GPII 1983 Insegnamenti - Alla Giunta della regione Lazio - Città del Vaticano (Roma)

Alla Giunta della regione Lazio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Educare al superamento degli egoismi rispettando la dignità dell'uomo

Onorevole Presidente! Illustri membri della Giunta e capi-gruppo del Consiglio regionale del Lazio!


1. Sono lieto di accogliervi in speciale udienza e di esprimervi gli auguri per la felice prosecuzione dell'anno 1983, che auspico sereno e prospero per voi e per tutte le popolazioni della Regione da voi rappresentate. Vi saluto cordialmente e vi ringrazio per questa vostra significativa presenza. Esprimo la mia riconoscenza, in particolare, al Signor Presidente della Giunta per le cortesi parole, con le quali si è ora reso degno interprete dei sentimenti suoi personali e di quelli di voi tutti nel momento in cui, col nuovo anno, da poco iniziato, vi accingete a progettare programmi destinati ad incrementare il benessere e lo sviluppo sociale e spirituale di questa antica regione, il cui storico capoluogo è la capitale d'Italia e il centro del Cristianesimo.

Dall'indirizzo ora pronunziato ho potuto scorgere verso quali orizzonti si dirigano le molteplici attività di codesta amministrazione, ma ho anche intravisto, in una sintesi veloce, l'intera regione: questa terra ospitale con la sua tipica campagna, con i suoi monti e i suoi colli ariosi, con i suoi laghi di origine vulcanica e con il suo mare azzurro! E la suggestione del paesaggio si salda con quella non meno interessante della storia: la mente si popola di personaggi che sono nati in questa regione o che vi sono passati: Agostino e la madre Monica ad Ostia nel momento del loro struggente e definitivo distacco; Benedetto e la sorella Scolastica nel loro ultimo colloquio a Montecassino; san Bonaventura a Bagnoregio; san Tommaso ad Aquino; santa Rosa a Viterbo; san Carlo a Sezze; santa Maria Goretti a Nettuno. E poi come non menzionare le Abbazie che fanno di Montecassino, di Subiaco, di Farfa, di Casamari e di Fossanova altrettanti centri culturali e religiosi? E, infine, il pensiero corre ai Santuari francescani nella celebre Valle Reatina, che ho avuto la gioia di visitare recentemente e che costituiscono focolai destinati a tenere sempre acceso l'ideale di san Francesco, il quale li ha santificati con la sua lunga permanenza e con le sue mirabili gesta.


2. Ma le parole del Presidente mi hanno anche riportato l'eco dei molteplici e gravi problemi civili e sociali, che assillano questa amata regione del Lazio. Le responsabilità che pesano sulle vostre spalle sono davvero formidabili! I vari problemi relativi alla mancanza dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani in cerca di un primo impiego, alla casa, all'efficiente assistenza sanitaria, e gli impegni necessari per il miglioramento della qualità della vita e per la promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo vi interpellano con drammatica urgenza.

Certamente si è fatto molto per il progresso delle popolazioni da voi amministrate; ma occorre uno sforzo sempre rinnovato per essere all'altezza dei tempi, per capire le istanze che salgono dai ceti meno abbienti, dalle persone che non hanno nome e voce per far valere i propri diritti. Prestate loro il vostro nome e fatevi voce per loro, svolgendo tutto intero il vostro ruolo di amministratori valenti, saggi ed operosi. La società moderna reclama da voi tali virtù: sia per la coscienza che le deve ispirare, sia per la competenza specifica, che le abilita alla soluzione della vasta e varia problematica, che ogni giorno si presenta davanti ai vostri occhi.

Ma soprattutto urge lo sforzo per isolare definitivamente ogni forma di violenza, da cui è tanto provata questa regione, per contenere l'ondata di immoralità, che dilaga in tante forme licenziose, con evidenti danni d'ogni genere alla salute e alla dignità della persona umana. Penso al flagello della droga, che miete vittime soprattutto tra le giovani generazioni, che sono più inesperte della vita e indifese: raccogliete il grido di dolore che sale da tante famiglie colpite al cuore da questa rovinosa calamità omicida.

Bisogna raddoppiare ogni sforzo per debellare questa peste, che non cessa di seminare morte e lutti. Occorre favorire un'educazione plenaria fondata sul rispetto per la vita e per la sua legittima espansione, sul superamento degli egoismi e sul riconoscimento della dignità inalienabile degli uomini, sulla "loro vocazione a camminare insieme, con continuità, mediante un incontro convergente delle intelligenze, delle volontà, dei cuori verso lo scopo che il Creatore ha loro fissato: rendere la terra abitabile per tutti e degna per tutti" ("Messaggio per la Giornata mondiale per la pace 1983", 6).

Sono queste le aspirazioni fondamentali dell'uomo; e questi vogliono anche essere i miei auspici perché l'anno da poco iniziato sia veramente migliore per le care popolazioni del Lazio.


3. Mi pare che un segno positivo per il lieto avverarsi di questo auspicio sia il Giubileo, indetto in occasione del 1950° anniversario della Redenzione. Gli abitanti di Roma e del Lazio, come ha ben sottolineato il signor Presidente, saranno certamente i primi a beneficiare di questa celebrazione, che porterà, a Dio piacendo, copiosi frutti: sia di ordine spirituale, in quanto ci si attende un risveglio e un rinnovamento di fede, sia di ordine civile, sociale ed economico.

Questo evento straordinario, mentre per i vicini, non solo geograficamente, è una proposta di fede, per i lontani è un invito a cercare e a ritrovare il Cristo, centro della storia e Redentore dell'uomo. Tale ricorrenza vuole essere ancora una risposta concreta all'uomo di oggi "che cerca la verità, la giustizia, la felicità, la bontà... e sosta inappagato sulle proposte che le ideologie immanentistiche e materialistiche oggi gli offrono, e sfiora perciò l'abisso della disperazione e della noia" (cfr. Discorso al Sacro Collegio del 4 dicembre 1982).

In quest'opera di elevazione spirituale e morale dell'uomo, Roma e il Lazio con la loro secolare prassi organizzativa, certamente non mancheranno di prestare la propria collaborazione, nell'ambito loro specifico, per la buona riuscita del prossimo Anno Giubilare: perché esso si svolga in modo ordinato e pacifico e non manchi quel tradizionale spirito di gentilezza e di civile accoglienza, di cui è stata data lodevole prova negli scorsi Anni Santi. Ma soprattutto Roma, sede di codesta amministrazione, vorrà nel suo aspetto esteriore, quale espressione della sua coscienza storica, e in quello interiore, quale Sede di Pietro, accogliere le folle pellegrinanti nelle Basiliche, nei Santuari e nelle Catacombe in cordiale comunione di intenti spirituali e di ideali civili.


4. Rinnovo un affettuoso auspicio che l'Anno Giubilare sia un punto di riferimento, uno stimolo che valga a ridestare energie, ad animare propositi e a promuovere un sempre più concreto sviluppo civico, culturale e morale. Voglia Iddio che esso segni per l'intera regione una tappa importante in quel cammino che essa, per antica sua vocazione, è tenuta a percorrere.

La vostra presenza qui, oggi, e i vostri dichiarati intenti mi danno la certezza che volete rispondere generosamente alla vostra missione. Da parte mia imploro sul vostro operoso impegno l'assistenza costante di Dio, che non cesso di invocare sulle vostre persone, sui vostri familiari e sulle care popolazioni del Lazio, a cui imparto la propiziatrice benedizione apostolica, in pegno e auspicio della mia benevolenza.

Data: 1983-02-10 Data estesa: Giovedi 10 Febbraio 1983

A Vescovi portoghesi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vivere nella verità la consacrazione a Cristo per la famiglia umana

Amati fratelli in Cristo,


1. E' con grande gioia che, in questo incontro, grazie alla vostra gradita presenza, ritorno in spirito al Portogallo. Salutandovi cordialmente, desiderando che grazia e pace vi siano date in abbondanza, in questo momento forte della vostra visita "ad limina Apostolorum", senza soffermarmi a mettere in rilievo il suo significato - del resto già sottolineato dal signor Cardinale Patriarca di Lisbona - ringrazio Dio per questa occasione privilegiata di affermazione e vita in comune di quella Collegialità effettiva ed affettiva che in quest'ora continua la tradizione che viene dalla "disciplina primitiva della Chiesa, secondo la quale i Vescovi del mondo intero comunicavano tra loro e con il Vescovo di Roma, nel vincolo dell'unità, della carità e della pace" (LG 22).

Vi dicevo in nome del Signore, venerabili e amati fratelli Vescovi del centro e del sud del Portogallo e degli arcipelaghi di Madeira e delle Azzorre, che integrate le province ecclesiastiche di Lisbona ed Evora. Con la maggior stima per ciascuno di voi e ciascuna delle vostre comunità diocesane, che qui rendete presenti, desidererei, se il tempo me lo permettesse, fare in qualche modo dei riferimenti individuali, allo scopo di evidenziare e di stimolare il vostro generoso lavoro pastorale e manifestare, con l'affetto in Cristo verso le persone, il mio apprezzamento per il patrimonio culturale e cristiano che è affidato alla vostra sollecitudine.

Non potendo farlo, obbedisco appena all'impulso di un vivo sentimento di gratitudine, ricordando le nostalgiche giornate di Lisbona, Fatima e Vila Viçosa, della mia recente visita pastorale alla vostra terra e della mia peregrinazione mariana: ancora una volta, tante grazie! E mi sia permesso rivivere particolarmente i momenti del Cenacolo - "con Maria, Madre di Gesù" - a Fatima: con voi e con la moltitudine dei pellegrini, insieme con tutta la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, volli là "unirmi con il nostro Redentore, nella sua consacrazione in favore del mondo e per tutti gli uomini": e invocare Nostra Signora come Madre della Chiesa, degli uomini e dei popoli, per aiutarci a vivere, con tutta la verità, la consacrazione a Cristo per l'intera famiglia umana (cfr. Omelia e Atto di consacrazione, Fatima, 13 maggio 1982).


2. A questa evocazione - che in me continua ad essere preghiera fiduciosa - faccio riferimento per queste mie parole fraterne, nel continuare i colloqui personali che abbiamo avuto e l'incontro di giorni fa, con i fratelli Vescovi che vi hanno preceduto nella visita "ad limina Apostolorum". Per rispondere agli interrogativi del nostro tempo, marcato dal fenomeno, non privo di pericoli, della socializzazione (cfr. GS 6 GS 25), sottolineavo allora la necessità di unire gli sforzi, soprattutto in quello spazio privilegiato che è la Conferenza episcopale; e lasciando le concretizzazioni alla vostra sapiente esperienza, mettevo in rilievo in particolare due piste di riflessione e ricerca: l'evangelizzazione e il compito prioritario di un'intensiva pastorale vocazionale.

Sono certo che l'arte e lo zelo di cui avete dato prova e le buone disposizioni di cui si è appena fatto interprete il signor Cardinale-Patriarca, devono saper discernere gli orientamenti necessari per un cammino in unità e senza imbarazzo, per rispondere a tali sfide.

Oggi, unendomi maggiormente alla responsabilità personale di ogni Vescovo, di valersi sempre dell'appoggio, degli orientamenti e dello stimolo della Conferenza che egli integra, voglio presentarvi alcune considerazioni a proposito della necessità di "vivere, con tutta la verità, la consacrazione a Cristo per l'intera famiglia umana"; questa è la nostra vocazione di Vescovi, che come tutti sappiamo, è: servire, nella Chiesa, nella fedeltà all'uomo visto nel mistero della Redenzione, in modo che "tutti ci considerino come ministri di Cristo" (1Co 4,1).


3. La responsabilità personale di ogni Vescovo non è assorbita, sostituita o soppressa dalla Conferenza episcopale; né questa pretende di diminuirla o restringerla, ma solo servirla. E ogni Vescovo, davanti alla sua Chiesa particolare, che egli ha la triplice missione di santificare, ammaestrare e governare, si identifica con Cristo, nell'unione con tutto il Collegio episcopale e nella comunione con il successore di Pietro, in cui il Signore ha istituito il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e di comunione.

Sempre al servizio del Corpo di Cristo "intero, coordinato e unito per mezzo di tutte le sue giunture... perché si edifichi la carità" (Ep 4,16), "il Vescovo deve essere considerato come il Sommo Sacerdote del suo gregge, da cui deriva e dipende, in qualche modo, la vita dei suoi fedeli in Cristo" (CD 41).

E con questo inquadramento dottrinale, sarebbe il caso di descrivere l'immagine che voi, amati fratelli Vescovi portoghesi, presentate alla Chiesa e al mondo: un'immagine di semplicità e di povertà di vita, di coraggio nel compimento del dovere, di zelo e di dedizione per il maggior bene delle anime, di fedeltà alla Sede Apostolica e di amore al Papa. E' una tradizione che voi onorate e che vi onora, note come sono le vicissitudini storiche vissute dalla Chiesa della vostra patria, specialmente da due secoli a questa parte.

Situati nel presente, nella cordiale semplicità di questo incontro di fratelli, so che vi fate portavoce delle angustie e delle speranze, delle tristezze e delle gioie della gente della vostra terra, nel vivere un momento di transizione della sua storia; e vi vedo in ore in cui forse nei vostri animi palpita una domanda: "Che dobbiamo fare?".


4. Era già grande, ma aumento dopo la mia visita pastorale, la simpatia che nutro per il caro popolo portoghese: un popolo buono, segnato dalla propria storia e in fase di ricerca, coraggioso, resistente e persistente nell'affrontare le avversità; sensibile e capace di identificarsi con gli altri, soprattutto nella prova; entusiasta nei confronti dei grandi ideali - si pensi ai suoi missionari -, ospitale e rispettoso, fino ad una certa timidezza simpatica nel rapporto con gli altri; e soprattutto, di profonda religiosità, che si esprime in confidenza nella Provvidenza, speranza e timor di Dio che, nonostante le deviazioni o le malformazioni, nel fondo sono ricchezza di vita e cultura, in cui ha lanciato radici profonde la "buona semente" del messaggio del Vangelo di Cristo, che non ha mancato di sbocciare in frutti di grazia e santità, nel corso dei secoli.


5. Davanti alle nuove situazioni mondiali, descritte nelle pagine luminose della costituzione "Gaudium et Spes" e alle situazioni locali, forse in via di definizione o per lo meno di riaggiustamento, voglio dirvi, amati fratelli: conservate la fedeltà all'uomo, con il quale Cristo Redentore si è unito, con il quale egli desidera incontrarsi; la fedeltà all'uomo concreto della vostra terra, anch'egli il "cammino che la Chiesa sceglie sempre", come ebbi opportunità di dire nella mia prima enciclica (cfr. RH 14).

E sappiamo dove incontrare i punti di appoggio di una tale fedeltà: "Presiedendo al posto di Dio al gregge di cui siamo pastori" (cfr. LG 20), per mantenere credibilità, il nostro essere fedeli all'uomo passa per la fedeltà a Dio, in modo che "tutti ci considerino come ministri di Cristo" (1Co 4,1).

Questo, ovviamente, a cominciare dal centro della stessa Chiesa: dai nostri presbiteri, dove dobbiamo essere e essere visti come "padri e fratelli" dei nostri sacerdoti; dai nostri seminari, compresi i seminari minori, dove dobbiamo essere "di casa"; nell'ambito delle comunità religiose che vivono e operano nelle nostre circoscrizioni, dove dobbiamo essere e apparire come "fratelli", senza svalutazione delle proprie attribuzioni; tra le file dei laici, dove deve essere considerata la nostra presenza di "padri nella fede" e prontamente accettata l'autorità come "servizio" di guida, orientamento e appoggio stimolante. Infine, mandati dal Padre di famiglia, abbiamo sempre davanti agli occhi l'esempio del Buon Pastore, che venne per servire e non per essere servito (cfr. GS 27).

Inoltre, anche nell'ambito ecclesiale, in dialogo nel mondo attuale con l'uomo che è nostro diocesano, nostro concittadino e nostro fratello, almeno nell'umanità, che tutti ugualmente ci considerino come ministri di Cristo, uniti in modo convinto e profondo alla sua consacrazione per il mondo e per gli uomini.

Si riveste di una dimensione sociale il nostro essere Pastori, come promotori dei valori umani e collaboratori nel bene comune, attenendosi ai requisiti imposti dalla nostra identità.


6. Non è il momento ora di sviluppare la questione dei programmi sociali della Chiesa. Per noi, uomini di Chiesa, è sempre motivo di gioia contare su programmi umani, intendendo l'uomo nella pienezza della sua verità e dignità; altrimenti, ci si impone di fare quello che è alla nostra portata perché essi lo siano sempre più; questo, senza timore e senza abdicazioni perché sempre motivati dall'"amore che caccia il timore...", ma non è disgiunto dal precetto: "Chi ama Dio, ami anche il fratello" (1Jn 4,18-21). E le manifestazioni di amore - spiega l'apostolo Giacomo - sono imperativo della fede nel nostro Signore Gesù Cristo, che si confà con l'accettazione di persone, si traduce in opere e non si concilia con le cattive passioni: "Sarà giudicato senza misericordia, chi non avrà usato misericordia" (Jc 2,13).

Alla luce di questa presentazione della fede, si scoprono facilmente tre linee per orientare una pastorale che si sviluppi sulla situazione sociale di quelli che si desidera portare a incontrare Cristo, Redentore dell'uomo: verità, presenza attiva, partecipazione e misericordia.

Senza dubbio l'obiettivo primario della pastorale rimane sempre l'evangelizzazione. Ma evangelizzare mira anche a "rinnovare tutta la vita della società, a partire dal di dentro... E modificare con la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori reali, i centri di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita degli uomini" (cfr. EN 18 EN 20).

Quando in una società si avverte malessere, sorgono spontanei interrogativi radicali sulla sua riorganizzazione, per poter opportunamente incontrare e attuare le misure che eliminano tale malessere, tante volte generato da carenze di base nell'alimentazione, nella salute, nell'educazione, nell'abitazione e nell'impiego. E questi interrogativi incidono, come norma, nella politica economica, sociale, agricola, salariale, creditizia, tributaria, ecc. Le misure di emergenza, di carità, di beneficenza e di assistenza, devono essere lanciate, favorite e sviluppate; sono sempre benemerite. Ma risolveranno esse i problemi di fondo?


7. Una trasformazione benefica per tutte le strutture della vita economica è un cammino difficile, che non si potrà attuare se non interverrà una vera conversione delle menti, delle volontà e dei cuori, che possa ovviare agli assalti degli istinti, che esistono nel fondo di ogni uomo e si manifestano nelle "cattive passioni", soprattutto quella di avere, di potere e di piacere, che non di rado portano a confondere la libertà con interessi individuali o di parte (cfr. RH 16).

Nessuno possiede, in campo economico-sociale, la soluzione esclusiva.

Noi concorriamo, assieme a tutti gli uomini di buona volontà, per la ricerca di quelle che si presentano come più idonee. Abbiamo, tuttavia, il privilegio di verità e certezze della fede - su Gesù Cristo, la Chiesa e l'uomo - che vogliamo vivere e testimoniare, come proposta, invito fraterno e anche come interpellanza sollecita per il maggior bene del nostro simile. Tutto l'uomo, di fatto, creato a immagine di Dio nella Redenzione di Cristo, ci costringe a "dare gratuitamente quello che gratuitamente abbiamo ricevuto" (cfr. Mt 10,8).

Forti e sicuri nella Verità, coltivata nell'intimità con Colui che si è definito la "Verità" (cfr. Jn 14,6), si impone una presenza attiva e una partecipazione dei figli della Chiesa, con la loro coscienza di cristiani, in quella zona di conflitto tra la verità e l'errore, tra una concezione della vita che salvaguarda la trascendenza della persona umana, e concezioni più o meno immanentiste e materialiste dell'uomo, in cui le armi palesi sono i mezzi di informazione e comunicazione sociale, specialmente la stampa e i mezzi audiovisivi. Uguale presenza e partecipazione, per la verità in favore dell'uomo con la sua dimensione trascendente si esige nei campi dell'istruzione e dell'educazione e nei centri di cultura. Davanti agli assalti del permissivismo o al semplice installarsi di un certo relativismo di comodo, sotto la cappa di una falsa libertà o all'ombra di posizioni che pretendono di fare "moda" - dal laicismo ateo al secolarismo - rimangono "sacri" alcuni valori fondamentali, che sono un bene incontestabile non solo della morale cristiana ma anche della morale semplicemente umana, della cultura morale, come il rispetto della vita umana fin dal momento del concepimento, il rispetto del matrimonio, con la sua unità indissolubile, e il rispetto per la stabilità della famiglia. In tutti questi campi, quando il lavoro dell'intelligenza e della volontà degli uomini non sono genuinamente umanisti, facilmente diventano una minaccia per l'uomo, lasciandolo solo con interrogativi, che non favoriscono la serenità e la gioia di vivere.

Qui, non vorrei lasciare senza una parola di apprezzamento lo sforzo che state facendo, concretizzato particolarmente nella vostra radio e nella vostra università cattolica, per le quali va un cenno di simpatia, di appoggio e di stimolo, per far sempre più e sempre meglio, con l'aiuto di Dio.


8. Al pari della vita, del culto e della difesa della verità, in una presenza attiva e in una partecipazione alla vita della società, la Chiesa, per ciascuno dei suoi figli deve, oggi più che mai, mettere in pratica la misericordia, intesa come "uno stile di vita e una caratteristica essenziale e continua della vocazione", in attuazione di quel "processo autenticamente evangelico, che consiste nella pratica perseverante dell'amore, nonostante tutte le difficoltà di natura psicologica e sociale" (cfr. DM 14).

Non c'è tempo, né sarebbe il caso, di ricordare quanto esposi nell'enciclica "Dives in Misericordia" (DM 14) circa "questo elemento indispensabile per dar forma alle reciproche relazioni fra gli uomini, in uno spirito del più profondo rispetto per tutto ciò che è umano e per la fraternità reciproca". Oltre che vissuta e testimoniata, la misericordia deve costituire oggetto di ardente e costante preghiera.

Si, la preghiera! Questa parola ci porta nuovamente a Fatima: "il mondo e l'uomo furono consacrati con il potere della Redenzione; furono affidati a Colui che è infinitamente santo; furono offerti e consegnati all'Amore stesso, all'Amore misericordioso... E quanto ci fa soffrire tutto quello che nella Chiesa e in ciascuno di noi si oppone alla santità e alla consacrazione! Quanto ci fa soffrire che l'invito alla penitenza, alla conversione e alla preghiera non abbia avuto quell'accoglienza che doveva! Quanto ci fa soffrire che molti partecipino così freddamente all'opera della Redenzione di Cristo!" (cfr. Atto di consacrazione, Fatima, 13 maggio 1982).

Ma abbiamo fiducia e continuiamo ad invocare Maria. E' quello che faccio in questo momento, qui con voi, per concludere queste fraterne parole, con lo scopo prevalente di "confermarvi" come fratelli molto amati; e lo faccio pensando alle vostre terre, alle vostre greggi diocesane e in appello a tutti gli amati fedeli del Portogallo, perché rispondano alla chiamata della Signora del Messaggio, con particolare impegno nell'imminente Anno Santo della Redenzione.

"Cuore Immacolato di Maria, aiutaci a vincere la minaccia del male, che così facilmente si radica nei cuori degli uomini di oggi, e che, con i suoi effetti incommensurabili, pesa già sulla nostra epoca e sembra chiudere i cammini del futuro!... Che si riveli una volta ancora... la forza infinita dell'Amore misericordioso!... Che si manifesti per tutti, nel tuo Cuore Immacolato, la luce della Speranza!" (Atto di consacrazione, Fatima, 13 maggio 1982, nn. 2,3).

E con il cuore in preghiera, con tutto l'affetto in Cristo, per mezzo vostro impartisco a tutti i fedeli affidati alla vostra sollecitudine di "ministri di Cristo" la benedizione apostolica.

Data: 1983-02-11 Data estesa: Venerdi 11 Febbraio 1983

Nell'80° di fondazione dell'Unitalsi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il messaggio cristiano dà significato alle nostre sofferenze




1. "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore!".

I sentimenti di gratitudine e di letizia di Maria santissima in visita alla parente Elisabetta, che sono espressi nel cantico del Magnificat ora letto nel Vangelo, sono anche i sentimenti di voi tutti, cari fratelli e sorelle, che, nel giorno in cui si ricorda la prima apparizione della Madonna a Lourdes, siete venuti numerosi a questa Basilica.

Questo incontro di preghiera ha per voi un significato particolare anche perché quest'anno l'Unitalsi commemora gli ottant'anni della sua fondazione e io sono lieto di partecipare alla vostra esultanza per tale data così importante, che ha segnato l'inizio di un periodo ricco di intensa spiritualità eucaristico-mariana e denso di attività caritativa e formativa. Quell'anno 1903, come voi ben sapete, Giovan Battista Tomassi, vicino alla disperazione a motivo della malattia che non riusciva ad accettare, si era recato a Lourdes per mettere fine alla sua vita, proprio davanti alla grotta di Massabielle, con un gesto di aperta e clamorosa ribellione. E invece avvenne la sua conversione: Maria santissima gli ottenne la grazia della luce interiore ed egli, profondamente compreso del valore del messaggio cristiano, scrisse le prime regole dell'Associazione che, nel suo successivo sviluppo, sarebbe diventata l'Unione nazionale italiana per il trasporto degli ammalati a Lourdes e a Santuari italiani (Unitalsi).

Dal primo gruppo di centottanta persone che diede vita al Comitato, oggi gli aderenti all'Unitalsi sono migliaia, sparsi in tutta Italia, presenti ed efficaci con la loro testimonianza di fede e di carità nelle diocesi e nelle parrocchie. Da allora un senso di più profonda fiducia e di più coraggiosa rassegnazione è penetrata nell'intimo di tanti malati e uno spirito di maggiore carità ha animato tanti medici, infermieri, infermiere, sacerdoti, religiose, barellieri, accompagnatori, dame della carità, che si sono messi a totale servizio dei malati, non solo durante i pellegrinaggi, ma anche nella vita quotidiana. Da allora, centinaia di treni e di pullman sono partiti verso Lourdes e altri Santuari, colmi di fede e di speranza, organizzati con sensibilità ed esperienza per procurare ai sani e agli infermi la mistica esperienza del pellegrinaggio.

Ringraziamo insieme il Signore e la Vergine santissima, per tutto il bene che in ottant'anni l'Unitalsi ha compiuto!


2. Anche la prima Lettura della Messa ci parla di gioia. Il profeta Isaia dice: "Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti la amate. Sfavillate di gioia con essa voi tutti, che avete partecipato al suo lutto... Come una madre consola un figlio, così io - dice il Signore - vi consolero: in Gerusalemme, sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore..." (Is 66,10-14). Il profeta si riferiva al dramma dell'esilio babilonese, che avrebbe dovuto terminare con il ritorno degli ebrei nella Santa Città. Nella lettura del Vangelo incontriamo poi la gioia di Elisabetta e di Giovanni Battista, prima ancora della nascita, e quella di Maria che esprime il suo "Magnificat" di lode, di letizia e di ringraziamento (cfr. Lc 41-55).

Parlare di gioia a voi, cari ammalati, può sembrare strano e contraddittorio; eppure proprio in questo sta lo sconvolgente valore del messaggio cristiano. Gesù portando la luce della Verità mediante la Rivelazione e la salvezza dal peccato mediante la Redenzione, ha donato all'umanità il tesoro della vera gioia: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Jn 15,11). "Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia... Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena" (Jn 16,23 Jn 16,24). E' una gioia interiore, misteriosa, talvolta anche solcata di lacrime, ma sempre viva, perché nasce dalla certezza dell'amore di Dio, che sempre è Padre, anche nelle circostanze dolorose e avverse della vita, e del valore meritorio ed eterno dell'intera esistenza umana, specialmente di quella tribolata e senza umane soddisfazioni.

San Paolo scriveva al primi cristiani e, in loro, anche a noi, per nostro perenne insegnamento e conforto: "Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Io ritengo infatti che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,16-18).

"Infatti, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili" (2Co 4,17-18).

"Il Cristo non ha abolito la sofferenza - dicevano i Padri del Concilio Vaticano II nel loro messaggio al poveri e agli ammalati - e non ha voluto neppure svelarne interamente il mistero; l'ha presa su di sé e ciò è sufficiente perché noi ne comprendiamo tutto il valore...". Questa è la sola verità capace di rispondere ai nostri interrogativi e di apportarvi un sollievo senza illusioni.

Con fede profonda, il grande Blaise Pascal così si esprimeva nella sua: "Preghiera per chiedere a Dio il buon uso delle malattie": "Fate, o mio Dio, che io adori in silenzio l'ordine della vostra provvidenza adorabile sul governo della vita... Fatemi la grazia di unire alle mie sofferenze le vostre consolazioni, affinché io soffra da cristiano... Domando, o Signore, di provare insieme i dolori della natura a cagione dei miei peccati e le consolazioni del vostro Spirito, per effetto della grazia vostra...".

E santa Bernardetta Soubirous, che nella sua fanciullezza aveva provato gli stenti della fame e conosceva la preziosità del pane, così pregava: "O Gesù, datemi, ve ne prego, il pane dell'umiltà, il pane dell'obbedienza, il pane della carità!... O Gesù, voi volete crocifiggermi: "fiat!". Datemi il pane della forza per ben soffrire, il pane di veder solo voi in tutto e sempre. Gesù, Maria, la Croce: io non voglio altri amici fuori di questi!". Veramente il Vangelo, essendo messaggio di Verità assoluta e definitiva, è anche messaggio di autentica gioia, perché dà significato e valore alle nostre sofferenze.


3. Un ultimo pensiero voglio ancora affidare alla vostra bontà e alle vostre preghiere e intenzioni. Desidero cioè raccomandarvi di cuore i grandi avvenimenti che contrassegnano la vita della Chiesa in questo anno: il buon esito spirituale dell'Anno Santo giubilare della Redenzione che sarà celebrato in tutte le diocesi del mondo; il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale che si terrà a Milano nel mese di maggio; il Sinodo dei Vescovi, in autunno, sul tema: "Riconciliazione e penitenza"; i viaggi apostolici, che con fiducia in Dio e in Maria desidero prossimamente intraprendere per manifestare pubblicamente il messaggio di Cristo, per unire gli animi nella fraternità e nella comprensione, per consolare i miseri e gli afflitti.

Elevate all'Altissimo, mediante l'intercessione della nostra Madre celeste, le vostre preghiere e le vostre sofferenze per la salvezza delle anime! L'uomo moderno ha un essenziale bisogno di fede certa e sicura. Il fenomeno della "secolarizzazione" alla fine non appaga, non soddisfa, e lascia l'uomo moderno deluso e nostalgico di Verità autentica e sicura. Siate voi, con la vostra vita e le vostre orazioni, l'olio prezioso, grazie al quale, nella Chiesa e in ogni cristiano, risplenda sempre la lampada della fede e della carità!


4. Carissimi! Dopo le apparizioni della Madonna, la piccola Bernardetta Soubirous visse sempre con una pungente nostalgia del cielo. Ripeteva spesso: "Andiamo in cielo, lavoriamo per il cielo, tutto il resto è niente!". E soggiungeva: "Il cielo, bisogna che me lo guadagni!".

Desidero anch'io esortare tutti a guardare verso il cielo, là dove è la nostra vera patria (cfr. Ph 3,20-21); là, dove c'è il posto per noi preparato (cfr. Jn 14,2-3). Maria santissima vi illumini nel vostro cammino, vi sostenga e vi sia di conforto in quest'ora e in ogni giorno della vostra vita. Amen.

Data: 1983-02-11 Data estesa: Venerdi 11 Febbraio 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Alla Giunta della regione Lazio - Città del Vaticano (Roma)