GPII 1982 Insegnamenti - Riunione plenaria del sacro Collegio - Città del Vaticano (Roma)

Riunione plenaria del sacro Collegio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il servizio della sede apostolica all'unità della Chiesa deve formarsi in rapporto alle necessità e ai compiti pastorali

Testo:

Cari e venerati fratelli, Cardinali di santa Romana Chiesa!


1. E' con viva e sincera gioia che, oggi, vi porgo il mio benvenuto in quest'Aula, presso la Tomba di Pietro, nel cuore della Chiesa. In questi anni molti di voi sono venuti, anche più volte, dalle varie parti del mondo, sia per la "visita ad limina" sia per altre circostanze; ma oggi è un particolare motivo che riunisce qui, al completo, i Cardinali: inauguriamo la Riunione plenaria del Sacro Collegio, che fa seguito a quella di tre anni fa, con inizio il 5 novembre 1979, la prima che, in questa forma, non avveniva si può dire "ab immemorabili", almeno nei tempi moderni e contemporanei, eccettuate le storiche occasioni dei Conclavi.

Vi saluto pertanto con grande affetto. Vi ringrazio per aver accettato il mio invito; anche a costo di affrontare disagi, come ben so, perché le vostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane nel servizio della santa Chiesa sono grandi e assillanti.

Trovandoci insieme dopo tre anni, non posso non ricordare coloro che, in questo periodo di tempo, il Signore ha chiamato a sé: i compianti Cardinali Alfred Bengsch, Sergio Pignedoli, Egidio Vagnozzi, Stefan Wyszynski, Franjo Seper, Pericle Felici, John Patrick Cody, Carlos C. de Vasconcellos Motta, Giovanni Benelli. Li abbiamo tutti nel cuore, conserviamo la loro memoria in benedizione, e - ne siamo certi - essi intercedono presso Dio per noi, per il nostro lavoro, che hanno condiviso fino all'ultimo respiro.


2. Desidero anzitutto richiamarmi nuovamente a ciò che ho detto allora (cfr. AAS 71 [1979] 1448s) per motivare la necessità e l'opportunità che ogni tanto siano convocate riunioni, alle quali partecipino tutti i membri del Collegio Cardinalizio. Questa motivazione si chiarisce in modo particolarmente espressivo alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II, che così magnificamente ha messo in rilievo la "collegialità" dell'intero Episcopato nella sollecitudine pastorale per la Chiesa. Tale "collegialità" raggiunge la sua particolare pienezza nel Concilio Ecumenico. Tuttavia perché la "collegialità" del ministero episcopale possa trovare la sua evidenza nella vita della Chiesa anche al di fuori del Concilio, è stata auspicata dallo stesso Concilio l'istituzione del "Sinodo dei Vescovi", alla quale dobbiamo riconoscere di aver affrontato - nello spazio di questi anni, non ancora molto numerosi dopo il Concilio - molti problemi di cruciale importanza per la Chiesa.

In questo momento anche l'Episcopato di tutto il mondo si prepara ad una seduta ordinaria del Sinodo nell'anno 1983, il cui tema "La penitenza e la riconciliazione" riveste un significato del tutto fondamentale per la missione della Chiesa e del cristianesimo nel mondo contemporaneo. Non è poi da dimenticare che, accanto alle sedute ordinarie, lo Statuto del Sinodo dei Vescovi prevede anche le sedute straordinarie e quelle speciali. E anche tali sedute hanno già avuto luogo nel periodo postconciliare.

Tra questi segni della collegialità non può certo mancare il venerabile ed antico "Sacro Collegio". In occasione della precedente riunione, ho già avuto l'opportunità di mettere in rilievo il particolare legame che unisce questo Collegio con la Chiesa Romana, e col servizio universale del Vescovo di Roma nella Chiesa Cattolica. Si può dire che la presenza del Collegio cardinalizio, nei problemi connessi in modo particolarmente stretto con questo servizio, è fondata non soltanto in considerazione della funzione storica del Collegio medesimo, ma anche sul fatto concreto del generale sviluppo della collegialità dopo il Vaticano II. L'attivazione del Collegio Cardinalizio nell'ambito delle opportune questioni non soltanto non offusca, ma anzi svela di più il carattere collegiale del ministero episcopale, cioè la sollecitudine collegiale di tutti i Vescovi della Chiesa nel campo dell'insegnamento, della cura pastorale e della santificazione del Popolo di Dio.


3. Dopo queste osservazioni introduttive, desidero riferirmi in particolare all'incontro precedente, avvenuto nel novembre 1979.

Voi ben ricordate i problemi, sui quali si è costruttivamente trattato allora, alla luce dei "fondamenti dai quali dipende la realizzazione del compito, posto davanti a tutta la Chiesa", come vi dicevo nella seduta inaugurale (cfr. AAS 71 [1979] 1455): il primo verteva sull'insieme delle strutture della Curia Romana; il secondo, sull'attività delle Accademie Pontificie; il terzo, sui mezzi economici della Sede Apostolica.

In questi anni, sia pur brevi, e per di più segnati da avvenimenti drammatici e dolorosi, la Santa Sede ha cercato di tener fede ai programmi che furono allora esposti e sviscerati dai componenti di questa riunione - singolarmente presi o riuniti nei gruppi linguistici - e da me riassunti al termine di essa, il 9 novembre 1979 (cfr. AAS 71 [1979] 1459ss). Voi sapete bene anche come i suggerimenti, da voi proposti, siano stati e siano messi in pratica.

In particolare vorrei ricordare che quanto fu detto circa il rapporto con la cultura si è concretato nella fondazione del Pontificio Consiglio per la Cultura, avvenuta il 20 maggio di quest'anno con mia lettera al Cardinale Segretario di Stato; l'organismo è già alacremente al lavoro. Inoltre, le crescenti preoccupazioni per il problema economico sono oggetto di costante e vigile attenzione, e hanno avuto espressione nella istituzione del "Consilium Patrum Cardinalium ad quaestiones organicas et oeconomicas Apostolicae Sedis expendendas", avvenuta il 31 maggio dello scorso anno mediante il Chirografo "Comperta Habentes" (AAS 73 [1981] 545s); e sono inoltre in dovere qui di ringraziare voi tutti per il sostegno concreto che viene alla Sede Apostolica specialmente dalle Chiese locali.

Anche altri punti, toccati in quella occasione, che entrano nel piano generale dell'azione della Chiesa in favore dell'uomo nel mondo contemporaneo, hanno avuto un opportuno sviluppo: e mi piace citare il compito prioritario che ottiene la pastorale della famiglia, che, nel frattempo, è stata oggetto dell'ultima Sessione del "Synodus Episcoporum", delle cui indicazioni e programmi si è poi fatta interprete l'esortazione apostolica "Familiaris Consortio", del 22 novembre 1981; e soprattutto ha trovato espressione concreta nella istituzione di un nuovo organismo della Curia Romana, il Pontificio Consiglio per la Famiglia, mediante il "Motu Proprio": "Familia a Deo Instituta", del 9 maggio dell'anno passato. E mi piace anche ricordare la fondazione del Pontificio Istituto per gli Studi su Matrimonio e Famiglia, presso la Pontificia Università Lateranense, il cui pieno riconoscimento giuridico della fisionomia accademica è stato recentemente da me dato per mezzo della costituzione apostolica "Magnum Matrimonii Sacramentum", del 7 ottobre ultimo scorso.

Inoltre, le sollecitudini della Sede Apostolica in favore della retta e fervorosa promozione della Sacra Liturgia secondo le linee di rinnovamento tracciate dal Concilio Vaticano II, non ha mancato di esprimersi in opportune direzioni di marcia. E' noto infatti che, anche accogliendo i voti emersi dalla riunione di tre anni fa, le due Sezioni di cui si compone la Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino hanno avuto una più rigorosa esplicitazione delle proprie competenze, dando un maggiore impulso - come già dissi ai membri della Curia Romana nell'imminenza della Solennità dei santi Pietro e Paolo - alla Sezione per il Culto, appunto perché si risponda sempre meglio alle direttive conciliari nell'ambito sacro e vitale della sacra Liturgia.


4. Mentre la nostra riunione nel 1979 ha avuto come tema soltanto alcuni problemi, che già allora esigevano un'urgente discussione, è necessario, invece, che sul banco di lavoro dell'attuale riunione sia posto il problema complessivo. Ed è quello riguardante la costituzione apostolica "Regimini Ecclesiae Universae" e l'intero suo ambito - ossia l'insieme degli uffici e delle loro specifiche attività, che contribuiscono al servizio della Sede Apostolica nei confronti della Chiesa Universale.

Il Papa Paolo VI, che il 15 agosto del 1967 (cfr. AAS 59 [1967] 885-928), all'indomani del Concilio Vaticano II, raccolse e ordino, nella suddetta costituzione, l'insieme di queste attività, distribuite secondo i singoli organismi che fanno parte della Sede Apostolica, si rendeva conto della necessità di fare, in questo campo, un ulteriore passo. Desideriamo appunto dedicare l'attuale riunione a questo importante problema.

Per spiegare, più da vicino, il contenuto della documentazione che hanno ricevuto tutti i Membri del Collegio Cardinalizio, verrà presentata una relazione più particolareggiata. Desidero, quindi, soltanto aggiungere che, poco dopo la pubblicazione della costituzione "Regimini Ecclesiae Universae", una speciale commissione si è occupata di tale problema, sotto la presidenza del Cardinale Ferdinando Antonelli. In seguito, lo stesso problema è stato fatto oggetto di alcune riunioni, alle quali hanno partecipato, sotto la presidenza del Papa, tutti i Prefetti dei singoli Dicasteri della Curia Romana.

Nel quadro di queste riunioni si sono pronunziati i membri del Collegio Cardinalizio, che quotidianamente s'incontrano con la tematica del molteplice lavoro della Sede Apostolica - e perciò le loro osservazioni e i suggerimenti provengono da una immediata prassi, da una esperienza diretta.

Se con lo stesso problema mi rivolgo, nella presente riunione, a tutti i Membri del Collegio Cardinalizio, lo faccio tenendo presente la ragione che, sebbene essi non partecipino tutti direttamente all'attività della Curia Romana, tuttavia questi problemi rimangono, in diverso modo, alla portata della loro esperienza e della loro attività. Voi, pertanto, siete chiamati a pronunziarvi, anche su tale tema, e tanta utilità mi attendo anche dal vostro contributo.


5. Il periodo, in cui iniziamo il nostro incontro, è importante perché si stanno ultimando i definitivi preparativi alla pubblicazione del "Codice di Diritto Canonico", al quale sarà dedicata anche una speciale relazione. E' comunemente noto quante consultazioni abbiano preceduto questa tappa - e come sia stato possibile sia ai singoli Vescovi, sia agli Episcopati, ed anche ad altre persone competenti e qualificate, esprimersi su tale importante questione.

Il problema di cui ci occupiamo durante la presente riunione non ha dimensioni altrettanto grandi, né una tale importanza. Nondimeno bisogna dedicarvi tutta l'attenzione dovuta, affinché tutto ciò che riguarda il servizio della Sede Apostolica nei riguardi della Chiesa Universale sia definito in conformità con le esigenze e con la finalità di tale servizio. Sembra che, accanto agli emendamenti concreti, ai complementi e cambiamenti da introdurre nel testo della costituzione "Regimini Ecclesiae Universae", sia necessaria una riflessione riguardante le basi stesse di questo argomento.

Se per iniziare tale riflessione è indispensabile la partecipazione di tutti i Membri del Collegio Cardinalizio, in seguito, per fare funzionare le appropriate strutture degli uffici e delle attività della Curia Romana, sarà necessario l'apporto delle Conferenze Episcopali, e dei loro Presidenti in primo luogo. Si tratta di precisare in giusto modo le correlazioni esistenti tra gli organi della Sede Apostolica e i molteplici organismi di cui gli Episcopati si servono nel loro lavoro.

Tale orientamento, che prendiamo nell'intraprendere il lavoro, ci permette di formulare alcune priorità fondamentali. Così sembra che - mantenendo le tradizionali dimensioni giuridiche - occorrerà cercare per le strutture della Curia Romana sempre maggiormente quell'orientamento pastorale, che risulta così chiaramente dall'intero insegnamento del Concilio Vaticano II. Nella stessa direzione sono anche andati i lavori postconciliari del Sinodo dei Vescovi. Sia l'attività, sia anche la cooperazione tra i singoli dicasteri della Curia devono rispecchiare ancor più pienamente questa direzione. Oggi, ogni diocesi nel mondo lavora in base al proprio centro pastorale. Il servizio all'unità della Chiesa, proprio della Sede Apostolica, deve formarsi in rapporto alle necessità e ai compiti pastorali. Che queste necessità e questi compiti siano differenziati, ce ne hanno convinti le splendide analisi compiute durante le riunioni del Sinodo sul tema dell'evangelizzazione, della catechesi, come pure della vita familiare.

Insieme a questa differenziazione tocchiamo ancora la dimensione della cultura, che, per la sua particolare specificità, condiziona in modo diverso l'evangelizzazione, la catechesi, la missione cristiana della famiglia, ecc. Se l'orientamento della Sede Apostolica deve andare nella direzione pastorale, allora non può mancare un organo che discerna i contesti culturali e cerchi un contatto con essi.

E' sufficiente la nostra testimonianza nel campo dell'amore verso l'uomo e dell'amore sociale? Questa è la prima e fondamentale domanda che dobbiamo fare anche - e forse soprattutto - alla Sede Apostolica, dato che i discepoli di Cristo saranno conosciuti dal fatto di avere amore (cfr. Jn 13,35).


6. I pensieri che vi ho presentato, cari e venerati fratelli, specie nella parte finale del mio discorso d'apertura, non hanno come scopo di indicare la direzione della discussione sul tema generale, ma può giovare al suo sviluppo secondo le esperienze e le riflessioni personali. A tutti voi, venerabili Membri del Collegio Cardinalizio, chiedo piena collaborazione nel quadro dell'argomento preparato per la riunione. Le eventuali proposte, riguardanti questo programma, potranno essere presentate alla Presidenza, che deciderà sul modo di introdurle nel programma complessivo.

Affido i nostri lavori alla materna intercessione di Maria santissima, Madre della Chiesa, e all'implorazione per noi dei santi apostoli Pietro e Paolo.

Ch'essi ci illumimino e guidino nel nostro lavoro, che non ha altro scopo, altra ambizione, altro impegno se non il bene della Chiesa di Cristo, a gloria di Dio Padre.




1982-11-23 Data estesa: Martedi 23 Novembre 1982




Lettera al Cardinale segretario di stato

Titolo: Sulla comunità che lavora al servizio della Sede Apostolica

Testo:

Al venerato fratello Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato.


1. La Sede Apostolica, nell'esercizio della sua missione, ricorre all'opera valida e preziosa della particolare comunità costituita da quanti - uomini e donne, sacerdoti, religiosi e laici - si prodigano, nei suoi dicasteri e uffici, al servizio della Chiesa universale.

Ai membri di questa comunità sono assegnati incarichi e doveri, ciascuno dei quali ha una propria finalità e dignità in considerazione sia del contenuto oggettivo e del valore del lavoro svolto, sia della persona che lo compie.

Questo concetto di comunità applicato a coloro che coadiuvano il Vescovo di Roma nel suo ministero di Pastore della Chiesa universale, ci permette innanzitutto di precisare il carattere unitario dei pur diversi compiti. Tutte le persone, infatti, chiamate a svolgerli, partecipano realmente all'unica ed incessante attività della Sede Apostolica, e cioè a quella "sollecitudine per tutte le Chiese" (cfr. 2Co 11,28) che già dai primi tempi animava il servizio degli Apostoli e che in misura precipua è oggi prerogativa dei successori di san Pietro nella Sede romana. E' molto importante che quanti sono associati, in qualsiasi modo, alle attività della Sede Apostolica, abbiano la consapevolezza di tale specifico carattere delle loro mansioni; consapevolezza, del resto, che è sempre stata tradizione e vanto di chi ha voluto dedicarsi al nobile servizio.

Questa considerazione tocca sia gli ecclesiastici e i religiosi che i laici; sia coloro che occupano posti di alta responsabilità che gli impiegati e gli addetti a lavori manuali, cui sono assegnate funzioni ausiliarie. Essa riguarda, sia le persone addette più direttamente al servizio della stessa Sede Apostolica, in quanto prestano la loro opera presso quegli Organismi, il cui insieme viene appunto compreso sotto il nome. di "Santa Sede", sia quanti sono al servizio dello Stato della Città del Vaticano, che alla Sede Apostolica è così intimamente legato.

Nella recente enciclica "Laborem Exercens" ho ricordato le principali verità del "Vangelo del lavoro" e della dottrina cattolica sul lavoro umano, sempre viva nella tradizione della Chiesa. Bisogna che a queste verità si conformi la vita della singolare comunità che opera "sub umbra Petri", in così immediato contatto con la Sede Apostolica.


2. Per inserire adeguatamente questi principi nella realtà, occorre tener presente il loro significato oggettivo e, contemporaneamente, la natura specifica della Sede Apostolica. Quest'ultima - benché, come ho sopra accennato, le sia strettamente connessa l'entità designata come lo Stato della Città del Vaticano - non ha la configurazione dei veri Stati, che sono soggetto della sovranità politica di una data società. D'altra parte lo Stato della Città del Vaticano è sovrano, ma non possiede tutte le ordinarie caratteristiche di una comunità politica. Si tratta di uno Stato atipico: esso esiste a conveniente garanzia dell'esercizio della spirituale libertà della Sede Apostolica, e cioè come mezzo per assicurare l'indipendenza reale e visibile della medesima nella sua attività di governo a favore della Chiesa universale, come pure della sua opera pastorale rivolta a tutto il genere umano; esso non possiede una propria società per il cui servizio sia stato costituito, e neppure si basa sulle forme di azione sociale che determinano solitamente la struttura e l'organizzazione di ogni altro Stato.

Inoltre, le persone che coadiuvano la Sede Apostolica, o anche cooperano al governo nello Stato della Città del Vaticano, non sono, salvo poche eccezioni, cittadini di questo né, conseguentemente, hanno i diritti e gli oneri (in particolare quelli tributari) che ordinariamente scaturiscono dall'appartenenza a uno Stato.

La Sede Apostolica - mentre per ben più importanti aspetti trascende i ristretti confini dello Stato della Città del Vaticano fino ad estendere la sua missione a tutta la terra - nemmeno sviluppa, né può sviluppare, l'attività economica propria di uno Stato; ed esulano dalle sue finalità istituzionali la produzione di beni economici e l'arricchimento da redditi. Accanto ai redditi propri dello Stato della Città del Vaticano ed ai limitati cespiti costituiti da quanto rimane dei fondi ottenuti in occasione dei Patti Lateranensi, come indennizzo per gli Stati Pontifici ed i beni ecclesiali passati allo Stato Italiano, la base primaria per il sostentamento della Sede Apostolica è rappresentata dalle offerte spontaneamente elargite dai cattolici di tutto il mondo, ed eventualmente anche da altri uomini di buona volontà. Ciò corrisponde alla tradizione che trae origine dal Vangelo (cfr. Lc 10,7) e dagli insegnamenti degli Apostoli (cfr. 1Co 9,11 1Co 9,14). Conformemente a questa tradizione - che in rapporto alle strutture economiche dominanti nelle varie epoche, ha assunto nei secoli forme diverse - si deve affermare che la Sede Apostolica può e deve usufruire dei contributi spontanei dei fedeli e degli altri uomini di buona volontà, senza ricorrere ad altri mezzi che potrebbero apparire meno rispettosi del suo peculiare carattere.


3. I suddetti contributi materiali sono l'espressione di una costante e commovente solidarietà con la Sede Apostolica e con l'attività da essa svolta. A tanta solidarietà, cui va la mia profonda gratitudine, deve corrispondere, da parte della stessa Sede Apostolica, dei suoi singoli organi e delle persone che in essi lavorano, un senso di responsabilità commisurato alla natura dei contributi, da utilizzare solo e sempre secondo le disposizioni e le volontà degli offerenti: per l'intenzione generale che è il mantenimento della Sede Apostolica e del complesso delle sue attività; oppure per scopi particolari (missionari, caritativi, ecc.), quando questi siano stati precisati.

La responsabilità e la lealtà di fronte a quanti, col loro aiuto, si fanno solidali con la Sede Apostolica e ne condividono in qualche maniera la pastorale sollecitudine, si estrinsecano nella scrupolosa fedeltà a tutti i compiti e doveri assegnati, come pure nello zelo, nella laboriosità e nella professionalità che debbono distinguere chiunque partecipa alle attività della medesima Sede Apostolica. E' necessario, altresi, coltivare sempre la retta intenzione così da amministrare oculatamente, in ragione del loro scopo, sia i beni materiali che vengono offerti sia quanto, con tali beni, è da essa acquisito o conservato, inclusa la salvaguardia e la valorizzazione della preziosa eredità della Sede di Pietro nel campo religioso-culturale ed artistico.

Nell'uso dei mezzi destinati a questi scopi, la Sede Apostolica e coloro che con essa direttamente collaborano devono distinguersi non solo per lo spirito di parsimonia, ma anche per la disponibilità a tener sempre conto delle reali, limitate possibilità finanziarie della medesima Santa Sede e della loro provenienza. Ovviamente, tali interiori atteggiamenti dovranno essere ben connaturati, mediante la formazione, nell'animo dei religiosi e degli ecclesiastici; ma neppure debbono mancare in quei laici che, per libera scelta, accettano di lavorare per e con la Sede Apostolica.

Inoltre, tutti quelli che hanno particolari responsabilità di direzione negli organismi, uffici e servizi della Sede Apostolica, come gli stessi addetti alle diverse funzioni, sapranno congiungere questo spirito di parsimonia ad un impegno costante per rendere sempre più valide le diverse attività, tramite un'organizzazione del lavoro impostata, da una parte, sul pieno rispetto delle persone e del contributo valido che ciascuno fornisce secondo le proprie competenze e funzioni; e dall'altra, sull'uso di strutture e strumenti tecnici appropriati, affinché l'attività svolta corrisponda sempre meglio alle esigenze del servizio della Chiesa universale. Ricorrendo a tutto ciò che l'esperienza, la scienza e la tecnologia insegnano, ci si adopererà affinché le risorse umane e finanziarie vengano usate con maggior efficacia, evitando lo spreco, la ricerca di interessi particolari e di privilegi ingiustificati, promovendo allo stesso tempo buoni rapporti umani in ogni settore ed il vero e giusto interesse della Sede Apostolica.

A tali impegni si dovrà unire una profonda fiducia nella Provvidenza, che attraverso le offerte dei buoni non lascerà venir meno i mezzi per poter perseguire gli scopi propri della Sede Apostolica. Qualora la mancanza di mezzi impedisse la realizzazione di qualche obiettivo fondamentale, si potrà fare uno speciale appello alla generosità del Popolo di Dio, informandolo delle necessità non sufficientemente note. In via normale, pero, converrà accontentarsi di quanto i Vescovi, sacerdoti, Istituti religiosi e fedeli offrono spontaneamente, giacché essi stessi sanno vedere o intuire i giusti bisogni.


4. Fra coloro che collaborano con la Sede Apostolica molti sono gli ecclesiastici, i quali, vivendo in celibato, non hanno a loro carico una famiglia propria. Spetta ad essi una remunerazione proporzionata ai compiti svolti e tale da assicurare un decoroso sostentamento e consentire l'adempimento dei doveri del proprio stato, comprese anche quelle responsabilità che in certi casi possono avere di venire in aiuto ai propri genitori o ad altri familiari a loro carico. Né debbono essere trascurate le esigenze del loro ordinato rapporto sociale, in particolare e soprattutto l'obbligo di soccorrere i bisognosi: obbligo che, a motivo della loro vocazione evangelica, è per gli ecclesiastici ed i religiosi più impellente che per i laici.

Anche la remunerazione dei dipendenti laici della Sede Apostolica deve corrispondere ai compiti svolti, tenendo al tempo stesso in considerazione la responsabilità che essi hanno di sostentare le loro famiglie. In spirito di viva sollecitudine e di giustizia si dovrà dunque studiare quali sono i loro oggettivi bisogni materiali e quelli delle loro famiglie, inclusi quelli attinenti alla educazione dei figli e ad una congrua assicurazione per la vecchiaia, al fine di provvedervi convenientemente. Le indicazioni fondamentali in questo settore si trovano nella dottrina cattolica sulla remunerazione per il lavoro. Indicazioni immediate per la valutazione di circostanza si possono attingere dall'esame delle esperienze e dei programmi della società e, in particolare, della società italiana, alla quale appartiene di fatto ed in seno alla quale, comunque, vive la quasi totalità dei dipendenti laici della Sede Apostolica.

Per promuovere tale spirito di sollecitudine e di giustizia, in rappresentanza di quanti lavorano all'interno della Sede Apostolica, potranno svolgere un compito valido di collaborazione Associazioni di prestatori d'opera, come l'Associazione Dipendenti Laici Vaticani sorta recentemente. Simili organizzazioni, che all'interno della Sede Apostolica assumono un carattere specifico, costituiscono una iniziativa conforme alla dottrina sociale della Chiesa, che vede in esse uno degli strumenti atti a meglio garantire la giustizia sociale nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro. Non risponde tuttavia alla dottrina sociale della Chiesa lo slittamento di questo tipo di organizzazioni sul terreno della conflittualità a oltranza o della lotta di classe; né esse debbono avere impronta politica o servire, palesemente o occultamente, interessi di partito o di altre entità miranti a obiettivi di ben diversa natura.

Esprimo fiducia che Associazioni come quella, ora esistente, sopra ricordata - ispirandosi ai principi della dottrina sociale della Chiesa - svolgeranno una funzione proficua nella comunità di lavoro operante in solidale sintonia con la Sede Apostolica. Sono anche certo che, nell'impostare i problemi concernenti il lavoro e nello sviluppare un dialogo costruttivo e continuo con gli organi competenti, esse non mancheranno di tener presente in ogni caso il particolare carattere della Sede Apostolica, come indicato nella parte iniziale della presente lettera.

In relazione a quanto esposto, vostra Eminenza vorrà preparare gli opportuni documenti esecutivi, per assecondare, tramite convenienti norme e strutture, la promozione di una comunità di lavoro secondo i principi esposti.


5. Nell'enciclica "Laborem Exercens" facevo rilevare che la dignità personale del lavoratore richiede di esprimersi in un particolare rapporto col lavoro che gli è affidato. A questo rapporto - realizzabile oggettivamente in diversi modi a seconda del tipo di lavoro intrapreso - si perviene soggettivamente quando il lavoratore, pur svolgendo un'attività "retribuita", la vive come esercitata "in proprio". Trattandosi qui di lavoro compiuto nell'ambito della Sede Apostolica e perciò caratterizzato dalla fondamentale specificità sopra accennata, tale rapporto esige una sentita partecipazione a quella "sollecitudine per tutte le Chiese" propria della cattedra di Pietro.

I dipendenti della Santa Sede devono, pertanto, avere la profonda convinzione che il loro lavoro comporta innanzitutto una responsabilità ecclesiale da vivere in spirito di autentica fede e che gli aspetti giuridico-amministrativi del rapporto con la medesima Sede Apostolica si collocano in una luce particolare.

Il Concilio Vaticano II ci ha offerto copiosi insegnamenti sul modo con cui tutti i cristiani, ecclesiastici, religiosi e laici, possono - e devono - fare propria questa sollecitudine ecclesiale.

Sembra quindi necessario, specialmente per quanti collaborano con la Sede Apostolica, approfondire la coscienza personale prima di tutto dell'universale impegno apostolico dei cristiani e di quello risultante dalla vocazione specifica di ognuno: del Vescovo, del sacerdote, del religioso, del laico. Le risposte, infatti, alle odierne difficoltà nel campo del lavoro umano vanno cercate nella sfera della giustizia sociale; ma occorre ricercarle, altresi, nell'area del rapporto interiore col lavoro che ciascuno è chiamato a compiere.

Pare evidente che il lavoro - qualunque esso sia - svolto alle dipendenze della Sede Apostolica esiga ciò in misura tutta speciale.

Oltre all'approfondito rapporto interiore, questo lavoro, per essere vantaggioso e sereno, richiede un reciproco rispetto, basato sulla fratellanza umana e cristiana, da parte di tutti e per tutti coloro che vi attendono. Solo quando è alleata con una tale fratellanza (cioè con l'amore dell'uomo nella verità), la giustizia può manifestarsi come vera giustizia. Dobbiamo cercare di sapere "di quale spirito siamo" (cfr. Lc 9,55 volgata).

Queste ultime questioni, appena accennate, non si possono formulare adeguatamente in termini amministrativo-giuridici. Ciò non esime, tuttavia, dalla ricerca e dallo sforzo necessari per rendere operante - proprio nella cerchia della Sede Apostolica - quello spirito del lavoro umano, che proviene dal Signore nostro Gesù Cristo.

Nell'affidare questi pensieri, signor Cardinale, alla sua attenta considerazione, invoco sul futuro impegno, richiesto dalla loro messa in opera, l'abbondanza dei doni della divina assistenza, mentre di cuore Le imparto la mia benedizione, che volentieri estendo a tutti coloro che offrono il proprio benemerito servizio alla Sede Apostolica.

Dal Vaticano, 20 Novembre 1982.




1982-11-23 Data estesa: Martedi 23 Novembre 1982




Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel matrimonio all'uomo della concupiscenza è dato l'"ethos della redenzione del corpo"

Testo:


1. Abbiamo analizzato la lettera agli Efesini, e soprattutto il passo del capitolo 5, 22-33, dal punto di vista della sacramentalità del matrimonio. Ora esaminiamo ancora lo stesso testo nell'ottica delle parole del Vangelo.

Le parole di Cristo rivolte ai Farisei (cfr. Mt 19) si riferiscono al matrimonio quale sacramento, ossia alla rivelazione primordiale del volere e dell'operare salvifico di Dio "al principio", nel mistero stesso della creazione.

In virtù di quel volere ed operare salvifico di Dio, l'uomo e la donna, unendosi tra loro così da divenire "una sola carne" (Gn 2,24), erano ad un tempo destinati ad essere uniti "nella verità e nella carità" come figli di Dio (cfr. GS 24), figli adottivi nel Figlio Primogenito, diletto dall'eternità. A tale unità e verso tale comunione di persone, a somiglianza dell'unione delle persone divine (cfr. n. 24), sono dedicate le parole di Cristo, che si riferiscono al matrimonio come sacramento primordiale e nello stesso tempo confermano quel sacramento sulla base del mistero della Redenzione. Infatti, l'originaria "unità nel corpo" dell'uomo e della donna non cessa di plasmare la storia dell'uomo sulla terra, sebbene abbia perduto la limpidezza del sacramento, del segmo della salvezza, che possedeva "al principio".


2. Se Cristo di fronte ai suoi interlocutori, nel Vangelo di Matteo e di Marco (cfr. Mt 19 Mc 10), conferma il matrimonio quale sacramento istituito dal Creatore "al principio" - se in conformità con questo ne esige l'indissolubilità - con ciò stesso apre il matrimonio all'azione salvifica di Dio, alle forze che scaturiscono "dalla redenzione del corpo" e che aiutano a superare le conseguenze del peccato e a costruire l'unità dell'uomo e della donna secondo l'eterno disegno del Creatore. L'azione salvifica che deriva dal mistero della Redenzione assume in sé l'originaria azione santificante di Dio nel mistero stesso della Creazione.


3. Le parole del Vangelo di Matteo (cfr. Mt 19,3-9 Mc 10,2-12) hanno, al tempo stesso, una eloquenza etica molto espressiva. Queste parole confermano - in base al mistero della Redenzione - il sacramento primordiale e nello stesso tempo stabiliscono un ethos adeguato, che già nelle nostre precedenti riflessioni abbiamo chiamato "ethos della redenzione". L'ethos evangelico e cristiano, nella sua essenza teologica, è l'ethos della redenzione. Possiamo certo trovare per quell'ethos una interpretazione razionale, una interpretazione filosofica di carattere personalistico; tuttavia, nella sua essenza teologica, esso è un ethos della redenzione, anzi: "un ethos della redenzione del corpo". La redenzione diviene ad un tempo la base per comprendere la particolare dignità del corpo umano, radicata nella dignità personale dell'uomo e della donna. La ragione di questa dignità sta appunto alla radice dell'indissolubilità dell'alleanza coniugale.



4. Cristo fa riferimento al carattere indissolubile del matrimonio come sacramento primordiale e, confermando questo sacramento sulla base del mistero della redenzione, ne trae ad un tempo le conclusioni di natura etica: "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio" (Mc 10,11s; cfr. Mt 19,9). Si può affermare che in tal modo la redenzione è data all'uomo come grazia della nuova alleanza con Dio in Cristo - ed insieme gli è assegnata come ethos: come forma della morale corrispondente all'azione di Dio nel mistero della Redenzione. Se il matrimonio come sacramento è un segno efficace dell'azione salvifica di Dio "dal principio", al tempo stesso - nella luce delle parole di Cristo qui meditate - questo sacramento costituisce anche una esortazione rivolta all'uomo, maschio e femmina, affinché partecipino coscienziosamente alla redenzione del corpo.


5. La dimensione etica della redenzione del corpo si delinea in modo particolarmente profondo, quando meditiamo sulle parole pronunciate da Cristo nel Discorso della Montagna in rapporto al comandamento "Non commettere adulterio".

"Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Mt 5,27-28). A questo lapidario enunciato di Cristo abbiamo precedentemente dedicato un ampio commento, nella convinzione che esso ha un significato fondamentale per tutta la teologia del corpo, soprattutto nella dimensione dell'uomo "storico". E sebbene queste parole non si riferiscano direttamente ed immediatamente al matrimonio come sacramento, tuttavia è impossibile separarle dall'intero sostrato sacramentale, in cui, per quanto riguarda il patto coniugale, è stata collocata l'esistenza dell'uomo quale maschio e femmina: sia nel contesto originario del mistero della Creazione, sia pure, in seguito, nel contesto del mistero della Redenzione. Questo sostrato sacramentale riguarda sempre le persone concrete, penetra in ciò che è l'uomo e la donna (o piuttosto in chi è l'uomo e la donna) nella propria originaria dignità di immagine e somiglianza con Dio a motivo della creazione, ed insieme nella stessa dignità ereditata malgrado il peccato e di nuovo continuamente "assegnata" come compito all'uomo mediante la realtà della Redenzione.


6. Cristo, che nel Discorso della Montagna dà la propria interpretazione del comandamento "Non commettere adulterio" - interpretazione costitutiva del nuovo ethos - con le medesime lapidarie parole assegna come compito ad ogni uomo la dignità di ogni donna; e contemporaneamente (sebbene dal testo ciò risulti solo in modo indiretto) assegna anche ad ogni donna la dignità di ogni uomo. Assegna infine a ciascuno - sia all'uomo che alla donna - la propria dignità: in certo senso, il "sacrum" della persona, e ciò in considerazione della sua femminilità o mascolinità, in considerazione del "corpo". Non è difficile rilevare che le parole pronunciate da Cristo nel Discorso della Montagna riguardano l'ethos. Al tempo stesso, non è difficile affermare, dopo una riflessione approfondita, che tali parole scaturiscono dalla profondità stessa della redenzione del corpo. Benché esse non si riferiscano direttamente al matrimonio come sacramento, non è difficile costatare che raggiungono il loro proprio e pieno significato in rapporto con il sacramento: sia quello primordiale, che è unito con il mistero della Creazione, sia quello in cui l'uomo "storico", dopo il peccato e a motivo della sua peccaminosità ereditaria, deve ritrovare la dignità e santità dell'unione coniugale "nel corpo", in base al mistero della Redenzione.


7. Nel Discorso della Montagna - come anche nel colloquio con i Farisei sull'indissolubilità del matrimonio - Cristo parla dal profondo di quel mistero divino. E in pari tempo si addentra nella profondità stessa del mistero umano.

perciò fa richiamo al "cuore", a quel "luogo intimo", in cui combattono nell'uomo il bene e il male, il peccato e la giustizia, la concupiscenza e la santità.

Parlando della concupiscenza (dello sguardo concupiscente: cfr. Mt 5,28), Cristo rende consapevoli i suoi ascoltatori che ognuno porta in sé, insieme al mistero del peccato, la dimensione interiore "dell'uomo della concupiscenza" (che è triplice: "concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita": 1Jn 2,16). Proprio a quest'uomo della concupiscenza è dato nel matrimonio il sacramento della Redenzione come grazia e segno dell'alleanza con Dio - e gli è assegnato "come ethos". E contemporaneamente, in rapporto con il matrimonio come sacramento, esso è assegnato come ethos a ciascun uomo, maschio e femmina: è assegnato al suo "cuore", alla sua coscienza, ai suoi sguardi e al suo comportamento. Il matrimonio - secondo le parole di Cristo (cfr. Mt 19,4) - è sacramento dal "principio" stesso e ad un tempo, in base alla peccaminosità "storica" dell'uomo, è sacramento sorto dal mistero della "redenzione del corpo".

[Omissis. Seguono i saluti in altre lingue: francese, inglese, tedesca, olandese, spagnola, portoghese] Preghiera alla Vergine di Czestochowa Da mesi perdura questa preghiera alla Signora di Jasna Gora e Madre della mia Nazione, in relazione al giubileo della sua beata Effigie.

Nel mese di novembre la pregbiera s'indirizza particolarmente verso i nostri morti. Poiché ad essi è dedicato questo mese, inziato dalla solennità di Tutti i Santi e dalla commemorazione di tutti i Fedeli Defunti.

Sto, quindi, in spirito - con la mente e con il cuore - presso le tombe dei miei genitori, del fratello e della sorella, dei parenti, degli amici, dei conoscenti, dei connazionali.

Scendo - come ho fatto per molti anni nella Cattedrale di Wawel - alle cripte che conservano le ceneri dei re della nazione, dei suoi condottieri e vati.

Visito - come ho fatto anche per molti anni - il grande cimitero di Oswiecin, la fossa di quattro milioni di vittime della crudeltà inumana.

E in spirito abbraccio tutti i cimiteri, i campi di battaglia, i campi di morte e tutte le tombe della mia terra nativa, che racchiudono in sé le ceneri dei Caduti per la Patria e dei trucidati per la giusta causa... di tutti i defunti.

Imploro per essi l'eterno riposo. E insieme sulle tombe dei morti, chiedo a te, o Signora di Jasna Gora, la Vita, la Vita piena di verità e di speranza per i viventi.

"Regem, cui omnia vivunt, venite, adoremus" Ai sacerdoti dell'OASNI Desidero salutare il gruppo di sacerdoti, i quali in questi giorni si sono dati convegno a Roma per riflettere sul tema: "Catechesi nel mondo del Circo e Luna Park", con la partecipazione di Monsignor Sennen Corrà, Vescovo di Chioggia e promotore dell'iniziativa.

Vi ringrazio per la vostra presenza a questa Udienza e soprattutto per l'opera che svolgete in un campo tanto importante per la diffusione del Vangelo.

Vi sia di sostegno la mia speciale benedizione.

Ai Rettori dei Santuari Mariani d'Italia Il mio affettuoso saluto va ora ai Rettori dei Santuari Mariani d'Italia, riuniti in questi giorni in convegno a Roma, per approfondire il tema: "Maria e l'Eucaristia nella comunità pellegrinante ai Santuari".

Carissimi, vi esprimo il mio compiacimento per l'argomento prescelto, che si inserisce nel programma pastorale della Chiesa Italiana, impegnata nella riflessione su "Comunione e Comunità", e ormai avviata verso la celebrazione del XX Congresso Eucaristico Nazionale.

Il Santuario Mariano è un luogo privilegiato per un incontro con Maria santissima, e, con lei ed in lei, per sperimentare più a fondo la ricchezza del Mistero Eucaristico, e per realizzare una più profonda comunione con la Chiesa.

Maria infatti si può dire, allo stesso tempo, la "culla" del Mistero Eucaristico e della Chiesa. Se l'Eucaristia costruisce quella comunità d'amore che è frutto dell'Amore di Cristo, nell'intimità filiale con Maria troviamo la via per scoprire questo mistero d'Amore agli albori del suo incarnarsi nella nostra storia. La Madre di questo Amore benedica i vostri lavori.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi Il mio cordiale ed affettuoso benvenuto si rivolge ora a voi, carissimi giovani, studenti e lavoratori convenuti da ogni parte d'Italia. Consapevoli come siete della vostra dignità battesimale di figli di Dio, sappiate esprimere il vostro entusiasmo come logica conseguenza di tale grandezza; come pure la generosità delle vostre intenzioni scaturisca sempre dalla vostra fede in Cristo Gesù. Siate portatori e diffusori di gioia per significare che siete in pace con Dio, col prossimo, con voi stessi. Vi accompagna la mia benedizione.

A voi, amatissimi infermi, uno speciale pensiero: di ringraziamento per la vostra tanto gradita visita; di augurio, perché possiate sentirvi sempre più sorretti nella vostra sofferenza dalla certezza che la vostra umile accettazione della prova, permessa dal Signore, è sorgente feconda di energie soprannaturali. A tale riguardo, il Papa prega per voi e di cuore vi benedice, unitamente ai vostri cari ed a quanti amorevolmente vi assistono.

Cari sposi, siate fedeli alla promessa di amore che fa di voi una realtà unica, una famiglia, una "piccola Chiesa", in cui deve sempre regnare il rispetto reciproco, la mutua comprensione, ma soprattutto l'amore di Dio, unico vero garante, nelle difficoltà e nei disagi, del vostro affetto e della vostra felicità. Vi sia d'incoraggiamento la mia benedizione apostolica.




1982-11-24 Data estesa: Mercoledi 24 Novembre 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Riunione plenaria del sacro Collegio - Città del Vaticano (Roma)