GPII 1983 Insegnamenti - A Vescovi americani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

A Vescovi americani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Proclamiamo Gesù Cristo redentore e riconciliatore dell'umanità

Cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo.


1. E' una grande gioia per me darvi il benvenuto quale primo gruppo di Vescovi americani che compiono la loro visita "ad limina" in questo Anno Santo della Redenzione. Desidero dirvi immediatamente quanto io mi senta vicino ai fedeli della regione di New York e dell'Ordinariato militare e a tutti i fedeli degli Stati Uniti che sono molto presenti nel mio pensiero e nella mia preghiera. Ma desidero sottolineare soprattutto la mia unione spirituale con voi, miei fratelli Vescovi. Sono certo che tutti voi come me traete forza dal nostro incontro odierno, perché, nella potenza dello Spirito Santo, stiamo attuando la collegialità episcopale della Chiesa. E' giusto inoltre che voi sappiate che non lavorate e faticate da soli. Voi siete sostenuti dal successore di Pietro e dall'intero Collegio dei Vescovi,


2. Oggi desidero riflettere con voi sulla nostra comune missione di Vescovi: proclamare Gesù Cristo, Redentore e Riconciliatore della umanità. Desidero fare questo entro il duplice contesto dell'Anno Santo della Redenzione e il prossimo Sinodo dei Vescovi che ha questo tema: "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa". Nella mia Lettera del 25 gennaio scorso (n. 2) ai Vescovi della Chiesa, ho cercato di puntualizzare come questi due avvenimenti sono intimamente legati fra di loro: "La riconciliazione - ho scritto - non è nient'altro che la Redenzione che il Padre ha offerto ad ogni persona nella morte e Risurrezione di suo Figlio, e che continua ancor oggi ad offrire ad ogni peccatore, aspettando, come il padre nella parabola del figlio prodigo, il pentimento e il ritorno di suo figlio mediante la conversione".

Il Sinodo, unito all'Anno Santo, ricercherà vie per una più effettiva proclamazione della Riconciliazione della Redenzione e trarrà dai fedeli una risposta di conversione e penitenza alla chiamata di Dio; e possiamo essere certi che il Sinodo porterà un immenso approfondimento al suo compito collegiale. Ma già in quanto Vescovi abbiamo il compito di proclamare ogni giorno la riconciliazione secondo il ricco patrimonio apostolico della Chiesa. Il nostro è veramente, secondo l'espressione di san Paolo, "il ministero della riconciliazione" (2Co 5,18).


3. Ed oggi vorrei proporre alla vostra considerazione questo ministero di riconciliazione in tutte le sue implicazioni. Siamo veramente chiamati a proclamare la riconciliazione dell'umanità con Dio. Questo significa ravvivare il senso di Dio, della sua parola, dei suoi comandamenti, del bisogno di accettare la sua volontà quale reale criterio per l'azione umana. Proclamare la riconciliazione significa ravvivare il senso del peccato tra il nostro popolo; questo a sua volta può condurci a riconoscere le radici della responsabilità umana nei vari campi dei mali economici, sociali, storici, culturali e politici. Quando l'uomo capisce la sua alienazione da Dio, può cominciare a percepire come egli sia in opposizione coi suoi fratelli e sorelle e con il creato stesso. La proclamazione può allora divenire un'efficace richiamo alla pace. Proclamare la riconciliazione significa insistere sulla grandezza della persona di Dio e sul suo amore misericordioso.

Offrire la risposta della Redenzione al mondo reso conscio del peccato è proclamare la rivelazione della misericordia e il messaggio di speranza che è in "Cristo Gesù nostra speranza" (1Tm 1,1).


4. Proclamare la riconciliazione significa, in modo particolare, promuovere il Sacramento della penitenza. Significa sottolineare l'importanza del Sacramento nel suo essere legato alla conversione, alla crescita cristiana, all'autentico rinnovamento della società che non può essere risanata senza il perdono dei peccati.

E' nostro compito di Vescovi indicare che sia il peccato originale che il peccato personale sono alla base dei mali che affliggono la società e che c'è un conflitto costante tra bene e male, tra Cristo e Satana. E' salutare per il nostro popolo rendersi conto che esso è impegnato nella continuazione del conflitto Pasquale - "Mors et vita duello conflixere mirando" - ma che è fortificato dalla forza del Cristo Risorto. Solo quando i fedeli riconoscono il peccato nella loro vita sono pronti a capire la riconciliazione e ad aprire i loro cuori alla penitenza e alla conversione personale. Solo allora essi sono in grado di contribuire al rinnovamento della società, dal momento che la conversione personale è anche l'unica via che conduce al duraturo rinnovamento della società.

Questa conversione personale, per precetto divino, è intimamente connessa al Sacramento della Penitenza.

Proprio questo mese, cinque anni fa, Paolo VI parlava ai Vescovi di New York durante la loro più recente visita "ad limina". Con insistenza profetica egli sottolineo sia l'importanza della conversione che la sua relazione con il Sacramento della Penitenza. Quella volta egli affermo: "La conversione costituisce il fine da raggiungere mediante il nostro ministero apostolico: risvegliare una consapevolezza del peccato nella sua perenne e tragica realtà, una consapevolezza delle sue dimensioni personali e sociali, insieme alla coscienza che "laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia"" (Rm 5,20). La sua sollecitudine per la conversione e i suoi vari aspetti sacramentali è oggi la mia. Le sue parole conservano la loro integrale rilevanza per la Chiesa negli Stati Uniti e in tutto il mondo, e io le propongo ancora una volta al vostro zelo e responsabilità pastorali.

In particolare egli chiedeva che i sacerdoti fossero incoraggiati dai Vescovi a dare particolare priorità al ministero dei Sacramento della Penitenza.

Egli scrisse: "Se i sacerdoti capiscono profondamente quanto strettamente essi collaborano, mediante il Sacramento della Penitenza, con il Salvatore nell'opera di conversione, essi si daranno, con zelo ancor più grande, a questo ministero, più confessori saranno prontamente disponibili ai fedeli. può essere che altre opere per mancanza di tempo, debbano venir rimandate o perfino abbandonate, ma non il confessionale". Il nostro ministero di sacerdoti e di Vescovi certamente implica che noi siamo richiamati ad andare in cerca di coloro che hanno peccato, così da invitarli a ritornare alla pienezza dell'amore del Padre. così facendo, eleviamo la speranza e proclamiamo la misericordia. Insieme ai nostri sacerdoti, concentriamo l'attenzione dei fedeli sulla persona di Gesù Cristo il Redentore, che perdona personalmente e riconcilia ogni individuo. Per la gloria del Padre incoraggiamo il nostro popolo a capire la grande verità che "il sangue di Gesù, suo Figlio ci purifica da ogni peccato" (1Jn 1,7). Si, cari fratelli, diamo sempre più rilievo all'immenso valore di un incontro personale con il Dio di misericordia mediante la confessione individuale. Eleviamo, insieme al nostro popolo, un inno di lode al "sangue di Cristo, il quale con uno spirito eterno offri se stesso senza macchia a Dio" (He 9,14).


5. Parlando al gruppo di Vescovi di New York, Paolo VI tratto anche del problema dell'assoluzione generale e della sua adeguata applicazione. L'esperienza della Chiesa universale conferma la necessità da parte di tutti i Vescovi di una ulteriore vigilanza pastorale. Il nuovo Codice di Diritto Canonico pone in rilievo ancora il carattere eccezionale di questa pratica, ribadendo l'applicazione dell'assoluzione generale solamente in ragione di numerosi penitenti radunati per una grande celebrazione o pellegrinaggio: "ratione solius magni concursus paenitentium, qualis haberi potest in magna aliqua festivitate aut peregrinatione" (CIC 961 § 1,2°).

Vorrei fare ancora una volta appello alla vostra zelante sollecitudine pastorale e collegiale per contribuire ad assicurare che queste norme, così come le norme che regolano la prima Confessione dei bambini, siano capite e adeguatamente applicate. I tesori dell'amore di Cristo nel Sacramento della Penitenza sono così grandi che anche i bambini debbono esservi iniziati. Il paziente sforzo di genitori, insegnanti e sacerdoti necessario a preparare i bambini a questo Sacramento è di grande valore per la Chiesa tutta.


6. In questo Anno Santo della Redenzione vorrei chiedervi di sviluppare un intero programma pastorale intorno a Sacramento della Penitenza. Esso includerà un rinnovato sforzo per la catechesi, così che il Sacramento possa divenire una parte dinamica delle vite dei giovani e degli adulti allo stesso modo. Frequenti celebrazioni penitenziali che includono la Confessione e l'assoluzione individuale dei peccati saranno un grande aiuto per i fedeli a capire meglio le realtà del peccato e della grazia, e nel loro fare esperienza della grande gioia della conoscenza di Cristo in un incontro d'amore, misericordia e perdono. La disponibilità di confessori, messa in rilievo e pubblicizzata in vari modi, come ad esempio mediante i bollettini parrocchiali, può dare grande impulso ai fedeli ad accostarsi alla Confessione, dal momento che la grazia di Dio ha già risvegliato un desiderio o una necessità per il Sacramento nel cuore di molti.

Qualcosa di totalmente consonante col nostro ministero sacerdotale e apostolico è per noi l'invitare ripetutamente i fedeli alla riconciliazione con Dio e con la comunità ecclesiale. In quanto pastori, dobbiamo essere umilmente consci della nostra debolezza e dei nostri peccati, e tuttavia, nel piano misericordioso di Dio, ci è stato dato il carisma e l'obbligo di richiamare i fedeli al pentimento e alla conversione, e di condurli su questa strada.

Come ho accennato nell'"Ordo Paenitentiae" (cfr. n. 12), la celebrazione del Sacramento della Penitenza è sempre permessa in ogni periodo e in ogni giorno.

Tuttavia è particolarmente appropriata durante la Quaresima, in modo da preparare i fedeli ad una adeguata celebrazione del Mistero Pasquale, la cui grazia è così efficacemente presentata loro durante la liturgia del Sacro Triduo. I fedeli devono certamente essere incoraggiati a confessare i loro peccati prima di questi ultimi giorni della Settimana Santa come preparazione spirituale ad essi; nello stesso tempo ciò aiuterà a diminuire una pesante pressione sui confessori.

Nondimeno, vorrei chiedere ai Vescovi di sollecitare i loro sacerdoti a fare tutto il possibile nella loro generosità e zelo pastorale per rendere possibili le Confessioni anche durante gli ultimi giorni della Settimana Santa. Ci saranno inevitabilmente persone che, nonostante tutto, avranno bisogno di questa opportunità di grazia. Questo generoso sacrificio da parte dei sacerdoti permetterà loro di partecipare ancora più profondamente al Mistero Pasquale e saranno ampiamente ricompensate da Cristo.

L'Anno Santo è anche un tempo eccellente per aiutare il nostro popolo a riflettere sul ricco contenuto del Padre nostro quale preghiera di riconciliazione: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Per grazia di Dio e mediante il nostro ministero apostolico possa l'Anno Santo trovare la Chiesa come una comunità riconciliante e riconciliata, attenta alla parola di Dio quale criterio a cui l'intero "ministero della riconciliazione è applicato.


7. Nell'adempiere al nostro ministero di riconciliazione guardiamo sempre ad entrambi gli aspetti del ritorno della persona a Dio: l'azione riconciliante di Dio e la risposta dell'individuo attraverso la penitenza e la conversione implicano grande sforzo, e sono a volte estremamente dolorosi. Non c'è dubbio che la parola di Dio è esigente e talvolta l'essere umano è confuso nelle situazioni concrete che richiedono molto più dello sforzo umano e che esigono un'umile e perseverante preghiera. E tuttavia come pastori non dobbiamo sottovalutare l'illimitato potere della grazia di Cristo, né possiamo tentare di alterare le esigenze del Vangelo. Siamo responsabili verso Gesù Cristo il Buon Pastore dell'esercizio della vera compassione pastorale, e non dobbiamo essere sorpresi se il mondo uguaglia falsamente la fedeltà all'eterna parola di Dio con l'insensibilità per la debolezza. Al contrario, la Redenzione tocca i cuori precisamente mediante la rivelazione della parola di Dio. Quello che dobbiamo fare è dare esempio profetico di riconciliazione, conversione e penitenza nelle nostre vite, proclamando con la parola e l'esempio che Gesù Cristo è l'unico Redentore e Riconciliatore dell'umanità.

Percorriamo insieme, cari fratelli, questo cammino, uniti a Maria la Madre di Gesù e uniti tra di noi e con l'Episcopato mondiale. In questo grande legame di collegialità tra tutti i Vescovi e il successore di Pietro vi è la forza necessaria per le vostre iniziative pastorali e l'importante garanzia della loro soprannaturale efficacia. Nel ministero di riconciliazione, nell'amministrazione del mistero della Redenzione mediante il Sacramento della Penitenza, l'efficacia sovrannaturale è di suprema importanza. Siate convinti, cari fratelli, che se camminiamo insieme, il Signore Gesù Cristo si rivelerà a noi; egli ci convertirà sempre più al suo amore; egli si servirà di noi come servi pastori per portare ai mondo la sua Redenzione.

Data: 1983-04-15 Data estesa: Venerdi 15 Aprile 1983

Al Consiglio per la catechesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La catechesi cristiana deve essere parola vivente

Signor Cardinale, Venerabili Confratelli nell'Episcopato, cari fratelli e sorelle!


1. Ringrazio innanzitutto il Cardinale Oddi per le cortesi e apprezzate parole pronunciate. A lui e a tutti voi qui convenuti rivolgo il mio benvenuto e il mio cordiale saluto. Con lui, mi è caro menzionare i Superiori e gli Officiali della Sacra Congregazione per il clero, i membri del suo apposito Ufficio pastorale-catechistico e tutti gli appartenenti al Consiglio internazionale per la catechesi, convenuti qui a Roma da lontani Paesi e da diversi ambienti. Mi piace ricordare subito una bella affermazione del santo Vescovo Ambrogio, il quale proclamava angeli coloro che si impegnano a portare la parola di Dio e ad evangelizzare gli uomini; "Non si può tacere, né si può negare: è un angelo chi annunzia il regno di Dio e la vita eterna": "Non est fallere, non est negare: angelus est qui regnum Dei et vitam aeternam annuntiat" ("De Mysteriis", 1,6). In realtà voi siete venuti qui, al centro della Chiesa visibile, per portare il vostro qualificato contributo alla soluzione di problemi tanto importanti e gravi, che riguardano l'evangelizzazione e la catechesi, com'è nella finalità statutaria del Consiglio stesso. Da parte mia, sono assai lieto della vostra presenza e grandemente riconoscente al Signore, che mi dà l'opportunità di esprimere alcune considerazioni riguardanti la natura, la responsabilità e la finalità della catechesi.


2. I lavori di questa Sessione del Consiglio internazionale per la catechesi nei suoi diversi temi proposti: "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa" e "Schema doctrinae christianae", hanno messo senza dubbio in evidenza che, senza una istruzione e formazione religiosa precisa e profonda, non è possibile aspettarsi dai fedeli una pratica sincera e generosa della vita cristiana. Ciò deve dirsi anzitutto per una familiare e salutare consuetudine del Sacramento della Riconciliazione. Infatti, se è necessaria la catechesi in genere per i Sacramenti, molto più è necessaria per il Sacramento della Riconciliazione, il cui elemento sensibile, cioè la materia del sacramento, è costituito proprio dagli atti del penitente.

Più che l'esame, la discussione sul secondo argomento del vostro Convegno: "Schema doctrinae christianae" avrà fatto risaltare, se non la necessità, almeno la grande opportunità di una sintesi, chiara e sicura, delle verità fondamentali della fede, che devono essere trasmesse e insegnate a tutti i fedeli in modo esplicito e sicuro, tenendo presente lo spirito proprio del Concilio Vaticano II. Occorre sottolineare come ciò che fa la catechesi non è l'esperienza dell'uomo, sia pure comunitaria, ma la parola di Dio, che rivela i misteri divini e i destini soprannaturali dell'Uomo. L'apostolo Giovanni proclama altamente: "Deum nemo vidit unquam: unigenitus Filius, qui est in sinu Patris, ipse enarravit" (Jn 1,18); e la Lettera agli Ebrei afferma all'inizio: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio (He 1,1-2). Si domanda l'apostolo Paolo: "Quomodo ergo invocabunt, in quem non crediderunt? Aut quomodo credent ei, guem non audierunt? Quomodo autem audient sine praedicante?" (Rm 10,11). Ne deriva che non basta ascoltare la parola di Dio, ma che è necessario sentire Dio stesso che parla, sia pure attraverso lo strumento umano della comunicazione: "Omnis homo annuntiator Verbi, vox Verbi est" proclama sant'Agostino ("Sermo 288", 4). L'annunciatore del Verbo, predicatore e catechista, quindi, non solo deve portare la parola di Dio integra e viva, ma è chiamato a comunicare anche la forza divina della parola stessa, in quanto parla non da sé, ma come mosso da Dio: "Noi non siamo infatti come quei molti che mercanteggiano la parola di Dio, ma con sincerità e come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo" (2Co 2,17).


3. E' noto che nostro Signore Gesù non ha mai scritto niente, né comandato di scrivere, ma ha affidato come divino deposito la sua parola a uomini vivi, alla Chiesa viva, perché la custodisca e l'annunzi (cfr. DV 10). La Chiesa pertanto è la custode nativa e l'interprete responsabile della divina rivelazione, che deve conservare, interpretare e annunciare a tutti gli uomini secondo l'esplicito mandato divino (cfr. Mt 28,19).

Chi ha il mandato della evangelizzazione e le chiavi della interpretazione è responsabile della retta e feconda trasmissione della dottrina, la cui conoscenza, scienza e sapienza deve continuamente crescere e progredire, ma sempre, come afferma san Vincenzo di Lerino, "in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia" ("Commonitorium", 28).

Concretamente sono i Vescovi, successori degli Apostoli, è il Papa, successore dell'apostolo Pietro, che hanno la grande missione della custodia della dottrina della fede e della evangelizzazione del divino messaggio di salvezza. A questo proposito, i compiti e le competenze dei singoli Ordinari, delle Conferenze episcopali e della stessa Santa Sede sono chiaramente stabiliti nel Libro Terzo del Nuovo Codice di Diritto Canonico, e, per quanto riguarda la preparazione e la pubblicazione di catechismi, particolarmente nei CIC 775 CIC 827.

Senza dubbio la catechesi è il primo e più impegnativo compito dei Presbiteri, che devono essere gli operatori più immediati e generosi della evangelizzazione; mi piace pero ricordare qui anche la responsabilità propria e insostituibile dei genitori nell'istruzione e formazione religiosa dei figli, perché, come già affermato altra volta: "La catechesi familiare precede, accompagna e arricchisce ogni altra forma di catechesi" (CTR 68).


4. La vostra riflessione si è soffermata inoltre su un altro aspetto fondamentale per la catechesi, quello dei suoi contenuti, che talvolta può essere fonte di difficoltà e di tensioni, attese le molteplici implicazioni del problema.

La catechesi è atto della Chiesa, che nasce dalla fede ed è al servizio della fede; essa guida e sostiene l'uomo nella nuova esistenza in Cristo Risorto.

Ma la fede si sostanzia di realtà, vive di contenuti vitali che sono espressi nelle varie professioni di fede. La catechesi quindi deve avere un legame vitale con questi contenuti. Trasmettere, spiegare e far vivere integralmente le realtà espresse nel Simbolo di fede è compito della catechesi, la quale è autentica e cristiana quando trasmette la fede vissuta dalla Chiesa, nella continuità e fedeltà, quando è parola vivente e non un'idea astratta, quando si sforza di dare ai fedeli certezze semplici e solide, tali da illuminare e trasformare la vita individuale e collettiva.

E' proprio questa caratteristica della catechesi cristiana - essere parola vivente - che ci permette di risolvere il problema del rapporto tra contenuto e vita. Infatti, le ideologie e i grandi miti moderni riescono spesso a mobilitare ed esaltare grandi masse, ma il loro esito è inevitabilmente la manipolazione e non di rado la distruzione della dignità, della libertà, della vita stessa, perché si tratta di dottrine e di formule al servizio di una volontà di dominio, mentre la parola di Dio è comunicazione di vita, è relazione personale con lui, è fondamento della dignità dell'uomo. Questa mirabile e unica dignità dell'uomo diventa, in un mondo dominato dall'anonimato, una occasione di vocazione personale e unica che inserisce l'uomo, con la sua piena creatività e responsabilità, nel disegno di Dio. La catechesi aiuta a scoprire e alimentare questa vocazione di ogni uomo e fonda così l'identità del credente nel suo servizio alla società, che è quella di testimoniare la Vita e la Verità e mostrare la Via. La fede, infatti, è un atto di suprema libertà umana che si apre alla gratuita iniziativa di Dio Rivelante e si dona definitivamente a Cristo Redentore con amorosa consapevolezza, assumendo così la vera identità cristiana.


5. Carissimi, sappiate che il vostro lavoro mi sta molto a cuore. Da voi, infatti, dipende in gran parte l'efficacia dell'annuncio cristiano, che è destinato a fruttificare nella vita quotidiana dei battezzati. perciò è mio dovere ricordare tutti voi al Signore nella preghiera, affinché egli illumini le vostre menti, corrobori le vostre volontà, fecondi i vostri sforzi. Il rinnovamento della catechesi è veramente da considerare un dono dello Spirito Santo alla Chiesa (CTR 3). E indirizzando a voi la mia parola di incoraggiamento, intendo rivolgermi a quanti con voi condividono la responsabilità della ricerca e della sperimentazione, come pure a tutti i genitori, catechisti e insegnanti, che umilmente e con gioia esplicano l'apostolato catechistico nelle case, nelle parrocchie, nei gruppi.

Sia il Signore a benedirvi ampiamente, mentre sono lieto di impartire la mia benedizione apostolica a tutti voi, ai vostri collaboratori e a quanti in vario modo beneficeranno dei vostri preziosi lavori.

Data: 1983-04-15 Data estesa: Venerdi 15 Aprile 1983

Al Catholicos di Cilicia Karekine II - Riunire i discepoli... dispersi nell'ora delle tenebre


A Sua Santità Karekine II, Catholicos di Cilicia.

In questo periodo dell'anno liturgico, illuminato dalla celebrazione della Pasqua di Cristo, e mentre i nostri cuori sono colmi del rinnovato sentimento della sua presenza, ecco che si incontrano nel nome del Signore il Catholicos di Cilicia e il Vescovo di Roma, proprio in questa città in cui Pietro e Paolo hanno proclamato, alle origini della storia cristiana, la vittoria di Gesù Cristo sulla morte, sigillando la loro testimonianza con il linguaggio misterioso ma assai significativo del sangue versato.

L'incontro di oggi è un nuovo passo nel dialogo fraterno tra le nostre Chiese. Il bacio di pace scambiato nel 1967 tra il vostro predecessore e il mio costituisce un momento indimenticabile di questo loro riavvicinamento. Docili alle ispirazioni dello Spirito Santo che ci spinge a recuperare la piena unità e a riconoscere i "legami molto stretti" (UR 15) che già ci riuniscono in una profonda comunione, noi siamo coscienti oggi, voi e io, di essere fedeli all'eredità preziosa del loro grande esempio e della loro speranza, e questo in un momento in cui e ancora viva nei nostri cuori l'emozione suscitata dalla recente dipartita di Sua Santità Khoren I.

Dal mattino di Pasqua, la luce della Risurrezione non ha mai cessato di rischiarare l'esperienza intima di tanti uomini e donne, e, attraverso essa, quella di popoli interi.

Nell'accogliervi, venerabile fratello, voglio rendere omaggio alla grande pagina della storia cristiana che è cominciata quando san Gregorio l'Illuminatore ha portato questa luce immateriale nel cuore del popolo armeno.

Nella vostra persona voglio onorare anche la grande famiglia cristiana che, in comunione con Sua Santità Vasken I, Patriarca Catholicos Supremo di tutti gli Armeni, voi guidate sui tortuosi cammini della storia, di questa storia che deriva, come sempre, da domande inesprimibili dello Spirito e dalla libera risposta dell'uomo.

L'esperienza del popolo armeno offre una testimonianza eloquente di questo "legame organico" tra la fede cristiana e la cultura di cui ho parlato nel mio discorso all'Unesco.

Quando un popolo accoglie la luce di Cristo, le sue convinzioni profonde ne vengono purificate e confermate; sul terreno dell'antica cultura, ne sboccia una nuova nella quale l'uomo trova un equilibrio più profondo e un modo più libero e liberante di affrontare la realtà. Egli vi trova anche la forza di resistere ai rovesci della storia. Una tale cultura, nelle circostanze difficili, si rivela essere una forza più potente di tutte le altre (cfr. la mia allocuzione all'Unesco). La vostra storia offre una magnifica testimonianza al fatto che il Vangelo dà a ciascun popolo, come anche a ciascun uomo, il suo vero volto.

La diversità che risulta da questo fatto, diversità di temperamenti che diviene in seguito una diversità di usi e di costumi, non solamente non si oppone affatto all'unità della Chiesa, ma "ne accresce la bellezza e le offre un aiuto prezioso per il compimento della sua missione" (UR 16). La ricchezza particolare data a ciascuno è pienamente conservata e non può svilupparsi se non nella misura in cui essa è voluta per il bene di tutti. Questa chiara coscienza alimenta la passione per l'unità della Chiesa: se viene dato un dono particolare dello Spirito a ciascun uomo e a ciascuna famiglia del popolo di Dio, è perché ciascun membro possa ricoprire la sua funzione nell'unico corpo di Cristo.

La vostra presenza tra noi, venerabile fratello, rende vivo al mio spirito, con un'acutezza ancora più grande, il dramma del Paese da cui provenite e nel quale, ormai da molto tempo, una parte del vostro popolo è stata accolta, e che è diventato la sua nuova patria. Questa terra del Libano, così cara al mio cuore, che così a lungo ha mostrato al mondo intero come fosse possibile che uomini di culture diverse e appartenenti a diverse religioni possano vivere insieme in un'unica nazione, nel lavoro e nella pace, questa terra del Libano continua ad essere sottoposta ad una dura prova. Ciascun avvenimento storico è espressione di una lotta decisiva: quella della speranza contro la disperazione.

In questa lotta i cristiani attingono, a quella sorgente inesauribile che è la Croce di Cristo, la forza di vivere il loro ideale di riconciliazione, di pace e di fraternità, e di fare di tutto per contribuire affinché esso ridivenga una realtà vissuta da tutti nella giustizia e nella libertà.

In questo momento è un dovere, per tutti coloro che confessano la vittoria di Cristo, testimoniare, nell'unità, la loro speranza di fronte al mondo.

E' loro dovere invitare alla speranza e alla ricostruzione tutti coloro che credono in Dio e tutti gli uomini di buona volonta.

Il mistero pasquale sollecita i cristiani e, attraverso i cristiani, tutti gli uomini, a prendere una decisione fondamentale: si deve vivere volti verso un giorno che finisce, o guardando la luce dell'alba che già scaccia le tenebre? Si tratta di vivere fissi su ciò che è stato, o vivere aperti all'assoluta novità creata nella storia da Cristo risorto, Redentore dell'uomo? L'incontro di oggi continua tra noi ciò che è stato iniziato da Cristo nel mattino di Pasqua: riunire di nuovo nello Spirito Santo i discepoli un tempo raccolti attorno alla sua presenza fisica, poi dispersi nell'ora delle tenebre.

La vostra presenza qui, oggi, testimonia del costante miglioramento delle relazioni tra le nostre due Chiese. E' questa una fonte di gioia e di profonda soddisfazione. Le divergenze e le difficoltà del passato stanno per essere progressivamente superate. Di tutto cuore io auguro che questo incontro segni l'inizio di una nuova tappa in questo cammino comune.

Il Signore ci doni l'energia necessaria per comunicare a tutti i fedeli che ci sono affidati, e specialmente tutti coloro che vivono in questa terra del Libano, la nostra gioia di oggi. Possa questa nostra gioia divenire gioia, non solamente dei cristiani, ma di tutto il popolo così caro e così lavoratore che vive in questo Paese! E questo popolo divenga di nuovo un segno di speranza offerto a tutti gli uomini!

Data: 1983-04-16 Data estesa: Sabato 16 Aprile 1983

A Diaconi del Collegio Americano del Nord - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ministri della Parola, lasciate che essa parli ai vostri cuori

Cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo, è una grande gioia per me darvi il mio benvenuto qui oggi, poco tempo dopo avere ricevuto l'ordinazione al diaconato.

Voi siete entrati in una nuova fase del vostro rapporto con Cristo, colui che vi ha scelti per uno speciale servizio tra il Popolo di Dio.

Il vostro è un ministero d'amore che si manifesta in un intenso impegno per la parola di Dio e nella pratica della carità, proprio come Stefano e gli altri che furono scelti dagli Apostoli nelle comunità cristiane delle origini.

Sebbene il periodo del vostro diaconato sia finalizzato alla vostra preparazione per un più intensivo servizio ecclesiale quali Sacerdoti di Gesù Cristo, io vi chiedo, nondimeno, di accettare generosamente la chiamata che il Signore vi ha rivolto. Voi siete ministri della parola: lasciate che la parola di Dio parli ai vostri cuori; fate che essa sia la sorgente della vostra comunione con Cristo; lasciate che essa guidi ogni vostra azione. Allora conoscerete la felicità che san Paolo esprime quando dice: "Per me, vivere è Cristo" (Ph 2,21).

Do il benvenuto anche a coloro che vi accompagnano: i vostri genitori, amici e insegnanti, tutti coloro che mediante il loro amore, aiuto e incoraggiamento vi hanno condotto a questo momento e che vi sostengono con la preghiera.

Chiedo al Signore Risorto di confermarvi nella sua grazia così che voi possiate proclamare il messaggio evangelico con gioia e speranza. Dio vi benedica tutti.

Data: 1983-04-16 Data estesa: Sabato 16 Aprile 1983




Ad un pellegrinaggio di Livorno - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La verità s'impone da sola, vince per la sua forza intrinseca

Carissimi tutti nel Signore!


1. Grazie per la vostra presenza così affettuosa! Il vostro pellegrinaggio non è soltanto numeroso; è soprattutto cordiale, perché avete voluto ricambiare la visita da me compiuta nelle vostre terre l'anno scorso, il 19 marzo. Ringrazio tutti di cuore e tutti saluto con intima letizia: il Vescovo, Monsignor Alberto Ablondi, e i suoi collaboratori, il Presidente della Provincia e i sindaci di Livorno e di Rosignano Solvay, le delegazioni dell'amministrazione provinciale e comunale, le rappresentanze ufficiali dei Sindacati e del Consiglio di fabbrica, i sacerdoti e i religiosi, i laici impegnati nella pastorale e nei vari enti e associazioni, i malati, che hanno voluto impreziosire con la loro sofferenza questo pellegrinaggio, e voi tutti, cari fedeli, che siete venuti a Roma e dal Papa con grande fede e con profonda sensibilità cristiana.

La vostra visita mi fa ritornare in mente la giornata così intensa e festosa trascorsa con voi. Ricordo il breve incontro con la popolazione di Rosignano, al mio arrivo: l'itinerario nei vari reparti dello stabilimento Solvay; l'incontro con i dirigenti, gli operai ed il Consiglio di fabbrica; la devota atmosfera del Santuario mariano di Montenero, dove mi intrattenni con il clero, i religiosi, le suore e la Comunità dei Benedettini vallombrosani; e finalmente la solenne celebrazione sulla Piazza della Repubblica, con la partecipazione delle autorità, dei malati e di una grande folla di livornesi e dei paesi vicini.

Quanti altri luoghi avrei desiderato ancora visitare! Ma non era possibile; tutti pero io sentivo presenti e per tutti offrii la mia preghiera e la mia amicizia, che perdurano tuttora e rimarranno per sempre! Ringrazio il Signore, perché i discorsi da me pronunciati nella fabbrica di Rosignano Solvay, e l'enciclica "Laborem Exercens" pubblicata pochi mesi prima, hanno suscitato un bisogno di approfondimento, per cui nella stessa città, nei giorni 9 e 10 aprile scorsi, è stato tenuto un convegno nazionale delle Acli con la collaborazione del Consiglio di fabbrica e della Commissione diocesana per il mondo del lavoro sui temi riguardanti i rapporti tra Chiesa e lavoratori, la solidarietà nell'ambiente operaio, l'umanizzazione del lavoro. Inoltre nella diocesi è sorto un "Centro cultura-lavoro" con lo scopo di chiarificare questa problematica. Pertanto, nel ricordo di quella mia visita, con grande fiducia e speranza auguro alla città di Livorno e all'intera diocesi di mantenersi unita nella fraternità, nell'amore reciproco, nella fede e nel fervore cristiano!


2. L'odierno vostro pellegrinaggio ha pero anche un'altra finalità molto importante; esso infatti si inserisce nel vostro cammino di preparazione al Sinodo diocesano. In una diocesi il Sinodo ha un valore fondamentale, perché apre prospettive nuove e dà direttive valide per molti anni nello svolgimento della vita pastorale; esso esige perciò impegno, fatica, preoccupazioni, lungimiranza e grande spirito di fede. La preparazione al Sinodo è stata per voi un intenso periodo di ricerca, rivolto anche al patrimonio religioso del passato; di riflessione, avvalorata dall'apporto di persone competenti e dalla preghiera; e di dialogo sincero e aperto, esteso a tutte le categorie sociali, alle parrocchie e ai singoli gruppi ecclesiali. Si tratta ora di giungere all'assemblea sinodale e il vostro pellegrinaggio, compiuto anche per acquistare l'Indulgenza giubilare, ha lo scopo di invocare con più fiducioso fervore l'aiuto dello Spirito Santo.

Da parte mia, mentre vi esprimo vivo compiacimento per il lavoro compiuto, vorrei suggerire l'approfondimento e il rafforzamento dell'impegno sempre essenziale dell'"annuncio", e cioè della "evangelizzazione". Infatti il mondo sente imperioso il bisogno di verità, di certezza salvifica, di significato per la vita di ogni singolo e per la stessa storia umana; il mondo ha bisogno di Cristo, della sua parola di assoluta verità e di salvezza, che illumini sul vero destino dell'uomo e gli dia la forza di accettare la vita nella prospettiva dell'eternità. Come deve essere inteso oggi l'"annuncio"? Anzitutto deve essere sereno ed ottimista. Non dobbiamo infatti spaventarci, anche se ne siamo profondamente addolorati, dell'incredulità attuale.

Dobbiamo riconoscere che nel mondo moderno non sono facili né la fede cristiana né tanto più la morale cristiana, e non dobbiamo anche dimenticare che l'errore, l'eresia, l'avversione, la persecuzione sono di tutti i tempi. Ma è necessario avere piena fiducia nell'opera della "grazia", che agisce sempre, anche se invisibilmente, e nel valore delle opere buone e della testimonianza.

L'annuncio deve poi essere completo e positivo, La "Verità" è quella rivelata da Cristo e insegnata dalla Chiesa con il Magistero infallibile, autentico e perenne. Essa va insegnata integralmente: la Verità si impone da sola e vince per la sua intrinseca forza.

L'annuncio deve infine essere compiuto con ordine, continuità e concretezza. Molto valide sono determinate tappe di catechesi che formano delle tradizioni, come le "settimane" di preparazione alla Pasqua, svolte per le varie categorie di persone; gli incontri periodici con i giovani, con i fidanzati, con i genitori nelle circostanze del Battesimo e della Cresima dei figli; i ritiri spirituali in occasione di determinate festività o avvenimenti. Essenziale è mantenere ordine nella catechesi e finalità soprannaturale, e cioè la vita di grazia, il bisogno della preghiera e dell'Eucaristia, l'impegno pastorale. E' tutto un immenso lavoro da compiere, che esige un profondo amore a Cristo e alle anime e una grande forza di volontà; ma è anche un'intensa attività, che certamente porta molti frutti. A questo proposito sempre più e sempre meglio deve essere compreso e apprezzato il valore e l'attività dei vari "ministeri", da quello primario ed essenziale del sacerdote a quelli del diacono e dei laici.

Insieme ai fondamentali problemi della evangelizzazione e della formazione della città cristiana, vi sono anche sempre i problemi pratici e concreti della vita quotidiana, con le sue difficoltà e le sue ansie. So che a Livorno è diventata preoccupante la questione della disoccupazione, specialmente dei giovani. Particolarmente in questi momenti vi sono vicino e auguro di cuore che presto e in modo giusto si possa risolvere tale problema per il benessere e il progresso della vita sociale. La Chiesa non ha mai abbandonato né l'uomo singolo né le popolazioni. Il suo insegnamento, dalla "Rerum Novarum" alla "Laborem Exercens", indica la strada anche per i tempi e per i problemi difficili, proprio nell'ottica della evangelizzazione e della promozione umana. Il mio ardente auspicio è che la vostra Chiesa locale, d'intesa con le autorità responsabili della vita sociale e gli esperti, si adoperi per venire incontro a coloro che sono nell'ansia per non aver un posto di lavoro o per la paura di perderlo e a quanti si trovano nel bisogno.


3. Concludo richiamandomi all'Anno Santo della Redenzione che stiamo vivendo in tutta la Chiesa con intenso fervore e che voi avete voluto celebrare in modo speciale col vostro pellegrinaggio. L'indizione dell'Anno Giubilare ha avuto come primo scopo l'invito alla meditazione dell'avvenimento supremo e decisivo della Redenzione, e poi la purificazione delle anime, mediante il perdono dei peccati con la Confessione sacramentale e l'Eucaristia e la remissione della pena mediante l'Indulgenza plenaria. Affido tutti voi alla maternità di Maria santissima, affinché il Sinodo diocesano e l'Anno Giubilare possano essere ricchi di spirituale elevazione per l'intera diocesi di Livorno. Salite volentieri, spesso e con fervore, al Santuario di Montenero per pregare la Madre celeste, affinché mantenga, difenda, aumenti la fede cristiana nel popolo e la ottenga a tanti che purtroppo l'hanno perduta! Con questi voti, vi accompagni anche la benedizione apostolica, che ora vi imparto con grande affetto e che estendo all'intera comunità livornese.

Rivolgo altresi un saluto al pellegrinaggio proveniente dalla diocesi di Biella, in Piemonte. Siate i benvenuti, carissimi fratelli e sorelle, in questa città di Roma, che custodisce le tombe dei Principi degli Apostoli ed è Sede del successore di Pietro. La vostra visita si inserisce nel contesto dell'Anno Santo e vuole essere occasione di interiore purificazione, di riavvicinamento della fede, di più profonda comunione personale con Cristo Redentore.

Si, questo è il senso dell'Anno Giubilare. La sincerità dei rinnovati rapporti con Dio e l'impegno di un amore costante ed operoso verso i fratelli vi accompagnino tutti i giorni della vostra vita, stimolandovi ad un continuo progresso spirituale, che non potrà non riflettersi positivamente anche sulle sorti della città terrena. Con questo augurio vi imparto di gran cuore la mia Benedizione, che estendo volentieri a tutte le altre persone e gruppi che si sono uniti a questa Udienza.

Data: 1983-04-16 Data estesa: Sabato 16 Aprile 1983


GPII 1983 Insegnamenti - A Vescovi americani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)