GPII 1983 Insegnamenti - Alla corte interamericana dei diritti umani - San José (Costa Rica)

Alla corte interamericana dei diritti umani - San José (Costa Rica)

Titolo: Collaborare al rispetto della dignità e dei diritti dell'uomo

Illustri Signori.

Nella cornice della mia visita ai Paesi dell'America Centrale, ho accettato volentieri quest'incontro con voi che, in virtù dell'alta funzione che svolgete, siete stati chiamati a realizzare un'importante compito di protezione dei diritti umani in questo amato e tormentato Continente. Vi saluto quindi con profonda stima.

La creazione della corte interamericana dei diritti umani, che ha la finalità di applicare e interpretare la Convenzione americana dei diritti umani, entrata in vigore nell'anno 1978, ha segnato una tappa particolarmente rilevante nel processo di maturazione etica e di sviluppo giuridico della tutela della dignità umana. Infatti, questa Istituzione, che non senza motivo scelse come sede la citta di San José di Costa Rica, manifesta una viva presa di coscienza da parte dei Popoli e governanti americani del fatto che la promozione e la difesa del diritti umani non è un mero ideale, per quanto nobile ed elevato si voglia, ma, in pratica, astratto e privo di organismi di controllo effettivo; bensi qualcosa che deve disporre di strumenti, efficaci di verifica e, se necessario, di opportuna sanzione.

E' vero che il controllo del rispetto dei diritti umani compete prima di tutto ad ogni sistema giuridico statale. Pero una maggiore sensibilità e un'accentuata preoccupazione per il riconoscimento o per la violazione della dignità e della libertà dell'uomo, hanno fatto vedere non solo la convenienza, ma anche la necessità che la protezione e il controllo che esercita uno Stato, si completino e si rafforzino attraverso una istituzione giuridica sopranazionale ed autonoma.

La corte interamericana dei diritti umani, di cui voi fate parte, è stata istituita proprio per svolgere questa specifica funzione giuridica, sia contenziosa che consultiva. In vista di questa nobile missione, desidero esprimervi, Signori, il mio appoggio ed il mio incoraggiamento, mentre invito le istanze interessate a ricorrere con coraggio a questa corte per affidarle i casi di sua competenza, dando così prova concreta di riconoscerle il valore plasmato nei suoi statuti. Questo sarà il cammino verso una migliore applicazione del contenuto della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, alla quale mi riferii abbastanza estesamente durante la mia visita alla sede delle Nazioni Unite (2 ottobre 1979, nn.9.13-20).

A voi, illustri giudici, voglio formulare il fervente voto che, con il disimpegno delle vostre funzioni, esercitate con profondo senso etico e con imparzialità, facciate crescere il rispetto della dignità e dei diritti dell'uomo; quell'uomo che voi, educati in una tradizione cristiana, riconoscete come immagine di Dio e redento da Cristo; e, di conseguenza, come l'essere più prezioso della creazione.

Chiedo a Dio che vi benedica ed illumini nel fedele compimento di questo vasto compito, così necessario ed importante nell'attuale momento della storia umana.

Data: 1983-03-03 Data estesa: Giovedi 3 Marzo 1983

All'aeroporto di Managua (Nicaragua)

Titolo: Messaggero di pace, sostenitore della speranza, servitore della fede

Illustri Membri della Giunta di Governo di ricostruzione nazionale, Diletti fratelli nell'Episcopato, Carissimi fratelli e sorelle.


1. Nel toccare il suolo del Nicaragua, il mio primo pensiero di gratitudine va a Dio, che mi dà la possibilità di visitare questa terra di laghi e di vulcani, e soprattutto questo nobile popolo, tanto ricco di fede e di tradizioni cristiane.

Desidero porgere pure il mio saluto a tutte le Autorità. Con il sincero ringraziamento alla Giunta di Governo di ricostruzione nazionale, che mi ha invitato a visitare questo Paese, e i cui membri hanno avuto la cortesia di venire a ricevermi e a darmi il benvenuto in questo viaggio apostolico.

Saluto poi cordialmente coloro che sono miei fratelli nell'Episcopato, i Vescovi della Chiesa di Cristo in Nicaragua, e in primo luogo il caro Monsignor Miguel Obando Bravo, Arcivescovo della diocesi che mi accoglie e Presidente della Conferenza episcopale. Essi mi hanno ripetutamente invitato perché facessi visita al loro amato popolo.

Ma il mio saluto si estende con grande affetto a tutto il popolo del Nicaragua. Non soltanto a quelli che son potuti venire ad incontrarmi o che mi stanno ascoltando in questo momento in diverse maniere; non solo a coloro che incontrero a Leon o a Managua durante queste ore di permanenza in mezzo a voi che desidererei tanto poter prolungare, ma specialmente alle migliaia e migliaia di nicaraguensi che non hanno avuto la possibilità di accedere - come avrebbero desiderato - ai luoghi di incontro; a coloro che non possono farlo a causa delle distanze o delle loro occupazioni; a coloro che sono trattenuti da impegni di lavoro; agli infermi, agli anziani e ai bambini; a coloro che hanno sofferto o soffrono a causa della violenza - da qualunque parte provenga -; alle vittime delle ingiustizie e a coloro che prestano servizio per il bene della Nazione.


2. Mi conduce in Nicaragua una missione di carattere religioso; vengo messaggero di pace; come sostenitore della speranza; come servitore della fede, per rafforzare i fedeli nella loro fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa; per incoraggiarli con una parola di amore, che riempia gli animi di sentimenti di fraternità e di riconciliazione.

Nel nome di Colui che per amore diede la sua vita per la liberazione e la redenzione di tutti gli uomini, vorrei dare il mio contributo affinché cessino le sofferenze di popoli innocenti in questa area del mondo; affinché finiscano i conflitti sanguinosi, l'odio e le sterili accuse, per lasciar spazio ad un genuino dialogo. Un dialogo che sia offerta concreta e generosa di un incontro di buone volontà e non una possibile giustificazione per continuare a fomentare divisioni e violenze.

Vengo anche per lanciare un invito alla pace verso coloro che, dentro o fuori di questa area geografica - dovunque si trovino - favoriscono in un modo o nell'altro tensioni ideologiche, economiche o militari che impediscono il libero sviluppo di queste popolazioni amanti della pace, della fraternità e del vero progresso umano, spirituale, sociale, civile o democratico.

Alla Vergine Maria, tanto venerata dal fedele popolo nicaraguense, nel suo mistero della Purissima Concezione, raccomando questa visita, mentre impartisco a tutti la mia cordiale benedizione.

Data: 1983-03-04 Data estesa: Venerdi 4 Marzo 1983

Nella Cattedrale di Leon (Nicaragua)

Titolo: Siate forti nella fede, solidali con chi soffre

In questa mia breve visita alla antichissima Cattedrale di Leon, dove si realizza il primo incontro in un luogo sacro con i cattolici di Nicaragua, saluto con sincera stima il Pastore di questa diocesi, Monsignor Julian Barni, gli amatissimi sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi di questa diocesi e di tutto il Paese. Molti di loro li incontrero ancora questo pomeriggio a Managua.

E fin da ora li assicuro che comprendo le loro difficoltà, che li accompagno con fraterno affetto e li incoraggio nel loro generoso sacrificio ecclesiale che li unisce al merito redentore della croce di Cristo.

Saluto anche tutto il popolo fedele di Leon, quelli che hanno sofferto e soffrono per tanti motivi e ingiustizie e in modo speciale voi riuniti in questo tempio, centro spirituale della diocesi. Vivete sempre molto uniti al vostro Vescovo, pregate per la Chiesa, siate fedeli alla vostra fede e mostratevi solidali con coloro che soffrono.

Eleviamo ora la nostra preghiera al Padre comune, insieme ai fratelli che ci attendono nell'area dell'Università. E ricevete tutti la mia cordiale benedizione, soprattutto gli infermi e gli anziani che abbraccio nell'amore di Cristo.

Data: 1983-03-04 Data estesa: Venerdi 4 Marzo 1983

Ai laici educatori - Leon (Nicaragua)

Titolo: Siate continuatori di una secolare e feconda opera educativa

Carissimi fratelli e sorelle.


1. In questo campus universitario di medicina della città di Leon, ove giungo come alla sede della più antica diocesi del Paese, ho il piacere di incontrarmi con voi, in gran parte campesinos. Vi saluto con grande affetto, specialmente le vittime della violenza - che frequentemente si scatena su di voi - o delle catastrofi della natura. Saluto in modo particolare il caro Pastore di questa diocesi, gli altri Vescovi e tutta la Chiesa di Dio in Leon e nel suo territorio.

Nel piano globale del mio viaggio in questa area geografica parlero specificamente per i "campesinos" in Panama. Oggi mi rivolgo alle persone che in Nicaragua e negli altri Paesi si dedicano, in un modo o nell'altro alla educazione alla fede, compito che in parte spetta ad ogni cristiano e che riguarda tutti in modo vitale.

Fin dal primo momento, carissimi educatori, vi manifesto la mia profonda stima per la vostra preziosa e importante missione. Dovete considerarvi - non senza legittimo orgoglio - i continuatori di una secolare e feconda opera educativa, svolta dalla Chiesa per il dinamismo proprio della evangelizzazione ed elevazione dell'uomo. Non è stata forse - e lo è ancora - l'educazione una delle più grandi preoccupazioni e realizzazioni della Chiesa, fin dal primi albori della storia dei diversi popoli americani? In effetti, sono stati molti i suoi frutti nella fondazione, direzione e animazione degli istituti educativi di ogni genere; e nella collaborazione ad una sempre più vasta opera di alfabetizzazione e di creazione di scuole - tanto in passato come di recente - contribuendo con ciò a un maggior progresso sociale, economico e culturale delle vostre Nazioni.

Questa, che è vostra tradizione e dignità, è anche una esigente responsabilità per il presente e il futuro, perché il vostro compito vi consacra alla formazione integrale delle nuove generazioni, scosse da cambiamenti e tensioni profonde. Qui si mette in gioco in gran parte la vita e l'avvenire della Nazione e anche della Chiesa.

perciò rendo omaggio di stima e di gratitudine a tanti sacerdoti, religiosi e religiose educatori che ieri, oggi, e sono sicuro anche domani, si dedicano a questo compito con abnegazione ed entusiasmo, in fedeltà alla loro vocazione umana e alla loro fede cristiana.


2. Vorrei pero oggi rivolgermi specialmente ai laici, che vivono la loro vocazione alla santità e all'apostolato nella loro professione di educatori.

Non invano il Concilio Vaticano II ha spinto i laici a vivere pienamente la loro responsabilità di battezzati, dando feconda testimonianza della loro fede e impregnando con i valori del Vangelo tutti gli ambiti dell'ordine temporale (cfr. AA 7). Fra questi ambiti vi è anche la scuola, giacché "la funzione del maestro costituisce un vero apostolato... e allo stesso tempo un vero servizio prestato alla società" (GE 8). Con ragione, pertanto, la Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica ha emanato recentemente un documento dal titolo: "Il laico cattolico, testimone della fede nella scuola", la cui lettura vi raccomando, perché vi potrà essere di grande aiuto.

Si potrebbe dire che il compito educativo è connaturale al laico perché è intimamente unito alle sue responsabilità coniugali e familiari. Effettivamente, i laici partecipano alla missione educativa, evangelizzatrice e santificatrice della Chiesa, in virtù del loro diritto-dovere, primario e originale, di educare i propri figli (cfr. GE 3; FC 36-42). E non c'è il minimo dubbio che la scuola è il complemento dell'educazione ricevuta in seno della famiglia.

Lo riconosce anche la Chiesa quando sottolinea il primato della famiglia nell'educazione. perciò io stesso, nella mia visita alla sede dell'Unesco circa die anni e mezzo or sono, rivendicavo "il diritto che appartiene a tutte le famiglie di educare i propri figli nelle scuole che corrispondano alla propria visione del mondo, e in particolare, lo stretto diritto dei padri credenti di non vedere i propri figli soggetti, nelle scuole, a programmi ispirati all'ateismo".

Ma è logico che i genitori hanno il dovere di trasmettere la fede anche nell'ambito della famiglia, soprattutto se ciò non può essere fatto adeguatamente nella scuola. Anzi di più, ogni laico cristiano deve sentire la responsabilità di dar conto della propria fede, e di essere portatore di essa in tutti i campi, con l'esempio e la parola.

La libertà delle famiglie e la libertà di insegnamento nel processo educativo ha il fondamento in un diritto naturale dell'uomo che nessuno può ignorare. Non si tratta, quindi, né di un preteso privilegio, né di una concessione dello Stato, ma di una espressione e garanzia di libertà, inscindibile da un quadro globale di libertà debitamente istituzionalizzata.

Siate pertanto, voi educatori cattolici, i collaboratori a complemento della missione della famiglia nella formazione integrale delle nuove generazioni.

Aiuterete così a forgiare una patria di uomini liberi e coscientemente responsabili del loro essere e del loro destino.


3. La vostra educazione cristiana e, conseguentemente, la vostra professione di educatori, deve portarvi, mediante l'esercizio responsabile della libertà, alla trasmissione e alla ricerca della verità. E' questa l'intima esigenza della libertà, centro e orizzonte di ogni creazione e comunicazione di cultura; un'esigenza anche della fede che, coscientemente accolta, profondamente pensata e fedelmente vissuta, genera e diventa cultura.

perciò l'educazione si degrada quando si converte in una "pura istruzione". Perché la semplice accumulazione frammentaria di tecniche, di metodi e informazioni non può soddisfare la fame e la sete di verità nell'uomo; invece di operare a favore di ciò che l'uomo deve "essere" essa opera quindi a favore di ciò che serve all'uomo nell'ambito dell'"avere", del "possesso (cfr. Giovanni Paolo II, "Discorso all'Unesco", 13). L'educando resta così dinanzi ad una contraddittoria eterogeneità di cose, disorientato, indeciso, e indifeso dinanzi a possibili manipolazioni politiche ed ideologiche.

L'amore appassionato per la verità deve animare il compito educativo al di là di pure concezioni "scientiste o "laiciste". Deve giungere ad insegnare come discernere il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto, il morale dall'immorale, ciò che eleva la persona e ciò che la strumentalizza. Sono questi i criteri oggettivi che devono guidare l'educazione, e non le categorie extra-educative basate in termini strumentali di azioni, di potere, di ciò che è soggettivamente utile o inutile, di ciò che è insegnato dall'amico o dall'avversario, da chi è tacciato come progressista o retrogrado.

Educare in forma autentica è compito di un adulto, di un padre e di una madre, di un maestro, che aiuti l'educando a scoprire e a far proprio, progressivamente, un senso unitario delle cose, una globale approssimazione alla realtà, una proposta di valori per la propria vita, nella sua integrità, dal punto di vista della libertà e della verità.


4. Per l'educatore cristiano - come dice il documento della Sacra Congregazione per l'educazione cattolica citato poco fa - "qualunque verità sarà sempre una partecipazione dell'unica Verità, e la comunicazione della verità come realizzazione della propria vita professionale si trasforma in carattere fondamentale della propria particolare partecipazione alla missione profetica di Cristo, che egli prolunga con il suo insegnamento ("Discorso all'Unesco", 16).

Se l'educazione è formazione integrale dell'uomo - e ogni educazione presuppone in forma implicita od esplicita una determinata concezione dell'uomo - l'educatore cattolico ispirerà la propria attività ad una visione cristiana dell'uomo, la cui suprema dignità si rivela in Gesù Cristo, Figlio di Dio, modello e meta della crescita umana nella sua pienezza.

In effetti, l'uomo non è riducibile ad un puro strumento di produzione, né ad agente del potere politico o sociale. perciò il compito educativo del cattolico aiuta a scoprire, dall'interno del proprio dinamismo, "il meraviglioso orizzonte di risposte che la Rivelazione cristiana offre riguardo al senso ultimo dell'uomo stesso" ("Discorso all'Unesco", 28).

Questa originale presenza e servizio educativo del laico cattolico si forgia in una esigente sintesi intellettuale e vitale che dà coerenza e fecondità al suo magistero. Ogni dualismo fra la sua fede e la sua vita personale, tra la sua fede e la sua attività professionale, rifletterebbe quel divorzio tra Vangelo e cultura, che Paolo VI denunziava già nella sua esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" come uno dei maggiori drammi del nostro tempo.

perciò non abbiate timore - nel sincero rispetto della coscienza dell'educando - di vivere e proclamare il messaggio di Cristo come chiave e significato radicale di tutta l'umana esperienza. Maturando li tutti gli autentici valori umani che l'educatore coltiva nella coscienza morale dell'educando: la coscienza della propria dignità, il senso di responsabilità, lo spirito di solidarietà, la disponibilità verso il bene comune, il senso di giustizia, l'onestà e la rettitudine. In Cristo si rivela la Verità dell'uomo. Egli è Via, Verità e Vita. Egli è la nostra Pace.


5. Voi, educatori cristiani, dovete essere forgiatori di uomini liberi, seguaci della Verità, cittadini giusti e leali, e costruttori di pace. Consentitemi di soffermarmi un momento su questo ultimo segno caratteristico di ogni vera educazione.

Si, costruttori di pace e di concordia nello spirito delle Beatitudini.

Sappiate forgiare nei vostri educandi, cuori grandi e sereni nell'amore alla Patria, e pertanto, costruttori di pace. Poiché soltanto una profonda riconciliazione degli animi sarà capace di sovrapporsi allo spirito e alla dialettica dell'inimicizia, della violenza - nascosta o latente che sia -, della guerra, che sono vie di autodistruzione. Prego con insistenza e fiducia, affinché il Signore - anche per mezzo vostro - dia al Nicaragua, a tutta l'America Centrale, pace e concordia, e vi faccia costruttori di pace all'interno delle Nazioni e nelle reciproche relazioni.


6. Carissimi educatori, so che vi è stato affidato un compito duro e difficile.

Ricordate che il Signore vi accompagna. Tutta la Chiesa vi è molto vicina. Siete fortificati dalle ricchissime energie umane e cristiane delle vostre meravigliose popolazioni. Ma tutto questo esige da voi che sappiate essere, prima di tutto, autentici discepoli del Maestro per eccellenza.

Non opponete resistenza alla chiamata del Signore, anche in mezzo alle avversità. Crescete nel Signore. Radicatevi nel suo Corpo che è la Chiesa.

Alimentatevi frequentemente con i Sacramenti e gli altri mezzi spirituali che vi offre. Bevete alla sua fonte di Verità: Verità su Cristo, sulla Chiesa, sull'uomo.

E mantenete sempre stretti i vincoli di fedeltà con i vostri Vescovi.

Saldi nella vostra specifica identità, siate uomini di dialogo e di generosa collaborazione in tutto ciò che sia autentica crescita nella pace e nella giustizia, insieme a tutti i vostri fratelli. E non dimenticate che - come ho già sottolineato a Puebla (28 gennaio 1979) - non avete bisogno di ideologie estranee alla vostra condizione cristiana per amare e difendere l'uomo; poiché al centro del messaggio che insegnate è presente l'impegno per la sua dignità.

Vivete, infine, e in tutto, la carità. Sarete così degni, in quanto fedeli discepoli, del titolo di maestri, a servizio della vita nazionale, figli della Chiesa, già cittadini di quella civiltà dell'amore" che vogliamo spunti all'orizzonte, anche dalla realtà del Nicaragua, dell'America Centrale, di tutta l'America Latina. Avanti con forza e speranza, tenuti per mano da Maria nostra Madre. Con il mio affetto e la mia benedizione. Amen.

Data: 1983-03-04 Data estesa: Venerdi 4 Marzo 1983

Omelia a Managua (Nicaragua)

Titolo: Fondamenti teologici dell'unità della Chiesa di Cristo

Amati fratelli nell'Episcopato, cari fratelli e sorelle.


1. Ci troviamo qui riuniti accanto all'altare del Signore. Che gioia trovarmi tra di voi, miei cari sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e laici - riuniti attorno ai vostri Pastori - di questa cara terra del Nicaragua così provata, così eroica di fronte alle calamità naturali che l'hanno colpita, così vigorosa nel rispondere alle sfide della storia e nel cercare di edificare una società a misura delle necessità materiali e della dimensione trascendente dell'uomo! Saluto innanzitutto, con sincero affetto e stima, il Pastore ed Arcivescovo di questa città di Managua, poi gli altri Vescovi e voi tutti, vecchi e giovani, ricchi e poveri, operai e imprenditori, perché in tutti voi è presente Gesù Cristo "primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29); da lui "siete stati rivestiti" nel vostro battesimo; così "tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (cfr. Ga 3,27-28).


2. I testi biblici che sono stati appena proclamati in questa Eucaristia ci parlano di Unità. Si tratta, innanzitutto, di unità della Chiesa, del Popolo di Dio, del "gregge" dell'unico Pastore, ma anche, come insegna il Concilio Vaticano II, dell'"unità di tutto il genere umano" della quale, come dell'"intima unione, d'ogni uomo "con Dio", la Chiesa è "come un sacramento e segno" (cfr. LG 1).

La triste eredità della divisione tra gli uomini, provocata dal peccato di superbia (cfr. Gn 1,


4.9), perdura nei secoli. Le conseguenze sono le guerre, le oppressioni, le persecuzioni, gli odi, i conflitti d'ogni genere.

Gesù Cristo, invece, venne a ristabilire l'unita perduta, perché ci fosse "un solo gregge" e "un solo pastore", un pastore la cui voce le pecore "conoscono", mentre non conoscono quella degli estranei; lui che è l'unica "porta, per cui bisogna entrare (Jn 10).

Fino a tal punto l'unità è motivo del ministero di Gesù, che egli venne a morire "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,52). così ci insegna l'evangelista san Giovanni, mostrandoci Cristo che prega il Padre per l'unione della comunità che affidava ai suoi apostoli (Jn 11 Jn 17,1-12).

Gesù Cristo, con la sua morte e risurrezione e col dono del suo Spirito, ha ristabilito l'unità tra gli uomini, l'ha data alla sua Chiesa e ha fatto di questa, secondo quanto dice il Concilio, "come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).


3. La Chiesa è la famiglia di Dio (cfr. Puebla, 238-249), e come in una famiglia deve regnare l'unità nell'ordine, così anche nella Chiesa. In essa nessuno ha maggior diritto di cittadinanza di un altro: né giudei, né greci, né schiavi, né liberi, né uomini, né donne, né poveri, né ricchi, perché tutti "siamo uno in Cristo Gesù" (cfr. Ga 3,22).

Questa unità si fonda in "un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" come dice il testo della lettera agli Efesini che abbiamo appena ascoltato (Ep 4,5), e come siete soliti cantare nelle vostre celebrazioni.

Dobbiamo apprezzare la profondità e solidità dei fondamenti di quest'unità che godiamo nella Chiesa universale, in quella di tutta l'America Centrale, e a cui deve tendere indefettibilmente questa Chiesa locale del Nicaragua. Proprio per questo dobbiamo dare il giusto valore anche ai pericoli che la minacciano e all'esigenza di mantenere e approfondire questa unità, dono di Dio in Cristo Gesù.

Perché, come scrivevo nella mia lettera ai Vescovi del Nicaragua nello scorso mese di agosto, questo dono è forse più prezioso proprio perché è fragile ed è minacciato.


4. Effettivamente l'unità della Chiesa è posta in questione quando ai potenti fattori che la costituiscono e mantengono - la fede stessa, la Parola rivelata, i sacramenti, l'obbedienza ai Vescovi e al Papa, il senso di una vocazione e di una responsabilità comune nella missione di Cristo nel mondo - vengono anteposte considerazioni terrene, impegni ideologici inaccettabili, opzioni temporali, persino concezioni della Chiesa che soppiantano quella vera.

Si, cari fratelli centroamericani e nicaraguensi: quando il cristiano, qualunque sia la sua condizione, preferisce qualsiasi altra dottrina o ideologia all'insegnamento degli Apostoli e della Chiesa, quando si fa di codeste dottrine il criterio della nostra vocazione, quando si prova a reinterpretare secondo le loro categorie la catechesi, l'insegnamento religioso, la predicazione, quando si instaurano "magisteri paralleli" come dissi nella mia allocuzione inaugurale della Conferenza di Puebla (28 gennaio 1979), allora si debilita l'unità della Chiesa, si rende più difficile l'esercizio della sua missione di essere "sacramento di unità" per tutti gli uomini.

L'unità della Chiesa significa ed esige da noi il superamento radicale di tutte queste tendenze alla dissociazione; significa ed esige la revisione della nostra scala di valori; significa ed esige la sottomissione delle nostre concezioni dottrinali e dei nostri progetti pastorali al Magistero della Chiesa, rappresentato dal Papa e dai Vescovi. Questo si applica anche al campo dell'insegnamento sociale della Chiesa elaborato dai miei predecessori e da me stesso.

Nessun cristiano, e meno ancora qualsiasi persona che abbia un titolo speciale di consacrazione nella Chiesa, può farsi responsabile della rottura di questa unità, agendo al di fuori o contro la volontà dei Vescovi "posti dallo Spirito Santo a pascere la Chiesa di Dio" (Ac 20,28).

Ciò è valido in qualsiasi situazione e Paese, senza che un qualunque processo di sviluppo o di elevazione sociale che sia stato intrapreso, possa legittimamente compromettere l'identità e la libertà religiosa di un popolo, la dimensione trascendente della persona umana e il carattere sacro della missione della Chiesa e dei suoi ministri.


5. L'unità della Chiesa è opera e dono di Cristo. Essa si costruisce con riferimento a lui e attorno a lui. Tuttavia Cristo ha affidato ai Vescovi un importantissimo ministero di unità nelle loro Chiese locali (cfr. LG 26). Ad essi, in comunione col Papa e mai senza di lui, spetta promuovere l'unità della Chiesa e, in tal modo, costruire in questa unità le comunità, i gruppi, le diverse tendenze e le categorie di persone che esistono in una Chiesa locale e nella grande comunità della Chiesa universale. Io vi sostengo in questo sforzo unitario che si rafforzerà nella vostra prossima visita "ad limina".

Una prova dell'unità della Chiesa in un determinato luogo è il rispetto per gli orientamenti pastorali dati dai Vescovi al proprio clero e ai fedeli.

Questa azione pastorale organica è una grande garanzia dell'unità ecclesiale: un dovere che grava specialmente sui sacerdoti, i religiosi e gli altri agenti della pastorale.

Ma il dovere di costruire e mantenere l'unità è anche una responsabilità di tutti i membri della Chiesa, vincolati dall'unico Battesimo, nella stessa professione di fede, nell'obbedienza al proprio Vescovo e fedeli al successore di Pietro.

Cari fratelli: abbiate ben presente che ci sono casi in cui l'unità si salva solo quando ognuno è capace di rinunziare a idee, piani ed impegni propri, anche se buoni - tanto più quando mancano del necessario riferimento ecclesiale! - per il bene superiore della comunione col Vescovo, col Papa, con tutta la Chiesa.

Effettivamente una Chiesa divisa, come dicevo già nella mia lettera ai vostri Vescovi, non potrà compiere la sua missione "di sacramento, cioè segno e strumento dell'unità nel Paese". perciò mettevo in guardia su quanto sia "assurdo e pericoloso immaginare" accanto - per non dire contro - alla Chiesa costruita attorno al Vescovo, un'altra Chiesa concepita solo come "carismatica" e non istituzionale, "nuova" e non tradizionale, alternativa e, come si preconizza ultimamente, una Chiesa popolare.

Voglio oggi riaffermare queste parole qui, di fronte a voi. La Chiesa deve mantenersi unita per poter contrastare le diverse forme, dirette o indirette, di materialismo che la sua missione incontra nel mondo. Deve restare unita per annunciare il vero messaggio del Vangelo - secondo le norme della Tradizione e del Magistero - ed essere libera da deformazioni dovute a qualsiasi ideologia umana o programma politico.

Il Vangelo così inteso conduce allo spirito di verità e di libertà dei figli di Dio, affinché non si lascino offuscare da propagande diseducatrici o contingenti, e al tempo stesso educa l'uomo per la vita eterna.


6. L'Eucaristia che stiamo celebrando è in se stessa segno e causa d'unità. Siamo tutti una sola cosa pur essendo molti, "tutti infatti partecipiamo di un solo pane" (1Co 10,17) che è il Corpo di Cristo. Nella preghiera eucaristica che pronunceremo tra pochi istanti, chiederemo il Padre che, per la partecipazione al Corpo e al sangue di Cristo, faccia di noi "un solo Corpo e un solo spirito" (III preghiera eucaristica).

Per ottenere questo si richiede un impegno serio ed esplicito di rispettare il carattere fondamentale dell'Eucaristia come segno di unità e vincolo di carità. perciò l'Eucaristia non si celebra senza il Vescovo (o il ministro legittimo, cioè il sacerdote) che nella propria diocesi è colui che a giusto titolo presiede ad una celebrazione eucaristica degna di tal nome (cfr. SC 41). Neppure si celebra adeguatamente, quando questo riferimento ecclesiale si perde o si perverte perché non si rispetta la struttura liturgica della celebrazione, così come è stata stabilita dai miei predecessori e da me stesso. L'Eucaristia che si mette al servizio delle proprie idee, e opinioni, o a finalità a lei estranee non è più una Eucaristia della Chiesa.

Invece di unire, divide.

Che questa Eucaristia che io stesso, successore di san Pietro e "fondamento dell'unità visibile" (cfr. LG 18) presiedo, e alla quale partecipano i vostri Vescovi attorno al Papa, vi serva di modello e rinnovato impulso nel vostro comportamento di cristiani.

Cari sacerdoti, rinnovate così l'unità tra di voi e con i vostri Vescovi al fine di conservarla ed accrescerla nelle vostre comunità. E voi, religiosi, siate sempre uniti alla persona e alle direttive dei vostri Vescovi. Sia il servizio di tutti all'unità un vero servizio pastorale al gregge di Gesù Cristo e in suo nome. E voi, Vescovi, siate sempre molto vicini ai vostri sacerdoti.


7. In questo contesto si deve parimente inserire il vero ecumenismo, cioè l'impegno per l'unità tra tutti i cristiani e tutte le comunità cristiane. Ancora una volta vi dico che questa unità si può fondare solamente su Gesù Cristo, sull'unico battesimo (cfr. Ep 4,5) e sulla comune professione di fede. Il compito di ricostruire la piena comunione fra tutti i cristiani non può avere altro riferimento e altri criteri e deve sempre usare metodi di leale collaborazione e di ricerca. Non può servire ad altro che a dare testimonianza a Gesù Cristo "perché il mondo creda" (cfr. Jn 17,21).

Altra finalità o altro uso dell'impegno ecumenico non può portare ad altro che a creare unità illusorie e, in ultima istanza, a causare nuove divisioni. Come sarebbe penoso se ciò che deve aiutare a ricostruire l'unità cristiana e che costituisce una delle priorità pastorali della Chiesa in questo momento storico, si trasformasse, per miopia degli uomini, a causa di criteri errati, in fonte di nuove e peggiori rotture! San Paolo ci esorta, nel brano appena letto, a "conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace (Ep 4,3). Io vi ripeto questa esortazione e vi segnalo, ancora una volta, le basi e la meta di tale unità. "Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.

Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ep 4,4-6).


8. Fratelli carissimi, vi ho parlato a cuore aperto. Vi ho raccomandato caldamente questa vocazione e questa missione dell'unità ecclesiale. Sono certo che voi, popolo del Nicaragua, che siete stati sempre fedeli alla Chiesa, continuerete ad esserlo anche in futuro.

Il Papa, la Chiesa, si aspettano questo da voi. Questo chiedo a Dio per voi, con grande affetto e fiducia. Che l'intercessione di Maria, la Purissima, come la chiamate con bellissimo nome, ella che è Patrona del Nicaragua, vi aiuti ad essere sempre costanti in questa vocazione di unità e fedeltà ecclesiale. così sia.

Data: 1983-03-04 Data estesa: Venerdi 4 Marzo 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Alla corte interamericana dei diritti umani - San José (Costa Rica)