GPII 1982 Insegnamenti - Ai pellegrini polacchi giunti a Roma per la canonizzazione di padre Kolbe - Città del Vaticano (Roma)

Ai pellegrini polacchi giunti a Roma per la canonizzazione di padre Kolbe - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: San Massimiliano è il segno salvifico di un'epoca difficile e tragica

Testo:


1. Saluto cordialmente e con grande gioia i connazionali riuniti in questa aula, provenienti sia dalla Patria, sia dall'emigrazione. In voi, cari fratelli e sorelle, saluto anche la Polonia, quella situata lungo la Vistola e quella sparsa in tutto il mondo. E' un grande avvenimento, una solenne circostanza che ci ha riuniti qui. Ieri abbiamo partecipato, insieme con una grande folla degli abitanti della città eterna e dei pellegrini venuti da diversi Paesi d'Europa e del mondo, alla canonizzazione del padre Massimiliano, martire di Oswiecim. Oggi desidero nella nostra comunità familiare meditare, almeno brevemente, quale significato abbia per noi tutti la canonizzazione del nostro Connazionale.

Dico "tutti", avendo in mente non solo i presenti qui, in questo momento, ma, nello stesso tempo, quei milioni che si trovano in Polonia, i quali in modo particolare vivono l'importanza dell'avvenimento compiuto ieri in piazza san Pietro, e, in certo senso, si identificano con esso in maniera speciale.

Le canonizzazioni dei figli e delle figlie della terra polacca hanno avuto sempre una loro eloquenza storica, non solo a Roma, ma soprattutto in Polonia.

Sappiamo quale avvenimento fu, sullo sfondo della Polonia dei Piast del XIII secolo, la canonizzazione di san Stanislao. Certamente vi sono ancora tra di voi molte persone che, come me, ricordano l'ultima canonizzazione "polacca", la canonizzazione di sant'Andrea Bobola, nel 1938. A questo susseguirsi millenario si aggiunge oggi la figura nuova, insolita, la figura a misura del secolo e dell'epoca.

Do quindi il benvenuto e il saluto a tutti coloro ai quali è stato dato di unirsi alla canonizzazione di san Massimiliano Kolbe. Saluto in modo particolare i miei fratelli nell'Episcopato.

Saluto il Cardinale Giovanni Krol, Arcivescovo di Philadelphia, negli Stati Uniti d'America; il Cardinale Wladyslaw Rubin, Prefetto della Sacra Congregazione per le Chiese Orientali; il Cardinale Franciszek Macharski, Arcivescovo-metropolita di Cracovia; l'Arcivescovo Luigi Poggi, Nunzio Apostolico con incarichi speciali; l'Arcivescovo Andrea Deskur, Presidente della Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali. Do il benvenuto e il saluto agli Arcivescovi-Metropoliti di Wroclaw e di Poznan e all'Arcivescovo Segretario della Conferenza Episcopale Polacca, come pure a tutti i Vescovi polacchi provenienti dalla "Polonia". Saluto i fratelli sacerdoti e le Famiglie religiose maschili e femminili. In modo particolare do il benvenuto e il saluto alla Famiglia e ai confratelli di san Massimiliano e a tutti i figli e figlie spirituali di san Francesco. Saluto e do il benvenuto alle Delegazioni degli Atenei Cattolici in Polonia e alle altre Delegazioni diocesane e religiose.

Saluto la Delegazione Governativa della Repubblica Popolare di Polonia.

La ringrazio per essere intervenuta alla canonizzazione di Massimiliano Kolbe.

Saluto cordialmente tutti i nostri Ospiti.

Siamo tutti profondamente toccati dall'eloquenza del fatto che alle celebrazioni della canonizzazione non è potuto venire l'Arcivescovo Joseph Glemp, Primate di Polonia. Insieme con lui viviamo profondamente il problema, che lo ha costretto a rimanere a Varsavia, guidato dal senso dei doveri pastorali e delle responsabilità di Primate. Non nascondiamo pure che lo stesso problema, sintomatico per l'attuale situazione nella Patria, tocca profondamente ed impressiona tutti noi. Si tratta (e qui mi servo ancora una volta delle parole del Metropolita di Cracovia) che "non vada perduto alcunché di quello che è grande e giusto, di quello che è nato nel corso dei due ultimi anni, e grazie al quale oggi ci sentiamo più che mai padroni di questa terra" (Discorso in occasione dell'incoronazione dell'Immagine della Madonna di Ploki, 12 settembre 1982).


2. San Massimiliano Maria Kolbe è figlio di quella terra, della terra polacca. In modo particolare possiamo pensare a lui come al "nostro" santo. Egli è nato nel grande ambiente del lavoro polacco; è entrato nell'Ordine dei Francescani in terra polacca; da quella terra è partito per le missioni in Giappone e ritorno a quella terra, al suo Niepokalanow, all'avvicinarsi della seconda guerra mondiale; su quella terra ha condiviso la sorte di tanti connazionali nel corso degli orribili anni 1939-1945.

Quando come Metropolita di Cracovia ho voluto offrire ai Vescovi partecipanti al Sinodo del 1971 (durante il quale Paolo VI ha annoverato tra i Beati il padre Massimiliano) qualche sua reliquia, non ho potuto dare altro che soltanto un granello della terra polacca preso da Oswiecim, della terra dei martiri. Tutto il resto era stato divorato dal fuoco dei forni crematori.

Padre Massimiliano crescendo dalla terra polacca, nello stesso tempo metteva in essa le radici, nella società, nelle Nazioni, di cui viveva il patrimonio spirituale, di cui parlava la lingua, di cui considerava con tutta la sua persona l'esperienza storica. Il nuovo Santo è profondamente iscritto nella storia polacca del XX secolo, nella storia della Nazione e della Chiesa.

La sua santità cresce insieme a questa storia; da essa, in un certo senso, attinge il suo particolare "materiale". In diverse tappe, ma particolarmente in quella tappa decisiva che si è svolta nei mesi di occupazione del 1941, nel campo di concentramento in Oswiecim, e soprattutto nei giorni dalla fine di luglio al 14 agosto di quell'anno. La definitiva "materia" della santità del Martire si trova li, e per sempre viene legata con quel periodo della storia, e con quella terribile prova degli uomini. Di quegli uomini, alcuni vivono ancora e sono tra di noi, e a loro rivolgo un saluto particolare, lo rivolgo ai prigionieri del campo di concentramento di Auschwitz e di altri campi. Tra loro saluto il signor Franciszek Gajowniczek, un personaggio strettamente legato a padre Massimiliano.

Si può quindi dire che quella di padre Massimiliano è santità costruita del materiale specificamente "polacco"? Penso che si può e si deve dire così. La terra polacca dovrebbe raccogliere questo frutto, che ha restituito maturo al cielo. Questo è il frutto particolare del "tempo suo", a cui guardano i secoli passati e che, nello stesso tempo, apre l'avvenire. In questo frutto noi ricordiamo la storia delle generazioni, la testimonianza che ha lasciato ai suoi nipoti e pronipoti. Se la storia della Nazione si spiega anche con il contributo dei santi, che esse hanno dato, allora la storia della Polonia nel XX secolo non la si può capire senza la figura del padre Massimiliano, martire di Oswiecim.


3. Tuttavia, mediante questa figura si aprono davanti a noi orizzonti universali Non soltanto perché la Chiesa, che proclama Massimiliano Santo, è "cattolica" ossia "universale", ma anche a motivo di ciò che costituisce "la materia" della sua santità. Ho detto prima che questa "materia" è polacca, e adesso devo costatare che essa è, insieme, profondamente "umana". E' presa dalla storia dell'uomo e dell'umanità nel nostro secolo. E' legata alle esperienze di diverse Nazioni, prima di tutto sul Continente europeo.

Lo si può facilmente costatare, mettendo il piede nel campo di Oswiecim, presso il grande monumento delle vittime. In quante lingue sono le iscrizioni, che parlano di coloro che li hanno sofferto i terribili tormenti e, alla fine, hanno subito la morte? Difatti la santità di Massimiliano Kolbe è stata costruita, in definitiva, dalla stessa "materia". Così dunque, alle basi di questa santità si trova la grande, profondamente dolorosa causa umana. Si può dire che dal cuore stesso di questa causa, Dio Immortale e Signore della storia umana tira fuori le perenni testimonianze, perché esse rimangano nella storia della umanità anche come "i segni dei tempi".

In tal modo la figura di Massimiliano rimane una testimonianza dell'epoca ed appartiene ai "segni dei tempi". Questa difficile e tragica epoca contrassegnata da un orribile avvilimento della dignità umana, ha fatto nascere a Oswiecim il suo segno salvifico. L'amore si è dimostrato più potente della morte, più potente del sistema antiumano. L'amore dell'uomo ha riportato la sua vittoria li, dove sembravano trionfare l'odio e il disprezzo dell'uomo. In questa vittoria dell'amore di Oswiecim si è fatta presente in modo particolare la vittoria del Golgota. Gli uomini hanno vissuto la morte del loro compagno di prigionia non come ancora un'ulteriore sconfitta dell'uomo, ma come il segno salvifico: segno del nostro tempo, del nostro secolo.


4. La Chiesa rilegge il significato di tali segni. In ciò consiste il suo legame con la storia dell'umanità: degli uomini e delle nazioni. Ieri essa ha riletto, sino alla fine, il significato del segno di Oswiecim, che Massimiliano Kolbe costitui con la sua morte di martire. La Chiesa ha riletto questo segno con una profonda venerazione e commozione, sentenziando la santità del Martire di Oswiecim. I santi sono nella storia per costituire i permanenti punti di riferimento, sullo sfondo del divenire dell'uomo e del mondo. Ciò che si manifesta in essi è duraturo, intramontabile. Testimonia della eternità. Da questa testimonianza l'uomo attinge, sempre di nuovo, la coscienza della sua vocazione e la sicurezza dei destini. In tale direzione i santi guidano la Chiesa e l'umanità.

A queste guide spirituali si aggiunge oggi san Massimiliano, il nostro connazionale, in cui l'uomo contemporaneo scopre una mirabile "sintesi" delle sofferenze e delle speranze della nostra epoca.

Vi è in questa sintesi plasmata dalla vita e dalla morte del Martire, un appello evangelico di una grande limpidezza e potenza: guardate di che cosa è capace l'uomo, che si è affidato assolutamente a Cristo per l'Immacolata! Ma in questa sintesi, vi è anche un ammonimento profetico. E' un grido indirizzato all'uomo, alla società, all'umanità, ai sistemi responsabili della vita dell'uomo e delle società: quest'odierno Santo è uscito dal centro stesso dell'umiliazione dell'uomo per l'uomo, dell'umiliazione della sua dignità, della crudeltà e dello sterminio. Questo Santo grida quindi, con tutta la sintesi del suo martirio, per il coerente rispetto dei diritti dell'uomo e anche delle Nazioni poiché, infatti, fu figlio della Nazione, i cui diritti sono stati terribilmente violati.


5. Molteplice è l'eloquenza della canonizzazione di ieri. Vi auguro, venerati e cari fratelli e sorelle, che, ritornando in Patria o negli altri Paesi in cui vivete, portiate con voi questa eloquenza, che penetriate in essa con il pensiero e con il cuore. Ve lo auguro.

E auguro anche alla mia Patria e auguro alla Chiesa in Polonia che san Massimiliano Kolbe, Cavaliere dell'Immacolata, Martire di Oswiecim, diventi per noi tutti mediatore dinanzi a Colui che è il Signore del secolo futuro; che diventi anche il testimone quotidiano di ciò che è grande e giusto, e grazie a cui la vita umana sulla terra è degna dell'uomo e diventa, mediante la grazia salvatrice, degna di Dio stesso.

Permettetemi di aggiungere alcuni pensieri, sorti già in questa Aula, che non sono entrati nel contesto del discorso, ma che vanno espressi. Prima di tutto, quando stavo passando in mezzo all'Aula Paolo VI, mi sono ricordato un altro passaggio: in questo stesso luogo, in mezzo ai pellegrini polacchi dalla patria e dall'emigrazione riuniti qui nel 1971, passo Paolo VI, accompagnato dai Cardinali polacchi di allora: Cardinale Stefan Wyszynski Primate di Polonia, Cardinale Jan Krol di Filadelfia, venuto pure oggi, e infine colui che pronuncia queste parole.

E' mia abitudine di entrare in contatto, quando passo qui durante le udienze generali, con le persone che stanno lungo le transenne e almeno salutarle personalmente.

In questa occasione ho sentito dirmi tante cose: prima di tutto assicurazioni di preghiere per me. perciò voglio cordialmente ringraziare tutti e ciascuno. Ho sentito pure molte richieste di benedizione per le famiglie, per le persone, per le parrocchie. Mi rendo conto che soltanto in piccola parte ho potuto rispondere ad esse personalmente, poiché lungo le transenne più o meno vicino stanno centinaia e migliaia di persone. Desidero rispondere, cari fratelli e sorelle, a tutte le vostre richieste e intenzioni con le quali ciascuno di voi è venuto e assicurarvi che le prendo tutte nel mio cuore e le faccio oggetto delle mie preghiere dinanzi a Dio.

E, infine, passando così in mezzo all'Aula, ho sentito e notato molte lacrime. Non è bene vedere i connazionali che vengono con le lacrime negli occhi alla canonizzazione del loro Santo, poiché queste non erano lacrime di gioia. Ad esse si aggiungevano talvolta le parole che erano come un grido, un grido proveniente non soltanto da questa sala, ma da lontano. E perciò voglio rispondere a queste grida mediante voi che siete qui presenti. Voglio rispondere a coloro che mancano qui e, soprattutto, alle persone internate e in prigione. Desidero rispondere a chi in qualsiasi forma sta soffrendo in terra polacca e desidero rivolgermi, da questo posto, alle autorità della Repubblica Popolare Polacca, chiedendo loro che non ci siano più queste lacrime. La società polacca, la mia nazione non merita di essere indotta alle lacrime di disperazione e di abbattimento ma merita di avere un futuro migliore.

Desidero infine rispondere alle parole del Cardinale metropolita di Cracovia circa il punto in cui egli ha ricordato il mio pellegrinaggio in patria per il giubileo di Jasna Gora. Desidero ancora una volta affermare che ritengo questo pellegrinaggio come un mio sacrosanto dovere e lo ritengo, malgrado tutto, un mio diritto in quanto Vescovo di Roma e in quanto polacco. E perciò continuo ad esprimere la speranza che saranno create le condizioni necessarie per questo pellegrinaggio, conformemente alla grande millenaria dignità della nostra Nazione.




1982-10-11 Data estesa: Lunedi 11 Ottobre 1982




Nelle Grotte Vaticane - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preghiera allo Spirito Santo per i venti anni dall'inaugurazione del concilio ecumenico Vaticano II

Testo:


1. Spirito Santo di Dio, veniamo, oggi, per un atto di ringraziamento.

Venti anni fa, in questo stesso giorno 11 ottobre, iniziava il Concilio Vaticano II nella Basilica di san Pietro.

Oggi, dopo vent anni, desideriamo ringraziare perché questo Concilio ebbe inizio e perché ha potuto condurre a termine i suoi lavori nel corso degli anni 1962-1965 fino all'8 dicembre 1965, in cui fu solennemente concluso.


2. Ti ringraziamo, Spirito Santo di Dio, per aver ispirato al tuo Servo Papa Giovanni XXIII il pensiero di convocare il Concilio; per averlo aiutato a preparare e ad iniziare questo Concilio l'11 ottobre 1962, nel giorno che, nel calendario liturgico allora vigente, era dedicato alla Maternità della beata Vergine Maria.

Ti rendiamo grazie, poi, perché a Paolo VI hai dato di assumere l'opera del Concilio dopo la morte del predecessore, e di portarla a termine.


3. Ti rendiamo grazie, Spirito - Luce dei cuori -, perché, mediante questo Concilio, sei stato particolarmente vicino, e hai parlato alla Chiesa, mediante il servizio della parola e dei pensieri, mediante il servizio della volontà e della testimonianza di tutti i Vescovi in esso riuniti.

Ti rendiamo grazie per questa grande esperienza di fede confessata ed insegnata.

Ti rendiamo grazie per questa particolare manifestazione di sollecitudine pastorale per tutta la Chiesa, per la Chiesa e per il mondo contemporaneo.

Rendiamo grazie per tutte le fatiche collegate con tutto questo e per tutte le gioie derivate da questo servizio.

Ti rendiamo grazie, Spirito di amore e di verità, perché in modo così particolare ci hai permesso di costituire una comunità fraterna, perché ci hai permesso di estrarre dal comune tesoro "cose nuove e cose antiche" (Mt 13,52), al servizio della tradizione della Chiesa e del suo rinnovamento.


4. Ricordiamo tutti coloro, che hanno formato giorno per giorno, quest'opera del Concilio, prima di tutto i Fratelli nell'Episcopato e Padri Conciliari, ed anche tutti i collaboratori nel nostro ministero, sacerdoti, religiosi, religiose e teologi laici, esperti in diversi campi, fino a coloro che hanno compiuto i servizi più semplici.

Ci rallegriamo oggi con coloro ai quali ancora è dato di partecipare a questo ventennale.

Raccomandiamo alla bontà del Padre coloro che ci hanno già lasciati.

Il merito degli uni e degli altri è quello di aver prestato diligente ascolto alla voce dello Spirito, che apriva davanti alla Chiesa le sorgenti del Vangelo, e, al tempo stesso, parlava mediante "i segni dei tempi".

Questo è merito di tutti e gioia di tutti.


5. Ti ringraziamo per il Concilio, così come è uscito dalla grande officina di quegli anni, e così come ha iniziato a vivere con il contenuto di tutte le sue enunciazioni: costituzioni, decreti e dichiarazioni.

Ti ringraziamo per la ricchezza del contenuto, che ha illuminato la Chiesa nella seconda metà del ventesimo secolo, e ringraziamo per la direzione indicata in tante questioni importanti.

Ringraziamo per la verità ecclesiologica ed ecumenica, ringraziamo per l'apertura nei confronti di tutti, per l'amore al "mondo" nello spirito del Vangelo.

Ringraziamo per la nuova maturità della fede e la disponibilità al dialogo.


6. Oggi, dopo vent'anni, mentre ringraziamo te, Spirito del nostro Signore, mandato per insegnarci costantemente "ogni cosa", contemporaneamente veniamo ad implorare! Ti supplichiamo perché l'opera del Concilio, iniziata e terminata in questo ventennio, si compia costantemente; perché diventi continuamente una realtà di anno in anno, di giorno in giorno; perché il suo insegnamento sia riletto da tutti, in tutta la sua specifica identità e profondità.

E, in conformità con queste, esso continui a realizzarsi - e ad aiutare la Chiesa a compiere la sua missione.

Perché, mediante ciò, il mondo conosca che tu l'hai mandata, - perché esso creda e si converta.

Perché mediante la Chiesa, che si rinnova costantemente con la luce e la potenza dello Spirito di Cristo, si compia il servizio della salvezza del mondo fino al tempo che il Padre si è proposto nel suo amore.

E perché sia adorato in eterno il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, in cui è il Principio e la Fine di tutto il creato.


Amen. 1982-10-11 Data estesa: Lunedi 11 Ottobre 1982




All'assemblea plenaria del Pontificio consiglio per i laici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Essere apostoli oggi presuppone una ferma identità cristiana

Testo:

Signor Cardinale, cari fratelli nell'Episcopato, cari amici.


1. E' una gioia per me rivedervi in occasione dell'Assemblea plenaria del Consiglio pontificio per i Laici. Questo incontro, l'ho infatti molto desiderato, malgrado il programma molto denso di questi ultimi giorni.

Oltre alle cerimonie di beatificazione e di canonizzazione così stimolanti per tutto il Popolo di Dio, le numerose visite dei Vescovi offrono un'occasione privilegiata di rafforzare la comunione del Collegio episcopale e di rivedere insieme come compiere la missione della Chiesa nei differenti contesti culturali. E voi membri, consultori, dirigenti e collaboratori del Consiglio pontificio per i Laici, rappresentate tutti i laici che si sforzano di vivere la loro vocazione cristiana, con fedeltà e coerenza, nelle situazioni così diverse della Chiesa e del mondo. Desidero ringraziarvi per il perseverante lavoro che compite con devozione in seno al Dicastero e nei vostri ambienti.


2. In questi. giorni, noi celebriamo il ventesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II. Giorno memorabile, di cui ci ricordiamo con gioia, meraviglia e gratitudine verso Dio! La celebrazione di questo anniversario ci ricorda anche che noi dobbiamo, con tenacia, continuare il lavoro iniziato dai nostri predecessori, cioè, applicare seriamente il Concilio, farlo fruttificare, con l'aiuto dello Spirito di Dio. Il Consiglio pontificio per i Laici, in particolare, trova in questa eredità l'ispirazione e l'orientamento del suo lavoro.

Venti anni dopo questo avvenimento che fu una grazia, come non riconoscere i numerosi segni dell'azione di Dio nella Chiesa e tra gli uomini e non augurarsi allo stesso tempo lo sviluppo dei suoi frutti: consolidamento della comunione ecclesiale, rinnovamento spirituale, adesione più profonda alle verità fondamentali della fede, nuovo slancio missionario? Per tanti laici, il Concilio è stato un potente stimolo; illuminati dal suo insegnamento, essi si sono impegnati nei molteplici campi di apostolato, scoprendovi, non solamente un dovere, ma anche una sorgente di gioia, la piena realizzazione di se stessi.

Il Concilio Vaticano II è stato l'origine di una riflessione più approfondita sui laici, la famiglia, la cultura; e questa riflessione ha condotto alla successiva creazione di questi tre organismi post-conciliari che sono il Consiglio pontificio per i Laici, il Consiglio pontificio per la Famiglia e il Consiglio pontificio per la Cultura. Essi ricoprono campi che hanno numerosi punti in comune. Per questo io li incoraggio con forza a sviluppare tra di loro una stretta collaborazione nel rispetto della competenza di ciascuno.


3. Siete riuniti a Roma per studiare in particolare "le strutture post-conciliari che toccano direttamente il laicato, a livello nazionale, diocesano, parrocchiale, e a livello delle comunità di base".

La costituzione "Lumen Gentium" ha sottolineato la necessità della cooperazione tra i ministri ordinati e i laici. "I sacri pastori, afferma, conoscono benissimo quanto contribuiscono i laici al bene di tutta la Chiesa", essi devono "riconoscere i ministeri e i carismi loro propri, in modo che tutti concordemente cooperino nella loro misura, al bene comune" (n. 30). Sappiamo che una tale collaborazione ha condotto profondi cambiamenti a livello delle mentalità e degli strumenti. Essa ha anche richiesto la messa in opera di strutture, fondate sulla teologia esposta nei testi del Vaticano II.

I laici hanno per vocazione di estendere il Regno di Dio impegnandosi "in tutti i diversi doveri e lavori del mondo, nelle condizioni ordinarie della vita familiare e sociale di cui la loro esistenza è come intessuta" (LG 31). Ma il loro impegno nel mondo non esclude la loro partecipazione alla vita della Chiesa, sotto la direzione dei Pastori. Al contrario, esso la suppone, come ricorda il decreto sull'apostolato dei laici: "Partecipanti alla funzione di Cristo Sacerdote, profeta e Re, (essi) hanno la loro parte attiva nella vita e l'azione della Chiesa (AA 10). Per la grazia del battesimo e della cresima, ogni cristiano è chiamato a vivere concretamente la comunione ecclesiale, a testimoniare questa comunione.


4. Le prime comunità cristiane hanno imperniato l'apostolato sia dei ministri ordinati che dei laici sulla nozione di "testimonianza" secondo la parola del Signore stesso: "Voi sarete... miei testimoni... fino ai confini della terra" (Ac 1,8). Oggi, più che mai, il Vangelo non sarà ascoltato e accettato se non nella misura in cui il testimone sarà credibile. E perché le azioni e le parole dell'apostolo siano credibili, bisogna innanzitutto che la sua vita parli.

Per questo, deve nutrire ogni giorno della sua vita di apostolo "di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Non può essere sicuro della presenza attiva del Padre nella sua propria vita se non partecipa all'Eucaristia, cioè se, giorno dopo giorno, non lascia cambiare in profondità il suo cuore, unendosi al Figlio di Dio che rende presente tra noi la sua morte e la sua resurrezione. Così diventa più grande la nostra disponibilità e la nostra obbedienza allo Spirito Santo. Ancor più, è la via alla santità.


5. Si, la Chiesa gioisce in questi giorni dei beati e dei santi che Dio le ha donato. E, allo stesso tempo, essa ci insegna che noi siamo tutti chiamati alla santità. Oggi noi possiamo, o piuttosto, noi dobbiamo parlare anche del capitolo 5 della costituzione sulla Chiesa: "La chiamata universale alla santità"; noi dobbiamo proporre l'ideale della santità a noi stessi e agli altri come un fine da raggiungere. "Ecco questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione" (lTh 4,3), ci dice san Paolo. Dio ci ha chiamati a lasciarci trasformare nell'immagine gloriosa di Cristo stesso (cfr. 2Co 3,18). Il miglior apostolo è il santo; perché solo colui che rimane in Cristo e in cui dimora il Cristo "porta molto frutto" (Jn 15,5).

Se non si mantiene viva nello spirito questa prospettiva di fede, si rischia di occuparsi di strutture per motivi discutibili: troppo influenzati dalle categorie del mondo, alcuni potrebbero essere tentati di non ricercare che l'efficacia o il potere; o ancora di introdurre nella Chiesa stessa le separazioni che esistono nella società, secondo il tipo di opposizione tra gruppi politici dovuto a lotte ideologiche.

L'esistenza di questi pericoli non significa, sicuramente, che strutture teologicamente valide non siano necessarie. Non sarebbe realistico voler negare l'aiuto che esse apportano. Ma, non si possono creare delle strutture di apostolato ecclesiale, né impegnarsi in seno ad esse senza necessariamente convertirsi, al fine di purificare le proprie motivazioni in uno spirito di riconciliazione con Dio e con i fratelli. E questa purificazione, sappiamo tutti che si compie in profondità e in maniera appropriata ricevendo il sacramento della penitenza. Quale ricchezza sarebbe per la Chiesa se, in occasione del prossimo Sinodo dei Vescovi, le comunità cristiane riscoprissero lo straordinario dono che il Signore fa loro in questo sacramento!


6. Tra le strutture ecclesiali, bisogna prestare una particolare attenzione alla parrocchia, coscienti che essa "rimane un punto di riferimento importantissimo per il popolo cristiano, anche per i non praticanti" e che essa "deve ritrovare la sua vocazione che è quella di essere una casa di famiglia, fraterna e accogliente, in cui i battezzati e i cresimati prendono coscienza di essere Popolo di Dio" (CTR 67).

Nel corso dei vostri numerosi contatti con i Vescovi, voi avete sicuramente l'occasione di sottolineare questo: è nelle comunità parrocchiali o diocesane che la grande maggioranza dei cristiani, non raggruppati in un laicato organizzato, vivono la loro partecipazione alla vita della Chiesa. Le parrocchie, come gran parte delle strutture ecclesiali, sono essenzialmente degli strumenti istituzionali per favorire la comunione, la vita di fede, per rendere l'apostolato più efficace. Lo scopo è dunque di animare, di coordinare, di arricchire l'ammirevole varietà dei carismi e dei servizi.

Quanto alle comunità di base che sono, anch'esse, un segno della presenza continua dello Spirito nella sua Chiesa, è importante precisarne bene i criteri di ecclesialità, come ha fatto Paolo VI nella esortazione apostolica sull'evangelizzazione nel mondo moderno (EN 58) e come ho fatto anch'io nella mia allocuzione all'Episcopato brasiliano.


7. Parlando delle strutture riguardanti il laicato, pensiamo evidentemente anche ai movimenti e associazioni. Questi movimenti, come sottolineano spesso i Vescovi durante le loro visite "ad limina", sono molto importanti per sostenere la vita cristiana e l'apostolato. Nella loro diversità, essi portano un prezioso contributo alla realizzazione della missione della Chiesa. Sono un luogo in cui giovani e adulti fanno esperienza della Chiesa, si aiutano a vivere da cristiani in un mondo poco credente e, fortificando la loro fede e la loro appartenenza ecclesiale, si preparano ad un dialogo apostolico. Perché essere apostoli oggi suppone un'identità cristiana solida.

I differenti movimenti non sono sufficienti a sé stessi. Essi devono riconoscere la complementarietà che esiste tra tutte le forze vive della Chiesa e collaborano con le strutture postconciliari, cioè i Consigli pastorali a tutti i livelli.

Vorrei aggiungere qui che con gioia vedo la nascita di nuove forme di raggruppamenti. Nelle sue lettere, l'apostolo Paolo non cessava di affermare la pluralità dei doni dello Spirito nella Chiesa. E questo vale anche per tutti i momenti della storia della Chiesa. In ciascuna epoca, lo Spirito di Dio manifesta la sua presenza nel Popolo di Dio in un modo che contribuisce alla crescita del Corpo di Cristo. La nostra fedeltà verso lo Spirito Santo deve dunque condurci ad accogliere, con il discernimento richiesto e soprattutto con simpatia, questi movimenti nuovi, quelli che sono già sorti, così come quelli che potranno nascere.


8. Non ho potuto sviluppare tutti gli aspetti che concernono i vostri lavori. Ma è con grande interesse che prendero conoscenza delle conclusioni della vostra Assemblea.

Di tutto cuore, vi do la mia benedizione apostolica, domandando al Signore che il suo Spirito vi doni la sua luce, affinché le vostre riflessioni e i vostri orientamenti portino molto frutto.

E per i laici aggiungo un'ultima parola: vi affido il compito di trasmettere i miei saluti e la mia benedizione ai membri delle vostre famiglie - ai vostri sposi e spose, a tutti i bambini - che cooperano in un certo senso al lavoro di questo Consiglio pontificio, accompagnandovi con la loro preghiera e attraverso il lavoro supplementare che essi devono compiere a casa per il fatto che voi siete trattenuti dal vostro impegno.




1982-10-12 Data estesa: Martedi 12 Ottobre 1982




Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La perdita del sacramento originale reintegrata con la redenzione del matrimonio-sacramento

Testo:


1. Nella nostra precedente considerazione abbiamo cercato di approfondire - alla luce della lettera agli Efesini - il "principio" sacramentale dell'uomo e del matrimonio nello stato della giustizia (o innocenza) originaria.

E' noto, tuttavia, che l'eredità della grazia è stata respinta dal cuore umano al momento della rottura della prima alleanza con il Creatore. La prospettiva della procreazione, invece di essere illuminata dall'eredità della grazia originaria, donata da Dio non appena infusa l'anima razionale, è stata offuscata dalla eredità del peccato originale. Si può dire che il matrimonio, come sacramento primordiale, è stato privato di quella efficacia soprannaturale, che, al momento della istituzione, attingeva al sacramento della creazione nella sua globalità. Nondimeno, anche in questo stato, cioè nello stato della peccaminosità ereditaria dell'uomo, il matrimonio non cesso mai di essere la figura di quel sacramento, di cui leggiamo nella lettera agli Efesini (5,22-33) e che l'Autore della medesima lettera non esita a definire "grande mistero". Non possiamo forse desumere che il matrimonio sia rimasto quale piattaforma dell'attuazione degli eterni disegni di Dio, secondo i quali il sacramento della creazione aveva avvicinato gli uomini e li aveva preparati al sacramento della Redenzione, introducendoli nella dimensione dell'opera della salvezza? L'analisi della lettera agli Efesini, e in particolare del "classico" testo del capo 5, versetti 22-33, sembra propendere per una tale conclusione.


2. Quando l'Autore, al versetto 31, fa riferimento alle parole dell'istituzione del matrimonio, contenute nella Genesi (2, 24: "Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne"), e subito dopo dichiara: "Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa" (v. 32), sembra indicare non soltanto l'identità del Mistero nascosto in Dio dall'eternità, ma anche quella continuità della sua attuazione che esiste tra il sacramento primordiale connesso alla gratificazione soprannaturale dell'uomo nella creazione stessa e la nuova gratificazione - avvenuta quando "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa..." (v. 25-26) - gratificazione che può essere definita nel suo insieme quale Sacramento della Redenzione. In questo dono redentore di se stesso "per" la Chiesa, è anche racchiuso - secondo il pensiero paolino - il dono di sé da parte di Cristo alla Chiesa, ad immagine del rapporto sponsale che unisce marito e moglie nel matrimonio. In tal modo il Sacramento della Redenzione riveste, in certo senso, la figura e la forma del sacramento primordiale. Al matrimonio del primo marito e della prima moglie, quale segno della gratificazione soprannaturale dell'uomo nel sacramento della creazione, corrisponde lo sposalizio, o piuttosto l'analogia dello sposalizio, di Cristo con la Chiesa, quale fondamentale "grande" segno della gratificazione soprannaturale dell'uomo nel Sacramento della Redenzione, della gratificazione, in cui si rinnova, in modo definitivo, l'alleanza della grazia di elezione, infranta al "principio" con il peccato.


3. L'immagine contenuta nel passo citato della lettera agli Efesini sembra parlare soprattutto del Sacramento della Redenzione come della definitiva attuazione del Mistero nascosto dall'eternità in Dio. In questo "mysterium magnum" si realizza appunto definitivamente tutto ciò, di cui la medesima lettera agli Efesini aveva trattato nel capitolo 1. Essa infatti dice, come ricordiamo, non soltanto: "In lui (cioè in Cristo) [Dio] ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto..." (1,4), ma anche: "Nel quale [Cristo] abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l'ha abbondantemente riversata su di noi..." (1,7-8). La nuova gratificazione soprannaturale dell'uomo nel "Sacramento della Redenzione" è anche una nuova attuazione del Mistero nascosto dall'eternità in Dio, nuova in rapporto al sacramento della creazione. In questo momento la gratificazione è, in certo senso, una "nuova creazione". Si differenzia pero dal sacramento della creazione in quanto la gratificazione originaria, unita alla creazione dell'uomo, costituiva quell'uomo "dal principio", mediante la grazia, nello stato della originaria innocenza e giustizia. La nuova gratificazione dell'uomo nel Sacramento della Redenzione gli dona invece soprattutto la "remissione dei peccati". Tuttavia, anche qui può "sovrabbondare la grazia", come altrove si esprime san Paolo: "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (Rm 5,20).


4. Il Sacramento della Redenzione - frutto dell'amore redentore di Cristo - diviene, in base al suo amore sponsale verso la Chiesa, una permanente dimensione della vita della Chiesa stessa, dimensione fondamentale e vivificante. E' il "mysterium magnum" di Cristo e della Chiesa: mistero eterno realizzato da Cristo, il quale "ha dato se stesso per lei" (Ep 5,25); mistero che si attua continuamente nella Chiesa, perché Cristo "ha amato la Chiesa" (v. 25), unendosi con essa con amore indissolubile, così come si uniscono gli sposi, marito e moglie, nel matrimonio. In questo modo la Chiesa vive del Sacramento della Redenzione, e a sua volta completa questo sacramento come la moglie, in virtù dell'amore sponsale, completa il proprio marito, il che venne in certo modo già posto in rilievo "al principio", quando il primo uomo trovo nella prima donna "un aiuto che gli era simile" (Gn 2,20). Sebbene l'analogia della lettera agli Efesini non lo precisi, possiamo tuttavia aggiungere che anche la Chiesa unita con Cristo, come la moglie col proprio marito, attinge dal Sacramento della Redenzione tutta la sua fecondità e maternità spirituale. Ne testimoniano, in qualche modo, le parole della lettera di san Pietro, quando scrive che siamo stati "rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna" (1P 1,23).

Così il Mistero nascosto dall'eternità in Dio - Mistero che al "principio", nel sacramento della creazione, divenne una realtà visibile attraverso l'unione del primo uomo e della prima donna nella prospettiva del matrimonio - diventa nel Sacramento della Redenzione una realtà visibile nell'unione indissolubile di Cristo con la Chiesa, che l'Autore della lettera agli Efesini presenta come l'unione sponsale dei coniugi, marito e moglie.


5. Il "sacramentum magnum" (il testo greco dice: to mysterion toûto méga estin) della lettera agli Efesini parla della nuova realizzazione del Mistero nascosto dall'eternità in Dio; realizzazione definitiva dal punto di vista della storia terrena della salvezza. Parla inoltre del "renderlo [il mistero] visibile": della visibilità dell'Invisibile. Questa visibilità non fa si che il mistero cessi d'esser mistero. Ciò si riferiva al matrimonio costituito al "principio", nello stato dell'innocenza originaria, nel contesto del sacramento della creazione. Ciò si riferisce anche all'unione di Cristo con la Chiesa, quale "mistero grande" del Sacramento della Redenzione. La visibilità dell'Invisibile non significa - se così si può dire - una totale chiarezza del mistero. Esso, come oggetto della fede, rimane velato anche attraverso ciò in cui appunto si esprime e si attua. La visibilità dell'Invisibile appartiene quindi all'ordine dei segni, e il "segno" indica soltanto la realtà del mistero, ma non la "svela". Come il "primo Adamo" - l'uomo, maschio e femmina - creato nello stato dell'innocenza originaria e chiamato in questo stato all'unione coniugale (in questo senso parliamo del sacramento della creazione), fu segno dell'eterno Mistero, così il "secondo Adamo", Cristo, unito con la Chiesa attraverso il Sacramento della Redenzione con un vincolo indissolubile, analogo all'indissolubile alleanza dei coniugi, è segno definitivo dello stesso Mistero eterno. Parlando dunque del realizzarsi dell'eterno mistero, parliamo anche del fatto che esso diventa visibile con la visibilità del segno. E perciò parliamo pure della "sacramentalità" di tutta l'eredità del Sacramento della Redenzione, in riferimento all'intera opera della Creazione e della Redenzione, e tanto più in riferimento al matrimonio istituito nel contesto del sacramento della creazione, come anche in riferimento alla Chiesa come sposa di Cristo, dotata di un'alleanza quasi coniugale con lui.

[Omissis. Seguono i saluti in altre lingue: francese, inglese, tedesca, olandese, spagnola, portoghese] Ad un gruppo di pellegrini ungheresi Un saluto particolare ad un gruppo di pellegrini ungheresi provenienti dalla diocesi di Veszprém, guidati dal loro parroco.

Saluto con affetto i pellegrini della diocesi di Veszprém. La mia benedizione apostolica ai cattolici ungheresi! La preghiera alla Madonna di Jasna Gora.

Madre di Jasna Gora! Desidero oggi in modo particolare, renderti grazie per il giorno della canonizzazione di san Massimiliano Maria Kolbe, renderti grazie per domenica scorsa.

"Gaude Mater Polonia / prole fecunda nobili".

Queste parole che da secoli sono state riferite a san Stanislao, primo santo polacco canonizzato, conviene oggi riferirle all'ultimo: san Massimiliano.

Rallegrati, madre-Polonia dinanzi alla Madre di Jasna Gora! Rallegrati, terra natale del tuo nuovo figlio elevato alla gloria degli altari.

Rallegrati come una volta hai gioito per Stanislao, così come, dopo di lui, ti sei rallegrata degli altri figli della Polonia sui quali è stata posata l'aureola dei santi.

Stanislao ha riportato la vittoria sotto la spada, Massimiliano mediante il bunker della fame.

In ogni epoca è difficile la vittoria del bene. Ma in ogni epoca il bene vince.

Lo dico dinanzi alla Signora di Jasna Gora e lo dico a voi, Connazionali, che, nel corso degli ultimi anni, avete fatto un grande sforzo verso il bene; verso il bene comune.

Accogliete come patrono dei nostri tempi difficili Massimiliano Maria, il santo in casacca a righe martire del bunker della fame.

La Signora di Jasna Gora accolga in gloria il Milite dell'Immacolata.

Ad alcuni gruppi italiani Sono lieto di salutare il numeroso pellegrinaggio del Movimento per la terza età, della diocesi di Prato, guidato dal Vescovo, Monsignor Pietro Fiordelli.

Mi compiaccio della vostra presenza, che è segno di fede e di amore per la Chiesa. Mentre vi esorto a vivere con profondo spirito cristiano questa stagione della vostra vita, amo auspicare che la società si renda sempre più sensibile ai vostri problemi e più pronta a risolverli. Da parte mia vi assicuro che potete sempre contare sull'affetto del Papa e sul suo interessamento per voi.

Per questo vi benedico di cuore.

Desidero ora rivolgere un particolare saluto ai giovani. In questi giorni in cui atti di violenza e di odio opprimono i nostri cuori, voglio ricordarvi la necessità che - sull'esempio di san Massimiliano Kolbe - siate i primi testimoni della bellezza e della forza sempre vincente dell'amore cristiano, dimostrato, se necessario, fino al sacrificio supremo.

Il mio pensiero va, inoltre, agli ammalati. Per voi e per tutti questo mese di ottobre sia un richiamo alla recita quotidiana del santo Rosario, quale invocazione privilegiata alla beata Vergine. Lei, Madre di Dio e Madre nostra, non mancherà certo di presentare le vostre sommesse invocazioni e i vostri affanni a Colui che è il solo sollievo e ristoro, nelle tribolazioni della vita.

Voglio infine ricordare gli Sposi novelli, venuti a Roma per iniziare il loro cammino sulle memorie del Principe degli Apostoli, al centro della Cattolicità. Con le parole del Concilio Vaticano II, iniziato 20 anni orsono, esprimo l'augurio che il Signore abbia sempre un posto privilegiato nella vostra famiglia, la quale deve essere come una piccola Chiesa aperta e inserita profondamente nella vita della grande comunità ecclesiale, di cui siete parte insostituibile.

In pegno di questi auspici, a tutti imparto di cuore la propiziatrice benedizione apostolica.




1982-10-13 Data estesa: Mercoledi 13 Ottobre 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Ai pellegrini polacchi giunti a Roma per la canonizzazione di padre Kolbe - Città del Vaticano (Roma)