GPII 1982 Insegnamenti - Alle religiose riunite nella Cattedrale - Palermo

Alle religiose riunite nella Cattedrale - Palermo

Titolo: Testimoniate con le opere l'eminenza della vita religiosa

Testo:

Carissime religiose.


1. Ringraziamo insieme il Signore per averci consentito questo incontro nel luogo che più di ogni altro rappresenta il cuore della Chiesa siciliana, la Cattedrale di Palermo e, per di più, nella Solennità di Cristo Re dell'Universo, "Alfa" e "Omega" (Ap 1,8), Colui che, dall'alto della Croce, attrae a sé tutte le cose.

Tutti siamo chiamati a lavorare con perseveranza e con la forza del suo Spirito, affinché la sua regalità si affermi e si estenda sempre più nel cuore degli uomini.

Ho davanti ai miei occhi qui riunita, quasi un solo cuore e una sola mente, l'anima religiosa femminile della Sicilia, presente certo solo in una piccola rappresentanza, ma che reca al mio pensiero e al mio affetto anche tutte le religiose dell'Isola.

Tutte vi saluto cordialmente: vorrei farlo singolarmente e avere una parola per ciascuna, ma evidentemente non è possibile. Vogliate almeno accogliere questo mio sincero desiderio. Penso e invio il mio saluto in modo particolare a coloro tra voi che sono provate dalla sofferenza o dalle difficoltà; saluto con deferente rispetto quelle sorelle che, da tanto tempo, si affaticano nella Vigna del Signore; saluto con ammirazione e compiacimento quelle che, nel vigore delle forze, generosamente si donano nel servizio di Dio e dei fratelli; il mio saluto vuol essere speranza e incoraggiamento per le giovani, che stanno approfondendo e verificando il loro cammino e la loro scelta. Tutte vi ringrazio a nome della Chiesa Universale della quale sono Pastore, per la vostra risposta alla chiamata di Dio, e per la vostra volontà di continuare a operare e soffrire per il Regno di Cristo, a cui volete essere esclusivamente consacrate, al fine di offrire fin da quaggiù agli uomini, mediante la vostra comunione fraterna e l'esercizio delle opere della carità, le "primizie" (cfr. Rm 8,23) di quel Regno di "giustizia, pace e gioia dello Spirito Santo" (Rm 12,17).


2. E' per me motivo di grande emozione il sapervi le eredi di una antichissima e gloriosa tradizione cristiana, qual è quella della Chiesa siciliana, ricca fin dalle più lontane origini di Vergini e Martiri illustri, menzionate nello stesso Canone Romano della santa Messa, come Agata e Lucia; e rammento anche santa Rosalia, patrona di questa bella Città.

La vostra presenza in questa terra, care religiose, è degna degli esempi del passato. So che vi impegnate generosamente nella vita spirituale e nelle varie forme dell'apostolato a voi proprio: nelle istituzioni educative, nei servizi socio-sanitari, nei servizi sociali, nella pastorale, nella collaborazione fraterna e operosa con i Pastori e con i sacerdoti, nella ricerca permanente di un approfondimento culturale.

Sono qui tra voi per rallegrarmi per quanto già fate, per assicurarvi tutto il mio appoggio alle iniziative di carità che intraprendete o portate avanti, e per esprimervi la mia sentita partecipazione alle vostre sofferenze e alle vostre difficoltà. Sono qui soprattutto per dirvi una parola d'incoraggiamento e di speranza, per dare nuova forza al vostro entusiasmo, per aprirvi nuove strade, per aiutarvi a togliere gli ostacoli.


3. Innanzitutto, la raccomandazione che vorrei farvi, è questa: conservate e promuovete un giusto ed alto concetto della vita e della consacrazione religiosa, secondo quanto il Magistero ha sempre insegnato, e tuttora insegna. La Chiesa certamente oggi promuove delle forme secolari e "laicali" di vita religiosa, le quali, se ben intese, sono una grande benedizione per il Popolo di Dio e per il mondo. Il Concilio ha chiarito la dignità dei valori terreni e la spiritualità dei laici. Tuttavia, il medesimo Concilio, sottolineando il valore unico della vocazione religiosa, ci avverte di non svilirla con l'equivoco di un malinteso secolarismo, dimenticando che la vita religiosa aggiunge un ulteriore perfezionamento alla consacrazione battesimale.

Non si tratta certo, con vana presunzione, di sentirsi su di un gradino superiore ai semplici laici, giacché, come già insegnava san Tommaso (II-II 184,4), non chiunque è nello "stato di perfezione" è necessariamente "perfetto". Ed anzi, al religioso, proprio per aver ricevuto di più è richiesto di più: maggiore umiltà, maggior gratitudine a Dio, maggior coscienza dei suoi doveri cristiani, maggior impegno di carità, giacché "a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più" (Lc 12,48).

La superiorità dello stato religioso non dipende certamente dal rapporto del cristiano col fine ultimo, che è uguale per tutti: la beatitudine in Dio, conseguita nella santità e nella perfezione della carità; riguarda invece i mezzi della perfezione, che, come tali, sono superiori a quelli che derivano dalla consacrazione battesimale, sufficiente a caratterizzare la condizione secolare o coniugale. Il religioso, pero, se vuol realizzare quella maggior intimità con Cristo che caratterizza la sua vocazione, deve far uso sapiente e perseverante di quei mezzi speciali che sono a sua disposizione.


4. Questa eminenza della vita religiosa va testimoniata con le parole, e soprattutto con le opere: va provata nei fatti, affinché il mondo veda e creda.

Per questo, il concetto e la pratica che si hanno della vita religiosa, si riflettono immediatamente e consequenzialmente nell'azione che si compie per la promozione delle vocazioni, delle quali so che avete discusso nel vostro 5° Convegno regionale.

Il cuore umano cerca istintivamente il meglio, ciò che è più elevato e sta più in alto: e se voi non date quella "testimonianza del Trascendente", della quale parlava il vostro Cardinale Arcivescovo in una recente lettera, se voi cioè non siete "segno" di ciò che va oltre questo mondo e la sua caducità, e di ciò che è massimamente elevato - le realtà divine ed escatologiche - voi non potrete esercitare una vera attrattiva alla vita religiosa sulle giovani che oggi sono alla ricerca dell'Assoluto.

Non abbiate dunque timore di proporre al mondo l'ideale di una vita che trascende il presente. Ricordatevi che il senso profondo della vostra consacrazione è quello di essere, insieme con i vostri confratelli, i segni prefigurativi dell'umanità futura, dell'"uomo nuovo" e della "donna nuova" della risurrezione. Siate, mediante il vostro stesso comportamento, le "prove" viventi e concrete dell'esistenza di Dio, della sua Bontà, e del Regno di pace che ci ha promesso con la sua Croce!


5. In secondo luogo, non dimenticatevi del vostro ruolo specifico, come donne, all'interno della Chiesa e al servizio dell'umanità. Aiutatevi e aiutate la Chiesa, con l'assistenza dello Spirito e con la vostra ponderata riflessione, a metter sempre meglio in luce tale ruolo. Come Maria santissima è parte integrante del piano divino della salvezza, così la donna, specie se religiosa, è immagine di Maria, ideale della Donna, ed ha anch'essa quindi una parte propria ed essenziale nella salvezza dell'umanità. Riproducendo poi in se stessa il mistero mariano, la religiosa è anche immagine della Chiesa, della quale Maria, come dice il Concilio (LG 63), è "figura" o "tipo".

Se sarete sempre convinte della insostituibilità di questo ruolo che vi compete, ne sentirete una sana ed umile fierezza, senza esser tentate di desiderare altri ruoli o funzioni che snaturerebbero la vostra fisionomia in seno alla Chiesa.


6. Ma la scelta di consacrazione secondo il modulo proprio della femminilità non può essere fine a se stessa: deve radicarsi su quello che è il valore veramente fondamentale, quello della carità operosa e generosa, che faceva dire a san Paolo: "La carità di Cristo ci spinge" (2Co 5,14).

Ho avuto altre volte occasione di dire che l'essenza profonda della consacrazione religiosa è un atto d'amore a Cristo. Il religioso e la religiosa sono chiamati a riprodurre più da vicino a Cristo il suo stesso Amore. Essi sono un "segno", come ho detto, di risurrezione. Ma possono esserlo, solo in quanto il loro amore rifulga per la sua oblatività e il suo spirito di sacrificio, come quello di Cristo, "che si è offerto a Dio in sacrificio di soave odore" (Ep 5,2).

Devono essere dei "morti al mondo" (cfr. Col 2,20), per essere dei "risorti con Cristo" (Col 3,1).


Anche voi, care sorelle, come gli apostoli, siete "luce del mondo e sale della terra" (Mt 9,50). Siete la speranza del mondo. La vostra stessa esistenza smentisce l'amaro e a volte ipocrita fatalismo di chi, credendo insuperabili le ingiustizie, è tentato di seguire gli esempi dei violenti e dei malfattori. Non vi si chiede di vincere queste ingiustizie con la severità e la forza d'interventi, che non rientrano nella vostra missione. Voi tuttavia avete armi che, sia pure meno appariscenti, non sono meno efficaci: le armi della preghiera, della dedizione perseverante, dell'obbedienza responsabile, della missione pedagogica e caritativa, della purezza di vita, della parola franca e sincera, della pazienza cristiana, piena di una speranza d'immortalità. Sono queste le stesse armi di Cristo, "Re dei secoli" (1Tm 1,17); Cristo, Agnello che è "Re dei Re" (cfr. Ap 17,14). Sono le armi della sua santissima Madre. Sono le armi che hanno vinto il mondo.

Vi accompagni e vi sostenga la mia benedizione.




1982-11-21 Data estesa: Domenica 21 Novembre 1982




Alla comunità italo-greco-albanese nella Concattedrale della Martorana - Palermo

Titolo: Oasi di vita e di spiritualità orientale trapiantata nel cuore dell'occidente

Testo:

Sia lodato Gesù Cristo! Carissimi fratelli e sorelle!


1. Rivolgo con fraterno affetto il mio saluto a Monsignor Ercole Lupinacci, Pastore di questa Chiesa albanese di rito bizantino in Sicilia; a Monsignor Giovanni Stamati, Vescovo di Lungro; a Padre Paolo Giannini, Archimandrita di Grottaferrata. E saluto di cuore tutti voi qui presenti, fratelli e sorelle italo-albanesi di rito greco.

Sono molto lieto d'incontrarmi con voi, in questa Chiesa concattedrale dell'Eparchia di Piana degli Albanesi, nel giorno in cui la Chiesa di rito latino celebra la Festa di Cristo Re, il "Pantocrator", ben conoscendo sia la vostra antica storia, che è tessuta di fedeltà a Cristo e alla Cattedra di Pietro, sia la funzione ecumenica che la Provvidenza e le circostanze, anche geografiche, vi hanno chiamati a svolgere tra Occidente e Oriente, nella prospettiva della ricomposizione della piena comunione tra le Chiese.


2. Voi siete qui da oltre cinque secoli. I Romani Pontefici chiamarono il vostro condottiero Giorgio Kastriota, a buon diritto, "atleta di Cristo", ed il popolo albanese "baluardo dei cristiani". La Sede dell'apostolo Pietro ha sempre guardato alla Patria dei vostri avi ed a voi tutti con affetto di predilezione. Nel 1968, il mio venerato predecessore Paolo VI, con il chirografo "Quinto revoluto saeculo", ha rievocato le gesta dei vostri padri. Esuli, portarono qui come sacro patrimonio le patrie tradizioni, la fede cattolica professata secondo il venerato rito bizantino-costantinopolitano, l'attaccamento fedele e costante alla Cattedra di Pietro. Un deposito che per essi costituiva la ragione del forzato "esodo" e, per l'avvenire, un motivo di sicurezza.

Con lo sguardo rivolto alla Sede di Pietro, vertice di convergente unità, su questo suolo di generosa accoglienza, i vostri antenati trovarono ospitalità presso i fratelli di rito latino e condivisero costantemente le gioie, le pene, le speranze del lavoro quotidiano.

Il drappello di profughi, che, sostenuti dalla loro profonda fede evangelica, 534 anni fa, giunsero qui in Sicilia, trovarono non solo un approdo stabile per il futuro delle loro famiglie, come nucleo della patria lontana, ma anche 1'isola maggiore del "Mare nostrum" che, per la sua posizione naturale, è un centro di comunicazione tra Oriente e Occidente, un provvidenziale congiungimento tra sponde di diversi popoli.


3. Cari fratelli e sorelle, l'anno 1448, che può considerarsi il genetliaco della Chiesa albanese di rito bizantino in Sicilia, che oggi ha in Piana la sua sede eparchiale, deve essere considerato anche un punto di riferimento per la funzione, che la Divina Provvidenza ha voluto affidare nel quadro dell'ecumenismo.

Il Concilio Vaticano II non solo dichiara di circondare di doverosa stima e di giusta lode il patrimonio ecclesiastico e spirituale delle Chiese orientali, "ma lo considera fermamente quale patrimonio di tutta la Chiesa di Cristo" (OE 5).

Ebbene, la Divina Provvidenza, la cui sapienza tutto dirige al bene degli uomini, ha reso la vostra situazione feconda di promesse: il vostro rito, la lingua albanese che ancora parlate e coltivate, unitamente alle vostre centenarie costumanze, costituiscono un'oasi di vita e di spiritualità orientale genuina, trapiantata nel cuore dell'Occidente. Si può pertanto dire che voi siete stati investiti di una particolare missione ecumenica.

In occasione del V Centenario della morte del vostro condottiero Giorgio Skanderbeg, il mio predecessore Paolo VI, accogliendovi presso la tomba del Corifeo degli Apostoli, vi salutava con l'augurio di essere "il tramite di alleanze e di collaborazioni".

La Chiesa attende da voi e dalle comunità albanesi, parimenti venerate e benemerite dell'Eparchia di Lungro e del Monastero Esarchico di Grottaferrata, quella collaborazione per il dialogo che valga a tenere accesa ed a ravvivare la fiamma dell'attesa unità tra le Chiese sorelle d'Oriente e d'Occidente.

Il vostro impegno deve caratterizzarsi nell'essere elemento di comprensione e di pace sempre maggiore, motivo di continuità e di unione di tutta la Chiesa pellegrinante. Se sarete fedeli all'autenticità della vostra spiritualità orientale, l'anelito della piena unità potrà affrettare i tempi del suo compimento, secondo la preghiera di Cristo: "Pro eis rogo ut unum sint" (cfr. Jn 17,20s).


4. Da quest'Isola benedetta, come dalla prua di una nave in viaggio verso il porto, Io, quale successore di Pietro fratello di Andrea, che, primo fra gli apostoli, ha ricevuto la missione di assicurare la "sinfonia" delle sante Chiese di Dio nella fedeltà del mandato divino, raccogliendo gli aneliti vostri, insieme con quelli di tutto il mondo cristiamo, rivolgo un fraterno saluto di pace e di carità alle Chiese sorelle che sono in Costantinopoli ed in Grecia. Esse hanno sempre visto in questa vostra comunità, nelle sue espressioni rituali e di fede una garanzia dell'autenticità del Vangelo.

Questo deve essere per tutti un motivo di sicurezza per un proficuo cammino verso la pienezza dell'unità.

Questo ardentemente auspichiamo, in adesione all'imperioso richiamo evangelico, in attesa di poter intonare il cantico della lode: "Alleluia! / Ha preso possesso del suo regno il Signore, / nostro Dio, l'Onnipotente. / ...sono giunte le nozze dell'Agnello; / la sua Sposa è pronta" (Ap 19,6-7).


5. Cari fratelli e sorelle! Cristo Signore, perché passato da questo mondo al Padre (Jn 13,1), è stato il vostro "esodo". Egli è il nostro "esodo", la nostra "Pasqua", "la Via, la Verità, la Vita" (Jn 14,6). Egli è, dunque, anche il "compimento". In Cristo tutto è compiuto, perché egli ha realizzato l'esodo perfetto per i cristiani che sono "azimi"; e tutto deve continuare a compiersi, giorno per giorno, in una ininterrotta accoglienza dello Spirito, che deve trasformarci nell'unità della Pasqua del Signore per tutte le Chiese.

La Theotokos sempre Vergine Maria, l'Odighitria, che voi chiamate la "Condottiera", come "Stella Mattutina", ha guidato prima in Patria i vostri passi e poi vi ha indicato una via nuova.

La sua materna intercessione, unitamente ai santi apostoli Pietro e Andrea, faccia pervenire le Chiese sorelle, cattolica e ortodossa, all'unità perfetta, in letizia; col cuore pieno di speranza evangelica, ascoltiamo le parole di san Giovanni Crisostomo: "La nostra speranza è la Chiesa, la nostra salvezza è la Chiesa, il nostro rifugio è la Chiesa" ("Hom. de capto Eutropio", 6), mentre con lo stesso santo Dottore ripetiamo: "Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre" (Dalla Liturgia di san Giovanni Crisostomo).




1982-11-21 Data estesa: Domenica 21 Novembre 1982




All'ospedale civile - Palermo

Titolo: Umanizzare gli ambienti ospedalieri dovere ed impegno di quanti vi operano

Testo:

Carissimi! Nell'intenso itinerario della mia visita alla città di Palermo, la sosta in questo grande Ospedale civile ha una importanza del tutto particolare. Infatti sappiamo bene come nelle nostre città così piene di vitalità e di dinamismo, così frementi di interessi e di occupazioni, tra botteghe e negozi, tra scuole ed uffici, tra fabbriche e luoghi di divertimento, sorgono anche gli ospedali, a ricordarci la condizione fragile e precaria della nostra vita.

Ebbene, io sono venuto molto volentieri in mezzo a voi, cari ammalati, per porgervi il mio più affettuoso saluto e per dirvi che nelle mie preghiere ricordo specialmente voi, che soffrite, e tutti coloro che si prendono cura di voi. Avrei desiderato passare attraverso tutte le corsie per portare a ciascuno la mia benedizione e una parola di conforto; pero il tempo non lo permette. Ma vi abbraccio tutti, ed intendo rivolgermi anche a tutti i degenti negli ospedali di questa Città e dell'intera Isola. Il mio abbraccio è segno dell'amore che Gesù ha per voi, e sottolinea altresi la fiducia che tutti dobbiamo avere nel valore della sofferenza, che Cristo stesso ha voluto provare per la salvezza degli uomini.

Logicamente, all'Ospedale si viene per guarire ed io porgo a tutti l'augurio di poter guarire presto, per tornare così alle vostre case, alle vostre famiglie, alla gioia della salute e del lavoro. Nello stesso tempo pero vi esorto anche alla pazienza ed alla rassegnazione alla Volontà dell'Altissimo, ben convinti che anche nelle fitte del dolore o nell'amarezza delle delusioni egli è sempre Padre, che ci ama, ci segue e ci avvolge nella trama misteriosa del suo disegno salvifico.

Intendo pure porgere il mio affettuoso saluto al personale dirigente, medico e paramedico, ai religiosi ed alle religiose, a tutti coloro che in qualche modo prestano la loro opera di aiuto ai malati. L'Ospedale è diventato nella città moderna un luogo di importanza centrale, nella sua complessa organizzazione; ed è diventato, si può dire, una sosta quasi obbligatoria per buona parte degli abitanti. Prendo volentieri l'occasione per esortare tutti a fare in modo che ogni Ospedale, luogo di dolore e di speranza, diventi anche luogo di incontro fraterno! Dal momento che i passi della vita possono talora portare anche qui, allora ognuno si faccia un dovere ed un impegno in coscienza di rendere familiare ed amichevole questo ambiente, in cui possono maggiormente esercitarsi le virtù della bontà, della pazienza, della carità umana e cristiana! In questa ultima domenica dell'anno liturgico, la Chiesa celebra la Solennità di Cristo Re. Questo titolo vuole significare che Gesù, vero Dio e vero Uomo, è veramente la Causa e la Ragione di tutto l'universo, da lui creato come seconda Persona della santissima Trinità, ed è il centro dell'intera storia umana, da lui redenta e salvata mediante il sacrificio della Croce. In questo luogo, dove si sente maggiormente la sofferenza della vita e nello stesso tempo l'indistruttibile anelito alla serenità ed al benessere, la Liturgia con ispirata sapienza ci esorta e ci spinge a confidare totalmente in Cristo, nostro Re, che ha manifestato il suo amore attraverso il dolore. Mediante il Battesimo, anche noi partecipiamo della "regalità" di Cristo. Questa grande dignità si deve esprimere con la disponibilità a servire, secondo il suo esempio (cfr. RH 21). Infatti Cristo non venne per essere servito, ma per servire (Mt 20,28).

Mi piace concludere queste mie brevi ma cordiali parole con un pensiero del venerato padre Giacomo Cusmano, Fondatore delle Suore Serve dei Poveri e dei Missionari Servi dei Poveri, eroe della carità, ben noto nella città di Palermo, dove nel secolo scorso esercito la medicina per quattro anni e, divenuto in seguito sacerdote, consacro tutta la vita per i malati e per i poveri. La sua idea direttiva era che bisogna "vivere alla presenza di Dio e in unione con Dio; ricevere tutto dalle mani di Dio; far tutto per puro amore e gloria di Dio". E' un magnifico programma che vale per tutti, e per sempre, e che lascio anche a voi, mentre vi raccomando alla Vergine santissima, "Salus Infirmorum".

Con grande effusione vi do la mia benedizione.




1982-11-21 Data estesa: Domenica 21 Novembre 1982




L'omelia all'ippodromo della Favorita - Palermo

Titolo: Nell'eterna regalità di Cristo non tramonta mai il regno dell'uomo

Testo:


1. "Il Signore regna, si ammanta di splendore " (Ps 92 [93],1).

Questo grido è tipico dell'odierna solennità di Cristo Re.

E io sono felice che la mia visita a Palermo coincida con essa, e che nel nome di Cristo Re io possa rivolgervi la parola nel corso di questa solenne Liturgia.

Il regno di Cristo è regno di verità, di grazia, di giustizia, di misericordia. E' regno, nel quale ci si inserisce con adesione libera e personale, e noi dobbiamo lasciare che Cristo regni sempre nella nostra vita; dobbiamo aprire a lui con gioia la porta del nostro spirito, farlo entrare nella nostra vita, accogliendo la sua parola e rispondendo ad essa con la fedeltà quotidiana ai nostri impegni, con una impostazione di vita, che poggi su scelte operative coerenti con la fede.

In questa Celebrazione Eucaristica ho la gioia di incontrare tutti voi che rappresentate l'intero Popolo di Dio che vive in Sicilia ed è impegnato a servire Dio vivendo con spirito di servizio la vita della comunità. Inseriti vitalmente in Cristo mediante il Battesimo, voi siete la Chiesa di Dio pellegrina in Sicilia.

Crocevia di civiltà e punto di incontro tra Oriente e Occidente, la Sicilia è stata tra le prime regioni d'Italia ad accogliere gli apostoli, a ricevere l'annunzio della Parola di Dio, ad aderire alla fede in modo così generoso che, anche in mezzo a difficoltà e persecuzioni, è sempre germogliato in essa il fiore della santità. La vostra Isola è stata ed è terra di santi, appartenenti ad ogni condizione di vita, che hanno vissuto il Vangelo con semplicità ed integralità.

Vi saluto di cuore, cari Palermitani e cari Siciliani, con speciale pensiero al venerato Cardinale Pappalardo, a tutti i Vescovi come pure a tutte le Autorità civili della Regione e della Città.

Il mio pensiero, il mio affetto si estendono anche ai figli di questa Terra siciliana che sono stati costretti a recarsi in altre Regioni o in altri Paesi per cercare un lavoro che fosse fonte di onesto sostentamento per sé e per la loro famiglia. Ad essi il mio augurio che possano trovare sempre e dappertutto le condizioni per una dignitosa vita di uomini e di cristiani; ma in pari tempo auspico che lo sviluppo economico-sociale dell'Isola renda non più necessario ai giovani di emigrare per poter avere un posto di lavoro.


2. "Il Signore regna, si ammanta di splendore".

Questa è la verità proclamata dal Salmo della liturgia odierna. Essa è risuonata sulle nostre labbra, mentre ripetevamo il ritornello del Salmo. Oggi, nell'ultima Domenica del ciclo annuale della liturgia (cioè: del servizio Divino), la Chiesa desidera pronunciare in modo solenne questa verità: Dio regna sull'universo, che ha creato, che è sua opera. può forse essere diversamente? può forse un altro regnare sul mondo all'infuori di Colui, che ha dato - e continuamente dona - l'esistenza a tutto? Egli è Re, perché è Creatore! "Rende saldo il mondo, / non sarà mai scosso. / Saldo è il tuo trono fin dal principio, / da sempre tu sei" (Ps 92 [93],1-2).

Così, dunque, oggi la Chiesa proclama l'opera della creazione - e mediante l'opera della creazione proclama il regnare di Dio nel mondo: il Regno di Dio c'è! Permane irremovibile dalla fondazione del mondo. E durerà fino al suo termine. Il mondo è Regno di Dio, perché da lui è stato creato.

"Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!" (Ap 1,8).


3. E, contemporaneamente, la Chiesa prega così come ha insegnato Cristo: "Venga il tuo regno".

E la Liturgia odierna ci presenta il Regno di Dio come una realtà, che sorge nel mondo per opera di Cristo. Esso appartiene già alla nostra contemporaneità, ma ancor di più al futuro.

In Gesù Cristo, Dio - l'Alfa e l'Omega - è colui che è, e che era, ma allo stesso tempo colui che viene.

Il Regno di Dio, che mediante l'opera della creazione permane irremovibile nell'intero universo - al tempo stesso ha nell'umanità, mediante l'opera della redenzione, il suo passato, presente e futuro. Ha la sua storia, che si sviluppa insieme con la storia dell'umanità.

Al centro di questa storia si trova Gesù Cristo. La Chiesa legata alla storia dell'umanità, alla storia della salvezza, proclama nell'odierna Domenica il Regno di Dio in Gesù Cristo: un regno, questo regnare di Dio, che insieme a lui è entrato nella storia di generazione in generazione.

La Domenica odierna è la festa di Cristo-Re.

Con il canto dell'"Alleluia" lo salutiamo solennemente con queste parole: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il suo Regno che viene" (cfr. Mc 11,9-10).


4. Chi è il Cristo-Re? A questa domanda risponde la Liturgia odierna, soprattutto con le parole di Giovanni apostolo ed evamgelista.

Nell'Apocalisse di Giovanni leggiamo: "Gesù Cristo, Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (1,5-6).

Gesù Cristo è un Re che ama.

Egli è Re perché ama.

Perché ha amato noi uomini fino a versare il sangue.

Perché ama ci ha liberati dai peccati, perché soltanto l'amore è capace di liberarci dal peccato.

Liberando noi uomini dal peccato, ha fatto di noi il regno di Dio.

Perché ci ha amati fino al sacrificio della vita, Cristo ha fatto di noi il Regno di Dio.

Cristo è Re, perché ha fatto di noi il Regno di Dio.

Non soltanto egli ha proclamato il Regno di Dio col suo insegnamento, ma ha fatto di noi "un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,6).

Tutto il Popolo di Dio, che partecipa al sacerdozio di Cristo e al suo sacrificio - alla sua croce - riconfermando il regno di Dio nel creato, partecipa altresi al suo regno.

Ciò si compie mediante Cristo. In questo modo, il regno di Dio esiste nella storia dell'uomo come Regno di Cristo. In questo modo Cristo è Re.


5. "Il mio regno non è di questo mondo" (Jn 18,36), risponde Cristo alla domanda di Pilato il Venerdi Santo.

Pilato chiede: "Tu sei il re dei Giudei?" (v. 33). Ha fatto questa domanda, perché proprio di ciò i rappresentanti delle autorità dei Giudei accusavano Cristo: perché egli si dichiarava re dei Giudei.

Il Messia fu preannunziato dai profeti come "Re dei Giudei" - come discendente di Davide, erede del suo scettro e del suo trono. E tuttavia Cristo risponde decisamente: "Il mio regno non è di questo mondo".

"Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei" (Jn 18,36).

Dunque: Il mio regno non è di quaggiù.

Non è di questo mondo. Anche se è Messia discendente di Davide, non stende la mano e non la stese mai per lo scettro e il trono temporale del regno dei Giudei. In questo senso non è Re - e lo spiega dinanzi a Pilato.

E tuttavia, al tempo stesso, è Re.

Infatti egli dichiara al governatore e giudice romano: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato, per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (Jn 18,37).

Chiunque accetta la testimonianza che Gesù Cristo rende al regnare di Dio nel creato, appartiene al regno di Cristo.

Chiunque accoglie la testimonianza che Cristo dà al regnare di Dio mediante il suo sacrificio sulla Croce, appartiene al Regno di Cristo.

Cristo dice a Pilato: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità", cioè alla verità salvifica.

Chiunque accoglie la verità salvifica e la vive, costruisce il regno di Cristo.


6. Nella Liturgia della Domenica odierna parla anche il profeta Daniele. Ecco le sue parole: "Gli diede potere, gloria e regno: / tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; / il suo potere è un potere eterno, / che non tramonta mai, e il suo regno è tale / che non sarà mai distrutto" (7,14).

Il Figlio dell'uomo è Cristo Re.

Il suo regno non tramonta mai. Non tramonta il regno di Colui, "che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre". Non tramonta il Regno della verità, dell'amore, della grazia e del perdono.

Non tramonta il suo regno. E non tramonta in lui il regno dell'uomo.

Solo in lui! In Cristo, che è venuto al mondo per dare la testimonianza alla verità.

In lui, che è "il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra" (Ap 1,5).

In lui, che ha scelto la Croce come segno del suo regnare.

In lui, unico! "A lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli" (v. 6).



7. Vivendo nel mondo, ove la verità e l'amore vengono minacciati in diversi modi, - ove il peccato conquista sempre di più diritto di cittadinanza e difende con accanimento questo diritto, - ove l'uomo diventa oggetto di una molteplice manipolazione e può diventare vittima delle orribili energie che ha liberato - guardiamo oggi con gli occhi della fede verso il regno di Cristo e ripetiamo le parole, con le quali lo stesso Cristo ci ha insegnato a rivolgerci al Padre: "Venga il tuo regno"! Amen. 1982-11-21 Data estesa: Domenica 21 Novembre 1982




L'"Angelus" al termine della Messa alla Favorita - Palermo

Titolo: Vincere in se stessi il regno del peccato servendo Cristo anche negli altri

Testo:


1. Prima di finire la santa Messa e impartire la benedizione, meditiamo ancora le seguenti parole della costituzione conciliare "Lumen Gentium" sulla Chiesa: "Cristo, fattosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre (cfr. Ph 2,8-9), entro nella gloria del suo regno; a lui sono sottoposte tutte le cose, fino a che egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature, affinché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1Co 15,27-28). Questa potestà egli l'ha comunicata ai discepoli, perché anch'essi siano costituiti nella libertà regale e con l'abnegazione di sé e la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato (cfr. Rm 6,12), anzi, servendo Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro fratelli al Re, servire al quale è regnare" (nn. Rm 9,36).


2. Recitando poi l'"Angelus", meditiamo in modo particolare la risposta della Vergine di Nazaret: "Eccomi, sono la serva del Signore" (Lc 1,38).

Colei che chiama se stessa "serva" partecipa, in misura particolare, al Regno di Cristo.

Lei pure, in sempre più gran numero, "con umiltà e pazienza conduce fratelli e sorelle al Re, servire al quale è regnare".

Lei stessa è nostra Madre e Regina.

[Guidata la recita dell'"Angelus Domini", il Papa così conclude l'incontro di preghiera:] Oggi, terza domenica di novembre, la Chiesa italiana celebra la Giornata Nazionale delle Migrazioni, voluta già dal santo Pontefice Pio X. Essa propone all'attenzione della comunità ecclesiale il grande problema del fenomeno migratorio al fine di stimolare iniziative concrete di sostegno e di solidarietà per le attività socio-pastorali della Chiesa italiana, in favore dei migranti e delle loro famiglie.

Quest'anno la "giornata nazionale delle migrazioni" coincide con la mia visita pastorale ad una delle regioni del Mezzogiorno d'Italia, che da oltre un secolo è una delle terre più profondamente segnate dalla migrazione; essa è stata anche fra le più colpite dal sisma, fattore non trascurabile che obbliga non di rado a lasciare la terra d'origine. Fra due giorni ricorre il secondo anniversario dell'ultimo terremoto, che distrusse e danneggio interi paesi del Sud.

In questo momento, ricordando i morti, i sinistrati ed i lontani, auspico che il tema di questa Giornata: "Dalla solidarietà alla comunione", abbia reale e sollecita attuazione affinché, mediante la ricostruzione materiale, si renda ai bisognosi meno difficile l'esistenza e più concreta la promozione umana.

Questo ci ottenga la nostra preghiera al Signore, per intercessione di Maria, sua e nostra Madre.

Vorrei poi invitarvi a prender parte alla mia gioia per la liberazione, avvenuta martedi scorso, dell'Arcivescovo di Lubango, in Angola, Monsignor Alexandre do Nascimento, di un sacerdote missionario e di una religiosa, che erano stati rapiti circa un mese fa nella missione di Mongua.

Dobbiamo ringraziare il Signore che ha ascoltato le preghiere elevate da tutta la Chiesa per questa intenzione, in unione con la comunità cattolica angolana.

Purtroppo, sono ancora trattenuti prigionieri quattro Religiose ed alcuni collaboratori laici della stessa Missione. Il nostro ringraziamento a Dio è, pertanto, accompagnato dalla supplica che anch'essi siano presto liberati e possano così tornare incolumi al loro lavoro apostolico.




1982-11-21 Data estesa: Domenica 21 Novembre 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Alle religiose riunite nella Cattedrale - Palermo