GPII 1982 Insegnamenti - Messaggio televisivo alla Spagna nella festa di santa Teresa d'Avila

Messaggio televisivo alla Spagna nella festa di santa Teresa d'Avila

Titolo: Teresa protegga la mia visita in Spagna

Testo:

Cari figli di Spagna.

Ricorre oggi il quattrocentesimo anniversario del passaggio di santa Teresa di Gesù dalla terra al cielo, dopo una vita piuttosto lunga per quei tempi; quantunque ella, con la sua abituale arguzia, la paragonasse ad una notte in una cattiva locanda.

Ho seguito con interesse e attenzione le celebrazioni di questo Centenario. Sapete che avevo programmato di realizzare la mia desiderata visita in Spagna in occasione della festa di apertura, il 15 ottobre dell'anno scorso. I noti avvenimenti mi hanno obbligato a rimandare il viaggio, che con l'aiuto di Dio avrà luogo molto presto. Così potro concludere solennemente il Centenario teresiano ad Avila e ad Alba de Tormes, il 1° novembre prossimo.

Non poteva passare questa importante festa senza che io vi inviassi le mie particolari felicitazioni e l'attestazione del mio ricordo. Perché Teresa di Gesù rappresenta, per la Chiesa e per l'eredità culturale dell'umanità, una figura culminante. Ella uni la santità con le vette più alte della teologia mistica. La qualità delle sue opere letterarie, la finezza del suo stile, la sua singolare testimonianza spirituale, e l'attrattiva della sua figura di donna dotata di una grande intelligenza, la sua squisita sensibilità e il suo realismo, sono un luminoso esempio, che colma di consolazione, e che ci è di stimolo grazie al suo messaggio così pieno di significato e valido per la nostra epoca.

La traiettoria biografica di Teresa si inserisce in uno dei momenti più brillanti della storia ecclesiale e civile della Spagna, che ne costituisce il Secolo d'Oro. Teresa di Gesù desidero partecipare attivamente alla formidabile impresa evangelizzatrice dell'America recentemente scoperta. Nella sua condizione di donna, ella decise di fare tutto il possibile, di "fare quel poco che le era possibile". Condotta da un destino provvidenziale, con la sua opera di riformatrice e di fondatrice di monasteri, ha posto in primo piano gli orizzonti dello spirito.

Di fronte alla rivoluzione culturale del Rinascimento, la cui radice ultima consisteva nella sostituzione dell'idea di Dio con quella dell'uomo come misura e luce della creazione; quando il nuovo ritmo del pensiero minacciava di desacralizzare l'esistenza e trascurare i valori divini, Teresa di Gesù intraprende il cammino dell'interiorità. Così avanza prodigiosamente attraverso le stazioni del suo castello personale, fino a giungere al centro, dove risiede Dio.

Così giunge al punto più profondo, più vero dell'uomo: la presenza attiva e misericordiosa di Dio in lui. Da questa prospettiva, insieme umana e sacra, Teresa giustifica e difende la libertà, esorta alla giustizia, invita alla pratica integrale dell'amore.

I suoi meravigliosi insegnamenti si collegano perfettamente con gli aneliti del nostro secolo. Io stesso l'ho potuto sperimentare quando nelle difficili circostanze dei miei anni giovanili mi avvicinai al magistero di Teresa e di Giovanni della Croce. E non è meno meraviglioso che tale avventura si sia compiuta in una donna afflitta da infermità, sempre allegra, nemica della falsità, semplice, integra.

Amato popolo di Spagna, concludo questo messaggio sottolineando un atteggiamento di santa Teresa: la sua fedeltà alla Chiesa, nel cui seno ella visse e mori. Già da ora pongo la mia visita sotto la protezione di santa Teresa di Gesù. Insieme ad ella vi dico: fatevi coraggio, vivete la speranza, siate fedeli alla vostra fede. Tienti pronta, o Spagna, terra di santi, terra di Teresa! Ti benedico con tutta l'anima, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.




1982-10-15 Data estesa: Venerdi 15 Ottobre 1982




Telegramma al segretario generale della FAO

Testo:

In occasione della celebrazione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione 1982, desidero esprimere il mio pieno e cordiale appoggio alla Organizzazione Internazionale per l'Agricoltura (FAO) nei suoi instancabili sforzi per alleviare la fame e la malnutrizione.

La lotta per curare questi mali che affliggono profondamente un immenso numero di nostri fratelli e sorelle, merita l'attiva solidarietà di tutte le Nazioni e di tutti gli uomini e donne di buona volontà.

Auspico che l'attenzione del mondo sia ancora una volta rivolta alla urgenza di nutrire tutti i membri della famiglia umana.

Mentre esprimo la mia lode a tutti coloro che operano con perseveranza per migliorare la disponibilità dei prodotti alimentari e per aiutare i lavoratori della terra, delle foreste e della pesca nel loro vitale compito di servizio dell'umanità, offro l'instancabile sostegno della Chiesa Cattolica e il pieno incoraggiamento della Santa Sede.

Chiedo a Dio Misericordioso di sostenere la FAO nel far fronte efficacemente a questa continua sfida.




1982-10-16 Data estesa: Sabato 16 Ottobre 1982




A gruppi di lavoratori degli Stati Uniti d'America - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Valore del lavoro e dignità dei lavoratori

Testo:

Cari amici.


1. Sono lieto di avere questa occasione di darvi il benvenuto quali membri dell'Associazione Portuali di New York e dell'Associazione Internazionale degli Scaricatori di Porto. Attraverso di voi indirizzo il mio saluto anche ai lavoratori della AFL-CIO e dell'Associazione Internazionale Lavoratori del Trasporto. E aggiungo che in questo momento il mio pensiero si rivolge a tutti i lavoratori d'America.


2. La vostra visita al Papa questa mattina è un'opportunità per noi di riflettere insieme, anche se brevemente, su un importante problema che tocca le vostre vite, e le vite di milioni di uomini e di donne di tutto il mondo, ed è questo: il valore del lavoro e la dignità dei lavoratori.

La Sede Apostolica e l'intera Chiesa Cattolica in tutto il mondo fanno esperienza della necessità di ripetere questo messaggio al fine di essere fedeli a Gesù Cristo e all'umanità. Il lavoro è partecipazione dell'uomo all'opera creatrice di Dio; in una forma o nell'altra esso costituisce il compito di tutti gli uomini e le donne. Tutti sono chiamati a comprendere il significato del lavoro nella loro vita e a vedere come esso sia in relazione al bene comune di tutta la società. Nel proclamare il significato del lavoro e del suo valore, la Chiesa deve necessariamente insistere sui diritti dei lavoratori: diritti che sono dati loro da Dio e appartengono alla natura dell'uomo e che la societa è chiamata a proteggere e a favorire - mai a violare, o tanto meno, a tentare di negare.

I diritti dei lavoratori sono i diritti della persona umana, che nessun potere umano può impunemente trasgredire. Si tratta di diritti inalienabili e di libertà legittime. Nove anni fa il mio predecessore Paolo VI così si espresse a questo proposito: "Fintantoché nell'ambito delle singole comunità nazionali, coloro che detengono il potere non rispettano nobilmente i diritti e le legittime libertà dei cittadini, la tranquillità e l'ordine (anche se possono essere mantenuti con la forza) non sono che una simulazione ingannevole e instabile, indegna di una società di esseri civilizzati" ("Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali", 21 dicembre 1973: "Insegnamenti" XI [1973] 1227).


3. Insieme alla proclamazione dei diritti dei lavoratori, la Chiesa proclama anche i loro doveri: attraverso un onesto lavoro, i lavoratori sono chiamati a contribuire al benessere della società e a quello di tutta l'umanità. Sia i diritti che i doveri dei lavoratori costituiscono una grande opportunità di servizio al mondo. E' attraverso il lavoro che l'umanità dell'uomo si realizza; è attraverso adeguate condizioni di lavoro che la vita diviene più umana per gli individui e le società. Per questa ragione, io ho sottolineato nell'enciclica dedicata a questo problema che il lavoro umano è una chiave per comprendere l'intera questione sociale "probabilmente la chiave essenziale" (LE 3).


4. In questo importante momento nella storia dei lavoratori del mondo, è necessario sottolineare la "necessità di sempre nuovi movimenti di solidarietà dei lavoratori e con i lavoratori" (LE 8). Voi stessi sentite questa solidarietà con i lavoratori del mio paese natale, la Polonia, e io ve ne sono grato. La forza della vostra solidarietà ad una causa giusta, costituisce un contributo immenso alla dignità umana dei lavoratori di tutto il mondo. Si tratta di ottenere le libertà fondamentali, che possono svilupparsi solo, come dite voi in America, "in un clima di libertà e di giustizia per tutti".

Da parte sua, la Chiesa Cattolica continuerà a proclamare il valore del lavoro; essa lavorerà e si adopererà per questa causa. Ma, soprattutto, proclamerà la dignità dei lavoratori. E la Chiesa continuerà a pregare, perché questo è il suo contributo più efficace - il contributo più efficace di tutti noi.

E nello svolgimento delle vostre attività, possiate anche innalzare i vostri cuori a Dio, il Creatore dell'uomo, e continuare a chiedere libertà e giustizia per tutti.




1982-10-16 Data estesa: Sabato 16 Ottobre 1982




Ai partecipanti al concorso "Veritas" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La verità si identifica con la persona vivente di Cristo

Testo:

Carissimi giovani, figli e figlie dilettissimi! Questo incontro mi riempie particolarmente di gioia, perché vedo in voi, vincitori dell'Annuale Concorso "Veritas" nelle Scuole Secondarie Superiori d'Italia, studenti sensibili alla problematica religiosa e vibranti per la realtà della vita della Chiesa. Abbiate, perciò, il mio più caro saluto, che si rivolge anche ai benemeriti Insegnanti di Religione che vi accompagnano.

So che il tema da voi trattato lo scorso anno scolastico è stato: "La verità che fa liberi". E certamente tutti voi l'avete svolto egregiamente, come dimostra il premio ricevuto. Ma vorrei augurare a me e a voi che esso non sia stato soltanto un esercizio scolastico, bensi che sia penetrato nel profondo della vostra mente e del vostro cuore a determinare convinzioni intime e incrollabili.

L'apostolo Paolo ha scritto in una delle sue lettere: "Non abbiamo alcun potere contro la verità, ma per la verità" (2Co 13,8). Ecco ciò che importa riconoscere e confessare: la verità è sempre superiore a tutti noi, e noi siamo posti al suo servizio. Un tale atteggiamento interiore è forse il più importante tra quelli che favoriscono la maturità di una persona, e rende l'uomo sicuro e insieme umile, deciso e insieme comprensivo, temprando un carattere forte, generoso e libero. Infatti, servire la verità distoglie da ogni asservimento umiliante o interessato, poiché essa è sempre al di sopra delle faziosità e al di là dei soprusi. Certamente, voi stessi lo sapete o almeno lo intuite. La verità è come uno specchio tersissimo, un cielo azzurro intenso, un'acqua limpidissima.

Essa è il contrario di ogni inquinamento, di ogni ingiustizia, di ogni meschinità.

E come non essere sedotti da un simile ideale? Come non lasciarsi afferrare dalla verità e dedicarle tutta la nostra vita? Siate cultori della verità, sempre e dovunque! Ma che cos'è la verità? Questa domanda, che già Pilato pose a Gesù (cfr. Jn 18,38), riceve la risposta dalle parole di Gesù stesso, quando dice: "Io sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,6). Per il cristiano, dunque, la verità non è tanto un'astrazione, qualcosa di intellettualistico, e nemmeno un'idea platonica, ma si identifica con la persona vivente di Gesù Cristo, che ci ha rivelato la volontà di Dio e il suo progetto di salvezza. In lui ogni parziale verità si compie e si compone in unità, e la verità diventa davvero "luce del mondo" (Jn 9,5). Ecco perché essa ci "fa liberi" (Jn 8,32): perché ci strappa alle nostre grettezze, illumina le nostre ottusità, ci redime dai nostri peccati.

Carissimi, per tutto ciò amo ripetere a voi le parole dell'apostolo Giovanni: "Non ho gioia più grande di questa, sapere che i miei figli camminano nella verità" (3Jn 4). Voi conoscete la predilezione che ho per i giovani. Ebbene, uno dei suoi motivi è il fatto che i giovani hanno più degli altri il senso della verità, cioè dell'autenticità. Per questo siete fonte della mia gioia e della mia speranza. Sappiate, perciò, che il Papa vi incoraggia, vi segue, vi ama. Portate anche ai vostri amici, ai vostri compagni, questa assicurazione. E a conclusione del nostro incontro, sono lieto di impartire a tutti voi la mia benedizione apostolica, che estendo di cuore ai vostri Familiari e ai vostri Insegnanti.




1982-10-16 Data estesa: Sabato 16 Ottobre 1982




Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: San Massimiliano Kolbe modello del sacerdote moderno

Testo:


1. Anche oggi desideriamo venerare il Mistero dell'Incarnazione del Verbo con le parole di san Massimiliano Kolbe: "Dio vede la più perfetta creatura, l'Immacolata (piena di grazia), la ama e così nasce Gesù, Uomo-Dio, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo. In lei, poi, hanno inizio i gradi di somiglianza dei figli di Dio e degli uomini, delle membra di Gesù" ("Scritti", III, p. 678s).


2. Ho voluto esprimermi con le parole di Padre Kolbe perché l'odierna domenica, che cade il 17 ottobre, ci riporta col pensiero al 17 ottobre 1971, giorno in cui si svolse il solenne rito della sua beatificazione. Si teneva in quel periodo la Seconda Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, che aveva per tema: "Il sacerdozio ministeriale e la giustizia nel mondo". Paolo VI parlando in un'Udienza di quei giorni del Sinodo, ricordava la grandezza del sacerdozio cattolico e, quasi tracciando il ritratto del Padre Kolbe che si apprestava a dichiarare "beato", osservava: "Se il sacerdote è l'uomo di Dio, è un "altro Cristo", è segno che un influsso di grazia è passato nella storia della sua vita: egli è stato un chiamato, un eletto, un preferito della misericordia del Signore. Egli lo ha amato in modo particolare; egli lo ha segnato con un carattere speciale, lo ha così abilitato all'esercizio di potestà divine; egli lo ha innamorato di sé, al punto di maturare in lui l'atto di amore più pieno e più grande di cui il cuore umano sia capace: l'oblazione totale, perpetua, felice di sé... Egli ha avuto il coraggio di fare della sua vita un'offerta, proprio come Gesù, per gli altri, per tutti, per noi" ("Discorso", 13 ottobre 1971: "Insegnamenti", IX [1971] 862-863).

Parole grandi, vere e sublimi, che sono la sintesi dottrinale e pastorale degli atti del Sinodo, tanto importante e sempre valido.


3. Ricordo che il Cardinale Duval, Presidente del Sinodo, nel suo indirizzo di omaggio al Papa, menzionando la beatificazione di Padre Massimiliano Kolbe, diceva: "La sua testimonianza è vivissima e luminosa: - Sono un sacerdote cattolico - disse in quel campo di concentramento. Nessun sacerdote dubita della propria identità quando si tratta di sacrificarsi per i fratelli. L'esempio di Padre Kolbe ha insegnato più di tutti i nostri lavori". Anche il compianto Cardinale Wyszynski, Primate di Polonia, rilevava allora che la Provvidenza aveva additato in Padre Kolbe il modello del sacerdote moderno: "Il Sacerdote che offre la sua vita nel "Bunker" della fame per il suo fratello prigioniero è quel sacerdote-esempio che sceglie la morte per salvare la vita di un altro uomo. Egli è discepolo fedele di Cristo, perché il Sacerdozio di Cristo, continuandosi in eterno, si attualizza anche oggi" (Discorso durante l'incontro dei pellegrini polacchi con il Papa, 18 ottobre 1971).


4. Voglio oggi manifestare il mio vivo desiderio che questo legame tra san Massimiliano e la vocazione, la vita e il servizio dei sacerdoti, messo in evidenza da Paolo VI e dal Sinodo dei Vescovi, si rinnovi e si consolidi ancor più dopo la sua canonizzazione.

Preghiamo con questa intenzione recitando "l'Angelus".

Ai pellegrini emiliani Saluto cordialmente il gruppo dei Lavoratori della terra di Albinéa, in provincia di Reggio Emilia, i quali, nel corso della loro visita a Roma, hanno anche voluto ricordare questa mattina, nella vetusta Basilica di san Giorgio in Velabro, i Cardinali reggiani Giovanni Mercati e Sergio Pignedoli, che ebbero come Titolo quella Chiesa. Carissimi fate sempre onore alle vostre tradizioni civiche e cristiane! Con questo augurio benedico voi, i vostri Cari il vostro lavoro generoso.

Ai parrocchiani di Marotta Saluto poi gli aderenti all'Associazione Apostolato della Preghiera della parrocchia di Marotta, in diocesi di Fano.

Li incoraggio nel loro impegno e di cuore li benedico invocando su di loro l'assistenza divina.

Ai seminaristi e agli studenti degli Atenei ecclesiastici Oggi desidero raccomandare alle preghiere di tutti voi, qui presenti in piazza san Pietro, i seminaristi e tutti gli alunni degli Atenei ecclesiastici di Roma, che iniziano i loro corsi accademici. Martedi, 19 ottobre, celebrero per loro la santa Messa nella Basilica di san Pietro, in occasione appunto dell'inaugurazione del nuovo anno. Invito tutti ad accompagnare questo avvenimento con voti cordiali, affidando quei carissimi giovani, durante il periodo tanto importante della loro formazione culturale e spirituale, alla protezione e alla guida di Maria santissima, "Sedes Sapientiae"!




1982-10-17 Data estesa: Domenica 17 Ottobre 1982




L'omelia durante la concelebrazione al collegio di san Pietro apostolo - Roma

Titolo: Rispondiamo alla vocazione missionaria in spirito di servizio e di obbedienza

Testo:


1. "Il Figlio dell'Uomo... non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45): questo versetto conclusivo del brano evangelico della domenica odierna, letto or ora, ci suggerisce il criterio fondamentale per comprendere la vera natura della vocazione missionaria, e ci è di aiuto per una conveniente preparazione alla Giornata Mondiale delle Missioni, che la Chiesa celebrerà domenica prossima. E mi è particolarmente grato soffermarmi su tale argomento proprio in questo Collegio di san Pietro apostolo, insieme con voi, cari Studenti, che vi preparate ad essere domani nelle vostre terre araldi del Vangelo. Vi saluto ad uno ad uno ed il mio pensiero va anche ai Paesi dai quali provenite e che sono tanto cari al mio cuore.

Il suddetto criterio è quello del "servizio", così come Gesù lo ha vissuto ed insegnato. Falseremmo il senso cristiano di "missione", se non lo illuminassimo di questa luce, se non vedessimo la missione come "servizio". Questo criterio dà alla missione la sua soprannaturale verità ed efficacia. Chi è infatti il servitore se non colui che è chiamato dal Superiore, e che, per obbedienza a lui, accetta l'incarico affidatogli? Ebbene, il Superiore che il Missionario deve servire e dal quale è chiamato è Dio stesso; ed il "servizio" che il Missionario deve compiere è quello di annunciare la Parola di Dio al mondo. E per qual fine? Per la gloria di Dio e la salvezza dei fratelli, creati ad immagine di Dio, e amati per amore di Dio.


2. Se tale è la vocazione missionaria, sarà opportuno allora riflettere su taluni suoi aspetti strettamente legati al concetto evangelico del "servizio".

La virtù primaria del servitore evangelico è l'obbedienza. La missione, infatti, che è incarico divino e soprannaturale, presuppone una vocazione dall'Alto; e non si può dare risposta concreta a tale chiamata divina senza uno spirito di soprannaturale obbedienza, senza una disponibilità generosa alla voce di Dio che ci chiama per inviarci nel mondo.

Quale dovrà essere l'obbedienza del Missionario? Essa coinvolge le sue facoltà più preziose: intelletto e volontà.

Dev'essere quindi innanzitutto obbedienza dell'intelletto a Cristo-Verità, e conseguentemente, adesione pratica della volontà: riprodurre in noi, nello Spirito, la vita stessa di Cristo, servo obbediente del Padre e primo Annunciatore della sua Parola, perché egli stesso è la Parola del Padre.

Obbedire alla verità è la virtù primaria del Missionario. E non è sempre facile. Occorrono infatti quell'equilibrio e quell'onestà intellettuali che soli consentono di accettare con franchezza e coraggio la Verità conosciuta con certezza, evitando pretesti o sotterfugi che indulgano al relativismo o al soggettivismo. E d'altra parte, è necessaria anche quell'umiltà che ci evita di dare o presentare per certo ciò che non lo è.

La Verità cristiana da annunciare al mondo è in se stessa assolutamente certa, universale, intangibile, perché proveniente da Dio eterno, fedele, immutabile. Occorre quindi che, il Missionario, con vero spirito di fede, faccia sua questa certezza, senza attribuire i propri dubbi alla Parola di Dio, ed al tempo stesso, senza voler dare alle proprie labili opinioni umane quel grado di certezza, che solo tale divina Parola può avere.

Annunciare Cristo non è né può essere, come alcuni male interpretano, un erigersi altèro a maestri, ponendosi su di un gradino superiore agli altri, ma al contrario suppone l'umiltà di accettare e quindi comunicare una dottrina che non è nostra, ma di Dio, considerandosi servitori e debitori agli altri di questa medesima dottrina.

Essere missionari significa "sentirsi" inviati da Dio perché realmente chiamati in forza di segni certi e oggettivi derivanti dall'ascolto interiore della voce divina, ed accreditati dall'approvazione e dal mandato esplicito della Chiesa, che si esprime nei suoi legittimi Pastori. Soltanto questo rende il Missionario un autentico servitore della divina misericordia.

Ritenere poi - come deve fare il Missionario - di essere in possesso di una dottrina divina ed infallibile qual è quella di Cristo, non è di per sé, come alcuni pensano, un atto di presunzione, ma umile coscienza, certa e comprovata, di aver ricevuto a propria volta tale dottrina, nella sua interezza ed autenticità, dal Magistero vivo della Chiesa, a cui Cristo invia incessantemente il suo Spirito di Verità.


3. Un secondo punto sul quale facciamo bene a concentrare l'attenzione, è quello riguardante la natura specifica del servizio da compiere. Esso consiste nell'annunciare - come ho detto - la Parola di Dio. Ora è chiaro che il servitore dev'essere capace di eseguire il compito che gli è stato affidato. Ma annunciare la Parola di Dio è compito che oltrepassa le forze naturali dell'uomo: è compito soprannaturale. Il messaggio cristiano, per la sua origine, per il suo contenuto, per il suo fine, per i modi ed i mezzi della sua trasmissione, trascende essenzialmente anche i più elevati messaggi umanitari o culturali, improntati ad una semplice religiosità naturale. Il messaggio cristiano, per la sua divina nobiltà, richiede in chi lo comunica e in chi lo riceve, un supplemento, per così dire, d'intelligenza: l'"intellectus fidei", tale da proporzionare il linguaggio di chi parla e l'udito di chi ascolta alla dignità del suo contenuto. In questo senso, san Paolo parla di un "linguaggio spirituale" fatto per gli "uomini spirituali" (cfr. 1Co 2).

Non dimentichiamoci mai, dunque, cari fratelli, dell'elevatezza del dono che il Missionario fa al mondo. E' necessario che il Missionario coltivi la viva coscienza della preziosità di esso, con gratitudine a Dio che glielo ha affidato, e con la volontà di mantenersi sempre con Dio in quella intima comunione di carità e di filiale obbedienza, che gli consentono di trovare i mezzi adatti per trasmetterlo efficacemente al mondo.

Solo conservando questo atteggiamento di gratitudine, di filiale disponibilità e di obbedienza al Padre, mediante la spirituale comunione con Cristo e la sua Chiesa, il Missionario sarà in grado di conservare pura nel suo cuore la grandezza del messaggio ricevuto, senza avvilirlo o diluirlo nella precarietà delle ideologie terrene, senza farne uno strumento dell'orgoglio o del potere mondano, senza pensare di poterlo diffondere con altri mezzi che non siano quelli evangelici della povertà, della mitezza, del sacrificio, della testimonianza, della preghiera, nella virtù e nella potenza dello Spirito.


4. Un'ultima considerazione nasce dal concetto di missione come servizio: ciò che fa il servitore, per chi lo fa? Non per se stesso, ma per i fini del Superiore.

Così il Missionario: egli non lavora per se stesso, ma per il Regno di Dio e la sua giustizia. Abbiamo anche qui un richiamo che va al di là delle prospettive semplicemente terrene od umane. Non si tratta di "prender consiglio dalla carne e dal sangue" (cfr. Ga 1,16), ma di ascoltare, nell'intimo del proprio cuore, il "mormorio" di quell'"acqua", della quale già parlo il grande Vescovo-martire sant'Ignazio di Antiochia: quell'acqua limpida e pura della fede e della carità, che gli diceva: "Vieni al Padre, offri la tua vita per Dio e per i fratelli" ("Lettera ai Romani", cap. 6, 1-8, 3: Funk, I, 217-223).

Il buon servitore dimentica se stesso ed i propri interessi per eseguire il compito assegnato. Anche il servitore del Vangelo si comporterà allo stesso modo. Siccome pero questo sacrificio va al di là delle forze e delle ragioni dell'umana sapienza, il Missionario, nel dire il suo "si" incondizionato al Padre che lo invia nel mondo, confida con sempre rinnovata tranquillità solamente nel soccorso divino che gli verrà concesso soprattutto nel momento della prova, che potrebbe assurgere anche nella vetta del martirio.

E quando, nell'ora più angosciosa della sofferta testimonianza, sembra al Missionario che tutto sia perduto, proprio in quel momento la luce della fede gli fa comprendere che, unito a Gesù crocifisso, e totalmente affidato alla misericordia del Padre, egli contribuisce a diffondere la luce divina in modo molto più efficace di quanto non avrebbe potuto ottenere mediante i mezzi umani, anche i più efficienti. Non che tali mezzi non siano utili alle missioni, anzi sono benedetti; e c'è da auspicarne un continuo incremento; ma sono solo strumenti da utilizzare secondo i piani di Dio e le esigenze pastorali del suo Regno.

Cari sacerdoti, ho voluto riflettere con voi su queste verità evangeliche, reso anch'io consapevole dell'impegno missionario proprio del successore di Pietro, al quale - come si esprime il Concilio Vaticano II - è stato affidato in modo particolare il grande compito di propagare il nome cristiano. Voi sapete che ho voluto visitare numerosi Paesi, in cui Cristo è appena conosciuto e l'annuncio del Vangelo è ancora incompiuto. Nel fare ciò ho inteso anche incoraggiare tutti coloro che sono al servizio di Cristo e del Vangelo nei suddetti Paesi.

L'Eucaristia che stiamo celebrando, e che ci rende solidali gli uni con gli altri, approfondisca in noi il generoso proposito di condividere con i più bisognosi le ricchezze spirituali della fede ed anche il pane quotidiano.


La Regina delle Missioni, Maria santissima, ci insegna il segreto e l'anima di questo Apostolato: mettersi a totale disposizione della volontà del Padre celeste in piena ed incondizionata donazione della propria vita, affinché, per la virtù e la forza dello Spirito, possiamo concepire Cristo nel nostro cuore e donarlo alle anime. Regina delle Missioni prega per noi. Amen.



1982-10-17 Data estesa: Domenica 17 Ottobre 1982




Lettera al Cardinale Vicario - Roma

Titolo: L'abito ecclesiatico e religioso come segno e testimonianza nel mondo

Testo:

Al venerato fratello Cardinale Ugo Poletti Vicario Generale per la diocesi di Roma.

La cura dell'amata diocesi di Roma pone al mio animo numerosi problemi, tra i quali appare meritevole di considerazione, per le conseguenze pastorali da esso derivanti, quello relativo alla disciplina dell'abito ecclesiastico.

Più volte negli incontri con i sacerdoti ho espresso il mio pensiero al riguardo, rilevando il valore ed il significato di tale segno distintivo, non solo perché esso contribuisce al decoro del sacerdote nel suo comportamento esterno o nell'esercizio del suo ministero, ma soprattutto perché evidenzia in seno alla Comunità ecclesiastica la pubblica testimonianza che ogni sacerdote è tenuto a dare della propria identità e speciale appartenenza a Dio. E poiché questo segno esprime concretamente il nostro "non essere del mondo" (cfr. Jn 17,14), nella preghiera composta per il Giovedi Santo di quest'anno, alludendo all'abito ecclesiastico, mi rivolgevo al Signore con questa invocazione: "Fa' che non rattristiamo il tuo Spirito... con ciò che si manifesta come una volontà di nascondere il proprio sacerdozio davanti agli uomini e di evitarne ogni segno esterno" (n. 4; 25 marzo 1982: "Insegnamenti", V,1 [1982] 1064).

Inviati da Cristo per l'annuncio del Vangelo, abbiamo un messaggio da trasmettere, che si esprime sia con le parole, sia anche con i segni esterni, soprattutto nel mondo odierno che si mostra così sensibile al linguaggio delle immagini. L'abito ecclesiastico, come quello religioso, ha un particolare significato: per il sacerdote diocesano esso ha principalmente il carattere di segno, che lo distingue dall'ambiente secolare nel quale vive; per il religioso e per la religiosa esso esprime anche il carattere di consacrazione e mette in evidenza il fine escatologico della vita religiosa. L'abito, pertanto, giova ai fini dell'evangelizzazione ed induce a rifiettere sulle realtà che noi rappresentiamo nel mondo e sul primato dei valori spirituali che noi affermiamo nell'esistenza dell'uomo. Per mezzo di tale segno, è reso agli altri più facile arrivare al Mistero, di cui siamo portatori, a Colui al quale apparteniamo e che con tutto il nostro essere vogliamo annunciare.

Non ignoro le motivazioni di ordine storico, ambientale, psicologico e sociale, che possono essere proposte in contrario. Potrei tuttavia dire che motivazioni di eguale natura esistono in suo favore. Devo pero soprattutto rilevare che ragioni o pretesti contrari, confrontati oggettivamente e serenamente col senso religioso e con le attese della maggior parte del Popolo di Dio, e con il frutto positivo della coraggiosa testimonianza anche dell'abito, appaiono molto più di carattere puramente umano che ecclesiologico.

Nella moderna città secolare dove si è così paurosamente affievolito il senso del sacro, la gente ha bisogno anche di questi richiami a Dio, che non possono essere trascurati senza un certo impoverimento del nostro servizio sacerdotale.

In forza di queste considerazioni, sento il dovere, come Vescovo di Roma, di rivolgermi a lei, signor Cardinale, che più da vicino condivide le mie cure e sollecitudini nel governo della mia diocesi, perché, d'intesa con le Sacre Congregazioni per il Clero, per i Religiosi e gli Istituti Secolari e per l'Educazione Cattolica, voglia studiare opportune iniziative destinate a favorire l'uso dell'abito ecclesiastico e religioso, emanando a tale riguardo le necessarie disposizioni e curandone l'applicazione.

Nell'invocare su di lei, signor Cardinale, e sull'intera diocesi di Roma l'onnipotente aiuto del Signore, per l'intercessione della Vergine santissima "Salus Populi Romani", di cuore imparto l'apostolica benedizione. Dal Vaticano, 8 Settembre 1982.




1982-10-18 Data estesa: Lunedi 18 Ottobre 1982




L'omelia alla Messa per gli Istituti ecclesiastici di studi superiori in Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vostra vocazione in Cristo sia orientata verso gli uomini e verso il mondo

Testo:


1. "Voi siete il sale della terra..." (Mt 5,13). "Voi siete la luce del mondo" (v.14). Con queste parole vi saluta, Professori e Studenti degli Atenei ecclesiastici romani, la liturgia odierna.

Con queste parole inauguriamo il nuovo anno accademico.

Desideriamo che ciò che costituirà il lavoro scientifico ed educativo di quest'anno abbia inizio nella liturgia eucaristica; che si sviluppi nello spirito dell'Eucaristia. Celebrando il santissimo Sacrificio, vi saluto alle soglie di questa Chiesa apostolica che è in Roma. Dandovi il benvenuto, anch'io vi saluto, mentre accolgo il saluto da voi, come amati fratelli e figli nella comunione della vocazione di Cristo.


2. Nel Vangelo d'oggi Cristo dice: "Voi siete": "Voi siete il sale della terra...", "Voi siete la luce del mondo...". Nello stesso tempo, tuttavia, sentiamo che egli desidera dire "voi dovete essere": dovete essere e dovete diventare il sale della terra e la luce del mondo.

Le parole del Vangelo di oggi affermano ed esprimono, al tempo stesso, un dovere.

Dunque: chi siete, o chi dovete diventare? Il Maestro si serve di una metafora: il sale e la luce.

Il sale serve perché il cibo abbia il giusto sapore. La luce serve "perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa" (Mt 5,15).

La metafora esprime soprattutto questo: "chi" dovete essere e "per chi": per il mondo, per gli uomini.

La metafora evangelica parla del compito che hanno i discepoli di Cristo. Mette in evidenza questo compito. Ma, mettendolo in evidenza, fa richiamo a ciascuno di essi come al soggetto del compito. E in questo riferimento afferma: chi deve essere colui che deve compiere tale compito, e quale deve essere? "Il sale" e "la luce" - parole metaforiche - racchiudono in sé la sintesi di tutto il programma.

E' il programma che si propongono le Università e gli Atenei ecclesiastici di Roma.

Programma proposto nella prospettiva del prossimo anno, ma, allo stesso tempo, nella prospettiva di tutto l'avvenire; così come Cristo ha indicato ai suoi discepoli il programma "il sale e la luce" nella prospettiva di tutte le generazioni sino alla fine del mondo.

Il programma, proposto in modo organico, si riferisce ai professori e agli educatori, in vista degli studenti. Si riferisce agli studenti in base al principio della reciprocità. Si riferisce al futuro.

Mediante tutto ciò che si riferisce ai vostri studi, alla vostra formazione accademica, spirituale, pastorale, mediante tutto ciò che la Chiesa deve ricevere nell'avvenire il nuovo contributo del "sale" e della "luce", ovunque vi guiderà la Provvidenza divina.


3. così, dunque, un primo e fondamentale spunto di meditazione sull'inaugurazione è il contenuto evangelico del "sale" e della "luce".

A questo è strettamente collegato il secondo elemento: la preghiera. Ne parla soprattutto la lettura tratta dal libro della Sapienza.

La preghiera appartiene in senso stretto alla logica della metafora di Cristo. Se "il sale" e "la luce" non soltanto affermano ma, allo stesso tempo, esprimono il dovere; se orientano verso la domanda "chi devo essere io?", "come devo essere io?", allora, in pari tempo, esse si richiamano alla preghiera.

Tale legame logico risulta dalle fondamentali premesse dell'antropologia cristiana, cioè dalla verità cristiana sull'uomo. L'uomo diventa "il sale della terra" e "la luce del mondo" non soltanto assumendo il dovere, ma anche accogliendo la Grazia e collaborando con essa.

La Grazia è la dimensione del divino inizio dell'uomo, e dei suoi destini divini. La Grazia è un dono della Redenzione di Cristo. Ecco, per questo, la preghiera.

Scopriamo la dimensione della Grazia, rispondiamo al dono della Redenzione, mediante la preghiera.

"Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza; / implorai e venne in me lo spirito di sapienza" (Sg 7,7).

In queste parole l'Autore del libro veterotestamentario fa una confidenza circa il tema dei problemi più profondi della sua vita.

Che parli anche a voi tutti, membri della comunità accademica ecclesiastica di Roma, questa confidenza dell'Autore del libro della Sapienza. Che essa diventi, al tempo stesso, la confidenza che può fare ciascuno di voi.

Infatti appartenete alla comunità degli insegnanti e dei discepoli proprio per amare la sapienza: "L'amai più della salute e della bellezza, / preferii il suo possesso alla stessa luce, / perché non tramonta lo splendore che ne promana" (Sg 7,10).

La sapienza! Bisogna scoprirla al centro stesso della metafora evangelica del "sale" e della "luce". Si. Proprio essa fa si che l'uomo diventi quel che deve essere per gli altri uomini, per il mondo. Proprio in essa si manifesta, allo stesso tempo, "il dovere" e "la Grazia".

Essa viene a noi mediante il lavoro costante e la preghiera non meno costante.

Oh, quanto è necessaria, oggi, per la Chiesa questa sapienza evangelica.

Quanto è necessario parlare secondo conoscenza e "pensare in modo degno dei doni ricevuti" (Sg 7,15).

Tale modo di pensare e di parlare viene all'uomo da parte di Dio durante la preghiera. "Perché egli è guida della sapienza / e i saggi ricevono da lui orientamento. / In suo potere siamo noi e le nostre parole, / ogni intelligenza ed ogni abilità" (v. 15-16).

E' così. Da Dio, durante la preghiera, viene a noi la parola della sapienza.

E, perciò, l'odierna assemblea eucaristica è pure l'inaugurazione della preghiera costante.

Con la preghiera bisogna sempre sostenere gli studi e permeare gli sforzi ascetici col lavoro su se stessi, perché non rimangano nel vuoto. Con la preghiera bisogna costantemente coltivare l'intelletto e il cuore, perché l'insegnante e lo studente diventino, nelle loro reciproche relazioni, "il sale della terra" e "la luce del mondo".


4. "così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).

Venerati Professori, cari Studenti degli Atenei ecclesiastici di Roma! Si pone dinanzi a voi il fine ultimo di tutto il creato. Il fine dell'uomo nel mondo: la gloria di Dio! Siete chiamati mediante la parabola del sale e della luce a vivere per la gloria di Dio. A scoprire questa gloria in tutte le cose. A ritrovarla nell'intera ricchezza del creato. A vederla con gli occhi della fede e della teologia nei misteri della Rivelazione Divina.

Siete chiamati ad annunziare e a predicare la gloria di Dio agli uomini con tutto il vostro pensare e con tutta la vostra condotta.

Cristo vi dice oggi: "così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché rendano gloria al vostro Padre" (Mt 5,16).

La vostra vocazione in Cristo è concentrata sulla gloria del Padre.

La vostra vocazione in Cristo è teo-centrica e, mediante ciò, orientata verso gli uomini e verso il mondo.

All'inizio dell'anno accademico, meditate quale contenuto integrale nascondono in sé le parole: "il sale della terra" e "la luce del mondo", e cercate di viverlo.




1982-10-19 Data estesa: Martedi 19 Ottobre 1982








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