GPII 1983 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dalla vita nascosta alla soglia della vita pubblica del Redentore




1. "Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto" (Lc 3,22).

Oggi ascoltiamo nella Liturgia queste parole, che sono state udite nella regione del Giordano nel momento in cui Cristo ricevette il Battesimo dalle mani di Giovanni. Si sa che il Battesimo amministrato da Giovanni era "un battesimo di conversione" (Mc 1,4).

Quando "Gesù dalla Galilea ando al Giordano... per farsi battezzare...

Giovanni voleva impedirglielo, dicendo: "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?". Ma Gesù gli disse: "Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia"" (Mt 3,13-15). E Giovanni lo battezzo.


2. Con la solennità del Battesimo del Signore, la Liturgia conclude il periodo del Natale e quello dell'Epifania del Signore. La Liturgia è concisa. Ancora poco tempo fa, ci siamo rallegrati per la venuta al mondo del Figlio di Dio nella notte di Betlemme, e, appena pochi giorni or sono, per la venuta dei Magi dall'Oriente.

Oggi guardiamo a quegli avvenimenti dalla prospettiva dei "circa trent'anni" (Lc 2,23) di Gesù. E anche se ritorneremo ancora al periodo dell'infanzia nella festa della Presentazione del Signore, già oggi questa prospettiva rimane tuttavia, in un certo senso, chiusa.

Lasciamo velocemente il periodo della vita nascosta a Betlemme, in Egitto e a Nazaret, per trovarci alla soglia dell'attività messianica e pubblica del Redentore. Proprio in questo momento, in cui Giovanni sulle sponde del Giordano indica "l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo" (cfr. Jn 1,29), la voce dall'alto riconferma la divina figliolanza di Cristo.

In questo modo, ci troviamo contemporaneamente al centro stesso dell'Epifania. L'Epifania infatti è la manifestazione del Figlio, della stessa sostanza del Padre, in Gesù Cristo nato dalla Vergine Maria nella notte di Betlemme.


3. Ricordo oggi i Vescovi della Repubblica dello Zimbabwe, venuti quest'anno in visita "ad limina Apostolorum". Si tratta di 7 Vescovi, che rappresentano una comunità cattolica pari a quasi il 10 per cento della popolazione di quel Paese, della quale peraltro il 58% professa la fede cristiana. Nonostante le difficoltà connesse ai fatti bellici degli ultimi anni, la Chiesa dello Zimbabwe è viva e dinamica, e svolge un'intensa attività sia nel campo educativo che in quello assistenziale, oltre che nello specifico compito di evangelizzazione.

I Vescovi sono coadiuvati a vari livelli da sacerdoti diocesani e religiosi, suore, catechisti e anche missionari laici, mentre in tre Seminari si preparano i futuri responsabili di quella Chiesa.

Preghiamo il Signore perché la Chiesa dello Zimbabwe cresca sempre più in estensione e ancor più nella profondità della fede, dell'amore e della speranza, e perché egli non le lasci mai mancare persone generose al suo servizio.

(Recitato l'Angelus, prosegue:) Si celebra oggi la Giornata del Seminario di Roma. Come Vescovo di questa città che per il carattere unico al mondo e per i suoi molteplici problemi spirituali che l'attraversano, è impegnata in una sempre crescente opera pastorale, sento il dovere urgente di attirare l'attenzione di tutti i cristiani romani sulla importanza delle iniziative che il Vicariato intende promuovere, in questo anno 1983, al fine di incrementare l'opera delle vocazioni sacerdotali.

E' necessario che tutti i fedeli prendano sempre più chiara e responsabile coscienza di questo problema ecclesiale offrendo sia il loro contributo spirituale, fatto di preghiera e di sacrifici, sia il loro sostegno materiale. E' superfluo dire che il ruolo della famiglia è fondamentale: essa infatti, se ispirata da profondo spirito di fede, costituisce il primo Seminario, entro cui germogliano e crescono fino alla piena maturità i teneri virgulti destinati al Sacerdozio.

La Vergine Santissima, invocata nei due Seminari romani, il Maggiore e il Minore, sotto i titoli di Madonna della Fiducia e della Perseveranza, susciti numerose vocazioni e ne protegga il cammino verso l'altare!

Data: 1983-01-09 Data estesa: Domenica 9 Gennaio 1983

Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il rapporto matrimoniale adombrato nell'alleanza fra Dio e Israele




1. Analizziamo ora la sacramentalità del matrimonio sotto l'aspetto del segno.

Quando affermiamo che nella struttura del matrimonio quale segno sacramentale, entra essenzialmente anche il "linguaggio del corpo", facciamo riferimento alla lunga tradizione biblica. Questa ha la sua origine nel Libro della Genesi (soprattutto Gn 2,23-25) e trova il suo definitivo coronamento nella Lettera agli Efesini (cfr. Ep 5,21-33). I Profeti dell'Antico Testamento hanno avuto un ruolo essenziale nel formare questa tradizione. Analizzando i testi di Osea, Ezechiele, Deutero-Isaia, e di altri profeti, ci siamo trovati sulla via di quella grande analogia, la cui espressione ultima è la proclamazione della nuova alleanza sotto forma di uno sposalizio tra Cristo e la Chiesa. In base a questa lunga tradizione, è possibile parlare di uno specifico "profetismo del corpo", sia per il fatto che incontriamo questa analogia anzitutto nei Profeti, sia riguardo al contenuto stesso di essa. Qui, il "profetismo del corpo" significa appunto il "linguaggio del corpo",


2. L'analogia sembra avere due strati. Nello strato primo e fondamentale, i Profeti prospettano il paragone dell'alleanza, stabilita tra Dio e Israele, come un matrimonio (il che ci consentirà ancora di comprendere il matrimonio stesso come un'alleanza tra marito e moglie) (cfr. Pr 2,17 Ml 2,14). In questo caso, l'alleanza deriva dall'iniziativa di Dio, Signore di Israele. Il fatto che, come Creatore e Signore, egli stringe alleanza prima con Abramo e poi con Mosè, attesta già una elezione particolare. E perciò i Profeti, presupponendo tutto il contenuto giuridico-morale dell'alleanza vanno più in profondità, rivelandone una dimensione incomparabilmente più profonda di quella del solo "patto". Dio, scegliendo Israele, si è unito col suo popolo mediante l'amore e la grazia. Si è legato con vincolo particolare, profondamente personale, e perciò Israele, sebbene sia un popolo, viene presentato in questa visione profetica dell'alleanza come "sposa" o "moglie", quindi, in certo senso, come persona: "...Tuo sposo è il tuo Creatore, / Signore degli eserciti è il suo nome; / tuo redentore è il Santo di Israele / è chiamato Dio di tutta la terra... / Dice il tuo Dio... / Non si allontanerebbe da te il mio affetto, / né vacillerebbe la mia alleanza di pace (Is 54,5-6 Is 54,10),

3. Jahvè è il Signore di Israele, ma divenne anche il suo Sposo. I libri del Vecchio Testamento attestano la completa originalità del "dominio" di Jahvè sul suo popolo. Agli altri aspetti del dominio di Jahvè, Signore dell'alleanza e Padre di Israele, se ne aggiunge uno nuovo svelato dai Profeti, cioè la dimensione stupenda di questo "dominio", che è la dimensione sponsale. In tal modo, l'assoluto del dominio risulta l'assoluto dell'amore. In rapporto a tale assoluto, la rottura dell'alleanza significa non soltanto l'infrazione del "patto" collegata con l'autorità del supremo Legislatore, ma l'infedeltà e il tradimento: un colpo che addirittura trafigge il suo cuore di Padre, di Sposo e di Signore.


4. Se, nell'analogia usata dai Profeti, si può parlare di strati, questo è in un certo senso lo strato primo e fondamentale. Dato che l'alleanza di Jahvè con Israele ha il carattere di vincolo sponsale a somiglianza del patto coniugale, quel primo strato dell'analogia ne svela il secondo, che è appunto il "linguaggio del corpo". Abbiamo qui in mente, in primo luogo, il linguaggio in senso oggettivo, i Profeti paragonano l'alleanza al matrimonio, si riportano a quel sacramento primordiale di cui parla Genesi 2,24, nel quale l'uomo e la donna diventano, per libera scelta, "una sola carne". Tuttavia è caratteristico del modo di esprimersi dei Profeti il fatto che, supponendo il "linguaggio del corpo" in senso oggettivo, essi passano, ad un tempo, al suo significato soggettivo: cioè consentono, per così dire, al corpo stesso di parlare. Nei testi profetici dell'alleanza, in base all'analogia dell'unione sponsale dei coniugi, è il corpo stesso che "parla"; parla con la sua mascolinità o femminilità, parla con il misterioso linguaggio del dono personale, parla infine - e ciò avviene più spesso - sia col linguaggio della fedeltà cioè dell'amore, sia con quello dell'infedeltà coniugale, cioè dell'"adulterio".


5. E noto che sono stati i diversi peccati del popolo eletto - e soprattutto le frequenti infedeltà relative al culto del Dio uno, cioè varie forme di idolatria - a offrire ai Profeti l'occasione per le enunciazioni suddette. Il profeta dell'"adulterio" di Israele è diventato in modo particolare Osea, che lo stigmatizza non solo con le parole, ma, in certo senso, anche con atti dal significato simbolico: "Va', prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore, (Os 1,2). Osea pone in rilievo tutto lo splendore dell'alleanza, di quello sposalizio in cui Jahvè si dimostra sposo-coniuge sensibile, affettuoso, disposto a perdonare, e insieme esigente e severo, L'"adulterio" e la "prostituzione" di Israele costituiscono un evidente contrasto col vincolo sponsale, su cui è basata l'alleanza, così come, analogamente, il matrimonio dell'uomo con la donna.


6. Ezechiele stigmatizza in modo analogo l'idolatria, servendosi del simbolo dell'adulterio di Gerusalemme (cap. 16) e, in un altro passo, di Gerusalemme e di Samaria (cap. 23): "Passai vicino a te e ti vidi; ecco la tua età era l'età dell'amore... Giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e diventasti mia" (Ez


16,8). "Tu pero, infatuata per la tua bellezza e approfittando della tua fama, ti sei prostituita concedendo i tuoi favori ad ogni passante" (Ez 16,15).


7. Nei testi profetici, il corpo umano parla un "linguaggio", di cui esso non è l'autore. Suo autore è l'uomo in quanto maschio o femmina, in quanto sposo o sposa: l'uomo con la sua perenne vocazione alla comunione delle persone. L'uomo, tuttavia, non è capace, in certo senso, di esprimere senza corpo questo linguaggio singolare della sua esistenza personale e della sua vocazione. Egli è stato costituito in tal modo già dal "principio", così che le più profonde parole dello spirito - parole di amore, di donazione, di fedeltà - esigono un adeguato "linguaggio del corpo". E senza di esso non possono essere pienamente espresse.

Sappiamo dal Vangelo che ciò si riferisce sia al matrimonio sia alla continenza "per il Regno dei cieli".


8. I Profeti, come ispirati portavoce dell'alleanza di Jahvè con Israele, cercano appunto, mediante questo "linguaggio del corpo", di esprimere sia la profondità sponsale della suddetta alleanza, sia tutto ciò che la contraddice. Elogiano la fedeltà, stigmatizzano invece l'infedeltà come "adulterio": parlano dunque secondo categorie etiche, contrapponendo reciprocamente il bene e il male morale. La contrapposizione del bene e del male è essenziale per l'ethos. I testi profetici hanno in questo campo un significato essenziale, come abbiamo già rivelato nelle nostre precedenti riflessioni. Sembra, pero, che il "linguaggio del corpo" secondo i Profeti non sia unicamente un linguaggio dell'ethos, un elogio della fedeltà e della purezza, nonché una condanna dell'"adulterio" e della "prostituzione".

Infatti, per ogni linguaggio, quale espressione della conoscenza, le categorie della verità e della non-verità (ossia del falso) sono essenziali. Nei testi dei Profeti, che scorgono l'analogia dell'alleanza di Jahvè con Israele nel matrimonio, il corpo dice la verità mediante la fedeltà e l'amore coniugale, e, quando commette "adulterio", dice la menzogna, commette la falsità.


9. Non si tratta qui di sostituire le differenziazioni etiche con quelle logiche.

Se i testi profetici indicano la fedeltà coniugale e la castità come "verità", e l'adulterio, invece, o la prostituzione, come non-verità, come "falsità" del linguaggio del corpo, ciò avviene perché nel primo caso il soggetto (Israele come sposa) è concorde col significato sponsale che corrisponde al corpo umano (a motivo della sua mascolinità o femminilità) nella struttura integrale della persona; nel secondo caso, invece, lo stesso oggetto è in contraddizione e collisione con questo significato.

Possiamo dunque dire che l'essenziale per il matrimonio come sacramento è il "linguaggio del corpo", riletto nella verità. Proprio mediante esso si costituisce infatti il segno sacramentale.

Preghiera alla Madonna di Jasna Gora, Regina della Polonia Ci troviamo sulla soglia dell'anno nuovo. Dinanzi a noi si dischiude un nuovo periodo di tempo, che è contemporaneamente donato e dato in compito a ogni uomo.

Nella Chiesa universale desideriamo, nel corso di questo anno, aprirci verso lo straordinario Giubileo della nostra Redenzione. Desideriamo in modo particolare accogliere tutto ciò che il Padre Eterno ha offerto all'umanità in Cristo, tuo Figlio.

In terra polacca dura ancora il Giubileo del seicentesimo anniversario della tua materna presenza nell'Effige di Jasna Gora. Ciò costituisce, allo stesso tempo, una particolare introduzione al Giubileo della Redenzione.

All'inizio di questo anno non posso non pensare alla mia visita in Polonia legata all'anniversario di Jasna Gora. Già più di una volta ho accennato a questo tema. So pure che sono in corso i dovuti preparativi, per i quali esprimo stima e gratitudine. Tuttavia, mentre preparo questa visita, nel mio cuore, desidero soprattutto che essa sia guidata da te, Madre! Che tu sola decida di essa. A te affido se e come essa debba attuarsi.

Tu, Madre - solo tu - puoi far fiorire da essa il giusto bene! Questo bene che tanto desidero per la Chiesa, per la mia Patria e per ogni uomo!

Data: 1983-01-12 Data estesa: Mercoledi 12 Gennaio 1983

Al Circolo San Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Significativa testimonianza di carità dei laici cattolici di Roma

Carissimi!


1. Anche quest'anno Dio ci dà la gioia d'incontrarci per ringraziarlo del nostro comune cammino di fede, e per guardare assieme alle nuove prospettive che l'avvento del suo regno ci pone dinanzi.

Devo dirvi innanzitutto che la vostra devozione, esprimentesi in varie forme di generosa carità, suscita nel mio animo vivo compiacimento e sentita gratitudine.

La vostra testimonianza di laici cattolici nella nostra diocesi svolge una missione particolarmente significativa e delicata non solo agli occhi dei fedeli romani, ma anche davanti a tutte le altre Chiese del mondo, e agli stessi non credenti.

Roma infatti, fin dalle origini del cristianesimo, ha svolto e deve sempre svolgere, tra tutte le Chiese, uno speciale ruolo di "presidenza nella carità". E tale carità, oltre al suo intrinseco valore, si presenta e deve presentarsi anche come segno importante della "presidenza" - affidatale per mandato divino - nella verità: la verità della divina rivelazione.

Koma - è vero - è anche luogo di particolari tensioni e problemi; ma ciò non può essere che di stimolo per un impegno più coraggioso ed efficace, secondo lo speciale dono che lo Spirito concede a chi in Roma deve rendere testimonianza.


2. Il motto della vostra Associazione vi ricorda qual è il distintivo della carità: il sacrificio. Esso è il movente dell'azione efficace per la salvezza dell'uomo, per realizzare il vero amore per l'uomo. La preghiera illumina, sostiene e giustifica tale sacrificio, L'amore cristiano, infatti, ha un sostanziale carattere "sacrificale", religioso, cultuale, sull'esempio di Gesù che ci ha amato "e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore" (Ep 5,2), e rendendo così al Padre il culto e l'onore che ci salva dal peccato e ci dona la vita.

La preghiera, dal canto suo, intesa nel suo significato più largo di "amorosa contemplazione", ci fa comprendere, gustare e praticare tale nobilissimo amore oblativo, conducendoci a rivivere in noi stessi l'azione e la passione redentrici del nostro Salvatore.


3. Questi santi ideali, congiunti a quello di un'esemplare fedeltà al Vicario di Cristo, successore dell'apostolo Pietro, sono quelli che vi hanno sostenuto e guidato nella vostra ormai lunga storia, che ha visto profonde e drammatiche trasformazioni nella società, e storici eventi nella vita della Chiesa, che hanno posto in sempre maggior luce i valori essenziali di cui essa vive, nella loro indipendenza rispetto alle mutevoli vicende del tempo.

Abituati dunque come siete a distinguere il perenne dal caduco, il sostanziale dall'accessorio, voi ora v'impegnate, nell'attuale momento storico, anch'esso soggetto a profonde mutazioni, ad incarnare il perenne messaggio di Cristo nelle nuove forme richieste dal mondo contemporaneo, lasciando cadere quelle superate, secondo direttive del rinnovamento conciliare.

In questo lodevole sforzo, nel quale tutta la Chiesa è oggi impegnata, il Vicario di Cristo è con voi, nel suo ministero d'indicare, con l'assistenza dello Spirito, le vie del vero rinnovamento, le nuove strade e i nuovi orizzonti che si aprono sotto il nostro sguardo, i nuovi compiti da affrontare.


4. Ricordiamoci a vicenda al Signore, affinché tutti, mediante un aiuto scambievole, possiamo compiere bene, fino alla fine, il compito affidatoci dalla Provvidenza, ciascuno al proprio posto, in unità organica d'intenti, nel formare il Corpo mistico del Signore, un Corpo che, alimentato dalla grazia, deve crescere e svilupparsi fino alla fine dei secoli, aumentando nel contempo la ricchezza delle sue membra e l'unità della sua forma.

Da parte mia, mi auguro che il vostro Sodalizio, già tanto benemerito per la sua comunione e sensibilità ecclesiali, continui ad essere, su questa via, di sprone e di esempio a tanti fratelli credenti e non credenti, con vero slancio apostolico ed ecumenico, affinché s'allarghino sempre le vie della verità e della carità.

Con questi sentimenti ed auspici, a tutti voi qui presenti, soci del Circolo, collaboratori e familiari, imparto di cuore la mia speciale benedizione apostolica.

Data: 1983-01-13 Data estesa: Giovedi 13 Gennaio 1983

A vescovi della Germania federale in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sacrificare la vita per gli altri è la vostra missione

Cari fratelli nell'Episcopato.


1. Di tutto cuore do oggi il benvenuto a voi, primo gruppo della Conferenza episcopale tedesca in visita "ad limina" qui in Vaticano. Per voi possono valere le parole di San Paolo, che nella lettera ai Galati di sé riferisce: "Andai (a Gerusalemme)..., esposi loro il Vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano" (Ga 2,2). In comunione fedele con il successore di Pietro, volete anche voi assicurarvi che la vostra meta sia quella autentica e che sia giusta la via che voi percorrete nella vostra sollecitudine pastorale per le vostre diocesi e comunità. Rivolgo un benvenuto particolare al più giovane fratello tra di voi, il Vescovo di Limburgo, che solo l'anno scorso ha assunto l'incarico episcopale. In questo momento il mio pensiero colmo di gratitudine va anche all'illustre e stimato Signor Cardinale Hermann Volk, che ha sperimentato sia l'afflizione che la gioia di un degno commiato dal suo pluriennale servizio fedele e perciò non è oggi qui presente.

Nella comune sollecitudine pastorale, mi sento fraternamente unito a ciascuno di voi nelle situazioni concrete delle vostre diocesi e del vostro servizio e vorrei portare il mio contributo affinché questa vostra visita "ad limina" vi infonda nuova forza e fiducia per continuare il vostro cammino. perciò vorrei ora far mie ancora una volta alcune riflessioni fondamentali che le vostre relazioni personali già riportano. Presentandole alla vostra approfondita riflessione, le rivolgo allo stesso tempo anche a tutti gli altri membri della vostra Conferenza, così come le parole che indirizzero in seguito agli altri due gruppi possono valere anche per voi.


2. Cristo di sé dice di essere venuto perché gli uomini "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10). perciò ad imitazione di lui, la nostra missione è anch'essa un servizio alla vita. Questo nostro compito come Vescovi, come Chiesa, riveste nel mondo d'oggi una attualità e un'urgenza del tutto particolari, come voi stessi avete chiaramente espresso nei mesi passati da parte della vostra Conferenza episcopale. Con gioia e compartecipazione ho saputo della iniziativa che avete intrapreso congiuntamente alle forze dell'apostolato laicale nel vostro Paese e che avete posto sotto il motto biblico: "Scegli la vita" (Dt 30,19). Tutte le forze nella Chiesa e nella società devono essere mobilitate per superare l'ostilità verso la vita che minaccia in genere l'uomo d'oggi, la mancanza di coraggio nei confronti della propria esistenza e per la trasmissione della vita mediante un nuovo si ad essa. I fatali errori, sia pratici che teorici, che consistono nel considerare la vita come un bene fruibile a piacere del singolo e della società, devono venir smascherati, in quanto incompatibili con la dignità dell'uomo, dal maggior numero possibile di cristiani e cittadini ed essere corretti a partire da un inequivocabile rispetto per la vita dell'uomo.

"Scegli la vita". - Scegliete tra la morte e la vita che vi sono presentate davanti! Questa domanda decisiva che viene posta agli Israeliti prima del loro ingresso nella Terra Promessa, viene rivolta anche a noi e agli uomini a noi affidati davanti al difficile cammino nel futuro. Questo cammino - e ciò deve essere nostra profondissima convinzione e nostra chiara coscienza - non porta affatto al vuoto, né allo smarrimento, se noi seguiamo Colui che, solo, ha potuto dire di sé: "Io sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,6). La vita è possibile solo nella fiducia nella misericordia divina, che è più grande e più forte di tutto ciò che ci vuole sottrarre la speranza e il coraggio verso la vita. Solo in Cristo la vita dell'uomo acquista il suo vero senso e può giungere alla sua pienezza.


3. "Scegli la vita". - Sviluppando questo appello, voi porterete con chiarezza davanti agli occhi degli uomini l'intera ampiezza del valore da esso espresso: a cominciare dalle questioni della conservazione dell'ambiente e della protezione degli animali, attraverso i problemi centrali della vita dell'uomo sulla terra fino all'annuncio della vita eterna, alla quale ogni uomo deve sapersi chiamato.

La vita umana che viviamo qui sulla terra è precisamente un valore inviolabile, ma, secondo la nostra convinzione in conformità con un'alta tradizione filosofica e culturale, essa è subordinata ad un altro valore, ancor più grande, come la dignità della persona e i suoi inalienabili diritti fondamentali. così voi insegnate ad amare la vita qui sulla terra e a promuoverla e svilupparla in modo conforme alla dignità dell'uomo, ma nello stesso tempo anche a tendere verso l'autentica pienezza di una vita indistruttibile che proviene dall'amore potente di Dio.

Questa tensione cristiana non è, comprensibilmente, facile da attuare; essa tuttavia appartiene al modello di vita di molti santi. Oggi più che mai il motto biblico: "Chi perde la sua vita per causa mia, la troverà" (Mt 10,39), suona come una provocazione. L'esempio della vita e della morte di un santo cristiano di oggi come Massimiliano Kolbe, ha pero fatto per lo meno presagire a molti uomini che qui viene forse raggiunto il più alto grado di affermazione della vita. Una riflessione più approfondita su quest'ultima possibilità di testimonianza alla dignità della vita, porta necessariamente anche a sottoporre ad un esame circostanziato la parola d'ordine largamente diffusa della necessaria "autorealizzazione" dell'uomo. Fino a che punto questa concezione è conciliabile con la nostra fede? Il confine non si trova proprio là dove egli dimentica la ragione per questo rischio cristiano, del "perdere la propria vita"?


4. "Scegli la vita". - Questo richiamo decisivo indirizza il nostro sguardo anche verso alcuni urgenti problemi particolari della odierna vita sociale: vorrei ora soffermarmi in modo particolare solo su tre di essi. In primo luogo vi è senza dubbio il compito sempre attuale di motivare i giovani e le giovani a far risplendere concretamente nel matrimonio e nella famiglia, responsabilmente configurati, la dignità dell'uomo e a dire di si alla vita. Scegliendo insieme per questo si, essi cominciano un cammino verso il futuro che ultimamente supera la felicità ristretta solo a due e dovrebbe portare all'accoglienza della vita anche di alcuni bambini. Cercate di aprire nuovamente gli occhi e il cuore degli uomini affinché constatino che nessun bene di consumo, per quanto prezioso ed attraente, può uguagliare la felicità che l'incontro e il confronto quotidiano con il mondo misterioso di un bambino, in quanto persona che va via via crescendo, può regalare a colui che ha imparato a vedere questi valori e a gioirne.

Non dobbiamo a questo proposito trascurare quei coniugi che rimangono involontariamente senza figli. Anche per loro vale - anche se in un modo particolare - l'invito: "Scegli la vita"... Come ho sottolineato nell'esortazione apostolica "Familiaris Consortio" (FC 14), "La sterilità fisica può essere occasione per gli sposi di altri servizi importanti alla vita della persona umana, quali ad esempio l'adozione, le varie forme di opere educative, l'aiuto ad altre famiglie, ai bambini poveri o handicappati".


5. Tra i compiti sociali della Chiesa, acquista sempre più rilievo negli ultimi tempi il problema della carenza di posti di lavoro. La ricerca del sostentamento, il desiderio di un impiego adeguato e apprezzato delle proprie capacità: entrambe le cose ci mostrano chiaramente la connessione con il tema della vita. Alcuni di voi e alcuni dei vostri sacerdoti nei mesi passati si sono già occupati molto da vicino dei duri contrasti che portano naturalmente con sé la minaccia di licenziamenti in massa o la chiusura di fabbriche. Contribuite a favorire il dialogo tra le parti, a ricercare la verità tutta intera, pur se complessa, delle situazioni che via via si presentano e a incontrarla insieme in uno spirito di solidarietà. Cercate di favorire la riflessione e di respingere la caccia irresponsabile di capri espiatori: entrambe le cose non si accordano ai criteri di Cristo, che è venuto non per giudicare ma per conciliare e rendere tutti gli uomini fratelli.

Nel vostro impegno a favore dei posti di lavoro minacciati, tenete conto del fatto che nel vostro Paese vi sono anche numerosi imprenditori e datori di lavoro motivati socialmente e cristianamente e che si sforzano di adempiere al loro difficile compito secondo le regole della giustizia sociale. La Chiesa cattolica stessa è anzi nel vostro Paese uno dei più importanti datori di lavoro.

Vorrei invitarvi anche a continuare ad assumervi una particolare responsabilità sociale, quando si tratta di conservare posti di lavoro anche in ristrette possibilità finanziarie, di fornire ai giovani un ambito di formazione o di creare per gli handicappati uno spazio per una attività a loro possibile. Ne consegue allora un ordinamento sociale a casa vostra che vi dà un'ulteriore ragione per dare una particolare impronta all'ambiente di lavoro ecclesiale stesso, fino a favorire alcune forme di rappresentanza dei lavoratori, che voi a ragione considerate conformi alla natura particolare del servizio ecclesiale.


6. "Scegli la vita!" - Questo appello, cari fratelli, si rivolge in modo particolarmente acuto ai giovani, a coloro che domani faranno esperienza della fatica e della bellezza della vita. Prima di ogni altra cosa essi hanno bisogno di una preparazione alla vita; hanno bisogno del coraggio di vivere; hanno bisogno di criteri.

Dobbiamo incoraggiare noi stessi, i nostri sacerdoti e quanti più laici possibile a cercare il dialogo proprio con i giovani: dobbiamo cercare questo dialogo anche là dove le caratteristiche e la mentalità dei giovani ci appaiono in un primo momento estranee e singolari. Alcuni gesti inconsueti da parte loro racchiudono domande non espresse a tutti noi, domande brucianti, di importanza vitale. Non indietreggiate spaventati davanti alla parola "alternativa", con la quale oggi viene qualificata gran parte delle idee e dei progetti nella vita sociale. Riflettete sulle aspettative nutrite fiduciosamente da uomini e donne di cultura e di ampie vedute; poiché sembra infatti che diverse tendenze di sviluppo mondiale conducano a poco a poco i popoli ad alta civiltà industriale ad un punto in cui si devono cercare e pensare soluzioni alternative allo stile di vita oggi imperante. La Chiesa, nella sua grande libertà e indipendenza spirituale è tuttavia il luogo dove tali nuovi modelli di vita per l'ambito sociale ed economico possono venir formulati e discussi. Il nostro stesso cammino di vita in quanto cristiani, in quanto sacerdoti e Vescovi non è sempre stato già "alternativo"? Quanto più profondamente e con convinzione noi stessi ci fondiamo su Cristo, via, verità e vita, tanto più possiamo osare questo dialogo con la giovane generazione. Il futuro dell'uomo merita un tale rischio.


7. Cari fratelli! Voi saprete certamente unire alla vostra saggezza teologica ed esperienza pastorale, queste importanti richieste e esortazioni che vi ho presentato in comunione cordiale e in fiduciosa franchezza. Possano esse contribuire a vivificare l'opera della Chiesa al servizio della vita, alla vita terrena e soprannaturale, nelle vostre diocesi e comunità e a orientarla efficacemente agli uomini concreti.

Vi accompagni la mia compartecipazione fraterna e la mia preghiera per voi, i vostri sacerdoti e fedeli.

Donate anche a me, vostro fratello sul seggio episcopale di Roma, questi doni spirituali: il vostro consiglio per il mio servizio alla Chiesa di Cristo mi sarà sempre molto gradito; la vostra intercessione è per me motivo di ferma speranza e di gioia. Sia lodato Dio per questa nostra sincera comunione e unità! Con i migliori auguri personali, di cuore imparto a voi e alle vostre diocesi la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1983-01-14 Data estesa: Venerdi 14 Gennaio 1983

Al Corpo diplomatico - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il dialogo leale per la pace: linea di azione della Santa Sede

Eccellenze, Signore, Signori.


1. E' per me una grande gioia accogliervi tutti, in questa casa, all'inizio di un nuovo anno. Rivedo così tutti voi Ambasciatori con i quali ho già avuto un incontro personale e ufficiale allo stesso tempo, al momento della presentazione delle loro credenziali. E, oltre alle vostre persone, io ho come l'impressione di dialogare con i popoli e le nazioni, con i capi di Stato e i governi che rappresentate, cioè con centocinque paesi molto diversi per l'importanza demografica, per la cultura, per la potenza economica, ma accolti tutti qui con lo stesso rispetto e la stessa benevolenza. Si, questo è sempre un momento commovente del mio pontificato; e io saluto specialmente i nuovi membri del Corpo diplomatico accreditati presso la Santa Sede nel corso dell'anno passato. Per numerosi Paesi, le missioni sono state elevate al rango di Ambasciata, quelle cioè di Gran Bretagna, del Principato di Monaco, dell'Ordine sovrano e militare di Malta; altri hanno deciso di stabilire relazioni diplomatiche con la Santa Sede: la Danimarca, la Norvegia, la Svezia.

Con la delicatezza che lo distingue, e facendosi interprete dei vostri sentimenti, il vostro caro Decano ha voluto elencare un certo numero di iniziative del mio pontificato, che hanno avuto un'incidenza spirituale o pacifica... Lo ringrazio vivamente delle sue generose parole. Possano i suoi voti realizzarsi, con la grazia di Dio, affinché la Sede Apostolica sia, al livello che le compete, uno strumento sempre più adeguato ed efficace di dialogo tra gli uomini, per meglio servirli! Questo incontro collettivo assume un rilievo ancor più grande in quanto ci permette, scambiandoci gli auguri, di accennare ai problemi vitali per le relazioni internazionali.


2. Proprio il dialogo per la pace è stato il tema scelto per la recente Giornata mondiale, e voi ben comprendete che io ritorno, qui, su questo tema, più che per dimostrarne la necessità, la possibilità, le virtù o le difficoltà, per sottolineare invece la sua applicazione a situazioni concrete.

In questo Messaggio vi indirizzavo un particolare appello, proprio a voi diplomatici "la cui nobile professione è quella, tra l'altro, di affrontare i punti controversi, cercando di risolverli attraverso il dialogo e il negoziato, per evitare il ricorso alle armi o per sostituirvi ai belligeranti" (n. 11). E rendo omaggio a questo lavoro di pazienza e di perseveranza. Questa insistenza non è nuova per la Santa Sede. Già il mio venerato predecessore Paolo VI diceva al Corpo diplomatico nel 1965: "Più il diritto è dimenticato, disprezzato... più diventa chiaro che è la ragione, il senso umano, la negoziazione serena e libera da passioni - e dunque alla fine dei conti, cari signori, la diplomazia - che devono regolare le relazioni umane e che, soli, possono costruire l'edificio della pace" (AAS 57, 1965, pp. 231-232). Si, se il dialogo per la pace è un problema di tutti al fine di abbattere le barriere dell'egoismo, dell'incomprensione e dell'aggressività (cfr. Messaggio 1983, n. 11), dopo i capi di Stato e i governi, i diplomatici sono i primi diretti interessati. Essi sono, essi devono essere i maestri nell'arte di un tale dialogo, che suppone ed esige l'apertura ai veri problemi dell'altro, la considerazione di ciò che costituisce la differenza e la specificità dell'altro, che non può essere ridotto ad oggetto, l'accettazione del fatto che ciascuno sia un partner responsabile e dunque offra elementi in vista della soluzione, l'attaccamento ai soli mezzi pacifici, e soprattutto, al di là dei punti di vista talvolta difficili da conciliare, la ricerca di ciò che è comune alle due parti, vitale per la loro esistenza e richiesto dall'interesse generale, perché si tratta di ciò che è vero, buono e giusto. Senza questa finalità positiva, non c'è vero dialogo. E oggi c'è da temere una recrudescenza della diffidenza reciproca, che utilizza anche certe proposte di dialogo come mezzi di propaganda.

Sottolineo un punto importante: il dialogo richiede una reciprocità. Ho insistito su questo aspetto nell'omelia del primo gennaio di quest'anno a proposito della riduzione progressiva degli armamenti nucleari o convenzionali: le parti in causa devono impegnarsi in egual misura e percorrere insieme le differenti tappe del disarmo, sforzandosi di giungere, senza ritardi, alla riduzione massima. Auguro che questo obiettivo finale non sia mai perso di vista in tutti i negoziati sul disarmo a Ginevra o in altre parti. Questo sforzo reciproco vale per gli altri tipi di negoziato: la pace non può essere costruita dagli uni senza gli altri, in modo unilaterale. Quando gli uomini si convinceranno che in definitiva il bene di un popolo non può essere raggiunto a discapito del bene di un altro popolo, che un popolo non può sussistere distruggendone un altro, e che in ogni ipotesi vi sono dei diritti delle persone e delle comunità da rispettare, dei comportamenti rovinosi - e pericolosi per tutti - da evitare, da scartare? No, il dialogo per la pace non è facile; esso è esigente; è seminato di insidie, e alcuni, infastiditi dal dover riconoscere o dal dover concedere qualche cosa di ragionevole, preferiscono rifiutarlo, o caricarlo di condizioni che lo rendono impossibile o lo ritardano all'infinito. Certo, un tale dialogo suppone lucidità, per scoprire le eventuali trappole, richiede fermezza e perseveranza. Ma le difficoltà non impediscono che si abbiano sempre benefici quando si tenta di riprendere il dialogo su basi sicure e di aiutare gli altri a riprenderlo senza umiliazione; molto di più, è necessario. Insomma, a che cosa può portare il rifiuto del dialogo? Non si arriverebbe forse allo "status quo" nell'ingiustizia o nell'oppressione, alla guerra fredda o addirittura alla guerra? E' in questo senso che la Santa Sede apprezza l'impegno dei diplomatici e rende ad esso omaggio. E a vostra volta, oso sperare che voi troviate una fonte di ispirazione e di incoraggiamento nel modo in cui la Santa Sede, al di là delle sue esortazioni, si impegna nei rapporti diplomatici bilaterali come anche nella partecipazione alle conferenze e alle istituzioni internazionali: essa fa del dialogo, fondato sulla verità e il rispetto dell'altro, il metodo e lo strumento privilegiato della sua azione e delle sue relazioni, sforzandosi di indicarlo agli altri e di farlo adottare come il mezzo più adatto alla soluzione delle difficoltà e delle controversie. Il fatto che un così alto numero di Paesi abbia voluto allacciare rapporti diplomatici con la Santa Sede testimonia di questa fiducia reciproca.


3. Cosa ne è di questi principi quando si guarda ai diversi focolai di guerra, di stato di guerra, di guerriglia o le gravi tensioni che esistono oggi nel mondo? Per ciò che concerne per esempio il Libano, è evidente che la Santa Sede, nell'apportare il suo conforto dopo ciascun episodio del dramma che ognuno conosce, non ha mai smesso di incoraggiare il rilancio del negoziato e la ricerca di un regolamento globale per tutta la regione del Medio Oriente, "convinta anzitutto che non potrà esserci vera pace senza giustizia, e che non ci sarà giustizia se non saranno riconosciuti e accolti, in modo stabile, adeguato ed equo, i diritti di tutti i popoli interessati" (cfr. Udienza generale, 15 settembre 1982). Auguriamoci che questa causa progredisca nelle trattative iniziate. Le parti devono smettere di vivere nella paura come anche di ricorrere alla violenza, al terrorismo e alle rappresaglie; devono mettersi lealmente a cercare, ad accettare e ad applicare le condizioni di esistenza e di sicurezza per tutti, nella pace, nella dignità, nella libertà, nella tolleranza e nella riconciliazione.

Se il caso del Medio Oriente è tipico per l'estensione dei disastri, per l'asprezza dei problemi da risolvere e la molteplicità delle alleanze in gioco, non bisognerebbe dimenticare tutti gli altri luoghi di combattimento, di tensione, di sofferenza.

La missione della Santa Sede è sempre quella di contribuire a fare in modo che si comprenda meglio e che si rinunci al peggio, di mantenere viva la speranza di una soluzione, di indicare le condizioni etiche di una vera pace. Essa si sforza di farlo anche quando i suoi appelli sono difficilmente ascoltati al cuore dei conflitti.

Sia sufficiente ricordare la guerra che si sta prolungando tra l'Iran e l'Irak, con il suo seguito di distruzioni, di morti, di odio: la Santa Sede è afflitta da questo dramma umano; incoraggia i Paesi vicini e la comunità internazionale a facilitare il vero dialogo, supplicandoli di non rassegnarsi a questa impresa rovinosa, e soprattutto di non trarre profitto dalle rivalità locali per favorire interessi egemonici miopi di questo o di quel Paese o per dedicarsi al traffico d'armi.

Come non soffermarsi sulla tragica situazione che sta vivendo il popolo afgano, legittimamente fiero della sua indipendenza, e che si trova trascinato in un'avventura che sta pagando con tante vittime, tante miserie, e un enorme esodo di rifugiati? E' dunque impossibile pervenire ad atteggiamenti che ispirino la fiducia necessaria per la pace? Penso ancora ai Paesi dell'America centrale: come non augurare che un vero dialogo interno permetta di risolvere i problemi delle miserie sociali e le tensioni interne, evitando così che gli interessati non siano vittime di opzioni materialistiche e non subiscano le interferenze dall'esterno, che cercano di radicalizzare le opposizioni? Si potrebbero nominare molti altri luoghi in cui la tensione rimane viva e pericolosa, degenerando facilmente in atti di violenza come nell'Irlanda del Nord; e anche situazioni apparentemente calme, ma che nascondono una falsa pace, senza progresso, perché i legittimi diritti rimangono lesi, senza la possibilità di un vero dialogo tra le parti sociali e politiche.

La Santa Sede non vuole credere alla fatalità dello stato di guerra né della guerriglia per suscitare la giustizia. La giustizia e la pace sono in definitiva sul cammino di un dialogo libero e senza menzogna, quando si ha il coraggio di intraprenderlo, quando ci si onora di assumersene il rischio e quando gli altri Paesi lo rispettano. Di questi principi, che dovrebbero essere evidenti per tutti, la Santa Sede si farà, con voi, se lo volete, araldo.


4. Arrivo ora ad un aspetto che caratterizza la diplomazia e l'azione internazionale della Santa Sede: la preoccupazione umanitaria, evitare ciò che porta gravemente offesa alla vita, alla dignità delle persone e delle comunità, quale che sia il loro campo o la loro situazione minoritaria. A dire il vero questa preoccupazione deve vivificare ed ispirare tutti i diplomatici dei diversi Paesi.

So che l'oggetto dei negoziati è molto più vasto, come già ricordavo nel mio Messaggio della pace (n. 10). La Santa Sede non ignora le questioni territoriali, né le questioni commerciali ed economiche così come quelle per esempio che saranno trattate quest'anno a Belgrado alla riunione della CNUCED, e offre volentieri il suo contributo per risolverle, nell'ambito della sua competenza e dei suoi mezzi.

Ma la Chiesa sente come suo, in modo del tutto particolare, il dovere di farsi, per quanto essa può, il buon samaritano di coloro che sono lasciati ai margini lungo il cammino della storia. E quando dico "Chiesa", non penso solamente alla diplomazia, ma ai diversi organismi della Santa Sede, come il Consiglio pontificio Co Unum, alle numerose istituzioni ecclesiali, e a tutti coloro che operano sul terreno dei conflitti e delle tensioni secondo la loro coscienza cristiana. Si, la Chiesa vorrebbe soprattutto divenire voce di coloro che non hanno voce, dei poveri, delle vittime di ogni tipo, attirare l'attenzione sui diritti umani fondamentali dimenticati o scherniti, sui problemi delle minoranze, sulle minacce che in determinati momenti gravano sulle popolazioni. Questa carità vuole essere aperta in tutte le direzioni, per tutte le forme di minacce, per i cittadini di tutti i popoli. La Santa Sede che, nel nome della Chiesa, ha la possibilità di entrare in contatto con i responsabili dei Paesi, spera che il suo intervento sarà per lo meno accolto; che possa costituire una possibilità di sollievo per le vittime. Non esige niente; non domanda niente per se stessa: presta la sua voce e propone un gesto umanitario. Non ha l'intenzione di offendere, di condannare, non vuole che salvare. Quello Stato che sarà tentato di irrigidirsi oggi davanti ad un intervento cortese e discreto della Santa Sede, sarà forse felice di beneficiarne domani per uno dei suoi cittadini all'estero. La vocazione universale della Chiesa dovrebbe essere agli occhi di tutti garanzia del suo disinteresse e della sua imparzialità. E' l'uomo in quanto uomo che l'interessa, tanto più che essa in lui vede l'immagine del Creatore, il fratello di Cristo.


5. Per portare ora qualche esempio specifico, signore e signori, voi comprendete così perché, nel suo impegno umanitario, la Santa Sede raccomandi la clemenza, poi la grazia, per i condannati a morte, soprattutto quando essi sono condannati per motivi politici, che possono del resto essere incostanti, legati come sono alla personalità dei responsabili del momento.

Ugualmente, la Chiesa ha a cuore la sorte di tutti coloro che sono sottoposti alla tortura, qualunque sia il regime politico, perché niente ai suoi occhi può giustificare questo avvilimento che si accompagna purtroppo spesso a sevizie barbare, ripugnanti.

E ancora, essa non può convincersi a tacere riguardo all'azione criminale che consiste nel far scomparire un certo numero di persone, senza giudizio, lasciando per di più i loro familiari in una crudele incertezza.

La Sede Apostolica pensa di aiutare i popoli a ritrovare la via dell'onore pregandoli di vegliare affinché tali pratiche siano eliminate, come del resto tutte le altre forme di arresto e di detenzione arbitraria, dei campi di concentramento e di detenzione. Oggi, voglio anche riconoscere gli sforzi che hanno portato un certo progresso in questo campo, e li incoraggio.

Certo, sappiamo che in altri Paesi sono praticati internamenti senza garanzia di giustizia, e anche che numerose esecuzioni sommarie continuano ad aver luogo. La Santa Sede rimpiange, da parte sua, di non poter convincere i responsabili di una tale ingiustizia. Ma bisogna augurare che gli organismi internazionali, politici o umanitari, continuino ad intervenire in favore delle vittime, su punti in cui il diritto internazionale e le dichiarazioni delle Nazioni Unite hanno voluto così nettamente proteggere gli uomini contro tali malversazioni.

Infine, anche nel campo dei conflitti aperti, vi sono delle pratiche che raggiungono un grado particolarmente inumano, per esempio quando intere popolazioni sono vittime d'armi chimiche e biologiche, che la coscienza internazionale e anche, ormai da lungo tempo, il diritto internazionale riprovano (cfr. Protocollo di Ginevra del 1925).


6. La preoccupazione umanitaria della Santa Sede considera anche gli spostamenti di popolazioni, oggi sempre più frequenti e intensi. Esistono certo fenomeni di migrazione che si attuano in un contesto di dialogo, nel rispetto della dignità delle persone emigrate, ad esempio quando vengono accolti lavoratori stranieri con le loro famiglie, e sono onestamente remunerati e inseriti nei sistemi di previdenza sociale, o ancora quando sono stati fissati dei contratti con le imprese estere al fine di mettere a disposizione una manodopera che rimanga libera e ben trattata. Ma vi sono anche degli uomini che vanno, o vengono mandati, all'estero con intenzioni e condizioni che nuocciono al Paese d'accoglienza.

Esistono soprattutto masse di lavoratori che sono obbligati ad espatriare per un lavoro che molto si avvicina ad un lavoro forzato, in condizioni miserevoli di clima, di salario e di abitazione. Bisogna ancora ricordare coloro che sono costretti all'esilio a causa delle loro opinioni politiche o religiose, e coloro a cui si rifiuta la possibilità di ritornare in patria e di riunirsi alla famiglia.

Su questo punto sarebbe possibile impegnarsi, senza mettere in pericolo la sicurezza delle Nazioni, e alcuni Paesi recentemente si sono fatti onore facendo dei passi in questo senso umanitario.

Ma io penso soprattutto qui alle folle sempre più numerose di rifugiati: a quelli del Sud-Est asiatico, di cui ho già più volte parlato e la cui sorte rimane precaria, a quelli dell'Afghanistan, a quelli del Medio Oriente, a quelli che si trovano in Europa, a quelli dell'America centrale, a quelli di un certo numero di Paesi dell'Africa che vivono in grande miseria. Il numero dei rifugiati nel mondo non raggiunge forse i dieci milioni? Le cause sono diverse: talvolta situazioni di frontiera ereditate dal passato coloniale, le catastrofi naturali, la fame, ma anche la violazione dei diritti più elementari, operata da poteri dispotici, le persecuzioni razziali, religiose, politiche, l'insicurezza dovuta ai conflitti o alla guerriglia. Le persone che sono costrette ad emigrare appartengono spesso ai gruppi sociali più umili, con una grande percentualità di orfani, di vedove, di anziani. Queste popolazioni sradicate mantengono disperatamente vivo il desiderio di ritornare alla loro terra, alla loro cultura, alla loro società; e sopravvivono spesso in grande miseria, perché la maggior parte di loro sono ospiti di Paesi già poverissimi, in molte regioni dell'Africa, in Tailandia, nel Pakistan. Sembra dunque necessario che la comunità internazionale porti aiuto a questi Paesi, con uno scopo puramente umanitario e pacifico, e che si tenti, grazie ad una politica di giustizia e di pace, di eliminare le cause di una realtà così penosa, ma non per questo ineluttabile.

Possa la nostra generazione assumersene la sfida!


7. Ho già fatto alcuni accenni sulla fame, vorrei pero più esplicitamente attirare l'attenzione su questa miseria. Un certo numero di Paesi - in Asia, in America centrale, in Africa, soprattutto nelle zone subsahariane - soffrono di una carenza alimentare dalle conseguenze umane catastrofiche. Da molti anni, la produzione di alimenti per abitante è andata diminuendo, mentre la popolazione non ha cessato di aumentare e mentre vi sarebbero in tutto il mondo le risorse per farvi fronte.

Certo, gli elementi naturali sono per un verso responsabili di una tale carenza - la siccità prolungata per esempio accresce le difficoltà della lotta contro la fame -, ma essi non giustificano la rassegnazione e il fatalismo. Devono essere applicate politiche agricole meglio adatte ai bisogni alimentari della popolazione. La cooperazione economica e commerciale tra Paesi ricchi e Paesi poveri deve trovare delle forme più vantaggiose per le agricolture allo stremo.

Gli organismi internazionali governativi e non governativi devono raddoppiare il coraggio e lo spirito di iniziativa per ribaltare la tendenza alla carestia che imperversa in molte zone. Insomma, l'azione è urgente, perché oggi intere popolazioni sono decimate dalla fame, e se non si intensificano gli sforzi, la catastrofe prenderà proporzioni senza precedenti e sarà testimonianza di una mancanza colpevole di solidarietà da parte dei popoli che vivono nell'abbondanza alimentare,


8. So bene che i governi e le istituzioni internazionali conoscono queste situazioni, e che sono state intraprese iniziative valide. Ma, nel suo desiderio di prestare voce al poveri, la Santa Sede vuole ricordare l'urgenza di questi bisogni ai diplomatici e all'opinione pubblica. Infatti, se alcuni Paesi interessano sempre le grandi potenze a causa della loro posizione strategica o economica, al punto da attirare su di loro la cupidigia e la guerra, ve ne sono altri che rischiano di essere completamente dimenticati! Talvolta è perché essi hanno poche ricchezze materiali da dare in cambio, mentre le loro popolazioni sono così meritevoli e bisognose. Talvolta anche sembrano votati al soffocamento e alla perdita dell'indipendenza, soprattutto i piccoli Paesi, perché non possono colmare il loro indebitamento. In altri casi, si sono soffocate le libertà del popolo, la sua facoltà di autodeterminarsi, sforzandosi di sopprimere l'identità nazionale e di assorbire il Paese in un gruppo straniero. Infine, all'interno stesso delle Nazioni, minoranze etniche e religiose conoscono talvolta una sorte analoga: non vengono rispettate nella loro identità, mentre non rifiuterebbero di collaborare lealmente al bene comune. La Chiesa è preoccupata dalla sorte di tutti coloro che non sono sufficientemente presi in considerazione.


9. Nella sua preoccupazione umanitaria, la Santa Sede non può più disinteressarsi delle piaghe che i vostri Paesi continuano a temere e a combattere: il terrorismo, i rapimenti, le prese di ostaggi, e, in un altro campo, il traffico di droga così dannoso per la gioventù, eccetera. Anche qui la Chiesa, che comprende bene la minaccia di tali pratiche per la pace, cerca soprattutto di difendere la causa delle vittime innocenti. Alcune di queste pratiche sono compiute col sordido scopo di traffico e di guadagno fraudolento; altre prendono il pretesto di una battaglia politica. Ma la Chiesa riafferma che niente le può giustificare. Oggi, è risaputo da tutti, esse hanno la tendenza ad appoggiarsi sempre più ad una rete internazionale. L'unanime riprovazione deve continuare a scoraggiare tutti questi fatti di terrorismo; essa non sarà efficace se non è accompagnata da una reale collaborazione internazionale. Nessun Paese dovrebbe rifiutare la sua partecipazione, quando sono in gioco problemi così gravi che superano le frontiere. Agendo in questo modo, sono possibili dei progressi, che mi piace sottolineare: non si sono visti diminuire sensibilmente i casi di dirottamento aereo, dopo che la solidarietà internazionale ha mostrato la sua fermezza?


10. Finalmente, tra le gravi offese alla dignità dell'uomo, non posso non ricordare ancora una volta quelle portate alle sue convinzioni intime, specialmente alle sue convinzioni religiose, alla libera espressione della sua fede, al suo rafforzamento all'interno della comunità religiosa a cui appartiene.

Il 16 novembre scorso, il rappresentante della Santa Sede alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, a Madrid, ha espresso su questo tema impressioni e speranze, delle quali non si è ancora tenuto conto (cfr. "L'Osservatore Romano", 17 novembre 1982). La Santa Sede - e se ne comprenderà facilmente il perché - non smetterà mai di attirare l'attenzione del mondo sulle violazioni della libertà religiosa, brutali o più sottili, sempre pericolose e ingiuste, in molti Paesi.


11. Infine, eccellenze, signore e signori, vorrei, terminando, volgere la vostra attenzione su di una prassi alla quale la Santa Sede è attaccata, nella sua preoccupazione umanitaria e nel suo contributo alla causa della pace. Per servire il bene, la causa dei poveri e degli oppressi, la Sede Apostolica pensa infatti che è suo diritto agire in modo completamente indipendente. E' pronta dunque ad ascoltare tutte le espressioni umane, religiose e politiche, ad aprire le porte a tutti coloro che rivestono, riguardo a questa materia, qualche responsabilità, qualche influenza. Questo evidentemente non vuol dire che la Santa Sede riconosce a queste persone una legittimità o una rappresentanza politica, né che essa approva l'ideologia che professano. Il ruolo di un sacerdote, di un vescovo, il dovere di un Papa è quello di accogliere le persone, se questo può essere utile ad un progresso nella giustizia e nella pace; e proprio per incoraggiarli, con tutta lucidità, in questa via, per esortarli, senza alcun possibile compromesso, a rinunciare ai mezzi violenti e terroristici nel sostegno della causa dei poveri che essi pretendono di difendere e che, proprio essa, resta reale e importante. La Santa Sede non ha alcuna esclusiva, ed è pronta a farlo con tutti se lo considera salutare e prudente.


12. In definitiva, la Chiesa vuole essere come il Cristo. Essa sa che la potenza del male è grande; che l'irrigidimento può durare; non si fa illusioni. Ma non può perdere la speranza circa il cambiamento delle persone, anche quando continuassero a peccare, e persino a perseguitarla. Si sforza di risvegliare il senso di verità, di giustizia, di fraternità, almeno di prudenza, che può essere assopito nella coscienza umana, ma mai totalmente pervertito, malgrado certe ideologie contrarie.

Essa ha come fine il bene delle persone che soffrono, e sono un gran numero, dietro a queste situazioni di miseria. Vuole supplicare il mondo di portarvi rimedio. A suo avviso, gli ostacoli maggiori che alcuni responsabili mettono avanti dovrebbero arrivare a cadere, affinché le generazioni si rinnovino. Ma per questo non si ferma alle prove attuali. Insomma, il suo atteggiamento è fatto di fiducia nel progresso delle persone e nell'avvenire. Chi può rimproverarla? Oso aggiungere che, da parte della Chiesa, questo non è un atteggiamento semplicistico. Non è un linguaggio demagogico. Essa è ben cosciente della sua inadeguatezza; i suoi membri sono ben lontani dall'essere esenti da debolezza, da viltà, oggi come nel passato; e in ogni modo, i suoi mezzi non le permettono di portare a occuparsi di tutti i casi umanitari. La Santa Sede conosce i suoi limiti, ed è felice dell'apparato convergente di tante persone e istituzioni in questo ambito. Il suo ruolo è allora quello di riconoscere i loro sforzi meritevoli e di incoraggiarli, siano essi cattolici o non-confessionali. così, l'anno scorso, sono stato felice di andare a Ginevra ad incoraggiare l'Organizzazione internazionale del lavoro per la giustizia sociale e la Croce Rossa internazionale per l'aiuto umanitario. Ma io posso dire che la Chiesa sa anche pagare il prezzo del suo impegno. I suoi membri sono esposti, spesso in prima fila. Quanti sacerdoti, religiosi, laici missionari, vescovi, hanno pagato la carità con la loro libertà, la loro salute e anche con la loro vita? E le sue istituzioni continuano a curare le ferite di coloro che sono colpiti, a destra e a sinistra. E' spesso a mani nude che essi difendono i diritti oggettivi e inalienabili dell'uomo.

In voi, eccellenze, signore e signori, essa trova degli alleati, non di se stessa, ma della causa dell'uomo.


13. Abbiamo appena concluso, nella liturgia cattolica, il tempo del Natale e dell'Epifania, che dà senso ai nostri auguri per il nuovo anno. Questo mistero ha manifestato il Figlio di Dio presente nell'umanità di Gesù, solidale con il nostro cammino umano, affinché noi fossimo partecipi del suo amore e della sua vita.

In questi sentimenti di fede, prego il Signore di colmarvi delle sue benedizioni; di benedire le vostre persone e le vostre famiglie; di benedire ciascuno dei vostri Paesi. Non formuliamo forse tutti auguri fervidi per la felicità, la pace, la libertà, il progresso sociale e spirituale della nostra patria, come anch'io faccio per il mio Paese natale? Possiamo tutti rispondere, ciascuno secondo le sue responsabilità, alla nostra sublime vocazione di pastori della pace che Dio ha affidato agli uomini!

Data: 1983-01-15 Data estesa: Sabato 15 Gennaio 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)