato solenne e teologico, di trasmissione della Parola di Dio, ...ed alla tradizione nel suo significato più modesto e assai meno impegnativo, che possiamo chiamare storia locale, tesoro pur esso prezioso, quando ci porta quanto di buono l'esperienza, la saggezza, il carattere peculiare d'una gente lasciano in eredità di generazione in generazione, non come peso da portare e freno da tollerare, ...ma come fascio di luce che proietta i suoi raggi sui sentieri futuri e stimola i passi a più franco cammino" ("Insegnamenti", VIII [1970] 602-603).


3. E' un insegnamento di enorme portata. Io desidero riproporlo oggi a voi, miei cari giovani, con la medesima energia con cui Paolo VI lo espresse in quella circostanza. E aggiungo: siate degni della vostra nobile e ricca tradizione. Fate onore al cumulo di esperienze e di opere ereditate dagli antenati, molte delle quali hanno reso onorato anche al di fuori dei confini locali il nome di Brescia cattolica.

E' esigenza e problema di fedeltà.

La fedeltà non si esaurisce nella diligente custodia e nella sapiente valorizzazione del patrimonio ricevuto dal passato. La fedeltà è sguardo proiettato sul futuro ed impegno per l'avvenire. Questo è stato uno dei punti focali della paziente pedagogia postconciliare di Paolo VI (cfr., ex. gr., "Insegnamenti", XIV [1976] 200). Vorrei che fosse anche la stella polare della vostra giovinezza. Papa Paolo VI non vive più, non è più tra i viventi. Ma noi lo vediamo oggi giovane. Lo vediamo giovane fra i giovani della sua città. Andiamo due o tre generazioni indietro, e lo vediamo giovane come siete giovani voi. Che cosa vorrebbe dirvi quel Paolo VI che non sta più tra i viventi, ma una volta era giovane bresciano, giovane di Brescia? Che cosa vorrebbe dirvi? Ecco: Voi puntate, e giustamente, sul domani l'obiettivo delle vostre attese.

Ma non c'è un domani che scaturisca dal nulla. Non c'è, non può esserci un avvenire costruito sul vuoto o sulle sabbie mobili. Solo poggiando sul patrimonio dei valori umani e cristiani, conquistati dalle generazioni dei giovani di ieri, voi potrete far progredire il mondo di oggi verso nuovi e validi traguardi.


4. Carissimi, vivete la vostra giovinezza secondo uno stile genuinamente cristiano. Dimostrate, cioè, con la profondità delle convinzioni e con la coerenza della condotta che Gesù Cristo è nostro contemporaneo. Allora, non solamente Paolo VI, Gesù Cristo è nostro contemporaneo. Così viviamo la tradizione. Con i tesori del passato noi costruiamo il futuro, l'avvenire. Allora Gesù Cristo è nostro contemporaneo; non un insigne reperto da museo, ma il Vivente assoluto, il compagno di viaggio dell'uomo del nostro tempo.

Il cristianesimo è la religione dei giovani. Questa non è una frase fatta, e neppure, beninteso, una affermazione esclusivistica. La Parola del Signore è destinata e adatta a tutti. Essa tuttavia rivela una particolare affinità con l'età giovanile per la sua intima virtù di ricupero e di rigenerazione, per la sua misteriosa capacità di rapportare continuamente il ritmo dell'itinerario spirituale sullo slancio, la generosità, l'entusiasmo che sono tipici della stagione giovanile.

Il favore dell'età è un bene immenso e, insieme, transeunte. Guai a dimenticarsene. Il Vangelo stende un velo di silenzio sul destino di quel giovane che non ebbe il coraggio di rispondere "si" all'invito di Gesù (cfr. Mt 19,16-30 Mc 10,17-22 Lc 18,18-30). Un giovane ricco, ma non felice; un personaggio senza sviluppo e senza storia, al quale nessuno di voi, miei cari giovani, vorrebbe prestare il proprio nome.

Sono certo che voi volete riconoscervi, invece, in quei vostri coetanei che con vibranti acclamazioni resero testimonianza a Cristo nel suo ingresso in Gerusalemme, all'approssimarsi della Passione.

Paolo VI ha desiderato che l'accentuazione giovanile di quell'evento avesse un'espressione concreta durante i riti liturgici della Domenica delle Palme nella Basilica vaticana, ed ha instaurato la bella consuetudine di circondarsi di giovani in tale circostanza. Questo per mettere bene in luce che, fra il popolo che ebbe l'intuizione messianica, "i più entusiasti e attivi furono i giovani.

Essi furono gli araldi del Messia. Essi indovinarono; essi si esposero, con segni di audacia, di felicità e di letizia. Essi capirono che quella era l'ora di Dio" ("Insegnamenti", XIV [1976] 242-243).


5. L'ora di Dio è anche oggi. La gioventù lo sa, o almeno lo intuisce.

Padre Giulio Bevilacqua, l'ardente "Cardinale-parroco", l'incomparabile maestro e amico di intere generazioni di bresciani, nell'analizzare la crisi della gioventù moderna, con la caratteristica sua prorompente energia notava, pur tra aspetti negativi, la presenza di un "istinto vitale, il quale dice che sul "no" non si può costruire la vita" ("La parola di padre Giulio Bevilacqua", p. 78).

Il "si" a Cristo deve essere l'impronta indelebile del vostro stile di vita. Un "si" totale e limpido, deciso e pieno, alieno da sofismi, equivoci, oscillazioni. Il senso acuto dell'oggi che caratterizza voi giovani va armonizzato e animato da una visione di fede, dalla certezza che Cristo Risorto opera nella storia di oggi e nel cuore dell'uomo.

Giovani sani e forti, io parlo al vostro cuore segnato dal sigillo di Cristo. Nel suo nome e con la sua autorità vi ripeto il messaggio delle beatitudini, tutto pervaso da celestiale virtù e, nello stesso tempo, incarnato nella quotidiana fatica del vivere. E vi dico: misuratevi con le altezze di Dio e siate assidui alla esplorazione delle zone più riposte del vostro mondo interiore.

Troverete sempre una risposta ai vostri "perché". Chi è Cristo? Chi è Cristo? Cristo è quello che sa dare la risposta a tutti i nostri perché. Capirete che mille difficoltà non hanno la forza di ingenerare un dubbio: che nessun macigno può rendere fragile la costruzione dell'onestà, della castità, della generosità.

Con la voce del Concilio Vaticano II vi ripeto:"La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore... Guardatela e troverete in lei il volto del Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell'amore, il compagno e amico dei giovani" ("Nuntius ad Iuvenes").


6. Nessuno di voi, carissimi, deve per altro dimenticare che tale personale esperienza di Cristo porta con sé un preciso impegno di testimonianza nei confronti di quanti non hanno ancora avuto la fortuna di un simile liberante incontro col Redentore. Come è possibile, infatti, conoscere Cristo e in lui scoprire la risolutiva risposta alle aspettative più profonde dell'uomo e non provare istintivamente il bisogno di mettere a parte anche gli altri della gioia che da tale scoperta, come da fonte inesauribile, zampilla? Ciascuno di voi ha il compito di essere "profeta" di Cristo frai suoi coetanei, di esserne apostolo. A chi non spera più, a chi non sa più aprirsi agli altri, a chi si dice pago delle cose materiali, a chi è vittima del consumismo, della paura, della frenesia del piacere, voi dovete annunciare il Signore risorto, la sua vita, la sua speranza, il suo Regno, il suo amore.

Vivete Cristo e "contagerete" ancora il mondo! L'uomo di oggi, e il giovane soprattutto, è in ricerca della verità che dà libertà e futuro: c'è bisogno di voi, c'è bisogno di giovani che sappiano presentare in modo vero, convinto, incarnato il messaggio di Cristo; di giovani che sappiano con sincerità e continuità far dono della Realtà che li ha raggiunti e coinvolti, che li supera e li stimola a seminare nei solchi della storia quotidiana germi di infinito.


7. In tale compito vi possono essere di grande aiuto le opere e le organizzazioni specificatamente destinate alla gioventù, che costituiscono una parte cospicua - da molti ammirata - della tradizione bresciana.

Con vero compiacimento ho visto che il Sinodo diocesano, recentemente concluso, ha dedicato una sezione alla pastorale dei giovani e dei ragazzi, richiamando principi e delineando orientamenti intesi ad avvalorare le associazioni, i movimenti, i gruppi giovanili, affinché siano sempre più rispondenti all'impulso rinnovatore che deve animare tutti gli strati di una comunità che segue Cristo e lo annunzia, e parimenti alle necessità delle nuove generazioni.

In questo contesto ho apprezzato in particolare lo spazio assegnato nella riflessione sinodale agli Oratori. Generazioni intere hanno trovato in tali ambienti sostegno, stimolo, conforto, nutrimento per un valido cammino di fede.

La formula oratoriana, che risale alla genialità creativa di santi, amici della gioventù, come Filippo Neri e Giovanni Bosco, ed a Brescia vanta una storia peculiare, continua ad essere di viva attualità. In molte occasioni Paolo VI ne ha tessuto l'elogio e ne ha raccomandato lo sviluppo.

Facendo mio il pensiero del grande Pontefice, auspico un sempre maggiore incremento degli Oratori, sicuro che ne saranno avvantaggiate tutte le benemerite istituzioni, che si propongono l'evangelizzazione e la catechesi del mondo giovanile.

Carissimi, molti vostri coetanei sono protesi nella faticosa ricerca di valori autentici, ma troppe volte essi percorrono sentieri di morte più che di vita e di speranza. Ad essi voi dovete recare le certezze che vi vengono dall'essere radicati in Cristo e nella Chiesa, dall'accostarvi alla Parola di Dio e dal nutrirvi dell'Eucaristia. C'è bisogno di ciascuno di voi. Sentitevi debitori verso chi è nel dubbio e nell'angoscia, verso chi non sa più credere né sperare; sentitevi debitori verso tutti dell'amore di Cristo che vi ha raggiunti e salvati, e, da lui sorretti, recate il messaggio della sua gioia ad ogni giovane, ad ogni uomo, ad ogni fratello.


8. E adesso che è giunta l'ora del mezzogiorno vogliamo, in conformità con la consuetudine della Chiesa orante, adorare il mistero dell'Incarnazione, salutando Maria, Madre del Verbo Incarnato. Ci richiameremo alle parole di Paolo VI, il quale, riferendosi alla preghiera dell'"Angelus Domini", rilevava come la sua "struttura semplice, il carattere biblico, l'origine storica, che la collega all'invocazione dell'incolumità nella pace, il ritmo quasi liturgico, che santifica momenti diversi della giornata, l'apertura verso il mistero pasquale", facciano si che essa, "a distanza di secoli, conservi inalterato il suo valore e intatta la sua freschezza" ("Marialis Cultus", 41).

E proprio in occasione della recita domenicale dell'"Angelus", Papa Paolo VI, meditando sul mistero dell'Incarnazione - "l'avvenimento più singolare, più innovatore, più bello dell'umanità: il Verbo di Dio che si fa uomo" - osservava con filiale trasporto: "Maria, l'umilissima, la purissima, accetta di diventare, con la sua amorosa ubbidienza, per opera dello Spirito Santo, la Vergine Madre dell'uomo-Dio, Cristo Signore. E' un nodo tale di misteri, di verità, di realtà, a cui fanno capo i disegni divini ed insieme i nostri destini, che giustifica, ed esige anzi, il culto tutto speciale e filiale che la Chiesa, l'umanità credente e in via di redenzione, tributa a Maria" ("Insegnamenti", XI [1973] 284).

A testimonianza di tale culto "tutto speciale" Paolo VI, durante il Concilio Vaticano II, proclamo la Vergine santissima "Madre della Chiesa", sottolineando che Maria "essendo Madre di Colui, che fin dal primo istante della Incarnazione nel suo seno verginale, ha unito a sé come Capo il suo Corpo Mistico... è Madre anche dei fedeli e dei Pastori tutti, cioè della Chiesa" ("Insegnamenti", II [1964] 675).

Innalziamo, dunque, con animo pieno di fiducia il nostro sguardo a lei e diciamo: "Angelus Domini... ".




1982-09-26 Data estesa: Domenica 26 Settembre 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Città del Vaticano (Roma)