GPII 1983 Insegnamenti - Alle claustrali - Greccio (Rieti)

Alle claustrali - Greccio (Rieti)

Titolo: L'amore è l'unico ideale della vostra totale consacrazione




1. Carissime sorelle nel Signore! Nella gioiosa circostanza della mia visita a Greccio e nell'atmosfera mistica e soave di questa località, così intimamente francescana e quindi cristiana, sono molto lieto di poter rivolgere un saluto particolarmente cordiale a voi, religiose claustrali, qui convenute per incontrarmi, ben ricordando ed imitando l'amore e la venerazione che san Francesco sempre senti e insegno verso il Romano Pontefice.

Vi ringrazio commosso per la vostra presenza, così affettuosa e significativa e desidero rinnovare anche a voi i sentimenti che provo per la vostra totale consacrazione alla vita contemplativa. Questa vostra donazione all'Assoluto, che esige una vocazione e che ha come ideale unicamente l'Amore, è un modo tipico di essere Chiesa, di vivere nella Chiesa, di compiere la missione illuminatrice e salvatrice della Chiesa. Intendo sottolineare con forza il valore essenziale della vostra presenza nel provvidenziale disegno della Redenzione e confermarvi nella validità dei vostri propositi di preghiera e di penitenza per la salvezza dell'umanità.


2. Il vostro ideale è prima di tutto un "segno" per l'uomo moderno affannato da mille problemi e tormentato da tante vicende sociali e politiche. Le claustrali, con la loro vita di preghiera e di austerità, propongono al mondo le parole di Gesù: "Cercate prima il Regno di Dio e le altre cose vi saranno date in aggiunta" (Lc 12,13); e quelle della Lettera agli Ebrei: "Non abbiamo qui una città stabile, ma cerchiamo quella futura" (He 13,14). Il vostro esempio reale e concreto, diventa perciò un'esortazione e un invito all'uomo a rientrare in se stesso, a lasciare la superficialità, la dispersione, l'efficientismo per sentire che in effetti il nostro cuore - come diceva sant'Agostino - è fatto per l'Infinito e solo in esso trova pace e riposo. Anche per voi valgono le parole che santa Teresa di Gesù scriveva nella sua autobiografia: "Dopo aver visto la grande visione del Signore, non vi fu più persona che al suo confronto mi apparisse così piacevole da occupare ancora il mio spirito... ("Vita", 37,4). E' la sfida continua che, con la vostra scelta, voi lanciate al mondo!


3. La vostra consacrazione totale all'Amore è anche un monito per tutti i cristiani, per i sacerdoti, i religiosi, i teologi e i responsabili della Chiesa.

Certamente, per l'annunzio del Vangelo e per la salvezza delle anime sono necessari i vari mezzi di apostolato; la ricerca di nuovi metodi, la creatività, la novità, il dinamismo operativo, l'aggiornamento nelle idee e nelle proposte...

Ma la preghiera personale, l'implorazione di luce e di forza per sé e per il mondo intero, rimane essenziale, così come la preoccupazione fondamentale deve rimanere sempre il mantenimento e la difesa del "deposito" di verità che Gesù, nascendo a Betlemme, ha rivelato e poi ha affidato alla Chiesa.


4. A pochi mesi dall'inizio del Giubileo commemorativo della Redenzione di Cristo, raccomando a voi, carissime sorelle claustrali, il buon esito di questa iniziativa, che sento tanto necessaria per la riflessione e la conversione.

Raccomando alle vostre preghiere e al vostro fervore spirituale l'intero Anno Giubilare, e in modo particolare due avvenimenti che mi stanno più a cuore: il Congresso Eucaristico nazionale italiano e il Sinodo dei Vescovi sul tema: "Riconciliazione e penitenza".

Il Divin Salvatore vi ricolmi sempre della santa letizia che provo qui a Greccio san Francesco d'Assisi! La Vergine santissima e san Giuseppe vi accompagnino con la loro celeste protezione! E vi sia di aiuto la mia benedizione apostolica, che con grande effusione vi imparto.

Data: 1983-01-02 Data estesa: Domenica 2 Gennaio 1983

Messaggio dall'Eremo di Greccio (Rieti)

Titolo: L'unica via per salvare il mondo è quella indicata dal Vangelo

Cari fratelli e sorelle,


1. Il mio pellegrinaggio odierno nella Valle Reatina tocca il culmine in quest'Eremo di Greccio, collocato tra rocce aspre e boschi solitari, costruito con pietre sacre e consunte per la presenza orante di ininterrotte generazioni di pellegrini, alla ricerca della pace e della letizia francescana. Qui intendo concludere la solenne celebrazione dell'ottavo centenario della nascita di san Francesco d'Assisi, che durante lo scorso anno ha suscitato in ogni parte un vastissimo fiorire di iniziative opportune, imprimendo nuovi impulsi alla vita di tutta la Chiesa e specialmente a quella dei più diretti seguaci del Santo.


2. Ringrazio, innanzitutto, il Signor Ministro Darida per la sua presenza e per le parole che mi ha rivolto a nome del Governo italiano, ed esprimo la mia riconoscenza al Superiore generale dell'Ordine dei Frati Minori, che ha interpretato i sentimenti delle Famiglie Francescane.

Dirigo poi il mio saluto al Cardinale Antonelli e al Vescovo di Rieti; saluto, inoltre, cordialmente voi tutti, abitanti di Greccio, con speciale pensiero alle autorità e in particolare al vostro Sindaco e al Consiglio comunale, rivolgendo a tutti l'augurio di "pace e bene", ripetuto tante volte in questa Valle Santa, "sonora di silenzio e di serenità", proprio dalle labbra dell'Assisiate, che ha lasciato in questa terra un'impronta singolare della sua anima di santo, di apostolo e anche di legislatore.

Sono trascorsi tanti secoli, la storia ha scritto molte pagine, ma nei vetusti Conventi della valle di Rieti aleggiano vivi i ricordi del Poverello che qui predico, prego, fece penitenza e prodigi.

Il nome di Greccio è passato alla storia fin dal Natale 1223, da quando cioè san Francesco vi costrui il primo Presepio, mistica e popolare intuizione diffusasi in tutto il mondo, suscitando fermenti di vita cristiana. Greccio, "Betlemme Francescana", rivolge anche all'uomo di oggi, proiettato avventurosamente nello spazio, ma anche circondato da un vuoto inquietante di valori e di certezze, un messaggio di salvezza e di pace: il Verbo incarnato, il Divino Bambino vuol raggiungere e convertire anche i cuori di questa generazione, invitandoli a fare l'esperienza di un amore infinito, che è giunto a rivestirsi della nostra carne mortale per essere fonte di perdono e di vita nuova.

San Francesco, inoltre, prediligeva gli abitanti di Greccio per la loro povertà e semplicità, ed ebbe a dire: "In nessuna grande città ho visto tante conversioni quante in questo piccolo castello di Greccio". Ecco una valida testimonianza da rendere anche al presente e che riguarda l'esercizio delle virtù della parsimonia e del distacco, al fine di ritrovare un'autentica signoria sulle cose, ed ancor più per essere vicini - in una società opulenta e perciò spesso ingiusta - a chi soffre la più grande indigenza. Rivivono così quella fraternità e quel senso di solidarietà universale, immanenti alla spiritualità, francescana, e tanto necessari perché l'umanità riscopra, nella libertà autentica, la capacità di elevare, insieme con l'intero mondo creato, un canto di lode e di ringraziamento a Dio.

Per questo concludero il mio saluto a voi, gente di Greccio, con le parole del Santo: "Ogni creatura che è in cielo e in terra e nel mare... renda a Dio lode, gloria, onore e benedizione, poiché egli solo è onnipotente e ammirevole e glorioso e santo e degno di lode per gli infiniti secoli dei secoli" ("Lettera ai fedeli", 10).


3. Ed ora, da questo Santuario che, in qualche modo, simboleggia la duplice dimensione - contemplativa e apostolica - della vocazione francescana, intendo rivolgermi particolarmente ai seguaci più immediati del Santo di Assisi, ai Frati delle sue quattro Famiglie, indirizzando loro un messaggio a conclusione del ricordato centenario.

Gesù Cristo, incarnato e morto per l'uomo, è al centro della spiritualità di Francesco. I misteri dell'Incarnazione e della Redenzione sono tutto per lui che cerca di aderire al Maestro con tale imitazione testuale, da essere contrastato in questo anche dai suoi. Tralasciando ogni linguaggio simbolico, nota dominante della cultura medioevale, il suo rapporto con Cristo è diretto, prescindendo da troppe mediazioni dottrinali. Dio per lui è veramente "Colui che è"; e Gesù, Figlio Unigenito del Padre e Figlio di Maria, è il maestro e il compagno nell'avventura umana, che dalla sua Redenzione trae certezza e letizia. Francesco è in continuo dialogo con Gesù Cristo: lo fa intervenire nelle dispute sulla Regola, gli chiede consiglio, conforto, aiuto. Si può dire che egli viva nella sua continua presenza. Bisogna riconoscere in questo stile francescano una fonte di perenne autenticità evangelica, una scuola sempre rivolta all'origine, all'essenza, alla verità della vita cristiana.

Ritornano qui alla mente le parole sobrie, ma incisive di Tommaso da Celano, riguardanti il Santo: "La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo ("Vita prima", 83). Ciò valse a Francesco il titolo di "Novello evangelista"; egli pose infatti il Vangelo come fondamento della sua legislazione e della sua vita spirituale, e risolse alla sua luce tutti i problemi che gli si presentarono lungo il cammino.


4. Cari fratelli delle quattro grandi Famiglie Francescane, voi appartenete a distinti Ordini di cui condividete le particolari finalità e gli speciali indirizzi formativi, ma tutti insieme formate la grande Famiglia dei figli di san Francesco, di coloro che intendono professare il suo carisma e il suo ideale evangelico. Prendete sempre più coscienza di vivere in un'ora per tanti aspetti simile a quella del Santo e che richiede con urgenza una testimonianza di autenticità pura, di radicalismo cristiano, per poter emergere dalle spire soffocanti di un "umanesimo orizzontale" che rischia, perché svuotato dal di dentro dei valori trascendenti, di condurre all'autodistruzione l'intera società.

E' tempo di testimoniare il Vangelo con rinnovato, limpido vigore e di predicarlo "sine glossa".

L'unica strada per raggiungere la gioia, la libertà, l'amore fraterno e la pace, agognati traguardi anche della presente generazione, è quella indicata dal Vangelo. Esso costituisce per ogni uomo il cammino verso Dio, di cui ci fa ritrovare la paternità; verso se stessi, per riscoprire la propria dignità; verso il prossimo per realizzare la vera fraternità.

La gioia, la libertà, la pace e l'amore, valori eminentemente francescani, non si ritrovarono uniti nel Santo per un eccezionale o fortunato evento, ma come frutto di un processo drammatico che egli racchiude nell'espressione "fare penitenza", la più frequente sulle sue labbra, e a cui fa riscontro quella pronunziata da Gesù all'inizio della sua predicazione: "Convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). Egli giunse alla gioia attraverso la sofferenza, alla libertà attraverso l'obbedienza, all'amore per tutte le creature mediante la vittoria sul proprio egoismo. Tutto in lui è modellato sul Cristo Crocifisso; anche la sua povertà radicale ha come movente ultimo la sequela del Crocifisso. così Francesco diventa l'autentico, sublime seguace di Cristo e con lui condivide la sua forza di attrazione universale.


5. Ad una società come la nostra, tutta protesa al superamento della sofferenza, della schiavitù, della violenza e della guerra, e al tempo stesso precipitata nell'angoscia di fronte alla paventata inutilità dei propri sforzi, è necessario - dopo averlo così testimoniato - predicare il Vangelo con tutta mitezza (cfr. "Regola bollata", 3), ma anche con santo coraggio per convincere i cristiani che non si diventa uomini nuovi che assaporano la gioia, la libertà e la pace, se non riconoscendo anzitutto il peccato che è in noi, per poi passare, mediante un vero pentimento, a compiere, "frutti degni di penitenza" (cfr. Lc 3,8).

Il rigetto di Dio, infatti, l'ateismo eretto a sistema teoretico e pratico o semplicemente vissuto nella società consumistica, è alla radice di ogni male presente, dalla distruzione della vita anche incipiente a tutte le ingiustizie sociali, attraverso la perdita del senso di ogni moralità. Il tema della penitenza, come condizione di una esperienza viva dell'amore misericordioso del Signore, a tutti i livelli della condizione umana, è un tema di estrema attualità in quest'attesa dell'Anno giubilare della Redenzione.


6. Da quest'Eremo di Greccio, ripeto a voi, chiamati ad essere uomini del Vangelo come il vostro padre Francesco, che occorre avvicinare gli uomini di oggi, abbracciandone le vicende, i problemi e le sofferenze, ma anzitutto per convincerli che nel Vangelo è situata la strada sicura della salvezza, e che ogni altro cammino diventa impervio, insicuro, insufficiente, e spesso improduttivo.

Portate a questa nostra epoca la Buona Novella che è annunzio di speranza, di riconciliazione, di pace; risuscitate Cristo nel cuore degli uomini angosciati ed oppressi; siate per tutti custodi e testimoni della speranza che non delude. Come Francesco, siate gli "Araldi del Gran Re" ("Vita prima", 16).

Un'occasione propizia per rinverdire la vostra missione di evangelizzatori e per intensificare il vostro prezioso servizio alla Chiesa, vi viene offerta dall'Anno Giubilare, che ci accingiamo a celebrare in questo ultimo scorcio di millennio, al fine di riaccendere dei cuori il gioioso e sicuro senso della perenne Redenzione, dalla quale deriva ogni bene per l'umanità (1Co 8,6).

Figli di san Francesco, fiducioso nella vostra docilità di uomini del Vangelo, dei quali lo Spirito possa disporre liberamente per l'edificazione del Regno, sicuro della vostra fedeltà ai successori di Innocenzo III e di Onorio III, cui il vostro Serafico Padre aveva promesso obbedienza anche per tutte le future generazioni dei Frati Minori, invoco per ognuno di voi copiose grazie di francescana e perfetta letizia e di un fecondo apostolato evangelico, mentre vi imparto la mia benedizione apostolica.

Data: 1983-01-02 Data estesa: Domenica 2 Gennaio 1983

Ai giovani delle Acli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il mondo del lavoro ha bisogno di testimonianze cristiane




1. Vi saluto con gioia, cari partecipanti al XVI Congresso nazionale giovanile delle Acli, e in voi saluto tutti i giovani lavoratori del vostro movimento.

So che questo Congresso nazionale rappresenta per voi un momento dedicato alla riflessione e all'approfondimento della vostra identità e dei vostri compiti specifici. E' sempre utile interrompere ogni tanto la propria attività e sostare un poco per misurarsi più serenamente con i propri ideali, sottoporre a verifica il proprio operato, confermare i propositi e stabilire nuovi traguardi, ricaricarsi di energia, e poter così riprendere il proprio cammino con nuova forza e nuovo entusiasmo.

Il mondo del lavoro ha oggi più che mai bisogno di una testimonianza cristiana e voi giovani, se fedeli a Cristo e alla Chiesa, siete, col dinamismo e l'entusiasmo che vi caratterizzano, i più idonei a testimoniare i valori propri del cristianesimo.

Nell'ambiente del lavoro, voi giovani cristiani, siete portatori di un messaggio, che per la sua incomparabile grandezza rischia a volte paradossalmente di non essere neppure scorto. Spetta a voi di tradurlo sul piano della quotidianità, quasi sminuzzarlo, renderlo percepibile e vivibile, a portata di mano, e soprattutto seducente. Ne va infatti della stessa riuscita umana, che solo il Vangelo rende pienamente possibile.

Conosco il vostro slogan aclista: "Da cristiani nel mondo operaio".

Siate fedeli all'esigente impegno che esso richiede. Dobbiamo finalmente ritenere superata l'infelice contrapposizione, che alcune ideologie del secolo scorso hanno voluto stabilire tra l'identità operaia e l'identità ecclesiale, tra il lavoro e la fede. Questa infausta opposizione ha spesso prodotto un'ulteriore umiliazione dell'uomo, tentando di spegnere in lui una luce che in realtà è insopprimibile. Il cristianesimo per sua natura non tende mai a spegnere nulla di ciò che costituisce la vera nobiltà dell'uomo (cfr. 1Th 5,19), ma semmai a rinfocolare o addirittura ad accendere in lui nuove fiamme di alti ideali e di generosa dedizione al suo fratello, nel quale la fede aiuta a vedere quasi un segno sacramentale di Dio stesso (cfr. 1Jn 4,20).

Voi, pertanto, avete nuove motivazioni per perseguire una fruttuosa solidarietà fra gli uomini del lavoro e la realizzazione di un'autentica giustizia sociale, prescindendo da teorie che riducano l'uomo a una sola dimensione, quella economicistica e materialistica (cfr. LE 13).


2. Sarete in grado di donare la testimonianza, di cui la società di oggi ha bisogno, nella misura in cui saprete rendere sempre più vigorosa e creativa l'identità cristiana che ha dato origine alla vostra associazione e che in alcuni momenti della vostra storia si è attenuata.

Impegnatevi con generosità in questo sforzo, mentre proseguite la vostra attiva presenza nel tessuto sociale del vostro Paese. Ricordate sempre che essa sarebbe sterile se ciò avvenisse tralasciando di confrontarvi costantemente con la Parola di Dio autenticamente interpretata dal Magistero ecclesiastico e di inserirvi sempre più nella vita di fede delle vostre comunità ecclesiali. Di qui, invece, dovete partire, di questa realtà alimentarvi, e a questo ricondurre ogni vostro sforzo.

Come ben si espressero i Vescovi italiani nel documento su "La Chiesa italiana e le prospettive del Paese", del 23 ottobre 1981 (n. 16), "non c'è più prospettiva per una cristianità fatta di pura tradizione sociale. E sarebbe d'altra parte grave errore rincorrere l'emergenza dei problemi quotidiani, smorzando l'impegno di fondo che trova nel confronto quotidiano con la parola di Dio, nella celebrazione dell'Eucaristia e nel dovere della testimonianza al Vangelo il suo progetto organico. Dalla intensa vita ecclesiale potremo trarre sempre nuove sensibilità per servire il Paese".


3. Il tema del vostro Congresso suona: "La pace è il destino dell'uomo". Quale densità di concetti è racchiusa in questo motto! Esso è radicalmente cristiano, e richiama quegli antichi e solenni testi biblici, in cui il profeta prospetta al Popolo di Dio orizzonti radiosi di armonia, di concordia e, appunto, di pace: quando "forgeranno le loro spade in vomeri" (Is 2,4), quando "il lupo dimorerà insieme con l'agnello" (Is 11,6), quando "l'arco di guerra sarà spezzato" (Za 9,10). E' forse utopia tutto ciò? vana speranza? illusione? No! Il cristiano sa che, al contrario, questo è il destino dell'uomo! Egli sa che, se pur non si tratta di un traguardo imminente, esso è sicuro e merita ogni più generosa dedizione per avvicinarvisi sempre maggiormente. E ogni fatica per questo fine non è inutile, ma feconda. Le parole profetiche, infatti, sono non soltanto il nostro conforto, ma anche il nostro sprone. Dio "parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà" (Ab 2,3). Una cosa è certa: il Signore ha "progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza, (Jr 29,11).

Ma è un destino, questo, a cui l'uomo deve contribuire, proprio perché lo riguarda. E non si prepara certo un destino di pace, ricorrendo ai conflitti, alle violenze, alle sopraffazioni, sia nella vita internazionale, sia nei rapporti fra i gruppi e le forze sociali. Come mi sono espresso nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio scorso, non lo scontro ma "il dialogo è necessario per la vera pace" (n. 3). Solo esso permette di conoscersi, di capirsi, di incontrarsi. Esso, infatti, è già della stessa natura dello scopo che si vuol raggiungere, poiché per ottenere la pace occorrono mezzi pacifici, conformemente al principio secondo cui solo il simile genera il proprio simile.


4. Voi, cari giovani aclisti, siete chiamati a render vivi e operanti questi valori nel mondo della vostra attività. Vi esorto a corroborare sempre di più la vostra identità cristiana e a viverla con coerenza e in piena fedeltà con le indicazioni dei Pastori della Chiesa.

Vi assicuro il mio costante ricordo al Signore, perché egli vi illumini e vi rafforzi in ogni opera buona, e conduca a buon termine il vostro prezioso impegno. Da lui invoco su di voi l'abbondanza della sua grazia, per intercessione della Vergine Santa, mentre di cuore imparto la benedizione apostolica a tutti voi, a quanti voi oggi rappresentate, e in particolare a tutti i vostri cari ed amici.

Data: 1983-01-04 Data estesa: Martedi 4 Gennaio 1983

Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il linguaggio del corpo substrato e contenuto della vita coniugale




1. "Io... prendo te... come mia sposa"; "Io... prendo te... come mio sposo": queste parole sono al centro della liturgia del matrimonio quale sacramento della Chiesa. Queste parole pronunciano i fidanzati inserendole nella seguente formula del consenso: "...prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita". Con tali parole i fidanzati contraggono il matrimonio e nello stesso tempo lo ricevono come sacramento, di cui entrambi sono ministri. Entrambi, uomo e donna, amministrano il sacramento. Lo fanno davanti al testimoni. Testimone qualificato è il sacerdote, che in pari tempo benedice il matrimonio e presiede a tutta la liturgia del sacramento. Inoltre testimoni sono, in certo senso, tutti i partecipanti al rito delle nozze, e in modo "ufficiale" alcuni di essi (di solito due), appositamente chiamati. Essi debbono testimoniare che il matrimonio è contratto davanti a Dio e confermato dalla Chiesa. Nell'ordine normale delle cose, il matrimonio sacramentale è un atto pubblico, per mezzo del quale due persone, un uomo e una donna, diventano di fronte alla società e alla Chiesa marito e moglie, cioè soggetto attuale della vocazione e della vita matrimoniale.


2. Il matrimonio come sacramento viene contratto mediante la parola, che è segno sacramentale in ragione del suo contenuto: "Prendo te come mia sposa - come mio sposo - e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita".

Tuttavia, questa parola sacramentale è, di per sé, soltanto il segno dell'attuazione del matrimonio. E l'attuazione del matrimonio si distingue dalla sua consumazione fino al punto che, senza questa consumazione, il matrimonio non è ancora costituito nella sua piena realtà. La constatazione che un matrimonio è stato giuridicamente contratto ma non consumato ("ratum - non consummatum"), corrisponde alla constatazione che esso non è stato costituito pienamente come matrimonio. Infatti le parole stesse: "Prendo te come mia sposa - mio sposo" si riferiscono non soltanto ad una realtà determinata, ma possono essere adempiute soltanto attraverso la copula coniugale. Tale realtà (la copula coniugale) è peraltro definita fin dal principio per istituzione del Creatore: "L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Gn 2,24).


3. così, dunque, dalle parole, con le quali l'uomo e la donna esprimono la loro disponibilità a divenire "una sola carne", secondo l'eterna verità stabilita nel mistero della creazione, passiamo alla realtà che corrisponde a queste parole.

L'uno e l'altro elemento è importante rispetto alla struttura del segno sacramentale, a cui conviene dedicare il seguito delle presenti considerazioni.

Dato che il sacramento è il segno per mezzo del quale si esprime ed insieme si attua la realtà salvifica della grazia e dell'alleanza, bisogna considerarlo ora sotto l'aspetto del segno, mentre le precedenti riflessioni sono state dedicate alla realtà della grazia e dell'alleanza.

Il matrimonio, come sacramento della Chiesa, viene contratto mediante le parole dei ministri, cioè degli sposi novelli: parole che significano e indicano, nell'ordine intenzionale, ciò che (o piuttosto: chi) entrambi hanno deciso di essere, d'ora in poi, l'uno per l'altro e l'uno con l'altro. Le parole degli sposi novelli fanno parte della struttura integrale del segno sacramentale, non soltanto per ciò che significano, ma, in certo senso, anche con ciò che esse significano e determinano. Il segno sacramentale si costituisce nell'ordine intenzionale, in quanto viene contemporaneamente costituito nell'ordine reale.


4. Di conseguenza, il segno del sacramento del matrimonio è costituito mediante le parole degli sposi novelli, in quanto ad esse corrisponde la "realtà" che loro stessi costituiscono. Tutti e due, come uomo e donna, essendo ministri del sacramento nel momento di contrarre il matrimonio, costituiscono in pari tempo il pieno e reale segno visibile del sacramento stesso. Le parole da essi pronunciate non costituirebbero di per sé il segno sacramentale del matrimonio, se non vi corrispondesse la soggettività umana del fidanzato e della fidanzata e contemporaneamente la coscienza del corpo, legata alla mascolinità e alla femminilità dello sposo e della sposa. Qui bisogna rievocare alla mente tutta la serie delle analisi relative al Libro della Genesi (cfr. Gn 1-2), compiute in precedenza. La struttura del segno sacramentale resta infatti nella sua essenza la stessa che "in principio". La determina, in certo senso, "il linguaggio del corpo", in quanto l'uomo e la donna, che mediante il matrimonio debbono diventare una sola carne, esprimono in questo segno il reciproco dono della mascolinità e della femminilità, quale fondamento dell'unione coniugale delle persone.


5. Il segno del sacramento del matrimonio viene costituito per il fatto che le parole pronunciate dagli sposi novelli riprendono il medesimo "linguaggio del corpo" come al "principio", e in ogni caso gli danno una espressione concreta e irripetibile. Gli danno una espressione intenzionale sul piano dell'intelletto e della volontà, della coscienza e del cuore. Le parole: "Io prendo te come mia sposa - come mio sposo", portano in sé appunto quel perenne, e ogni volta unico e irripetibile, "linguaggio del corpo" e nello stesso tempo lo collocano nel contesto della comunione delle persone: "Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita". In tal modo il perenne e ogni volta nuovo "linguaggio del corpo", è non soltanto il "substrato" ma, in certo senso, il contenuto costitutivo della comunione delle persone. Le persone - uomo e donna - diventano per sé un dono reciproco. Diventano quel dono nella loro mascolinità e femminilità scoprendo il significato sponsale del corpo e riferendolo reciprocamente a se stessi in modo irreversibile: nella dimensione di tutta la vita.


6. così il sacramento del matrimonio come segno permette di comprendere le parole degli sposi novelli, parole che conferiscono un nuovo aspetto alla loro vita nella dimensione strettamente personale (e interpersonale: "communio personarum"), sulla base del "linguaggio del corpo". L'amministrazione del sacramento consiste in questo: che nel momento di contrarre il matrimonio l'uomo e la donna, con le parole adeguate e nella rilettura del perenne "linguaggio del corpo", formano un segno, un segno irripetibile, che ha anche un significato prospettico: "tutti i giorni della mia vita", cioè fino alla morte. Questo è segno visibile ed efficace dell'alleanza con Dio in Cristo, cioè della grazia, che in tale segno deve divenire parte loro, come "proprio dono" (secondo l'espressione della prima Lettera ai Corinzi 7,7).


7. Formulando la questione in categorie socio-giuridiche, si può dire che fra gli sposi novelli è stipulato un patto coniugale di contenuto ben determinato. Si può inoltre dire che, in seguito a questo patto, essi sono diventati sposi in modo socialmente riconosciuto, e che in questo modo è anche costituita nel suo germe la famiglia come fondamentale cellula sociale. Tale modo di intendere è ovviamente concorde con la realtà umana del matrimonio, anzi, è fondamentale anche nel senso religioso e religioso-morale. Tuttavia, dal punto di vista della teologia del sacramento, la chiave per comprendere il matrimonio rimane la realtà del segno, con cui il matrimonio viene costituito sulla base dell'alleanza dell'uomo con Dio in Cristo e nella Chiesa: viene costituito nell'ordine soprannaturale del vincolo sacro esigente la grazia. In questo ordine, il matrimonio è un segno visibile ed efficace. Originato dal mistero della creazione, esso trae la sua nuova origine dal mistero della Redenzione, servendo all'"unione dei figli di Dio nella verità e nella carità" (GS 24). La liturgia del sacramento del matrimonio dà forma a quel segno: direttamente, durante il rito sacramentale, in base all'insieme delle sue eloquenti espressioni; indirettamente, nello spazio di tutta la vita. L'uomo e la donna, come coniugi, portano questo segno in tutta la loro vita e rimangono quel segno fino alla morte.

(Il Santo Padre si è poi così rivolto in preghiera alla Madonna di Jasna Gora:) Signora di Jasna Gora! All'inizio dell'anno nuovo mi inginocchio dinanzi alla tua Effige. In essa è iscritto il mistero della Divina Maternità che noi veneriamo nel giorno dell'ottava del Natale del Signore, che è anche il giorno del Capodanno.

Ai tuoi piedi, a Jasna Gora, desidero vivere questa ricorrenza insieme con la mia Nazione che da sei secoli fissa lo sguardo sulla tua Maternità Divina in particolare mediante questa Effige.

Grazie ad essa, nella tua Divina Maternità la Nazione polacca ritrova, attraverso tante generazioni, la sua propria Madre. E a questa Madre affida se stessa: tutta la società umana e polacca, la comunità della Nazione e la sua storia.

In questo difficile momento della storia desidero dinanzi a te, Madre, esprimere i filiali auguri per la Polonia, per la mia Patria e per la Nazione.

Auguro che questa Nazione possa vivere nella pace e non nel clima di guerra; che possa vivere la sua propria vita.

Auguro che vengano rispettati - come condizione indispensabile per la pace - tutti i diritti dell'uomo.

Auguro che vengano rispettati pure tutti i diritti della Nazione, attraverso i quali essa possa essere se stessa e decidere di sé secondo le sue giuste aspirazioni e i suoi desideri. Accogli questi auguri, o Madre di Jasna Gora, come preghiera mediante la quale viene venerata la tua divina e insieme umana maternità.

Esaudiscila! e aiuta a realizzarla.

Data: 1983-01-05 Data estesa: Mercoledi 5 Gennaio 1983



All'ordinazione di 14 vescovi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Seguite la vostra missione di pastori tra gli uomini




1. "Alzati, rivestiti di luce (Gerusalemme) perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1). Alzati, Gerusalemme, accogli la luce! Questa luce viene a te per una via lontana, benché sia così vicina. Vicina. Non molti chilometri a sud è venuta la luce del Natale, e tu, Gerusalemme, sembri ignorarlo. E bisognava proprio che i Magi dovessero venire dall'Oriente a dirtelo, che dovessero venire a domandartene.

Tu, Gerusalemme, sembri ignorarlo. Eppure i Magi vengono a te e ti interrogano, perché "la gloria del Signore brilla sopra di te", perché proprio tu sei la città, sulla quale si è concentrata tutta la storia della Rivelazione dell'alleanza. In te vengono a cercare il Messia i Magi dall'Oriente. E chiedono: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo" (Mt 2,2).


2. Teniamo presente, cari fratelli e sorelle, che i Magi hanno visto una stella.

Una sola stella. E questa divenne per loro il segno discernitore. Decisero di seguirla.

Nella notte di Betlemme i pastori che facevano la guardia al loro gregge hanno visto un grande splendore, "e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento" (Lc 2,9). Ci troviamo, infatti, nel centro stesso della rivelazione, che da secoli scorreva come una vasta onda attraverso la storia del Popolo eletto. I pastori di Betlemme appartengono a questo Popolo. Si trovano al centro dell'alleanza. La gloria del Signore si esprime davanti a loro con una grande luce e con le parole della moltitudine dell'esercito celeste (cfr. Lc 2,13).

Oltre a questo cerchio centrale della Rivelazione e dell'alleanza, una sola stella nell'Oriente segnala ai Magi che bisogna incamminarsi verso Gerusalemme. La via del pastori fu breve. La via dei Magi è lunga. I pastori andarono direttamente verso la luce che li aveva avvolti nella notte di Betlemme.

I Magi dovettero cercare con perseveranza, seguendo la stella e lasciandosi guidare dalla sua luce. così, diverse sono le vie della fede che conducono gli uomini e i popoli verso Cristo.


3. Talvolta, tuttavia, è necessario che la luce venga da lontano nel luogo in cui deve splendere più pienamente e che deve comunicarla agli altri. così era necessario che i Magi venissero dall'Oriente a Gerusalemme e le annunziassero la nascita del Messia. Ed allora avvenne un fatto ancor più strano.

Erode, "riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia" (Mt 2,4). I sommi sacerdoti e gli scribi gli risposero immediatamente. E risposero giustamente: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta (Mt 2,5). E rilessero un adeguato passo dal profeta Michea.

Dunque, sapevano. Questa luce era nella loro propria casa Illuminava da tempo il loro popolo. Illuminava Gerusalemme. Essi si trovavano al centro stesso della luce. Ed ecco che subito trovano le parole giuste nel libro del profeta: "E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele" (Mt 2,6).

Essi hanno riletto queste parole, hanno arrotolato il volume del libro e sono rimasti sul luogo. Nessuno di essi è partito per Betlemme. Una grande luce racchiusa nel libro del profeta sembra non brillare per essi. Soltanto Erode preannuncia di recarsi a Betlemme; ma con quale intenzione? Tutti lo sappiamo.

Intanto i Magi partono. Le parole del libro di Michea hanno riconfermato la luce, dalla quale essi sono stati guidati. La stella continua a guidarli. Fino al luogo "dove si trovava il bambino" (Mt 2,9).


4. "Alzati (Gerusalemme), rivestiti di luce, perché viene la tua luce" (Is 60,1).

Cari fratelli, che oggi ricevete l'Ordinazione episcopale! A voi sono indirizzate queste parole: Alzati, Gerusalemme! Accogli la luce. Accogli alla luce della fede. la tua nuova vocazione! Accogli insieme con essa la nuova missione tra il Popolo di Dio della Chiesa! Accoglila con fede in Colui che ti guida, così come i Magi dall'Oriente accolsero la luce della stella che li guidava.

E accogliete anche voi, cari fratelli, la nuova vocazione e la missione responsabile per guidare nella fede la Chiesa di Dio nata a Betlemme. Voi rappresentate vari Paesi: l'Italia, la Polonia, la Spagna, la Germania, la Cecoslovacchia, la Nigeria, la Guinea Equatoriale, il Panama, l'Uganda e la Corea.

A tutti portate la luce dell'Epifania! Quanto diverse sono le vie della fede degli uomini contemporanei.

Cercate con essi queste vie: sia con quelli che vengono da lontano, sia con quelli che rimangono al centro stesso della tradizione cristiana. Benché questa tradizione non sembri, a volte, rianimare i loro pensieri e le loro opere. Sanno dove sono scritte le parole sul Messia, e tuttavia non partono per Betlemme.

Voi, cari fratelli, ripartite e guidate altri! Guidate tutti coloro che la Provvidenza ha messo sulla strada della vostra vocazione. Fate tutto quello che è nelle vostre forze, perché giungano a Betlemme.

E, soprattutto, fermatevi là dove vi guida la luce della fede, e fate tutto quello che hanno fatto i Magi dall'Oriente; offrite a lui i doni: oro, incenso e mirra. L'oro dell'amore, l'incenso della preghiera e la mirra della sofferenza.


5. Voi tutti, che siete stati chiamati per ricevere oggi dalle mani del Vescovo di Roma l'Ordinazione episcopale, iscrivete profondamente nel vostro cuore il mistero dell'Epifania.

Per la gloria di Dio eterno e la salvezza delle anime. Amen!

Data: 1983-01-06 Data estesa: Giovedi 6 Gennaio 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Alle claustrali - Greccio (Rieti)